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Stralci del documento di maggioranza
1° CONGRESSO DEI DEMOCRATICI DI SINISTRA


Torino-Lingotto, 13-16 Gennaio 2000

 


(...)

1.2. La sinistra che oggi, con Massimo D'Alema, guida il governo del Paese e che partecipa al grande sforzo comune del socialismo europeo, è nata nel 1989.

Prima non c'erano solo macerie ed errori. C'era una storia. C'erano le grandi tradizioni della Resistenza, dell'antifascismo e delle battaglie democratiche , nelle esperienze del PCI, del PSI, della sinistra cristiana, dei laici, degli azionisti e dei repubblicani, della nuova sinistra, nel movimento sindacale e in quello delle donne, nelle culture ambientaliste e pacifiste , che hanno costituito un patrimonio civile e umano enorme, di cui ci sentiamo eredi.

Ma nell'89, con il crollo del muro, si é dischiusa l'opportunità di un "nuovo inizio", anche per la politica e per la sinistra italiana, finalmente liberate dalla ipoteca della divisione del mondo in blocchi contrapposti. Senza quella svolta, dieci anni dopo, la sinistra italiana non avrebbe potuto guidare il Paese. (...)

La scelta, fin dal '92, del risanamento finanziario per lo sviluppo e per l'Europa, facendo dei parametri di Maastricht il proprio grande obiettivo, in un quadro di concertazione con le forze sociali, a cominciare dal sindacato, e di politiche a lungo rinviate (privatizzazioni, riordino previdenziale, equità fiscale).

La scelta della legalità e dell'affermazione dell'indipendenza della magistratura, dopo gli anni terribili di Tangentopoli, del dominio incontrollato della mafia, della verticale caduta di senso civico e della crisi di credibilità delle vecchie classi dirigenti.

La scelta della riforma del sistema politico, attraverso la partecipazione alle battaglie referendarie e la definizione di un progetto fortemente innovatore, con la netta opzione per il maggioritario, l'elezione diretta degli esecutivi, il federalismo. E' così cresciuta una nuova "sinistra delle città", che ha saputo contribuire all'affermazione di una nuova classe dirigente anche espressione diretta della società civile.

La scelta infine, dopo la sconfitta del '94, del centrosinistra come nuovo orizzonte strategico, come fattore di evoluzione in senso bipolare del sistema e di stabile alleanza tra le culture politiche riformatrici.

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L'interruzione del processo riformatore e successivamente il mancato raggiungimento del quorum nel referendum sulla legge elettorale hanno accelerato sfiducia, passività, distacco. Anzi: sempre di pi la politica appare condizionata o condizionabile da chi ha il denaro, sottoponendo valori, programmi, rappresentanza di interessi a logiche di mercato e a un dominio economico. Se il male degli anni Ottanta é stata una partitocrazia asfissiante, quello di questa stagione - e non solo in Italia - a fronte di una politica fin troppo fragile e arida, é il pericolo di una colonizzazione del sistema politico-istituzionale, da parte di concentrazioni di potere economico e mediatico, che rischia di negare il diritto alla partecipazione e alla decisione per milioni di uomini e di donne.

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La fine del vecchio internazionalismo é stata tutt'uno con la fine di un mondo che nessuno rimpiange, tanto meno la sinistra democratica. Un mondo diviso in blocchi contrapposti: Ovest contro Est, capitalismo contro comunismo. Il mondo della corsa agli armamenti, dell'equilibrio del terrore, della minaccia dell'olocausto nucleare, del Vietnam e dell'Afghanistan.

Il mondo uscito da un incubo divenuto realtà, dall'inferno in terra, da una voragine spaventosa nella quale erano sprofondati milioni di esseri umani. Il mondo del Novecento, il secolo del sangue. Il secolo in cui degli uomini hanno potuto immaginare e realizzare il genocidio degli Ebrei. Il secolo di Auschwitz, delle vittime delle persecuzioni del nazismo. E il secolo della tragedia del comunismo, di Ian Palach, dei gulag, degli orrori dello stalinismo.

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Il Novecento sta finendo e noi lo consegniamo volentieri alla storia.

E tuttavia, alla fine del vecchio ordine, non può sostituirsi il "disordine stabilito" di una globalizzazione lasciata alla sola guida di un mercato sregolato.

Il mondo é troppo grande e troppo "unico", ormai, per poter essere guidato da un potere politico che abbia ambizioni non solo di dominio, ma perfino di razionalizzazione. La complessità tende a sfuggire a qualunque riduzione ad uno. Ma nell'inevitabile dialettica con gli altri poteri e gli altri universi simbolici, la politica deve esserci, deve sostenere il proprio autonomo punto di vista, rifiutando di ridursi a servomeccanismo di altri sistemi di potere e di relazione.

