Stralci del documento
di minoranza
1°
CONGRESSO DEI DEMOCRATICI DI SINISTRA
Torino-Lingotto,
13-16 Gennaio 2000
Per un partito di Sinistra, per una coalizione riformatrice, per rinnovare i valori del socialismo europeo La posta in gioco del Congresso di Torino è la ricostruzione e il rilancio di un autonomo partito della sinistra italiana. Una sinistra che governa ha bisogno di un'anima e di un corpo. Ha bisogno, per vincere, di idee forti sulla qualità del lavoro, dello sviluppo, dell'ambiente, della democrazia. La sinistra non può dissolversi in un indistinto riformismo, ma deve coltivare una propria idea di futuro ed una propria visione del mondo.
(...)
Noi ci proponiamo di riaccendere una speranza. Quella speranza di cambiamento che il successo della sinistra in Europa aveva suscitato in tanti rischia oggi di trasformarsi in disaffezione, passività, astensionismo elettorale. In Italia la sinistra, tutta insieme, non supera il 25% dei consensi e i DS sono al 17%. Le ultime elezioni europee, quelle amministrative con la sconfitta di Bologna, e da ultimo le elezioni nei länder tedeschi e in Austria, sono un segnale allarmante per tutti.
(...)
Auspichiamo un Congresso di verità che ponga le basi per la costruzione di un partito più solidale e non falsamente unanimistico. Senza chiarezza non c'è unità. Per noi la vera posta in gioco del Congresso di Torino è la ricostruzione e il rilancio di un autonomo partito della sinistra italiana. Altri pensano che dal Congresso debba prendere avvio un processo che porti alla costituzione di una sorta di "superpartito di coalizione" al quale trasferire quote decisive della nostra sovranità. Riteniamo questa una risposta sbagliata, che rischia di portare ad un sostanziale superamento di un autonomo partito della sinistra a vantaggio di un confuso contenitore politico delle diverse tradizioni del riformismo italiano.
(...)
Siamo convinti sostenitori della necessità di rilanciare l'Ulivo come alleanza politica plurale, della necessità di una maggiore coesione della coalizione di centro-sinistra, di una più netta contrapposizione alla destra, dell'urgenza di riaprire un confronto con Rifondazione comunista e con tutte le energie politiche e sociali della sinistra: tutte condizioni necessarie per affrontare credibilmente le elezioni politiche del 2001 e per ottenere una buona affermazione alle prossime regionali. Siamo, altresì, convinti che il rafforzamento della coalizione non possa risolversi nella dissoluzione delle diverse identità politiche e che la coalizione sarà tanto più forte e unita quanto più forti ed autonomi saranno i soggetti che la compongono.
(...)
Il problema della sinistra è un altro. E' in atto in Europa e in Italia una riorganizzazione delle forze conservatrici. Pensiamo di poterla contrastare con un'ulteriore appannamento della nostra identità? Noi lanciamo una sfida: far vivere, ripensare e sviluppare i valori del socialismo europeo. Si dice che la sinistra dovrebbe prendere atto che è finito il conflitto sociale e che oggi sarebbe cominciata l'epoca della lotta per l'eguaglianza. Non è così. Nel mondo globalizzato i conflitti sono tutt'altro che scomparsi e a quelli tradizionali se ne aggiungono altri ancora più acuti (conflitti tra civiltà, tra ragioni dell'ambiente e ragioni della produzione, conflitti di genere). Altro è, come noi affermiamo che nell'epoca del capitalismo e del lavoro post-fordista, mobile e molecolare, le modalità del conflitto si ridefiniscono e il valore dell'eguaglianza sociale - da due secoli bandiera della sinistra - si presenta nelle vesti di una lotta contro la precarizzazione, contro l'insicurezza, contro nuove e inedite povertà.
(...)
