La sinistra non è in onda.
La sinistra e il potere dell'informazione. Nella sinistra si stanno diffondendo convinzioni errate su Berlusconi: non vincerà perché ha in mano le televisioni, e non sarà l'antitrust che potrà sconfiggerlo. Di Michele Corsi. Da Bandiera Rossa. Febbraio 1995.


La questione dell'informazione é stata sempre giustamente una delle preoccupazioni principali della sinistra e del movimento operaio. Ultimamente si sono diffuse convinzioni ed interpretazioni profondamente errate su queste problematiche. Proviamo a discuterne qualcuna.

"Berlusconi ha vinto perché ha in mano le televisioni"

Non é affatto vero che il monopolio dei mezzi di informazione determini la vittoria di uno schieramento politico. Dagli anni '50 fino alla metà degli anni '70 la tv visse in un regime di vero monopolio. Vi era una sola rete (poi si aggiunse il secondo canale) totalmente in mano alla DC. Bernabei, il boss incontrastato di questa TV, lasciava al PCI ben minori spazi di quelli concessi da Berlusconi al PDS nelle sue tv private. Ciò non ha impedito la grande avanzata elettorale del PCI del '75-'76. Certo, il peso della televisione era inferiore, in compenso però si ascoltava molto di più la radio, e questa era pure monopolio governativo. Si tenga presente inoltre che fino all'inizio degli anni '70 tutti i giornali, ad esclusione dell'Unità e dei fogli dell'estrema sinistra, erano di orientamento conservatore.
Alla fin dei conti, per la sinistra, dal punto di vista dell'informazione, la situazione era assai più rosea durante le elezioni del 27 marzo scorso che a metà degli anni '70. Nella campagna elettorale di un anno fa le posizioni dei media verso Berlusconi erano le seguenti: TG4 e Italia 1 nettamente a favore, Canale 5 a favore, TG1 e TG2 più o meno neutrali, TG3, TeleMontecarlo, VideoMusic contro; per quanto riguarda i giornali tutti i maggiori quotidiani erano contro Berlusconi, anche se con diverse sfumature. Si potrà obiettare che la propaganda di Berlusconi sulle proprie reti é stata martellante, ma i progressisti hanno avuto i loro spazi, sicuramente in misura nettamente maggiore di quelli a disposizione della sinistra a metà anni '70. Eppure hanno perso.
Del resto, anche se Berlusconi avesse avuto dalla sua tutte le televisioni e tutti i giornali, ciò non sarebbe stato sufficiente a spiegare le ragioni del suo successo: il regime di monopolio dei mezzi di informazione dei Paesi dell'Est non ha affatto impedito le rivolte popolari da Solidarnosc sino a Tien An Men ed oltre.
Perché allora tanti a sinistra continuano ad imputare la sconfitta ai media in possesso di Berlusconi? Semplice: perché é consolatorio e permette di non fare i conti con i propri errori.

"Per sconfiggere Berlusconi occorrre una legge antitrust"