Del resto, allo stato attuale, la politica resta pressoché l'unico ambito della società umana almeno parzialmente e imperfettamente democratizzato. Le sorti della politica quindi, si identificano ancora, in una certa misura, con le sorti della democrazia. Una politica deperita, marginalizzata, asservita, significa una caduta di democrazia nel mondo.

Naturalmente, la politica non può semplicemente rivendicare un ruolo. Deve sforzarsi di affermarlo nella inevitabile competizione con gli altri poteri. Sta qui la prima, grande sfida della sinistra: una sfida "umanistica", se per umanesimo intendiamo lo sforzo, mai compiuto e mai definitivo, sempre precario e parziale, di ricondurre la convivenza tra gli uomini sotto il controllo consapevole dell'intelligenza e della coscienza umana. È stato detto: "la lotta di classe non c'é più, ma la lotta per l'uguaglianza comincia adesso".

Un nuovo internazionalismo può e deve fondarsi sulla consapevolezza del carattere epocale di questa sfida. Una sfida che non é un'idea astratta, ma una costellazione di questioni attorno alle quali si gioca la qualità umana del futuro del pianeta: la costruzione della pace, attraverso la definizione di un nuovo ordine internazionale e la predisposizione di una strumentazione multilaterale di gestione e raffreddamento dei conflitti, meno primitiva di quella della quale disponiamo attualmente; la diffusione su scala planetaria della cultura e della civiltà dei diritti umani e della democrazia, come valori in sé, ma anche come antidoti strutturali alla violenza, all'intolleranza, all'odio razzista e nazionalista; la libertà femminile, presupposto imprescindibile per una qualità civile della convivenza umana; la lotta alla povertà, alla fame, al sottosviluppo, allo sfruttamento, alla macroscopica e strutturale disuguaglianza nell'accesso alle risorse economiche mondiali, attraverso misure realistiche e concrete, come l'abbattimento del debito estero dei paesi pi poveri; la diffusione di una cultura del limite nello sfruttamento delle risorse naturali e nella manipolazione tecnologica della natura e della vita.

Se questa é l'agenda storica di una sinistra del Duemila, anche la strumentazione politica deve aggiornarsi. Dinanzi alla grande questione della "umanizzazione" dello sviluppo, perdono di significato molte delle tradizionali distinzioni politico-ideologiche. (...)

La casa del socialismo deve aprirsi ancora, fino a comprendere le forze della sinistra riformista, le nuove culture, di ispirazione laica e religiosa, che hanno scelto il grande campo della sinistra. (...)

E' in questo contesto pi ampio che va inquadrata anche la grande questione dell'identità europea e del ruolo dell'Europa nel mondo. L'Europa non uscirà dalle sue persistenti difficoltà interne, se non saprà scoprire una propria "missione" più grande delle dispute tra i diversi - e inevitabilmente divergenti - interessi nazionali. (...)

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Per la destra la crescita economica e l'occupazione si pongono in termini contrapposti, rispetto alla solidità e all'estensione del welfare. Ma l'Europa non può rassegnarsi a questa alternativa. Il modello europeo si basa proprio sulla tesi che la crescita economica ed occupazionale sia compatibile ed anzi positivamente influenzata da elevati livelli di coesione sociale, garantiti da altrettanto elevati standard di tutela dei bisogni e dei diritti.

Dare nuova prospettiva al modello europeo significa, dopo il raggiungimento del traguardo storico della moneta unica, assumere come centrali per il futuro dell'Europa gli obiettivi dello sviluppo e dell'occupazione.

(...) Crescita, competitività, occupazione, coesione sociale: queste le nuove sfide dell'Italia nel 2000, dell'Italia nel dopo-Euro. A differenza di quanto accaduto fra il 1996 e il 1998, durante il processo di convergenza all'Euro, si tratta di sfide su cui il paese non sarà soggetto alla stringente disciplina dei parametri di Maastricht e al vigile monitoraggio delle istituzioni internazionali. Se l'Italia non saprà sfruttare le opportunità aperte dalla nuova fase, se i mercati non si svilupperanno, se la pubblica amministrazione non si riformerà, se i servizi collettivi non aumenteranno la loro efficienza, se l'innovazione segnerà il passo, nessuno ci rimprovererà. Al contrario, diventeremo un interessante mercato di sbocco per i prodotti e i servizi dei nostri partners comunitari e correremo il rischio di un lento scivolamento verso condizioni di sottoutilizzo delle nostre risorse produttive. Il vero rischio non é quello di uscire dall'Europa, bensì di una progressiva marginalizzazione del nostro sistema.

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Mai come in questa fase, quindi, la sinistra deve sentirsi parte - con altri attori sociali, a cominciare dal sindacato - del processo di crescita delle forze produttive e della promozione di uno sviluppo sostenibile. Essere a sinistra vuol dire non demonizzare la globalizzazione, la competizione e la flessibilizzazione di tutto il sistema, ma saper affermare, sulla base di regole, di diritti e di doveri, valori e principi universali, pari opportunità, certezze per i più deboli, valorizzazione dei pi capaci, formazione continua, welfare di accompagnamento a fronte dei rischi sociali.