Tuttavia sbaglia profondamente chi pensa che per la sinistra l'alternativa è oggi tra perdere o adeguarsi passivamente agli imperativi della mondializzazione e dei mercati globali. La modernizzazione non può essere flessibilità senza regole, smantellamento progressivo delle garanzie sociali, come si pensa in vasti settori della Confindustria e delle destre (ma talvolta anche nelle nostre fila). Il carattere delle trasformazioni sociali impone una nuova stagione di diritti per chi lavora. Certo il lavoro è cambiato, nei modi e nei tempi. Spesso la libertà individuale si esprime per molti - donne e giovani in particolare - anche nella scelta di forme nuove e qualificate di lavoro nei servizi all'ambiente, al territorio, alla città e alla persona (che sono quelli, peraltro, che più hanno segnato in questi anni una crescita.). E' un cambiamento che va compreso e governato. Ai nuovi lavori vanno garantiti diritti, tutele e regole. La modernizzazione è, per noi, innanzitutto, umanesimo e civilizzazione. Per questo non ci convince il silenzio e la reticenza sulle conquiste sociali della sinistra del '900. Da questa parte del secolo non ci si può congedare con leggerezza. La sinistra ha il dovere di fare vivere e rinnovare i grandi valori di emancipazione che l'hanno attraversato. Questo è il grande compito che abbiamo di fronte, questa è l'"altra via" che ci appassiona.
(...)
Per noi, ad esempio, la guerra in Kosovo ha evidenziato bruscamente non solo la grande forza di condizionamento della potenza tecnologica e militare USA, ma anche la crisi in cui versa la strategia di Maastricht: l'idea, cioè, di una politica estera europea quale naturale e spontaneo esito dell'unificazione monetaria. Tutto questo apre una domanda seria e drammatica, ignorata, nel corso della guerra, da gran parte della sinistra italiana ed europea: il neoatlantismo riproposto con tanta forza da Washington è compatibile con la costituzione dell'Europa in soggetto autonomo di politica internazionale?
(...)
L'ingerenza umanitaria è un tema serio e reale, posto da tempo dalle organizzazioni non governative e pacifiste. Essa deve fondarsi su una politica di prevenzione dei conflitti, di sviluppo dell'integrazione economica e democratica, di coinvolgimento attivo della comunità internazionale. Il problema è chi decide e in base a quali regole; ma anche qual è la coerenza tra strumenti e finalità, in una parola l'efficacia ai fini della pace e del rispetto delle vite umane. L'intervento militare della NATO nella Repubblica Jugoslava, che non abbiamo condiviso, contraddiceva proprio questa idea di ingerenza umanitaria. Esso è avvenuto al di fuori della Carta dell'ONU e per questo noi abbiamo valutato la guerra come una sconfitta della sinistra e un segno della sua debolezza. L'intervento militare ha rappresentato una rottura del diritto internazionale e il tentativo di istituire un nuovo ordine che sostituisce il diritto con la forza. Quanto sta avvenendo in Kosovo dopo la fine della guerra conferma tutte le nostre preoccupazioni. Oggi non si può eludere un dibattito tra due posizioni:
chi pensa che la legalità vada sancita 'a posteriori' e che la NATO possa sostituirsi alle Nazioni Unite;
e chi pensa - come noi - che è necessaria una riforma e una nuova centralità dell'ONU, quale unico
garante legittimo e universale dei diritti umani e della pace.(...)
In realtà è ormai una questione di sopravvivenza. Non basta 'aprire' le nostre sedi. E' necessario farne dei luoghi reali di confronto delle idee e di decisione, o saranno altre le sedi che occuperanno questo spazio.
(...)
I Democratici di Sinistra devono profondamente rinnovarsi per dare vita ad una sinistra più grande, plurale e unita. I DS devono proporre a tutta la sinistra una comune riflessione sulle ragioni della caduta del governo Prodi e rilanciare una più forte e coesa alleanza di centro-sinistra. I gravi errori di Rifondazione Comunista non cancellano i nostri limiti nel dialogo con il mondo che quel partito rappresenta. E' necessario riaprire al più presto un confronto sui programmi e sulla prospettiva politica, tanto a livello territoriale quanto a livello nazionale. Nei confronti di tutte le altre componenti della sinistra bisogna sviluppare una iniziativa politica, culturale e ideale a tutto campo.
(...)
