Una nuova disciplina per il rinnovo dei contratti
Le segreterie di Cgil, Cisl e Uil hanno varato il documento unitario sulla riforma della contrattazione, per superare il modello definito nel 1993. La scelta di fondo consiste nel puntare sulla contrattazione di secondo livello legando gli aumenti salariali agli obbiettivi di produttività, redditività ed efficienza. Di Duilio Felletti. Reds - Giugno 2008.


I sindacati sono disponibili a sedersi attorno a un tavolo per avviare con Confindustria il confronto sulla piattaforma unitaria di riforma della contrattazione.
Si tratta della modifica dell'attuale assetto contrattuale definito con l'accordo del 23 luglio 1993.
Cgil Cisl e Uil hanno superato i contrasti decennali su temi come il nuovo modello contrattuale, la democrazia e la misurazione della rappresentanza sindacale, trovando una mediazione tra le diverse proposte nella piattaforma unitaria.

In sintesi questi i contenuti del documento su cui si dovrà sviluppare il confronto tra i sindacati e le parti padronali.

Difesa del potere d'acquisto
- Il compito del contratto nazionale è il sostegno del potere d'acquisto per tutti i lavoratori.
- Va utilizzato il concetto di "inflazione realisticamente prevedibile" con parametri ufficiali di riferimento. Gli attuali indicatori di inflazione vanno adeguati utilizzando anche altri indicatori certi che tengano conto di fattori come ad esempio il peso dei mutui.

Rinnovo dei contratti e durata
- Si deve passare dal biennio economico a contratti di durata triennale, unificando la parte economica e normativa.
- In caso di mancato rispetto delle scadenze vanno previste delle penalizzazioni (come fissare comunque la decorrenza dei nuovi minimi salariali dalla scadenza del vecchio contratto).
- Da rivedere anche la tempistica: le trattative per il rinnovo dei contratti nazionali dovranno iniziare sei mesi prima delle loro scadenze.
- Il contratto nazionale dovra' poi definire le competenze da affidare al secondo livello, tenendo conto delle specificita' settoriali, valorizzare la formazione continua, e favorire l'assunzione delle donne.

Riduzione del numero dei contratti
- Vanno razionalizzate le aree di copertura dei contratti nazionali (attualmente oltre 400). Va prevista la possibilità di accorpamenti per aree omogenee e per settori favorendo la riunificazione di contratti analoghi.
- Il Cnel può essere la sede congiunta dove esaminare la situazione attuale e avviare linee di indirizzo condivise per la semplificazione.

Rafforzamento contrattazione di secondo livello
- Va sostenuta la diffusione qualitativa e quantitativa del secondo livello di contrattazione. I contratti nazionali dovranno prevedere, in termini di alternatività, la sede aziendale o territoriale. In quest'ultimo caso, potranno essere regionali, provinciali, settoriali, di filiera, di comparto, di distretto, di sito.
- Il secondo livello sarà incentrato sul salario per obbiettivi rispetto a parametri di produttività, redditività, efficienza, efficacia.

Rappresentanza e democrazia sindacale
- Per il settore privato la base della certificazione per la rappresentanza sono i dati associativi rilevati dall'Inps e i consensi elettorali delle Rsu. Il Cnel è l'istituzione certificatrice.
- Le piattaforme vengono proposte unitariamente dalle segreterie e dibattute negli organismi direttivi che approvano le piattaforme da sottoporre alla consultazione di lavoratori e pensionati.

Questo ultimo punto sulla democrazia sindacale è stato fortemente voluto dalla Cgil, che a febbraio si era rifiutata di sottoscrivere una piattaforma pressochè identica, in quanto questo aspetto non era affrontato.

All'interno della Cgil permane comunque il dissenso della sinistra interna, che ha ne ha spiegato le ragioni con argomentazioni ampiamente condivisibili ma che non sono servite a far cambiare opinione alla maggioranza del gruppo dirigente.

Gli esponenti di "Lavoro Società" e "Rete 28 aprile" hanno in sostanza detto che il contratto nazionale deve servire ad aumentare il potere d'acquisto dei salari (e non semplicemente a mantenerlo), in considerazione del fatto che dal 1993 a oggi i lavoratori se lo sono visto erodere progressivamente a vantaggio di rendite e profitti. Mentre per la contrattazione di secondo livello la critica è rivolta al legame che si vorrebbe tra aumenti salariali e incrementi dei livelli di produttività. Molto duro il giudizio sulle ipotesi che si stanno facendo strada sulla detassazione degli straordinari e degli aumenti salariali aziendali: "vuol dire spingere i lavoratori a peggiorare le loro condizioni di vita e di lavoro approfittando dei loro bassi salari. Sappiamo benissimo inoltre che tanti infortuni avvengono per carichi di lavoro e per stanchezza".
Vi è inoltre il rischio molto serio che, mettendo in primo piano la contrattualizzazione di secondo livello, legata al territorio e alle aziende, si vada a deprimere il contratto nazionale. Potrebbe, ad esempio, accadere che la provincia di Milano, avendo piu' aziende e possibilita' di contratti territoriali, avra' stipendi piu' alti di quelli di Palermo. Potrebbe nei fatti saltare il principio secondo cui a parità di lavoro corrisponda parità di salario su tutto il territorio nazionale.
Anche sulla democrazia sindacale si pone con forza la questione della libera circolazione a tutti i livelli delle diverse opinioni che via via maturano nel corso del dibattito sindacale, proprio per consentire ai lavoratori di esprimere opinioni più consapevoli e meglio in grado di conferire o non conferire mandati alle trattative o alle stipule.

