Una nuova disciplina per il
rinnovo dei contratti
Le
segreterie di Cgil, Cisl e Uil hanno varato il documento unitario sulla riforma
della contrattazione, per superare il modello definito nel 1993. La scelta
di fondo consiste nel puntare sulla contrattazione di secondo livello legando
gli aumenti salariali agli obbiettivi di produttività, redditività
ed efficienza. Di Duilio Felletti. Reds - Giugno 2008.
I sindacati sono disponibili a sedersi attorno a un tavolo
per avviare con Confindustria il confronto sulla piattaforma unitaria di riforma
della contrattazione. Difesa del potere d'acquisto Rinnovo dei contratti e durata Riduzione del numero dei contratti Rafforzamento contrattazione di secondo livello Rappresentanza e democrazia sindacale Questo ultimo punto sulla democrazia sindacale è stato
fortemente voluto dalla Cgil, che a febbraio si era rifiutata di sottoscrivere
una piattaforma pressochè identica, in quanto questo aspetto non era
affrontato. All'interno della Cgil permane comunque il dissenso della
sinistra interna, che ha ne ha spiegato le ragioni con argomentazioni ampiamente
condivisibili ma che non sono servite a far cambiare opinione alla maggioranza
del gruppo dirigente. Comunque il documento sul nuovo modello contrattuale ha ricevuto
il via libera dal direttivo della Cgil con 105 voti. Al documento presentato
dall'area 'Lavoro e societa'' sono andati 25 voti, le astensioni sono state
2. Dall'altra parte Bombassei non ha voluto perdere l'occasione
di dire anche lui la sua nel merito di questo "grande passo storico"
fatto dalle organizzazioni sindacali. Una riflessione però andrebbe fatta sul ragionamento
di fondo fatto dai dirigenti sindacali che in apparenza potrebbe sembrare
anche di buon senso. Ma ragioniamo su una cosa alla volta. Il contratto nazionale che tuttela il potere d'acquisto
dei salari. Ecco perchè ha ragione chi sostiene che si stà
andando verso la perdita di senso del contratto nazionale: perchè l'obbiettivo
che si dichiara di voler perseguire non avrebbe le basi concrete per realizzarsi. La formula che usano è però più sottile:
occorre legale gli aumenti salariali alla crescita dei livelli di produttività.
Detto in altre parole: bisogna dare più soldi a chi lavora di più. Ci piacerebbe anche che questi maestri della chiacchera spiegassero
nelle fabbriche che aumentando la produttività (e cioè ridurre
la quantità di lavoro che serve per garantire la stessa produzione)
si riduce la disoccupazione e si contrasta la precarietà del lavoro. Ci piacerebbe che qualcuno spiegasse come sarà possibile
migliorare i rapporti di forza a favore dei lavoratori se le questioni più
decisive, come l'aumento del salario reale, sarà un risultato che interesserà
solo una parte della classe lavoratrice. E come sarà possibile tenere uniti i lavoratori se
si andranno a definire salari di certi livelli solo in determinate aree geografiche
(gabbie salariali)? Chissà se qualcuno risponderà.
Si tratta della modifica dell'attuale assetto contrattuale definito con l'accordo
del 23 luglio 1993.
Cgil Cisl e Uil hanno superato i contrasti decennali su temi come il nuovo
modello contrattuale, la democrazia e la misurazione della rappresentanza
sindacale, trovando una mediazione tra le diverse proposte nella piattaforma
unitaria.
In sintesi questi i contenuti del documento su cui si dovrà sviluppare
il confronto tra i sindacati e le parti padronali.
- Il compito del contratto nazionale è il sostegno del potere d'acquisto
per tutti i lavoratori.
- Va utilizzato il concetto di "inflazione realisticamente prevedibile"
con parametri ufficiali di riferimento. Gli attuali indicatori di inflazione
vanno adeguati utilizzando anche altri indicatori certi che tengano conto
di fattori come ad esempio il peso dei mutui.
- Si deve passare dal biennio economico a contratti di durata triennale, unificando
la parte economica e normativa.
- In caso di mancato rispetto delle scadenze vanno previste delle penalizzazioni
(come fissare comunque la decorrenza dei nuovi minimi salariali dalla scadenza
del vecchio contratto).
- Da rivedere anche la tempistica: le trattative per il rinnovo dei contratti
nazionali dovranno iniziare sei mesi prima delle loro scadenze.
- Il contratto nazionale dovra' poi definire le competenze da affidare al
secondo livello, tenendo conto delle specificita' settoriali, valorizzare
la formazione continua, e favorire l'assunzione delle donne.
- Vanno razionalizzate le aree di copertura dei contratti nazionali (attualmente
oltre 400). Va prevista la possibilità di accorpamenti per aree omogenee
e per settori favorendo la riunificazione di contratti analoghi.
- Il Cnel può essere la sede congiunta dove esaminare la situazione
attuale e avviare linee di indirizzo condivise per la semplificazione.
