Uno sciopero, quattro parole
d'ordine.
Al
No alle leggi-delega su mercato del lavoro, pensioni e fisco, si aggiunge
il no alla delega sulla scuola. Reds. Marzo 2002.
Cresce
la mobilitazione e la voglia di protagonismo delle masse, testimoniata dai
numerosi fax che inondano le segreterie sindacali e dalle fermate spontanee
dal lavoro in numerose fabbriche. Dopo la revoca dello sciopero del 15 febbraio
da parte dei confederali (grave errore sia tattico che politico), di cui abbiamo
trattato in un'edizione speciale di Reds (vedi "15 Febbraio: Tutti a
Roma!"), ci poteva essere il rischio di uno scoramento soprattutto in
una categoria - i lavoratori della scuola - che negli ultimi anni s'è
rivelata una delle più combattive. Contro questa decisione ci sono
state le dure critiche rivolte al proprio sindacato da parte di molti dirigenti
e iscritti della CGIL, che hanno avuto una certa eco sugli organi di stampa.
Soprattutto c'è l'esito positivo dello sciopero e della manifestazione
organizzata per quella data dal sindacalismo di base che ha ridato fiato alle
proteste. La CGIL in chiusura del congresso di Rimini ha raccolto la domanda
proveniente oramai da tutti i settori del mondo del lavoro e ha rilanciato
lo sciopero generale, sfidando la rottura stessa dell'unità sindacale
alla quale solo pochi giorni aveva sacrificato lo sciopero del pubblico impiego
e della scuola. I problemi ora sono tutti interni a CISL e UIL, che devono
chiarire alle proprie strutture e ai propri iscritti la repentina retromarcia,
mentre giungono dalla base di quei sindacati diversi apprezzamenti alla linea
di Cofferati e di critica ad Angeletti e Pezzotta. I
movimenti che si sono aggiunti a quello sindacale sulla giustizia (i 40.000
del Palavobis, la marcia dei 30.000 a Napoli), le critiche che dalla base
scuotono gli apparati dei DS e dell'Ulivo (l'assemblea fiorentina che ha criticato
D'Alema, ecc.) aldilà della loro indubbia eterogeneità, rivelano
però la consapevolezza sempre più generalizzata che solo l'opposizione
di piazza può dare l'alt alle manovre di questo governo. E nonostante
i diversi analisti concordino nel definire mobilitazioni dei ceti medi questo
genere di iniziative, la congiunzione dichiarata con la manifestazione sindacale
e lo sciopero generale contro le leggi delega apre il campo ad alleanze di
resistenza sempre più ampio, impensabili solo pochi mesi fa. E gli
insegnanti, che costituiscono una presenza non trascurabile, sia nell'ambito
dei movimenti che in quello sindacale, possono essere uno dei traites d'unions
di questa alleanza. Tanto più che in una recente intervista alla Stampa,
Cofferati ha dichiarato che lo sciopero generale del 5 aprile non sarà
più solo basato su tre parole d'ordine, ma quattro: no alle deleghe
su art. 18, previdenza, fisco e... scuola. Importanza
e limiti dello sciopero del sindacalismo di base del 15 febbraio Lo
sciopero e la manifestazione molto partecipata e variopinta del 15 febbraio
scorso hanno segnato senza dubbio un successo non indifferente del sindacalismo
di base, e hanno consentito come abbiamo già detto, di tenere alto
il morale indispensabile per le battaglie future. Questo giudizio è
rigettato dai militanti (non tutti) e dai leaders dei sindacati "alternativi".
