Per una calda primavera.
Lo scontro sociale tra i lavoratori e la destra che molti pronosticavano per l'autunno si sposta alla primavera. L'esito di questo scontro segnerà i caratteri essenziali del prossimo periodo. L'importanza dello sciopero del 15. REDS. Febbraio 2002.


Lo scontro sociale tra i lavoratori e la destra che molti, tra i quali noi (Il caldo agosto editoriale0109.html), pronosticavano per l'autunno si sposta alla primavera. Già stiamo assistendo alle prime scaramucce. L'esito di questo scontro segnerà i caratteri essenziali del prossimo periodo.

Lo scontro sindacale
Come avevamo già analizzato in un altro articolo (Le elezioni del 13 maggio politica0501elezionimag.html), la destra è stata sostenuta dalla borghesia per annullare quello che i ricchi chiamano "il potere di ricatto del sindacato". Quando essi attaccano sul piano personale Cofferati, pensano in realtà alla CGIL, e quando pensano alla CGIL, si riferiscono ai lavoratori. Nei suoi primi mesi il governo Berlusconi ha dato un qualche colpetto per saggiare la determinazione dell'avversario: ha trovato una grande disponibilità di CISL e UIL a farsi infilzare, una certa tendenza della CGIL ad alzare la voce ma tenendosi ben lontana dal corpo a corpo. Così da novembre in poi, approfittando del clima da Occidente unito e vittorioso portava uno dopo l'altro i suoi attacchi. Con la finanziaria ha, tra gli altri, attaccato il pubblico impiego, e con la riforma dell'art. 18 (vedi Difendiamo l'art. 18 sindacato0112art18.html) e la riforma delle pensioni (vedi Pensioni: siamo arrivati al dunque sindacato0201pensioni.html e La decontribuzione affonda l'Inps e... massacra le pensioni pubbliche sindacato0202pensioni.html) l'insieme dei lavoratori. Come se non bastasse ha impostato l'attacco sulla scuola (vedi La riforma scolastica della destra. scuola0201scuoladestra.html) e al sistema giudiziario. A parte la finanziaria, si tratta di progetti e leggi delega destinati ad andare in porto, appunto, a primavera. La destra non manca d'audacia: non si è preoccupata nemmeno di sfilare CISL e UIL dando loro qualche contentino, bastava poco, in fondo.

In palio comunque non ci sono "solo" quelle riforme, ma, come dicevamo, lo scalpo della CGIL, e la sua riduzione al ruolo oggi ricoperto dal sindacalismo spagnolo nei confronti di Aznar.

Le direzioni dei sindacati confederali hanno reagito all'attacco proclamando prima uno sciopero di due ore, quindi una serie di scioperi categoriali e regionali. Il messaggio recepito dalla destra, visto che in ballo c'era la possibilità di uno sciopero generale, è stato: non stanno facendo sul serio. In realtà nella zucca della direzione cofferatiana la ritrosia nel proclamare lo sciopero generale non sta tanto nella volontà di non farsi isolare da CISL e UIL, quanto dalla convinzione tutta burocratica che lo sciopero generale non va "sprecato", ma deve essere il punto culminante di una mobilitazione che va per gradi successivi. Spieghiamo meglio questa mentalità: i dirigenti CGIL immaginano che i lavoratori vadano progressivamente "scaldati", come un allenamento prima della partita. Per la burocrazia la struttura è tutto e il movimento è niente, le masse sono pedine da muovere contro l'avversario con pazienza e abilità per poi dare al momento buono scacco matto. Questo atteggiamento è originato da due fattori, tra loro legati: il primo è la paura della spontaneità delle masse: una lotta ordinata e guidata infatti incanala lo scontento senza sbavature non controllabili. La seconda è la paura dell'avversario. La burocrazia cigiellina, all'interno della quale comincia a serpeggiare qua e là il panico, si domanda: cosa c'è dopo uno sciopero generale? Le burocrazie sindacali sono abituate a governi (non solo l'ultimo centrosinistra, ma anche il vecchio pentapartito) che dopo uno sciopero generale tiravano fuori sedie e tavolo alla ricerca di un compromesso. A volte per vedere spuntare il tavolo bastava anche l'accenno allo sciopero generale. Ma ora vi è un governo estraneo a queste tradizioni, e che ha mostrato chiaramente che è disposto anche ad incassare uno sciopero generale. E in effetti se la direzione Cofferati non lancia un chiaro segnale alla borghesia che dopo uno sciopero generale ce n'è un altro e poi un altro ancora, e che se la destra non cede riscoppierà un periodo di conflittualità sociale non controllabile, l'avversario non cederà nemmeno di un millimetro. Solo la prospettiva dell'esplodere di una conflittualità vera e diffusa può fermare la destra e impaurire i suoi sponsor.