Il partito dei Ds deve chiarire in primo luogo il suo progetto, il suo ruolo specifico ed autonomo all'interno della coalizione. Un partito che sappia dialogare senza tentazioni annessionistiche con le culture più vive della società: quelle laiche e religiose ancorate alle ragioni dell'ambiente, della pace, dell'accoglienza, delle libertà e della differenza. Una sinistra più forte ed autonoma è la condizione prima per una coalizione più forte e riformatrice. Siamo persuasi che un processo aggregativo a sinistra favorirebbe anche una ricomposizione dei partiti e dei movimenti di centro della coalizione e metterebbe il centro-sinistra in condizioni di competere paritariamente con un centro-destra che oggi appare meno frammentato e più compatto. La conquista del centro politico e sociale, da parte della coalizione, non può essere affidata all'indistinzione programmatica e alla confusione dei linguaggi. Sarebbe la sinistra a pagarne il prezzo più alto.
(...)
Per un partito di sinistra la qualità del lavoro e della vita sociale è un fondamento essenziale - non il solo certamente - dell'identità politica. E' a partire da questa scelta di campo che vanno affrontate le questioni delle politica economica e della riforma del welfare, respingendo, innanzitutto, gli attacchi delle imprese al metodo della concertazione con le forze sociali e del territorio. La concertazione come metodo di governo è oggi uno dei più significativi elementi di distinzione tra destra e sinistra: governare con il consenso sociale e non con atti di imperio, riconoscere il ruolo delle rappresentanze, pensare la politica nel suo rapporto con la società e con i suoi conflitti e non come una sfera separata e sovraordinata. Gli annunci di una parte del governo in materia pensionistica e di flessibilità nel lavoro hanno creato sconcerto in larghe fasce della popolazione. Questi orientamenti sono stati abbandonati dopo la forte protesta dei sindacati. Resta, tuttavia, il fatto che quelle proposte hanno aperto un varco ad una nuova campagna antisindacale che ha la sua punta di diamante nel Partito Radicale e nelle iniziative referendarie. Occorre battere queste iniziative con una campagna straordinaria di orientamento civico e politico.
(...)
Pensiamo che se si vuole una economia sana, efficiente, in grado di competere a lungo termine nei mercati globali serva, piuttosto, una più elevata qualità del lavoro. La flessibilità non può essere un grimaldello per ottenere un abbassamento della soglia generale dei diritti di chi lavora, dei 'diritti' della natura e dell'ambiente. Questa scelta, che viene presentata come un prezzo da pagare alla lotta alla disoccupazione, si sta rivelando illusoria. L'occupazione che nasce dall'estensione di rapporti precari si concentra soprattutto nelle aree in cui lavoro c'è già. Molto meno nel Mezzogiorno dove sarebbe necessario crearlo e dove, viceversa, i rapporti precari intervengono principalmente a sostituire il lavoro già esistente. Al Sud il problema non è allentare le regole esistenti ma negoziare e battersi per la loro applicazione. Anche per queste ragioni il governo deve contrastare con convinzione le richieste della destra e di una parte del mondo dell'impresa di avere mano libera nei luoghi di lavoro. Dobbiamo aprire una nuova stagione di diritti e di partecipazione contro chi chiede libertà di licenziamento e sospensione dei diritti sindacali e di contrattazione.
Contrastiamo l'idea che la certezza dell'occupazione sia quasi una colpa, qualcosa di cui vergognarsi. Altro è dire - come noi diciamo - che la mobilità occupazionale e professionale devono diventare un fattore di libertà e di dignità del lavoro, da garantire, innanzitutto, attraverso un diritto ad un salario minimo nei periodi di disoccupazione temporanea e un diritto alla formazione permanente e retribuita.
(...)
Ci battiamo, perciò, accanto a coloro che, nella sinistra europea ed italiana, rifiutano di considerare il mercato e la crescita economica in sé come un dogma. La formula "noi siamo per una 'economia di mercato e non per una società di mercato" va meglio approfondita. La sinistra deve caratterizzarsi oltre che per la critica al liberismo anche per la capacità di esprimere un suo progetto di economia e di società.
Riteniamo che la funzione etico-politica della sinistra - la sua ragion d'essere - sia quella di far agire anche nell'economia di mercato le istanze della democrazia, i diritti di cittadinanza individuali e collettivi, i valori storici e culturali della comunità e del territorio, le ragioni dell'ambiente e delle generazioni future. Dunque, una economia di mercato regolata socialmente nel solco delle più interessanti esperienze socialdemocratiche europee e della migliore tradizione riformista italiana.