Questo luogo comune si basa sulla convinzione di cui sopra. Si pensa che togliendo a Berlusconi un paio di reti diminuisca il suo impatto elettorale.
Il cosiddetto antitrust é un vecchia ossessione della sinistra. Una volta si chiamava "la lotta contro i monopoli". Nell'immediato secondo dopoguerra PCI e PSI, quando si trovavano costretti ad indicare i nemici della classe operaia, non indicavano mai il complesso della borghesia, ma solo una sua parte: quella cattiva (anche Parlato ha teorizzato qualche settimana fa l'esistenza di due borghesie, una illuminata e l'altra reazionaria, aspettandosi dalla prima che sottoscrivesse qualche azione del Manifesto). La borghesia cattiva era variamente e vagamente indicata come quella legata ai "circoli imperialisti", oppure al "vecchio regime", ecc. ma l'aggettivo più amato era "monopolista". Per molti anni nessuno, neanche gli esperti economici del PCI, seppe mai indicare chi diavolo fossero questi monopolisti: mai un nome, un'azienda... Poi, con l'avvicinarsi del centro sinistra, li si identificò con sempre maggior chiarezza nella concentrazione dell'elettricità, per la semplice ragione che una parte della borghesia non trovava conveniente un monopolio in un settore, quello dell'energia, dove voleva tagliare sui costi. La nazionalizzazione, con lauti indennizzi, si fece, il prezzo dell'elettricità si mantenne basso, e gli operai dovettero tenersi per un bel po' i loro padroni illuminati (é allora infatti che, non sapendo più come chiamare la borghesia cattiva, si preferì aggettivare quella buona con il termine di "illuminata"). Oggi risaltano fuori i monopoli (ovviamente di monopoli in Italia ve ne sono sempre stati). Ma di nuovo si parla male solo di quelli che danno fastidio alla maggioranza della borghesia. Per ragioni che non staremo ad analizzare in questo articolo infatti, alla grande borghesia italiana Berlusconi piace poco.
In realtà i monopoli nel campo dei media sono tre: quello Berlusconi (editoria e televisioni), quello De Benedetti (quotidiani locali e uno nazionale e riviste), quello Agnelli (editoria e quotidiani) che viola apertamente la legge antitrust del settore (a norma di legge la FIAT non potrebbe possedere La Stampa ed il Corriere della Sera insieme). Eppure la sinistra si lamenta solo del monopolio di uno. La ragione é evidente: con calcoletti di cortissimo respiro si assapora l'alleanza con la tanto sognata borghesia illuminata. I lavoratori hanno potuto misurare quanta poca distanza vi sia tra questi media durante la lotta d'autunno sulle pensioni oppure durante l'ultima lotta del gruppo FIAT (dove, anche se ovviamente per ragioni del tutto strumentali, la FININVEST mantenne verso gli operai un atteggiamento molto più benevolo di RAI, Agnelli e De Benedetti). Di monopoli di varia natura in Italia ve ne sono anche altri di cui nessuno parla: quello dell'automobile ad esempio, monopolio che é costato la chiusura di parecchie fabbriche.
Ma allora i lavoratori non hanno alcun interesse a battersi contro i monopoli? Un pochino. Dal punto di vista dei lavoratori non c'é una grande differenza tra padroni monopolisti e no. Da una legislazione antitrust però i lavoratori traggono vantaggio nella loro veste di consumatori: é ovvio che un regime di monopolio produce profitti supplementari e mantiene i prezzi alti. Il monopolio inoltre rallenta anche la crescita tecnologica. Questi vantaggi però non hanno nulla a che vedere con la "difesa della democrazia" o la "libertà di informazione".
Forse pensiamo che se due reti di Berlusconi fossero in mano ad un altro capitalista le cose cambierebbero? Per i lavoratori non molto. L'esperimento é già stato fatto: Retequattro era originariamente legata al gruppo di Repubblica e Italia 1 a Rusconi (e indirettamente alla FIAT), poi le cedettero a Berlusconi tra l'83 e l'84. Non ricordiamo quelle televisioni come campioni di democrazia e di raffinatezze culturali (tanto per intenderci: era il periodo in cui Scalfari appoggiava De Mita). Negli USA le tre maggiori reti televisive sono separate e solo una appartiene direttamente ad una industria. Eppure dai loro notiziari non esce neanche un respiro che non sia di rigida difesa dei muscoli militari americani e della religione neoliberista.

"La destra ha occupato la RAI dimostrando il proprio carattere eversivo"

