Un passo avanti per l'Ulivo,
un passo indietro per la sinistra.
Analisi
delle elezioni amministrative del 16 novembre 1997. Del Collettivo Rifondare
dalla Base. Novembre 1997.
Le elezioni amministrative parziali del 16 novembre, che hanno chiamato alle urne circa dieci milioni di italiani, segnano una secca vittoria dell'Ulivo, ma il calo della sinistra. Potrebbe sembrare un paradosso, invece, insieme al clamoroso crollo della destra, é uno dei due dati certi di queste elezioni.
Le principali città hanno visto i candidati dell'Ulivo vincere già al primo turno: a Roma Rutelli ha vinto con il 60,5% contro il 35,9% del candidato del Polo, a Venezia Rutelli ha ottenuto il 64,6% contro il 20,7% di Pizzigati del Polo, a Napoli Bassolino si afferma con il 73,0% contro il 25,2% del Polo, solo Genova, tra le quattro grandi città chiamate al voto, vede il candidato del centro sinistra in testa, ma costretto al ballottaggio.
La destra crolla. FI dimezza, rispetto alle politiche del '96, le percentuali di voto a Napoli, Roma, Venezia e cala vistosamente a Genova. Cala anche in tutte le altre città. AN la segue a ruota, anche se con perdite un po' più contenute.
Cosa é accaduto? Si é verificato il fenomeno Mugello. In quel collegio Di Pietro si é affermato con una percentuale plebiscitaria, ma andando a spulciare i dati in valore assoluto, gli editorialisti dei giornali più accorti si sono resi conto che ciò non era dovuto alla particolare popolarità dell'ex magistrato: gli elettori del centro sinistra erano andati a votare nella stessa misura delle elezioni precedenti, quelli di centro destra erano invece restati a casa. Da tempo la borghesia italiana attraverso i suoi mass media fa pressioni per arrivare a una ristrutturazione della destra che permetta a quel soggetto politico di essere un valido strumento di espressione dei propri interessi. Purtroppo per la borghesia la destra rimane composta da un partito virtuale, Forza Italia, preoccupato solo di evitare guai giudiziari al suo padre padrone, Berlusconi, e da Alleanza Nazionale, ancora non scrollatasi dalle incrostazioni "stataliste" e populiste del suo passato fascista. Questa destra é oscillata nell'ultimo anno tra radicalismo di piazza teso a mobilitare la piccola borghesia, e tentazioni e pratiche consociative con il centro sinistra, spesso quando si trattava di difendere interessi privati. La borghesia non ha certo una consistenza elettorale tale da assicurare il successo elettorale ai partiti di propria fiducia (ragion per cui nel dopoguerra dovette accontentarsi dei democristiani quando avrebbe preferito far risorgere i liberali), e questa destra ha trovato in questi ultimi tre anni un largo consenso di massa da parte della piccola borghesia decadente, di settori pauperizzati del Sud, di settori di classe media anticomunista. Il fatto nuovo di queste elezioni é che ai mugugni della borghesia si é unito anche il "popolo di destra", che si é astenuto in massa, o ha votato partiti di centro (sia quelli collocati nel Polo sia quelli dell'Ulivo). Dato significativo: nella prima circoscrizione di Roma, bastione della destra (vi é stato eletto Berlusconi) ha votato solo il 58,9 degli aventi diritto.
È proprio il centro cattolico a mietere successi in queste elezioni. Il successo non é apparso così visibile perché i vari pezzi sono ancora divisi tra i due schieramenti (e all'interno degli schieramenti stessi), ma da queste elezioni escono rafforzate tutte le ipotesi centriste. Il PPI, componente dell'Ulivo, aumenta i propri voti in quasi tutti i comuni rispetto al '96, in maniera netta. CCD e CDU aumentano ancora di più (in pratica raddoppiano). Il CDU resta al palo solo dove si é presentato nella stessa lista di FI. È un voto differenziato regionalmente: molto forte al Sud e più debole al Nord. A Napoli il PPI passa dal 5,3% delle politiche del '96 al 8,9%; a Caserta presenta da solo un candidato a sindaco che prende il 22,3% (contro il 5,7% del '96), CCD e CDU passano dal 6,7% al 26,9%. A Vibo Valentia il PPI passa dal 6,5% al 13,7% e CCD e CDU dal 8,5% al 22,6%. A Brindisi il CCD-CDU va dal 5,3% al 14.0% e il PPI dal 4,9% al 7,4%. E così via. Si può dedurre che le trame dei tessitori della nuova rappresentanza della borghesia dovranno ancora lavorare all'ombra di un campanile, come nella tradizione italica. Allo stesso modo il fatto che a Sud non si sia verificato un forte aumento dell'astensionismo (dal 74,5% al 74,2%) sta a significare una stabilizzazione del quadro sociale del Meridione dopo che negli anni scorsi lo scontento si é manifestato con astensionismo e voti percepiti dalle masse spoliticizzate come antisistema (PRC, populisti di destra, ecc.). Sta forse ad indicare anche una ripresa del voto clientelare.