Comunque il documento sul nuovo modello contrattuale ha ricevuto il via libera dal direttivo della Cgil con 105 voti. Al documento presentato dall'area 'Lavoro e societa'' sono andati 25 voti, le astensioni sono state 2.
Giorgio Cremaschi, leader di 'Rete 28 Aprile', ha ritirato il suo documento per convergere su quello di 'Lavoro e societa''.

Sul documento approvato dalla maggioranza della Cgil si legge che: ''Dopo anni di confronto e discussione si tratta di un risultato importante frutto di una mediazione unitaria alta, che si pone l'obiettivo della riconferma di un modello contrattuale unico per tutti i lavoratori, fondato sulla centralita' del primo livello di contrattazione e sulle estensione e qualificazione del secondo livello'', si sostiene inoltre che l'aver ''definito con la Cisl e la Uil regole innovative in materia di rappresentanza e democrazia segna un punto di non ritorno per una concezione di un sindacato ancora piu' democratico e rappresenta una svolta di eccezionale significato''.

Dall'altra parte Bombassei non ha voluto perdere l'occasione di dire anche lui la sua nel merito di questo "grande passo storico" fatto dalle organizzazioni sindacali.
Dice il nostro: "Sono contento che sia stato stilato un documento comune da parte dei sindacati. E' un passo importante dopo 4 anni di attesa". Ma non manca di puntualizzare alcune "criticità" del documento sindacale: la prima cosa e' il discorso delle sanzioni alle aziende laddove ci siano ritardi nel rinnovo dei contratti "questo potrebbe essere accettato se, naturalmente poi si prevedono sanzioni anche dall'altra parte, quando non si rinnovano i contratti per ragioni che non dipendono dalle imprese". La seconda cosa secondo il vicepresidente di Confindustria riguarda 'l'inflazione ragionevolmente prevedibile'. Aggiunge:" mi sembra una definizione talmente complicata che rischia di essere mal interpretata. Avevamo gia' avuto modi di esprimere le nostre opinioni al sindacato. Mi piacerebbe che vi fossero definizioni che non debbano essere interpretate. Una definizione chiara che chiunque possa capire esattamente, per evitare contenziosi e perdere tempo".

Visto quindi il documento sindacale, i padroni colgono al volo l'occasione per spostare la situazione ancora di più a loro favore, mettendo in discussione quegli elementi che in qualche modo potrebbe impedire loro piena libertà di movimento: niente sanzioni, niente indici di riferimento, niente di niente....
Ma anche questa è una storia che i lavoratori conoscono bene: ogni volta che i sindacati mostrano "senso di responsabilità" mollando qualcosa e aprendo degli spazi, ecco che questi vengono immediatamente occupati dai padroni, che li usano come base per spingere ancora più indietro il movimento sindacale.

Una riflessione però andrebbe fatta sul ragionamento di fondo fatto dai dirigenti sindacali che in apparenza potrebbe sembrare anche di buon senso.
In sostanza loro dicono: facciamo in modo che il contratto nazionale protegga il potere d'acquisto dei salari, in modo tale da garantire a tutti i lavoratori una sussistenza dignitosa ( sulla base di questo ragionamento si dice che quindi non sono necessari tanti contratti nazionali), dopo di che ulteriori aumenti salariali possono essere ottenuti localmente sulla base degli andamenti aziendali (definire quindi un accordo che impegni le aziende a intraprendere obbligatoriamente il percorso della contrattazione decentrata). E' chiaro che se tutto ciò venisse attuato il risultato finale sarebbe un aumento dei salari reali.

Ma ragioniamo su una cosa alla volta.