(...)
E' una visione al tempo stesso realistica e lungimirante a richiedere più qualità: aria più pulita, un diverso sistema della mobilità, tutela delle risorse idriche, valorizzazione dei nostri beni culturali , produzione agricola di qualità e controllata. Persino la qualità e la sicurezza del cibo che arriva nei nostri piatti dipende e dipenderà sempre più da queste scelte.
Questi sono gli obiettivi qualificanti di una sinistra moderna. Essi vanno perseguiti con una pluralità di interventi: riduzione dell'orario di lavoro attraverso la legge e la contrattazione, una politica dei tempi di vita, democratizzazione e trasparenza del sistema del credito (che ancor oggi privilegia i soggetti economici forti), sostegno all'impresa femminile, giovanile e cooperativa. La certezza di espandere le basi occupazionali viene in primo luogo dalla individuazione di nuovi settori: offerta di servizi nella società dell'informazione, edilizia di manutenzione, messa in sicurezza del territorio, gestione delle reti dei servizi ambientali (acqua-rifiuti-mobilità urbana), turismo di qualità ambientale e legato ai Beni culturali.
(...)
Senza un programma industriale che assicuri una presenza qualitativa dell'Italia nei settori strategici della produzione, i processi di privatizzazione rischiano di assumere i caratteri di un'accentuata finanziarizzazione dell'economia e di una ulteriore marginalizzazione del nostro sistema produttivo. Il caso Telecom, da un lato, e la pressione di grandi poteri finanziari dall'altro, mostrano i limiti di una pratica di "privatizzazioni passive" nelle quali la sfera pubblica non affronta strategicamente il tema del ridisegno dell'assetto capitalistico del nostro Paese. La democrazia in campo finanziario ed azionario è un obiettivo ancora da perseguire. Dobbiamo farci fautori di regole che garantiscano un'effettiva e trasparente partecipazione dei lavoratori e del risparmio popolare nella definizione degli indirizzi di impresa e nella gestione dei fondi pensione collettivi.
Nell'alternativa tra proprietà pubblica e proprietà privata si inserisce poi la sfida avanzata dal terzo settore che, accanto al movimento cooperativo, può utilmente rilanciare le basi solidaristiche dell'intervento in economia. A questo mondo, la cui crescita deve avvenire all'interno di un sistema di regole e diritti universalmente riconosciuti, dobbiamo guardare con maggiore interesse e convinzione.
(...)
Fondamentali diritti individuali (all'istruzione, alla salute, alla previdenza) non possono essere subordinati alla condizione familiare: se questo diventasse un criterio generalizzato lo Stato sociale si ridurrebbe a un puro supporto dei poveri. E la famiglia tornerebbe ad essere il luogo in cui si scaricano i problemi sociali, anziché una comunità solidale e di affetti. Chiediamo nuovi diritti e non carità pubblica, una diversa distribuzione del lavoro sociale tra i sessi, nella famiglia, nella società civile, nell'economia.
PRIMI SOTTOSCRITTORI
Fulvia Bandoli
Anna Maria Bonifazi
Gloria Buffo
Antonio Cantaro
Piero Di Siena
Anna Finocchiaro
Marco Fumagalli
Sergio Gentili
Alfiero Grandi
Ugo Mazza
Giorgio Mele
Pasqualina Napoletano
Marisa Nicchi
Ugo Spagnoli
Aldo Tortorella
Vincenzo Vita
Salvatore Vozza
Giuseppe Chiarante
Giovanna Borrello
Licia Perelli
Andrea Amaro
Anna Maria Bernasconi
Mario Boyer
Adriana Buffardi
Valerio Calzolaio
Antonio Carcarino
Franco Cazzola
Gian Piero Cioffredi
Vincenzo Colla
Antonio Conte
Silvana Dameri
Franco De Alessandri
Guido De Martino
Eugenio Donise
Eugenio Duca
Franco Ferretti
Michele Giardiello
Betty Leone
Paolo Lucchesi
Tino Magni
Enrico Pelella
Paolo Peruzza
Antonio Pizzinato
Gianni Rinaldini
Claudio Sabattini
Mario Sai
Ersilia Salvato
Osvaldo Scrivani
Riccardo Terzi