Si deve avere il coraggio di dire una cosa: Berlusconi & C. hanno fatto ciò che anche la sinistra, per opposte ragioni, avrebbe dovuto fare se avesse vinto le elezioni. Sostituire cioé gran parte dei corrotti, incapaci, clientelari, reazionari vertici della RAI. Certo, Berlusconi ha messo al loro posto gente forse ancora peggiore, ma se accettiamo la logica del meno peggio finiremo per tifare per giornalisti che ne hanno combinate di cotte e di crude: ma ce la ricordiamo Carmen Lasorella durante la guerra del Golfo? E per quanto riguarda la carta stampata é stupefacente assistere alla glorificazione da parte della sinistra (Manifesto compreso) di un reazionario reoconfesso come Montanelli, solo perché Berlusconi ha messo al suo posto uno che é appena un po' peggio e un po' più stupido (in onore di Montanelli si é creata la nuova categoria del "reazionario onesto", come queste due parole siano conciliabili non si sa).
Il problema é che la RAI era già stata "occupata": dal CAF al TG1 e al TG2 (e che nessuno ci venga a raccontare che telecraxi era meglio dell'attuale TG2) e, con accordi spartitori frutto del clima consociativo della prima repubblica, da PCI e laici al TG3. Certo, il TG3 ha fornito globalmente un'informazione migliore degli altri TG, ma, essendo frutto di una lottizzazione, risulta scarsamente difendibile se si utilizza l'argomento dell'indipendenza dei giornalisti. Il PCI prima e il PDS poi non hanno approfittato di questo strumento per farne uno spazio a disposizione dei settori oppressi della società (e che oggi lo potrebbero difendere con maggior convinzione come cosa loro), ma se ne sono serviti invece in un'ottica ristretta di partito. Rifondazione ha sempre avuto meno spazio al TG3 che al TG1 e le trasmissioni alla Lerner e alla Santoro, privilegiando il grido qualunquista alla parola data ai soggetti organizzati, ha favorito non poco, inconsapevolmente, il successo di forze quali Lega, AN e Forza Italia.

"Oggi una battaglia fondamentale é quella per l'autonomia dei giornalisti"

Chi parla di autonomia dei giornalisti ha una visione idealistica ed ottocentesca di questo mestiere. Identico errore l'aveva fatto Ingrao qualche mese fa quando parlava degli operatori dell'informazione come dei nuovi intellettuali. Il lavoro giornalistico in una moderna tv non esiste come attività individuale: si tratta di una catena industriale per la produzione della merce notizia. Come in una qualsiasi organizzazione produttiva taylorista il lavoro é meticolosamente suddiviso nelle sue componenti essenziali. Ognuno di questi segmenti elementari viene affidato ad operatori che si occupano solo di quello e di nient'altro (a volte per tutta la vita), senza così avere il minimo controllo sul prodotto finito. Intorno al telegiornale ruotano una trentina di mansioni iperspecializzate. Chi alla fine legge la notizia nel TG non ha contribuito ad elaborarla (e spesso non ne condivide il contenuto, come capita alla Gruber), ne é cioé alienato. Il controllo é esercitato solo dal comando della produzione, nel caso specifico, dal direttore di testata.
Con la digitalizzazione dei mezzi televisivi questo procedimento sarà ancora più spinto, raggiungendo il livello della carta stampata. Oggi il giornalista di un quotidiano é un impiegato (certo, con un ottimo stipendio) che sta tutto il giorno davanti al terminale ad elaborare le notizie che gli giungono dalle agenzie o da banche dati. Le notizie quindi sono fornite da anonimissimi giornalisti di agenzia o dagli altrettanto anonimi addetti agli uffici stampa di uomini politici, istituzioni, ecc. Già oggi stanno sorgendo agenzie che inviano video ai TG, come l'ANSA ai giornali. Quindi chi elabora la notizia avrà un'ancor minore relazione con il fatto.
Esiste dunque un problema di autogoverno e di riappropriazione del proprio lavoro da parte degli operatori dell'informazione. Tra questa massa di operatori però, i giornalisti che appaiono nel video o firmano sui giornali, costituiscono solo una parte numericamente trascurabile, anche se la più privilegiata. Difendere l'autonomia di questo piccolo settore ha molto più a che vedere con la difesa di privilegi corporativi che con una giusta preoccupazione di allargamento degli spazi di democrazia. Questi si possono ottenere solo se l'insieme degli operatori (dunque cameramen, montatori, addetti alla produzione, ecc.) viene coinvolto. Quindi é giusto rivendicare spazi democratici, con poteri di indirizzo, gradimento della direzione, ecc. ma per la totalità dei lavoratori dell'informazione. Anche queste misure comunque non potranno incidere sul serio se non si affronta il problema del comando e della proprietà.