Il contratto nazionale che tuttela il potere d'acquisto dei salari.
Se veramente si volesse fare questa cosa, basterebbe definire un meccanismo di adeguamento automatico dei salari al crescere dell'inflazione, una sorta di scala mobile, con aumenti che dovrebbero scattare con scadenze il più possibile ravvicinate (tre mesi). E andrebbe definito un paniere di generi di largo consumo delle famiglie dei lavoratori i cui prezzi dovrebbero essere tenuti monitorati e su cui calcolare gli aumenti salariali necessari.
Ma prima ancora andrebbe definito quale dovrebbe essere il livello minimo salariale di riferimento (base 100) da cui partire per mettere in moto tutto il meccanismo di indicizzazione, innalzando ovviamente i livelli salariali dei lavoratori e pensionati che grazie ai precedenti accordi concertativi si sono visti erodere il potere d'acquisto. Occorre, quindi, innazi tutto, una grossa operazione redistributiva a danno di chi si è arricchito negli ultimi 20 anni sulle spalle dei lavoratori. Occorrerebbe infine una legge che regoli tutta la materia e che preveda sanzioni per chi non la rispettasse.

Ma per attuare questo semplice meccanismo che bisogno c'è della contrattazione? Se i parametri di adeguamento dei salari sono definiti in modo inoppugnabile (magari da un ente apposito) che bisogno c'è di incontri tra le parti e altre liturgie sindacali? E perchè questo dovrebbe essere inserito nella trattativa per il rinnovo del contratto nazionale (così come propongono i dirigenti sindacali), visto che si tratterebbe di materia che dovrebbe riguardare l'insieme di tutti i lavoratori, al di là della categoria di appartenenza?
Per la ragione molto semplice (e cinica) che i burocrati sindacali non intendono realmente difendere i salari dei lavoratori. Dicono di volerlo fare, ma poi, affidando all'esito di una trattativa l'adeguamento dei salari, accadrà inevitabilemente che questo derivi esclusivamente dai rapporti di forza che le singole categorie riusciranno a mettere in campo, con la conseguenza che le categorie più deboli non avranno salari adeguati al costo della vita.
I salari medi tenderanno verso una decrescita progressiva.

Ecco perchè ha ragione chi sostiene che si stà andando verso la perdita di senso del contratto nazionale: perchè l'obbiettivo che si dichiara di voler perseguire non avrebbe le basi concrete per realizzarsi.

Il contratto di secondo livello: più produttività, più salario.

Anni a dietro, (anni 80) i padroni erano ferocemente contrari alla contrattazione di secondo livello.
Sostenevano che era sbagliato e "ingiusto" dover riconoscere aumenti ai lavoratori oltre quelli stabiliti dai contratti nazionali.
I sindacati invece sostenevano, giustamente, che le situazioni locali dovevano determinare ulteriori miglioramenti, sia economici che normativi.
Così facendo, i sindacati potevano sperimentare in ambiti ristretti soluzioni e risposte ai bisogni dei lavoratori da estendere successivamente sulterritorio nazionale.
Pertanto i contratti nazionali, spesso, si realizzavano su piattaforme determinate da fatti già sperimentati in ambiti più ristretti, quelli di talune aziende. Tant'è che spesso accadeva che una Associazione degli Industriali locale cercava di impedire la stipula di certi accordi aziendali, nel timore che i contenuti di questi potessero essere estesi a livello nazionale.
Ecco perchè, per anni, i padroni hanno cercato di depotenziare la contrattazione di secondo livello.
Oggi invece pare stiano facendo, in accordo con le principale organizzazioni sindacali, la scelta opposta: no al contratto nazionale, sì a quello aziendale. Ma, a ben vedere, il risultato non cambia, perchè togliendo di mezzo il contratto nazionale, i padroni raggiungono comunque l'intento di slegare il locale dal nazionale.

La formula che usano è però più sottile: occorre legale gli aumenti salariali alla crescita dei livelli di produttività. Detto in altre parole: bisogna dare più soldi a chi lavora di più.

Ma, aumento della produttività significa aumento dello sfruttamento, per cui dare più soldi in presenza di un aumento della produttività, significa dare per scontato che un aumento del salario reale debba necessariamente passare da un aumento dei livelli di sfruttamento. Ma, chissà perchè, quando si sostiene questo semplice ragionamento si è tacciati di fare ideologia..., e che i tempi sono cambiati..., e altre amenità di questo genere, senza entrare nel merito.

Ci piacerebbe però che qualcuno spiegasse come è possibile aumentare la produttività e con essa l'intensità del lavoro, senza che ciò determini un aumento del rischio di infortuni sul lavoro.

Ci piacerebbe anche che questi maestri della chiacchera spiegassero nelle fabbriche che aumentando la produttività (e cioè ridurre la quantità di lavoro che serve per garantire la stessa produzione) si riduce la disoccupazione e si contrasta la precarietà del lavoro.

Ci piacerebbe che qualcuno spiegasse come sarà possibile migliorare i rapporti di forza a favore dei lavoratori se le questioni più decisive, come l'aumento del salario reale, sarà un risultato che interesserà solo una parte della classe lavoratrice.

E come sarà possibile tenere uniti i lavoratori se si andranno a definire salari di certi livelli solo in determinate aree geografiche (gabbie salariali)?

Chissà se qualcuno risponderà.