Stralci dell'intervento
conclusivo di Walter Veltroni
1°
CONGRESSO DEI DEMOCRATICI DI SINISTRA
Torino-Lingotto,
13-16 Gennaio 2000
Io credo che ora sia un po' più chiaro perché un anno fa, di questi tempi, noi siamo andati molto lontano dall'Italia, in Birmania, per trovare una donna, di cui tra poco vedrete il messaggio al nostro Congresso, che combatte una battaglia molto dura contro la dittatura, e che da anni cerca di far riunire il Parlamento nel quale il suo partito, un partito democratico, è maggioranza. Spero che adesso risulti più chiara la ragione per la quale qualche mese fa, a Roma, abbiamo ospitato un'autorità religiosa, punto di riferimento di un popolo che conosce l'orrore della negazione della propria autonomia e della propria indipendenza. Spero che adesso sia più chiaro perché il segretario di questo partito, nel suo primo discorso parlamentare, non ha scelto i riflettori, le telecamere di uno dei tanti dibattiti politici, ma ha scelto di parlare una mattina sul tema, apparentemente secondario, della ratifica di un trattato sulle mine antiuomo.
E spero anche che si capisca perché, scuotendo un partito che aveva perso un po' l'abitudine e che da dieci anni non ne faceva più una, abbiamo organizzato una grande manifestazione di popolo, soprattutto una manifestazione di ragazze e di ragazzi, quelli della Sinistra Giovanile, che riempirono Piazza del Popolo il 24 aprile. E ancora, credo sia chiaro adesso perché abbiamo preso una posizione così forte a sostegno della vertenza dei lavoratori metalmeccanici, o perché abbiamo rischiato, nel mese di agosto, avanzando la proposta in sintonia con la Cgil, nel rispetto della reciproca autonomia e che ha costituito una base di riferimento importante di una innovazione applicata al nostro sistema pensionistico. O ancora, perché in questi mesi di tensione politica, noi abbiamo cercato di tenere sempre la barra ferma. Lo abbiamo fatto sfidando gli stereotipi che presuppongono che quando c'è l'elezione del Presidente della Repubblica ciascuno debba tenere il proprio candidato nella tasca fino a qualche ora prima. Di fronte all'opinione pubblica noi abbiamo detto, invece, ciò che poi è accaduto: che cioè ci saremo impegnati per l'elezione di Carlo Azeglio Ciampi.
Spero che ora risulti chiara la ragione per la quale abbiamo preso in Parlamento posizioni anche difficili: penso alla posizione sulla procreazione o al modo in cui abbiamo sostenuto le ragioni - ben lontane da un'idea giustizialista - dell'autonomia e dell'indipendenza dei magistrati. E spero ancora, infine, che ora si capisca che non erano un pellegrinaggio, come qualcuno disse allora, la visita a Norberto Bobbio o il convegno che organizzammo su Carlo Rosselli, o ancora quella serata di giugno in cui a Padova ricordammo una persona che io ho nel cuore, al quale ho pensato molte volte in questi giorni, in questi mesi, e che porteremo con noi nel nuovo secolo, nel nuovo millennio che comincia: Enrico Berlinguer. Spero che ora sia chiaro perché abbiamo scelto questa frase, "I care". Se avessimo scritto una delle tante parole che fanno parte del gergo della politica, probabilmente non avremmo raggiunto l'obiettivo che ci proponevamo: raccontare qualcosa su cui abbiamo lavorato in questi quattordici mesi. Ora siamo qui, alla conclusione di questo congresso, al compimento di questo lavoro e credo possiamo dirci tutti, ce lo hanno detto osservatori esterni assolutamente imparziali, possiamo dircelo per una volta senza aver paura dell'orgoglio del nostro lavoro: è stato un bel congresso. Un congresso appassionato, un congresso vivo. Mi ha raggiunto, mentre ero alla presidenza, uno dei tanti biglietti che compagni e compagne mi hanno mandato. Un biglietto che mi ha particolarmente colpito, di una compagna che mi ha detto: "Grazie, con questo congresso ci siamo ritrovati".
Essersi ritrovati, in una identità nuova. Questo è, credo, ciò che di straordinario è accaduto qui in questi giorni. Lo ha detto ora Mino Martinazzoli, lo ha scritto questa mattina Eugenio Scalfari: è una lunga transizione che si conclude. Che si conclude non con qualcosa che finisce, ma con qualcosa che comincia, che inizia con basi solide, con una cultura politica chiara, riconoscibile ed evidente.