"Compito fondamentale di questo governo é assicurare
la par condicio nell'uso dei media"

Puro fumo: in Italia esiste già una legge, quella che permette la realizzazione delle noiosissime tribune elettorali e che dà ad ogni forza politica, indipendentemente dalla sua consistenza numerica, pari spazio. É una legge da difendere, ovviamente, ma non si capisce che cosa si potrebbe aggiungere. Il problema é un altro: esistono metodi così sottili per far prevalere i punti di vista di una certa forza politica che nessuna normativa potrebbe condizionare.
A parte alcuni casi di interventismo forsennato come quello di Emilio Fede, le tecniche di persuasione normalmente sono meno rozze. Rigurdano la maniera di presentare le notizie, l'ordine che si dà alla loro lettura, la titolazione che viene scelta, se si opta o meno per mandare in onda una intervista o lasciare solo lo speaker. Possiamo persino intervistare due persone di schieramenti opposti concedendo loro lo stesso tempo, ma facendo prevalere lo stesso l'immagine di uno sull'altro (in queste tecniche é specializzato il TG5). Ad esempio si intervista per primo quello del fronte avversario, in maniera che sia il pensiero dell'ultimo a rimanere più facilmente impresso nella mente dello spettatore. L'intervistato amico lo si può riprendere alternando due punti di vista (due telecamere) rendendo la sua visione meno noiosa, si può riprendere quello del fronte avverso dal basso in alto in modo da farlo apparire aggressivo e minaccioso oppure riprenderlo in condizioni di luce precaria o mettere in evidenza con dettagli nel montaggio particolari sgradevoli o inquietanti (le mani che si aggrovigliano), ecc. Si può anche scegliere dell'intervista all'avversario il pezzo più confuso, o dove si mostra tentennante e contradittorio, e tagliare le parti più efficaci. Che regole si possono stabilire contro questi trucchetti? Nessuna. Semplicemente diviene determinante, di nuovo, il controllo politico della testata.

Allora: che fare?