L'opposizione esiziale
Berlusconi si sente particolarmente forte anche per la qualità dell'opposizione. Margherita e DS si guardano bene dal prendere posizione a favore dei lavoratori. La Margherita non fa una gran fatica: essa nasce come partito borghese e non ha alcun legame con le classi subalterne. Nessuno vota Margherita perché immagina di difendere i propri interessi di lavoratore. Molti però votano Margherita perché essa appare più radicale dei DS sul terreno della lotta "democratica" a Berlusconi. Per i nuovi elettori che si affacciano alla politica e che non hanno il ricordo del PCI e delle vecchie lotte sindacali, i DS appaiono un confuso partito sempre alla ricerca del dialogo con il governo. Non è un caso che l'elettorato dei DS è "popolare" ma sempre più "vecchio" e dunque anche per ragioni anagrafiche in continua diminuzione. La maggioranza Fassino-D'Alema vorrebbe candidare il partito a forza di ricambio delle classi dominanti, ma le sue radici popolari sono come una condanna: ad ogni svolta a destra corrisponde una pari perdita di voti, senza con ciò guadagnare medaglie da parte delle classi dominanti, che hanno già sin troppi partiti privi di legami sindacali e quindi meno facili alle pressioni della base, disposti a rappresentarli. Da qui i continui oscillamenti di questa corrente: qualcuno va a Porto Alegre mentre altri corrono ad assicure i militari; un giorno salutano l'intervento giacobino di Borrelli e l'altro animano un convegno in cui sposano una bella fetta delle posizioni della destra sulla giustizia; pugnalano gli scioperi dei lavoratori e poi firmano ordini del giorno a loro favorevoli. Tutta la loro furbizia di vecchi figiciotti rincitrulliti funziona solo in periodi di pace sociale. Cioè, in Italia, quasi mai. Appena la lotta si riaccende, o per iniziativa dal basso o per quella dell'avversario, sbandano vistosamente e non sanno che pesci prendere. L'opposizione sociale di Cofferati li imbarazza e li infastidisce: li fa apparire nudi nella loro inutilità, e in più li costringe a prendere posizione sul terreno di classe, che loro considerano così noioso, rozzo e retrò. Il "correntone" del resto non è certo portatore di una vera linea alternativa. Ha perso l'occasione di differenziarsi seccamente da Fassino ai tempi della guerra, e ciò è gli costato il congresso perché a quel punto era parso indistinguibili agli occhi della base, provocando la ricaduta dei più nell'indifferenza, dopo un breve brivido estivo, quando sembrava che Berlinguer potesse davvero imprimere una svolta a sinistra.

La prospettiva
I lavoratori hanno partecipato in massa alle occasioni di lotta offerte loro dalle burocrazie sindacali: non una sola manifestazione è andata buca. Cresce nei posti di lavoro una diffusa volontà di lotta. Ma, non possiamo prenderci in giro, non troviamo alcun segno di mobilitazione spontanea. La chiave della situazione è oggi più che mai la CGIL. Solo la CGIL è in grado di fermare Berlusconi. La borghesia lo sa meglio di noi, per questo concentra su questa organizzazione il suo fuoco polemico. Questa constatazione non ci porta certo ad aspettare pazientemente le disposizioni burocratiche di Cofferati. Come abbiamo già detto nella burocrazia sindacale comincia a serpeggiare il panico e già si preparano in quello stesso sindacato gli sciacalli pronti a spartirsi le spoglie di una CGIL sconfitta. Li abbiamo visti all'opera i dalemiani della CGIL, padroni ad esempio della struttura dei chimici, lamentarsi un po' nell'ombra delle "esagerazioni" di Cofferati, e godendo della "sconfitta" dei metalmeccanici. La CGIL non è certo una struttura in grado di reggere uno scontro prolungato con la destra, abituata com'è ad essere un sindacato che "fa accordi". Il destino mesto delle Comisionas Obreras costrette a fare da zerbino ad Aznar è lì dietro l'angolo. Lavorare sulla CGIL, perché è la chiave per dare lo stop a Berlusconi, non significa dunque affatto lasciare le cose così come stanno, perché così come stanno le cose andranno a finire male. Occorre muoversi.

Dobbiamo svegliare i lavoratori dal torpore nel quale sono immersi. E per questo le RSU devono smetterla di essere terminali delle organizzazioni sindacali e svolgere un ruolo autonomo che obblighi le confederazioni alla determinazione, alla lotta e alla resistenza nel tempo. L'assembela delle RSU (vedi L'assemblea delle RSU svoltasi a Milano l'11 gennaio sindacato0202assRSU.html) è un primo segnale positivo in questo senso, anche se non può sfuggirci che questo aggregato, in crascita, assomiglia ancora troppo ad una sorta di intergruppi, e non tocca ancora il cuore della classe lavoratrice. La direzione è quella, nella consapevolezza che è solo un inizio e il lavoro da fare per coinvolgere la massa delle RSU è ancora tutto davanti a noi.

