I limiti del perdonismo.
Dopo il gaudio per l'assoluzione di Andreotti, l'altolà delle classi dominanti alla riabilitazione del vecchio ceto politico. REDS. Novembre 1999.


L'editoriale di Giuseppe D'Avanzo sul Corriere della Sera del 10 novembre 1999 ("La crociata di Cossiga contro le procure: un processo inopportuno") segna il limite posto dalla classe dominante all'attuale campagna di riabilitazione dei rappresentanti del vecchio ceto politico pentapartitico.

Dobbiamo capire il ruolo di D'Avanzo sul Corriere. Si tratta di un editorialista sempre molto ben informato, moderatamente a favore dell'operato della magistratura nella lotta alla mafia ed alla corruzione. I suoi commenti non appaiono quasi mai nel posto d'onore dell'editoriale, ma accompagnano altre notizie. I commenti sulle vicende ultime (Andreotti, Caselli, Craxi) sono state lasciate a Panebianco, Galli della Loggia, Romano, molto poco teneri nei confronti dei giudici. Dopo l'assoluzione di Andreotti e il melodramma del ricovero di Craxi questi editoralisti s'erano uniti al coro di coloro che rivendicavano l'oblio e il perdono per il passato rubereccio. Mentre cantavano si sono trovati però in sgradevole compagnia. Han rialzato la testa Bobo Craxi ponendo "condizioni" per il rientro del padre, Andreotti ha cominciato a parlare di "complotti contro la DC", la Chiesa spingeva verso verso la riabilitazione dell'intera Democrazia Cristiana. In mezzo al coro l'esercito degli inquisiti della prima repubblica, che sino a quel momento se n'erano stati buoni buoni in ultima fila facendo finta di cantare, han cominciato a sgomitare in malomodo sul palcoscenico e, invece di cantare, a emettere stridulissime grida denunciando sfracelli, vendette, impunità. Nei giorni successivi dunque il Corriere registrava con un certo sgomento le gesta di questi coristi che scompaginavano le fila educate e prendevano a male parole direttore d'orchestra e pubblico.

D'Avanzo così, il cui commento di due settimane fa (che rilevava come l'assoluzione di Andreotti non togliesse nulla al giudizio politico sul suo operato) era stato collocato in posizione nascosta, ora é stato piazzato ad occupare una grossa fetta della prima pagina.

Il problema delle nostre classi dominanti é sempre quello: come formare e lanciare una propria rappresentanza politica? Non vogliono il ritorno del vecchio ceto politico, ma non vogliono nemmeno regalare alla sinistra la possibilità di impallinare sul piano giudiziario tutte le possibili alternative politiche borghesi che di volta in volta possono apparire all'orizzonte. Cosa del resto inevitabile, dato che chi serve la borghesia non lo fa certo per alti ideali ed é fatale che dunque, prima o poi, venga colto con le mani nella marmellata. La classe dominate del resto non vuole lasciare alla magistratura (che pure non l'ha mai attaccata direttamente, anche nella vicenda Tangetopoli), il ruolo di supplenza della rappresentanza che non c'é, perché si tratta di una corporazione troppo autonoma per i suoi gusti.

E così abbiamo l'altolà. L'articolo di D'Avanzo segna il limite oltre il quale la borghesia non può andare nell'assoluzione del veccho ceto politico. Vuole la sua assoluzione, certo, ma non il suo ritorno.

L'editoriale se la prende con Cossiga che vuol "processare" le procure di Palermo e di Milano. "Le minacce e le invettive di Cossiga non fanno che nuocere gravemente alla soluzione dei problemi che affliggono la giustizia come servizio (quanto inefficiente tutti sanno). Un "tribunale politico" contro la magistratura (contro una parte di essa) avrebbe infatti il solo risultato di ostruire lo strettissimo sentiero artttraverso il quale maggioranza e opposizione ancora comunicano nella prospettiva delle necessarie riforme dell'ordinamento giudiziario e delle regole del processo."

"C'é tuttavia di peggio nelle filippiche di Cossiga. C'é una volontà, dominata dallo spirito di vendetta, di rimuovere dalla memoria collettiva Tangentopoli. (...) Della corruzione Cossiga non parla. (...) Non si cura Cossiga che il FMI, analizzando il livello di corruzione pubblica degli stati membri, collochi l'Italia al 28· posto dietro Spagna, Grecia, Ungheria e Polonia (...). Forse Cossiga neppure vuol sapere che negli appalti publbici, banditi dopo Mani Pulite, il conto per lo stato é diminuito in media del 40-50 per cento. Un km di metropolitana costa oggi 150-250 miliardi contro 300-350 di ieri (...). Devono essere dettagli ininfluenti per chi ha in mente non una razionale e trasparente modernizzazione delle nostre istituzioni, ma la riscrittura della storia più recente a fini politici."

La corruzione per i borghesi é un bene quando viene esercitata individualmente come strumento per battere la concorrenza, diventa un male quando é generalizzata, e si tramuta in una sorta di tassa aggiuntiva, come un costo che taglia i profitti. Ogni borghese corrompe ed é corrotto, ma vorrebbe essere l'unico a farlo, quando tutti lo fanno si crea un SISTEMA corrotto, che inibisce e falsa il funzionamento del sistema capitalista. Da qui le inestricabili contraddizione in cui si trovano i nostri dominatori: disposti a corrompere e a farsi corrompere ma esigendo onestà e rettitudine dalle istituzioni. Sono disposti a corrompere il finanziere, ma vorrebbero che la Finanza fosse incorruttibile per tutti gli altri. Da qui anche le crescenti preoccupazioni dei media della borghesia sulla situazione della mafia, con l'allarme per lo smantellamento delle unità speciali (trasferimento del nuclueo di coloro che avevano arrestato Riina): in un territorio mafioso non é possibile un "sano" sviluppo capitalista, né veri investimenti.

Il movimento operaio deve sollevare la questione della "moralità", dato che i lavoratori non corrompono e non sono corrotti, ed i loro partiti, ed organizazioni, nonostante tutto il male che possiamo dirne (e lo diciamo), hanno un tasso di corruzione infinitamente minore di quello delle classi dominanti. Questa diversità é da rivendicare con orgoglio, e non da nascondere per fini politici di piccolo cabotaggio, magari perché si avvicina qualche scadenza elettorale...