Il problema fondamentale dunque é quello del controllo e della proprietà. Di chi é la televisione? Sarà retorica ma bisogna pur dirlo: dei cittadini. E non in senso metaforico: materiale. Bisogna finirla con questa divisione che si fa tra la RAI, servizio pubblico, e la FININVEST, che può fare quello che vuole perché privata. La RAI campa con gli abbonamenti e con la pubblicità. La FININVEST con la pubblicità. Ma cos'é la pubblicità? Dal punto di vista del consumatore é una sovratassa sul prodotto e di quale entità sia lo stanno a testimoniare i prezzi stracciati degli hard discount. Quindi in una maniera o nell'altra il consumatore finanzia ciò che vede, ma non ha alcuna voce in capitolo, non ha alcun mezzo per influire.
Ci fanno credere che i calcoli sullo share e l'indice di gradimento siano una forma di controllo da parte del pubblico: se un programma é visto va avanti, se no via. Non é vero. La quantità di audience sta solo ad indicare che all'interno di una fascia ristretta di scelte l'utente si é indirizzato su una o sull'altra. Insomma: se si fa scegliere ad un vegetariano se mangiare una bistecca di vitello, una di maiale o un piatto di pasta con il ragù, é chiaro che si indirezzerà sul ragù che contiene meno carne, ciò non significa però che ne rimarrà entusiasta. Le cose che hanno successo, ma danno fastidio, vengono regolarmente escluse: Beppe Grillo é l'esempio più famoso.
Come sa qualsiasi pubblicitario un pubblico lo si crea. Se per anni diamo agli spettatori sempre la stessa minestra, finiranno per chiederla.
Il nostro partito deve propagandare un sogno: quello di una televisione controllata e gestita dagli utenti, dove siano questi, attraverso propri organismi, associazioni, ecc. in accordo con i lavoratori del settore (tutti, non solo quelli privilegiati) a decidere la programmazione, la qualità delle trasmissioni, la direzione dei TG, ecc. Perché questo controllo sia efficace la tv deve essere sottratta alla legge del profitto, dunque deve essere di proprietà statale. Non sappiamo se riusciremo mai a realizzarlo il sogno, ma qualsiasi passo intermedio in questa direzione é da auspicarsi: dalle forme di pressione perché si facciano certi servizi, alle proteste davanti alle sedi delle tv, ecc. Come passo intermedio va difeso ed esteso il controllo del Parlamento, anche sulle tv private, va difeso ed esteso il diritto di accesso (ad esempio dei sindacati durante le lotte sindacali) e quello di replica, ecc. Vanno appoggiate tutte le misure che penalizzano ed ostacolano il settore privato.
La sinistra deve inventarsi nuovi mezzi di lotta contro le menzogne tv approfittando dei punti deboli di questo media. Ad esempio: anche se con minor spazio e in peggiori condizioni tutte le tv sono costrette a dare voce a chi la pensa diversamente. É una legge fondamentale della comunicazione: se un media presenta sempre un solo punto di vista, perde di credibilità (come era accaduto alle tv dell'est che a un certo punto, qualsiasi cosa dicessero, non erano credute più da nessuno). Nel nostro sistema perdita di credibilità vuol dire perdita di audience, quindi perdita di pubblicità, quindi meno profitti. Per questo uno strumento potentissimo può essere quello del boicottaggio dell'apparizione in tv. Se tutti i rappresentanti della sinistra decidessero di boicottare le TV più destrorse in maniera sistematica, tutti i media sarebbero obbligati ad una maggiore imparzialità.
Lo sciopero dell'ascolto appare di difficile attuazione, ma é comunque un utile strumento di propaganda.
Si devono imparare anche ad usare le nuove tecnologie, superando dilettantismo e pigrizia. Oggi ad esempio realizzare un piccolo filmato video costa molto meno che stampare un manifesto, questo mezzo sarebbe un potentissimo strumento da usare nei quartieri, nei posti di lavoro. In alcuni paesi dell'America Latina i sindacati davanti alle fabbriche ci vanno con il video volantino: uno spot di pochi minuti che tutti vedono più volentieri di un volantino di carta (e costa uguale).
Tutte queste misure però non risolvono il problema di fondo. E ciò non riguarda la comunicazione e l'informazione, ma la politica più in generale. É inutile rivendicare degli spazi se poi non si ha nulla da dire o si dicono cose poco interessanti. Chi ha visto in tv i discorsi parlamentari in occasione dell'ultima crisi si sarà accorto di come Berlusconi diceva cose aberranti, ma lo faceva rivolto al vasto pubblico. D'Alema utilizzava modi, argomentazioni e vezzi interni allo strettissimo ceto politico del Parlamento. L'effetto del politichese e del sindacalese nel video appaiono ancora più micidiali che sentiti dal vivo (un comizio vero lo reggiamo, un primo piano dello stesso in tv, no).
Tornando al parallelo con gli anni '70 la differenza é che allora la sinistra non aveva i media, ma aveva le piazze, non faceva spot, ma vi erano centinaia di migliaia di militanti che praticavano una sorta di controinformazione capillare grazie ad un forte radicamento nel territorio e nel posto di lavoro, vi erano milioni di persone che facevano l'esperienza concreta della lotta. Se nonostante tutto PDS e PRC mantengono ancora una discreta quantità di voti, ciò non é dovuto certo alla loro bravura nell'usare i media, ma al fatto che tanti elettori una qualche volta nella loro vita hanno incontrato dei comunisti e fatto esperienze concrete di lotta e di solidarietà. Non é un caso che i giovani votino più a destra degli adulti: loro di questi incontri ne fanno sempre di meno. É solo in assenza di ciò che gli spot possono avere influenza nella testa della gente. É solo quando la famiglia si chiude in se stessa e il suo unico canale con il mondo diviene la televisione, che la televisione persuade. La sinistra non é sparita dalla tv: é sparita dai quartieri, dalle fabbriche. In ultima analisi é su questo terreno che si potrà contrastare la forza di persuasione dei media della borghesia.
Il PDS ha lanciato Prodi affidandosi tutto ai media (la partecipazione alle trasmissioni come incoronazione del candidato), all'immagine (Prodi sportivo), allo spot. Vedere un tortellino in bicicletta potrebbe essere uno spettacolo esilarante se non ispirasse invece amare riflessioni su come la sinistra imita (male) i metodi della destra, invece di interrogarsi sulle ragioni vere delle proprie sconfitte.