La sinistra sindacale interna alla CGIL deve smetterla di essere un gruppo di pressione tutto interno agli apparati e che pensa sia una grande vittoria far passare un qualche ordine del giorno in un direttivo di cui i più ignorano, a giusto titolo, l'esistenza. La sinistra sindacale ha mezzi, distaccati, risorse per aiutare la costruzione di quel movimento che è necessario per vincere una partita che Cofferati immagina di giocare come a scacchi mentre l'avversario tira invece al piccione.

Infine: lavorare sulla CGIL è un compito anche per chi ne sta fuori, e milita nel sindacalismo di base. Questo sindacalismo ha rappresentato un momento importante di resistenza negli anni del centrosinistra. Ma oggi appare imprigionato in quel ruolo e ripete come un disco rotto le invettive contro la concertazione, senza essersi accorto che la concertazione non c'è più. Oggi dobbiamo fermare Berlusconi, questo è il compito. Ma il sindacalismo di base pare non averlo compreso. Non riusciamo in altro modo a comprendere la sciagurata decisione di organizzare per il 15 febbraio, sciopero generale del pubblico impiego e della scuola, una manifestazione sindacale separata da quella di CGIL, CISL e UIL. Come pensiamo che la massa dei lavoratori possa comprendere una tale decisione? Si tratta di una decisione dettata esclusivamente da ragioni di organizzazione (non ci si venga a dire che la direzione della FIOM, tanto lodata dal sindacalismo di base, ma non da noi, è terribilmente più a sinistra di quella del pubblico impiego): pensano, essendo radicati per l'appunto tra gli statali e non nelle fabbriche, a una sorta di prova di forza, una prova di forza tutta interna al sindacalismo e che non ha nulla a che vedere con la lotta contro la destra. Una decisione negativa perché il 15 dobbiamo scendere in piazza anche per esigere dalla burocrazia sindacale l'indizione di uno sciopero generale nazionale. O pensiamo che Berlusconi sarà fermato da uno sciopero generale del sindacalismo di base? Ne hanno (abbiamo) già fatti tanti, gran parte per giusti motivi, ma non sono mai riusciti a far astenersi più dell'uno per cento della classe lavoratrice. Se dunque uno sciopero generale vero, che spaventi cioé i nostri avversari, non può che essere proclamata dalla CGIL, dovremo pur essere lì per esigerla: sui treni, nei cartelli, negli striscioni, e in piazza. La voce dello sciopero generale deve essere quella più udita tra le centinaia di migliaia di lavoratori che convergeranno a Roma. Ma il sindacalismo di base non vi si unirà: sarà in un'altra piazza dove non ci saranno da convincere lavoratori e dove non vi saranno burocrati da mettere con le spalle al muro. Per riempire i buchi faranno così appello al movimento antiglobal cercando di riempire la piazza di studenti, contribuendo così alla divaricazione tra movimenti, che invece dobbiamo fare in modo che in ogni modo convergano nella lotta contro la destra. Ci spiace per questi compagni che altre volte abbiamo sentito molto vicino a noi: Berlusconi non ha paura di loro, se ne starà incollato alla tv a vedere quanta gente le confederazioni porteranno in piazza, e su quello misurerà il tiro dei suoi prossimi attacchi.

Perché in primavera si dispiegherà per intero l'attacco della destra non solo contro i lavoratori, ma anche contro la scuola, mentre con il movimento antiglobal i conti sono ancora aperti. Lavoratori, scuola, movimento no global, studenti...: questi piani di mobilitazione viaggiano oggi separati, eppure sono sostanzialmente tutti contemporaneamente attaccati. Berlusconi vuol vincere la partita con una mano sola. Se uscirà indenne da questa primavera, allora avremo in Italia il regime. Sia chiaro: non una dittatura ma qualcosa di simile al governo Reagan o Thatcher, qualcosa in grado di cambiare in profondità la società italiana per decenni, ben oltre le "riforme" che il piccolo tiranno progetta di portarsi a casa in primavera. Si tratta di un boccone così ghiotto che anche la grande borghesia che vede con sufficienza Berlusconi è disposta a farsi umiliare dal nostro (come prevedevamo in Nel Paese dei fichi d'India politica0201ruggiero.html, ma era una previsione facile facile...).

Noi dobbiamo lavorare perché, nell'unità, questi piani si incontrino, in primavera, per far da barriera alla rottura della diga, che incombe.