- Va sostenuta la diffusione qualitativa e quantitativa del secondo livello
di contrattazione. I contratti nazionali dovranno prevedere, in termini di
alternatività, la sede aziendale o territoriale. In quest'ultimo caso,
potranno essere regionali, provinciali, settoriali, di filiera, di comparto,
di distretto, di sito.
- Il secondo livello sarà incentrato sul salario per obbiettivi rispetto
a parametri di produttività, redditività, efficienza, efficacia.
- Per il settore privato la base della certificazione per la rappresentanza
sono i dati associativi rilevati dall'Inps e i consensi elettorali delle Rsu.
Il Cnel è l'istituzione certificatrice.
- Le piattaforme vengono proposte unitariamente dalle segreterie e dibattute
negli organismi direttivi che approvano le piattaforme da sottoporre alla
consultazione di lavoratori e pensionati.
Gli esponenti di "Lavoro Società" e "Rete 28 aprile"
hanno in sostanza detto che il contratto nazionale deve servire ad aumentare
il potere d'acquisto dei salari (e non semplicemente a mantenerlo), in considerazione
del fatto che dal 1993 a oggi i lavoratori se lo sono visto erodere progressivamente
a vantaggio di rendite e profitti. Mentre per la contrattazione di secondo
livello la critica è rivolta al legame che si vorrebbe tra aumenti
salariali e incrementi dei livelli di produttività. Molto duro il giudizio
sulle ipotesi che si stanno facendo strada sulla detassazione degli straordinari
e degli aumenti salariali aziendali: "vuol dire spingere i lavoratori
a peggiorare le loro condizioni di vita e di lavoro approfittando dei loro
bassi salari. Sappiamo benissimo inoltre che tanti infortuni avvengono per
carichi di lavoro e per stanchezza".
Vi è inoltre il rischio molto serio che, mettendo in primo piano la
contrattualizzazione di secondo livello, legata al territorio e alle aziende,
si vada a deprimere il contratto nazionale. Potrebbe, ad esempio, accadere
che la provincia di Milano, avendo piu' aziende e possibilita' di contratti
territoriali, avra' stipendi piu' alti di quelli di Palermo. Potrebbe nei
fatti saltare il principio secondo cui a parità di lavoro corrisponda
parità di salario su tutto il territorio nazionale.
Anche sulla democrazia sindacale si pone con forza la questione della libera
circolazione a tutti i livelli delle diverse opinioni che via via maturano
nel corso del dibattito sindacale, proprio per consentire ai lavoratori di
esprimere opinioni più consapevoli e meglio in grado di conferire o
non conferire mandati alle trattative o alle stipule.
Giorgio Cremaschi, leader di 'Rete 28 Aprile', ha ritirato il suo documento
per convergere su quello di 'Lavoro e societa''.
Sul documento approvato dalla maggioranza della Cgil si legge che: ''Dopo
anni di confronto e discussione si tratta di un risultato importante frutto
di una mediazione unitaria alta, che si pone l'obiettivo della riconferma
di un modello contrattuale unico per tutti i lavoratori, fondato sulla centralita'
del primo livello di contrattazione e sulle estensione e qualificazione del
secondo livello'', si sostiene inoltre che l'aver ''definito con
la Cisl e la Uil regole innovative in materia di rappresentanza e democrazia
segna un punto di non ritorno per una concezione di un sindacato ancora piu'
democratico e rappresenta una svolta di eccezionale significato''.
Dice il nostro: "Sono contento che sia stato stilato un documento
comune da parte dei sindacati. E' un passo importante dopo 4 anni di attesa".
Ma non manca di puntualizzare alcune "criticità" del documento
sindacale: la prima cosa e' il discorso delle sanzioni alle aziende laddove
ci siano ritardi nel rinnovo dei contratti "questo potrebbe essere
accettato se, naturalmente poi si prevedono sanzioni anche dall'altra parte,
quando non si rinnovano i contratti per ragioni che non dipendono dalle imprese".
La seconda cosa secondo il vicepresidente di Confindustria riguarda 'l'inflazione
ragionevolmente prevedibile'. Aggiunge:" mi sembra una definizione
talmente complicata che rischia di essere mal interpretata. Avevamo gia' avuto
modi di esprimere le nostre opinioni al sindacato. Mi piacerebbe che vi fossero
definizioni che non debbano essere interpretate. Una definizione chiara che
chiunque possa capire esattamente, per evitare contenziosi e perdere tempo".
Visto quindi il documento sindacale, i padroni colgono al volo l'occasione
per spostare la situazione ancora di più a loro favore, mettendo in
discussione quegli elementi che in qualche modo potrebbe impedire loro piena
libertà di movimento: niente sanzioni, niente indici di riferimento,
niente di niente....
Ma anche questa è una storia che i lavoratori conoscono bene: ogni
volta che i sindacati mostrano "senso di responsabilità"
mollando qualcosa e aprendo degli spazi, ecco che questi vengono immediatamente
occupati dai padroni, che li usano come base per spingere ancora più
indietro il movimento sindacale.