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Ora siamo qui, abbiamo fatto un tratto di strada importante e questo congresso ce lo dice con chiarezza. D'ora in poi, fatemelo dire con una certa brutalità, chiunque continuasse ad usare l'argomento del postcomunismo usato in questi mesi credo apparirebbe più che altro grottesco.
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Mentre scrivevo la relazione, leggevo ciò che molti osservatori scrivevano e capivo che al di là dei punti di vista più o meno ostili, c'era nei confronti della principale forza della sinistra italiana una domanda di chiarezza di identità. C'era come la necessità di mettere a fuoco un'immagine che non appariva sufficientemente limpida. Mi fa piacere che venga riconosciuto che oggi questa operazione è avvenuta.
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Io fra venti giorni andrò in Africa: farà parte di una campagna che noi intendiamo promuovere credo sia stato chiaro in questi giorni contro la fame nel mondo e contro la povertà. Deve essere una campagna che attraversa tutta la sinistra italiana e, mi auguro, non solo la sinistra italiana; e non è solo una campagna solidaristica (poi tornerò un attimo su questo tema): è una campagna politica. Proporre l'abbattimento del debito dei paesi più poveri del mondo significa porsi un grande obiettivo di redistribuzione della ricchezza.
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L'ho detto nella relazione, lo voglio ripetere: ci vogliamo o no rendere conto che ci sono 7 milioni di persone che pensano che fare volontariato, che fare attività solidale riempia la loro vita ancor più di quanto non possa fare l'impegno politico? Vogliamo renderci conto che c'è una grande domanda di senso - e persino di senso dell'esistenza con la quale abbiamo il dovere di dialogare? C'è un'idea che mi sta a cuore da sempre. Sono convinto che quanto più ci saremo liberati dalle ideologie come abbiamo saputo fare in questi anni attraverso un travaglio e un percorso che è stato di dolore e anche dal punto di vista politico non è stato facile, né privo delle rotture che si sono di volta in volta rese necessarie tanto più avremo la possibilità di esprimere con ancora maggiore forza la nostra identità. Perché le maglie dell'ideologia imbrigliano la possibilità di esprimere tutta intera la nettezza di una posizione. Voglio fare un esempio concreto: io ho preso una posizione favorevole all'abolizione dell'embargo. Anche questa non è solo una posizione solidaristica: non mi fanno solo tristezza e orrore le condizioni nelle quali vivono le popolazioni dei paesi sottoposti all'embargo.
E' una questione politica. Ma una questione politica così, se la pone un partito che ha dei condizionamenti ideologici, che non ha fatto fino in fondo la scelta che noi abbiamo fatto, assume un carattere ambiguo. Per questo dico che meno ideologia c'è, più radicalità ci può essere.
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A cominciare dalla questione dei referendum. Io non sono tra coloro i quali dicono che i referendum sono l'occasione per rifare la nostra identità. Non credo sia giusto rifare la propria identità in opposizione. Credo sia giusto dire che la scelta di fare, come noi faremo senza alcuna esitazione, una decisa e combattiva campagna per il NO ai referendum che sono stati proposti dal partito radicale, corrisponde alla nostra identità. Dobbiamo farla con determinazione quella campagna elettorale e con intelligenza politica. Mi pare che siamo assolutamente d'accordo: ne ha parlato Segio Cofferati e c'è un documento approvato ieri dal congresso. La determinazione con la quale si respinge il tentativo di smantellare lo Stato sociale, di dare un colpo al sistema sanitario pubblico, e al tempo stesso la voglia di innovare, la necessità di continuare lungo una linea di cambiamento sociale, possono edevono andare insieme.
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Per fare questo io penso che noi ci dobbiamo porre anche in Italia l'obiettivo di un dialogo sempre più stretto con le diverse forze che fanno parte della sinistra. Riconoscendo la loro pluralità, non avendo propositi annessionistici. Riconoscendo il fatto che esse oggi sono diverse e che probabilmente lo saranno anche per un altro tratto di strada. E quando dico forze della sinistra penso ad un ampio schieramento non mi riferisco in questo caso a Rifondazione Comunista per la posizione evidentemente distinta che ha rispetto all'idea di una sinistra riformista penso alle diverse culture di un riformismo che possa dirsi di sinistra, penso alle forze che possono e debbono trovare i linguaggi comuni. Una volta mi capitò di fare riferimento al congresso di Epinay del Partito socialista francese, nel quale queste diverse culture trovarono una forma di relazione. Ci vorrà tempo. Abbiamo una strada e un processo politico da compiere. Ma se questo potesse avvenire davvero in questa Internazionale socialista che si apre al dialogo e alla contaminazione con gli altri riformismi, penso che un processo analogo in Italia sarebbe di particolare importanza.