Cosimo Scarinzi, leader della Cub scuola, ad esempio, in polemica con Cremaschi
della Fiom sottolinea che "va chiarito che quello del 15 febbraio non
è stato uno sciopero volto a imporne un altro ad una dirigenza sindacale
riottosa ma uno sciopero costruito e assunto da ampi settori di lavoratori
su contenuti precisi". Ma nonostante la sua importanza non è stato
lo sciopero generale che la massa dei lavoratori e in fondo tutti gli italiani
si aspettano. In fondo lo riconosce anche Scarinzi, quando ammette che "sarebbe
sbagliato nascondersi che il successo della giornata del 15 febbraio è
stata favorita anche dalla scelta del sindacalismo istituzionale di revocare
lo sciopero". È bene quindi che anche Cobas, Cub, ecc. agitino
con decisione la parola d'ordine dello sciopero generale, senza pensare che
ci sia già stato il 15 febbraio. Per la gran parte dei lavoratori infatti
lo sciopero generale ci deve ancora essere! La
congiunzione tra le mobilitazioni della scuola e lo sciopero generale di tutte
le categorie Gli
scioperi del dicembre 2001 contro la finanziaria - seppur con il pesante limite
delle divisioni tra CGIL e sindacalismo di base, la defezione degli altri,
e la non chiara definizione degli obiettivi riguardanti la scuola - avevano
visto una notevole adesione degli insegnanti. Anche le proteste, prevalentemente
studentesche, in occasione degli "Stati generali della scuola" voluti
dalla Moratti avevano suscitato attenzione e simpatia. È comunque a
partire dalle mobilitazioni confederali contro le deleghe per l'art.18 e le
pensioni, che l'allarme degli insegnanti ha segnato un salto qualitativo.
L'appuntamento del 15 febbraio si vedeva via via caricato di aspettative crescenti,
nonostante anche quell'appuntamento non avesse al suo centro uno "specifico"
scuola. CGIL, CISL e UIL del resto, per assicurare un successo decisivo alla
manifestazione, promuovevano una tornata di assemblee che portava la consapevolezza
della posta in gioco a livello di massa, e portava parallelamente ad aumentare
le aspettative riposte nella scadenza del 15. Poi c'è stata, come sappiamo,
l'intesa del 4 febbraio e la revoca dello sciopero, che da parte di CISL e
UIL ha il chiaro significato di un riavvicinamento al governo, mentre è
di più difficile comprensione da parte della CGIL. Probabilmente ha
pesato l'esigenza di giungere al congresso di Rimini senza una nuova rottura
con i partner confederali, in modo da tenerli insieme in vista dello sciopero
generale. Manovra
che, come si sa, non ha sortito al momento l'effetto sperato, anche se ha
aperto una forte crisi interna tra la base e i vertici di CISL e UIL. Il comportamento
della CGIL fa comunque pensare a una dirigenza che certamente comprende la
pericolosità di questo esecutivo e la necessità di contrastarlo,
ma che sbanda ed esita. La portata e la velocità dell'offensiva berlusconiana
l'hanno spiazzata, e per cultura e abitudine non è portata a perseguire
con decisione l'unica dinamica sociale in grado di impensierire questo governo:
inaugurare un periodo di conflittualità permanente, grave, che blocchi
i posti di lavoro e le scuole, sul modello della Francia di sei anni fa. Per
questo invece di contare sulle potenzialità della base, i vertici CGIL
condizionano la propria azione all'esito di trattative diplomatiche con CISL
e UIL; e il timore che uno sciopero generale possa non bastare, assume per
loro la forma della paura del "giorno dopo": cosa si fa se dopo
lo sciopero generale Berlusconi non si ferma? In effetti si aprono due strade:
o fermarsi e farsi spazzare via, o andare avanti aggravando la conflittualità
sociale. L'una ipotesi e l'altra spaventano la dirigenza CGIL; da qui i suoi
zig zag. Questo
scenario è ben rappresentato dalle dinamiche che animano il sindacato
scuola, sia a livello nazionale che locale. A livello nazionale assistiamo
a infruttuosi incontri tra i vertici confederali e il ministero, poiché
il governo non ha alcuna intenzione di recedere dalle sue iniziative. Anzi,
per decreto è stato stabilito di tagliare più di 8000 docenti
in organico per il l'anno scolastico 2002-2003, i primi dei 34.000 previsti