La sinistra deve riuscire ad ampliare la sua rappresentanza sociale, rafforzando il radicamento nel mondo del lavoro dipendente e sviluppando la sua presenza nel vasto mondo dei lavori diffusi e delle professionalità emergenti. La diversificazione in atto delle figure lavorative e i cambiamenti qualitativi del lavoro pongono sfide che non possiamo eludere. Il mondo del lavoro, dei lavori e dei saperi é la base essenziale di una sinistra moderna.

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È in questa prospettiva che va inquadrato il problema previdenza. Le riforme di questi anni, grazie al contributo decisivo del sindacato e della sinistra, hanno sostanzialmente riallineato la spesa previdenziale. Resta il problema della cosiddetta "gobba", la prevista impennata della spesa dopo il 2005. E resta soprattutto l'emergenza rappresentata dai lavori parasubordinati, flessibili, giovani: milioni di posizioni lavorative non adeguatamente tutelate. È quindi necessario ed urgente da un lato riportare il sistema previdenziale italiano all'equità, eliminando distorsioni, disparità di trattamento, privilegi; dall'altro riequilibrarlo e ampliarlo, per renderlo efficace con le fasce meno o per nulla tutelate: generalizzando il ricorso al sistema contributivo pro rata, smobilizzando i flussi maturandi di tfr verso forme pi remunerative di risparmio per la previdenza integrativa, estendendo la copertura previdenziale dei parasubordinati.

Ma welfare, oggi, é soprattutto istruzione, sanità, servizi, casa. Un sistema di cittadinanza comune. Esso va esteso rapidamente - come ha cominciato a fare la nuova legge sull'immigrazione - alle centinaia di migliaia di lavoratori immigrati. Intendiamo elevare significativamente la spesa sociale nei prossimi anni per i grandi obiettivi universali (istruzione, sanità, servizi), con una particolare attenzione alle fasce pi deboli della popolazione, quelle che si trovano o sono esposte al rischio della povertà.

Intendiamo riconoscere nella riforma della società italiana un ruolo strategico al settore no-profit, al volontariato, all'impresa sociale e a tutte le forme di autonomia e di sussidiarietà che, fuori dalle pesantezze del vecchio assistenzialismo, garantiscono prestazioni e diritti sociali per tutti. Così come intendiamo riconoscere un ruolo centrale alla famiglia, come presidio insostituibile della coesione sociale: la famiglia, nella pluralità di forme che essa ha assunto nella società di oggi, non é solo il luogo primario della formazione e della evoluzione - dialogica e conflittuale - dei valori morali e civili; é anche lo strumento primo di gestione dei bisogni delle persone. (...)

Sinistra riformista, ambientalismo, centro democratico sono culture ed esperienze che hanno bisogno l'una delle altre. Guai a pensare a nuovi fronti progressisti, o a contrapporre l'identità dei moderati a quella della sinistra.

È l'Ulivo il futuro dell'Italia:

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Ciò vale anche per i rapporti con Rifondazione comunista. La cesura dell'ottobre del '98 é stata netta e la ferita non é rimarginata. Ci auguriamo che maturino in quel partito orientamenti e programmi nuovi. Siamo interessati, in questo quadro, a nuovi rapporti di dialogo a sinistra, più distesi, che favoriscano forme di collaborazione (nei territori, nei movimenti, nella società). Ma oggi non é all'ordine del giorno un'alleanza elettorale: essa può scaturire solo da una chiara e solida intesa politica e programmatica col centrosinistra.

(...) Un grande Ulivo in cui viva una grande sinistra é una sorta di doppia appartenenza. L'Ulivo é la dimensione del governo, della rappresentanza, del riformismo; la sinistra quella dell'Europa, del mondo, dei diritti sociali e umani, dei valori. Questa doppia appartenenza é una duplice dimensione della medesima identità. La "svolta" dell'89 mise in relazione, in modo fecondo, il rinnovamento della sinistra e il disegno di una grande alleanza delle diverse culture del riformismo italiano. In questo decennio si é sbagliato quando si é messo l'accento solo sul primo aspetto - il nostro cambiamento come condizione sufficiente per sbloccare il sistema italiano, con una presunzione di autosufficienza che rientrava dalla finestra - o solo sul secondo : una politica di alleanze intesa in senso classico. L'Ulivo, senza la sinistra, perde. La sinistra, senza l'Ulivo, perde. L'Ulivo con la sinistra vince.

(...) Per questo il nuovo statuto dei Ds deve affermare con chiarezza precisi principi democratici e partecipativi:

 

 

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