Nel Centro e nel Nord invece vi é stato un secco aumento dell'astensionismo: il 72,9% degli aventi diritto contro il 83,6% del '93. L'aumento é ancora più vistoso se lo confrontiamo con le politiche del '96. Al Centro si passa dal 79,2% al 75,2% . In Lombardia e Veneto, le regioni con la più alta percentuale di operai sulla popolazione economicamente attiva, il calo della partecipazione é stato del 11,7%, in Emilia Romagna del 8,1%, in Liguria del 10,1%. Più contenuto il calo a Roma, città non operaia: dal 78,3% al 74,1%.
La Lega, con la sua politica radicale e antisistema di destra é l'unica che riesce a captare parte dello scontento sociale che si esprime con l'astensionismo: mantiene sostanzialmente inalterate le sue forze, anche se con modificazioni territoriali: si allontana dalle metropoli, ma dilaga nelle province. Ad Alessandria aveva il 16,1% un anno fa e passa al 28,3% (il candidato a sindaco ancora di più: 37,3%), nelle provinciali la Lega non é travolta come l'altra destra (il Polo) dall'astensionismo: Vicenza va dal 36,2% al 41,4%, Varese dal 33,3% al 38,1%, Como dal 32,8% al 33,1%. Nelle zone del Nord dove la Lega non ha attecchito altre sirene populiste di destra mietono consensi: Sergio Castellaneta (tra l'altro con trascorsi nella Lega), che andrà al ballottaggio a Genova forte del 19,9% dei consensi.
La sinistra invece retrocede. Il PDS perde quasi ovunque ad esclusione di quelle città dove il successo del sindaco "di partito" trascina anche la lista: Salerno, Napoli e Venezia. In tutti gli altri luoghi il PDS arretra sia in termini assoluti che percentuali rispetto all'anno scorso: Cosenza (dal 16% al 12,3%), Roma (dal 25,2% al 22%), Genova (dal 30,5% al 25,9%), Caserta (dal 14,2% al 12,5%). Da qui la scarsa euforia di D'Alema, che nella sua strategia assegna un ruolo alla forma partito PDS, e la contentezza di un Veltroni, che invece ha sempre puntato di più sull'Ulivo sperando che il PDS vi si possa "sciogliere" dentro.
Le perdite del PDS appaiono però tutto sommato contenute se paragonate a quelle del PRC. È sorprendente come i suoi dirigenti gridino alla vittoria sfidando con tanta spensieratezza la logica dei numeri. Le giravolte in occasione della crisi del governo Prodi e la sudditanza nei confronti del PDS stanno costando assai caro al PRC. A Venezia passa dal 10,4% al 8,6%, a Roma dal 10,7% al 8,8%, a Genova dal 11,2% al 9,5%, ad Alessandria dal 9,5% al 6,0%. Al Sud é un vero e proprio tracollo: a Napoli dal 11,1% al 6,5%, a Cosenza dal 9,1% al 3,4%, a Caserta dal 7,6% al 3,5%, a Latina dal 6,0% al 2,1%, e così via. Sommando il voto delle 15 città principali il PRC dal 9,3% al 5,9%. Se guardiamo i valori assoluti il calo diviene ancor più impressionante: a Roma il PRC passa da 203.000 voti raccolti un anno fa ai 112.000 di oggi. I leader del PRC dicono che si dovrebbe tener conto solo del voto delle elezioni provinciali, dove effettivamente le percentuali del PRC migliorano. Ma la spiegazione é semplice: essendo quelle provinciali elezioni di minor interesse l'astensionismo é stato ancora più forte (dal 82,5% dei votanti del '93 al 70,5% del '97, mentre per le comunali si passa dal 79,1% al 75,1%) ed ha colpito per le ragioni che abbiamo detto soprattutto l'elettorato di destra, per cui é ovvio che se si prendono solo i valori percentuali, questi risultano accresciuti.
Complessivamente si tratta di un involuzione del quadro politico. Il tracollo della destra non si traduce affatto in un rafforzamento della sinistra, che invece arretra. Questo dato insieme a quello dell'astensionismo, del voto alla Lega e a populisti di destra e all'aumento senza precedenti del personalismo (il 15% ha votato il sindaco ma non la lista, specie nelle grandi città: 25% a Venezia, 19% a Roma, ecc.), dovrebbe indurre nel PRC ad una qualche preoccupazione e favorire un qualche ripensamento nella politica di sostegno al governo Prodi. Invece Liberazione non ha trovato nulla di meglio che titolare la prima pagina del suo giornale all'indomani delle elezioni con la parola a caratteri cubitali: VINCENTI. Consoliamoci pensando che la borghesia é scontenta quanto noi delle rappresentanze politiche che si ritrova. Paolo Franchi sul Corriere della Sera del 17/11 commentando il crollo della destra afferma: "Un'Italia senza un'opposizione degna di questo nome non solo non ci piace, ma ci preoccupa". Anche se nel senso opposto, potremmo sottoscrivere.