dalla finanziaria nel prossimo triennio. I risparmi derivanti dai tagli costituiscono
tra l'altro per il governo uno dei mezzi per finanziare quegli aumenti previsti
dalla sciagurata intesa del 4 febbraio. Inoltre rappresentano una vera e propria
applicazione della riforma prima ancora che venga approvata: la riduzione
del tempo scuola a 25 ore (in realtà non definita nella legge delega
che rimanda la questione a un decreto successivo, ma prevista dalla proposta
Bertagna e confermata in varie occasioni da esponenti del governo) richiede
ovviamente una contrazione del personale che oggi garantisce un tempo scuola
più consistente. A livello regionale, in Lombardia, viene almeno decisa
un'azione di lotta che tuttavia dovrebbe avere un respiro nazionale e obiettivi
più ampi. Le tre confederazioni e lo Snals annunciano uno sciopero
regionale della scuola contro i tagli agli organici docenti per il 6 marzo,
che poi, dopo una serie di incontri senza esito col direttore regionale dell'istruzione
e tentennamenti vari, viene fatto slittare e proclamato per il 18 marzo. Questa
scadenza, pur con tutti i limiti, non può e non deve rivelarsi l'ennesima
beffa in spregio alla volontà di lotta dei lavoratori della scuola. È
una scadenza che non può essere elusa e che anzi va senz'altro mantenuta
e che andrebbe caratterizzata con parole d'ordine più incisive e forti.
Da qui al 18 però i lavoratori devono moltiplicare gli sforzi per creare
e radicare nuovi comitati e coordinamenti di lotta contro la riforma Moratti,
e potenziare le reti e le strutture esistenti, nate nei mesi passati e che
hanno stabilito un primo contatto e un impegno per un'azione comune in concomitanza
con la manifestazione romana del 15 febbraio. Devono inoltre vigilare sull'operato
delle segreterie sindacali lombarde, che potrebbero sempre essere tentate
di pervenire a qualche accomodamento inaccettabile, come una "drastica
riduzione dei tagli", come sostiene su Repubblica del 1 marzo il segretario
regionale della CGIL Wolfango Pirelli. Devono invece premere perché
si interrompano eventuali trattative, in coerenza con la linea adottata dai
vertici confederali, e organizzare con meticolosità e fermezza tutte
le tappe che portano alle scadenze del 23 marzo e del 5 aprile: alla manifestazione
di Roma contro le quattro leggi delega, che deve essere imponente, e allo
sciopero generale, che deve paralizzare il paese per l'intera giornata.
Da qui al 5 aprile si prospetta quindi un mese di intensa e febbrile mobilitazione
di un ampio fronte di lotta per la riuscita di una battaglia in difesa dei
diritti elementari e fondamentali contro le quattro deleghe del governo. In
questo mese il mondo della scuola, i suoi sindacati, le reti e i comitati
autorganizzati devono sostenere varie iniziative che coniughino questioni
di settore, come il taglio degli organici, con gli interessi generali dei
cittadini, come la difesa e la proposta per una scuola pubblica di qualità,
facendo diventare la lotta contro la riforma Moratti patrimonio comune condiviso
come quella contro l'art. 18.
Infatti, se quella di Roma è stata una manifestazione in grado di impensierire
la CGIL, altrettanto non si può dire del centrodestra. Nessuna dichiarazione
significativa in merito dagli esponenti della maggioranza o del governo, che
per essere fermato deve vedere non decine ma centinaia di migliaia di persone
in piazza ed un clima di mobilitazione e di conflittualità diffusa.
E il sindacalismo di base non è in grado, oggi, di fare breccia tra
le grandi masse dei lavoratori. Lo prova lo scarto registrato tra la grande
disponibilità manifestata dai lavoratori della scuola ad andare a Roma
il 15 febbraio prima della revoca dello sciopero e il fatto che la gran parte
abbia rinunciato, pur con disappunto, dopo la revoca. I lavoratori della scuola
vogliono spingere i sindacati di massa sul terreno di una mobilitazione determinata.
L'ansia finora dimostrata dal sindacalismo di base di volersi più distinguere
dai "sindacati concertativi" che arrestare il rullo compressore
della destra, denota tutti i limiti della sua azione.