In sostanza loro dicono: facciamo in modo che il contratto nazionale protegga
il potere d'acquisto dei salari, in modo tale da garantire a tutti i lavoratori
una sussistenza dignitosa ( sulla base di questo ragionamento si dice che
quindi non sono necessari tanti contratti nazionali), dopo di che ulteriori
aumenti salariali possono essere ottenuti localmente sulla base degli andamenti
aziendali (definire quindi un accordo che impegni le aziende a intraprendere
obbligatoriamente il percorso della contrattazione decentrata). E' chiaro
che se tutto ciò venisse attuato il risultato finale sarebbe un aumento
dei salari reali.
Se veramente si volesse fare questa cosa, basterebbe definire un meccanismo
di adeguamento automatico dei salari al crescere dell'inflazione, una sorta
di scala mobile, con aumenti che dovrebbero scattare con scadenze il più
possibile ravvicinate (tre mesi). E andrebbe definito un paniere di generi
di largo consumo delle famiglie dei lavoratori i cui prezzi dovrebbero essere
tenuti monitorati e su cui calcolare gli aumenti salariali necessari.
Ma prima ancora andrebbe definito quale dovrebbe essere il livello minimo
salariale di riferimento (base 100) da cui partire per mettere in moto tutto
il meccanismo di indicizzazione, innalzando ovviamente i livelli salariali
dei lavoratori e pensionati che grazie ai precedenti accordi concertativi
si sono visti erodere il potere d'acquisto. Occorre, quindi, innazi tutto,
una grossa operazione redistributiva a danno di chi si è arricchito
negli ultimi 20 anni sulle spalle dei lavoratori. Occorrerebbe infine una
legge che regoli tutta la materia e che preveda sanzioni per chi non la rispettasse.
Ma per attuare questo semplice meccanismo che bisogno c'è della contrattazione?
Se i parametri di adeguamento dei salari sono definiti in modo inoppugnabile
(magari da un ente apposito) che bisogno c'è di incontri tra le parti
e altre liturgie sindacali? E perchè questo dovrebbe essere inserito
nella trattativa per il rinnovo del contratto nazionale (così come
propongono i dirigenti sindacali), visto che si tratterebbe di materia che
dovrebbe riguardare l'insieme di tutti i lavoratori, al di là della
categoria di appartenenza?
Per la ragione molto semplice (e cinica) che i burocrati sindacali non intendono
realmente difendere i salari dei lavoratori. Dicono di volerlo fare, ma poi,
affidando all'esito di una trattativa l'adeguamento dei salari, accadrà
inevitabilemente che questo derivi esclusivamente dai rapporti di forza che
le singole categorie riusciranno a mettere in campo, con la conseguenza che
le categorie più deboli non avranno salari adeguati al costo della
vita.
I salari medi tenderanno verso una decrescita progressiva.
Il contratto di secondo livello: più produttività, più
salario.
Anni a dietro, (anni 80) i padroni erano ferocemente contrari alla contrattazione
di secondo livello.
Sostenevano che era sbagliato e "ingiusto" dover riconoscere aumenti
ai lavoratori oltre quelli stabiliti dai contratti nazionali.
I sindacati invece sostenevano, giustamente, che le situazioni locali dovevano
determinare ulteriori miglioramenti, sia economici che normativi.
Così facendo, i sindacati potevano sperimentare in ambiti ristretti
soluzioni e risposte ai bisogni dei lavoratori da estendere successivamente
sulterritorio nazionale.
Pertanto i contratti nazionali, spesso, si realizzavano su piattaforme determinate
da fatti già sperimentati in ambiti più ristretti, quelli di
talune aziende. Tant'è che spesso accadeva che una Associazione degli
Industriali locale cercava di impedire la stipula di certi accordi aziendali,
nel timore che i contenuti di questi potessero essere estesi a livello nazionale.
Ecco perchè, per anni, i padroni hanno cercato di depotenziare la contrattazione
di secondo livello.
Oggi invece pare stiano facendo, in accordo con le principale organizzazioni
sindacali, la scelta opposta: no al contratto nazionale, sì a quello
aziendale. Ma, a ben vedere, il risultato non cambia, perchè togliendo
di mezzo il contratto nazionale, i padroni raggiungono comunque l'intento
di slegare il locale dal nazionale.
Ma, aumento della produttività significa aumento dello sfruttamento,
per cui dare più soldi in presenza di un aumento della produttività,
significa dare per scontato che un aumento del salario reale debba necessariamente
passare da un aumento dei livelli di sfruttamento. Ma, chissà perchè,
quando si sostiene questo semplice ragionamento si è tacciati di fare
ideologia..., e che i tempi sono cambiati..., e altre amenità di questo
genere, senza entrare nel merito.
Ci piacerebbe però che qualcuno spiegasse come è possibile aumentare
la produttività e con essa l'intensità del lavoro, senza che
ciò determini un aumento del rischio di infortuni sul lavoro.