La finanziaria del nuovo millennio.
Caratteristiche della finanziaria 2000
del governo D'Alema. REDS. Ottobre 2000.
Non è semplice
dare un giudizio sul contenuto antipoperaio della finanziaria proposta dal Governo
per il prossimo anno, dal momento che la stragrande maggioranza dei lavoratori
vede in questa legge una decisa svolta in loro favore (si riducono le tasse
sui redditi irpef), e il rischio di essere tacciati di disfattismo e realmente
concreto.
Tuttavia, si dovrebbe invece andare dentro i vari articoli per capire che invece
la filosofia complessiva che ispira tutta la legge è volta a mettere
al centro gli interessi dell'impresa, e attorno a questi, tutto deve
ruotare.
La Confindustria da tempo chiedeva provvedimenti legislativi che liberassero
risorse a favore degli investimenti e della flessibilità, per perseguire
quel risultato che i principali magnati dell'industria (ma anche lo stesso presidente
della Repubblica) chiamano con il termine di competitività.
Sembrerebbe infatti che il nostro paese stia crescendo più lentamente
dei partners europei, e questo, in una economia in cui vige una moneta unica,
e i confini degli stati europei perdono di senso di fronte allo strapotere del
capitale, rischia di relegare la nostra economia in un ruolo marginale, se non
addirittura di essere estromessa dalla Comunità Europea.
In soldoni il problema che i padroni pongono è sempre lo stesso: lo Stato
deve sostenere gli investimenti in modo diretto detassando il capitale,
e fiscalizzando (cioè scaricando sulla collettività) i
costi che i padroni devono sostenere per creare lavoro (i contributi per le
pensioni, ecc.).
Per fare questo però si rende inevitabile che il Governo non possa più
garantire ai cittadini quei servizi e quello stato sociale a cui li aveva abituati
dal dopo guerra per decenni, grazie alle lotte dei lavoratori; per cui è
necessario tagliare la spesa pubblica e privatizzare settori anche strategici
dell'economia nazionale.
E' necessario inoltre che i padroni abbiano la piena disponibilità della
forza lavoro al fine di poter portare lo sfruttamento del lavoro ai livelli
massimi, per potere ridurre i costi di produzione e poter esibire sul mercato
un livello di prezzi che consenta la vendita delle merci e stracciare la concorrenza.
Quindi: libertà di licenziamento e assunzioni con bassi salari e a
tempi determinati.
Se leggiamo attentamente la finanziaria, tutte queste esigenze poste dal Capitale,
trovano piena soddisfazione.
Si dice che la manovra è leggera perché movimenta solo
15 mila mld, ma ciò che balza immediatamente all'occhio è che
11 mila di questi sono fatti di tagli alla spesa pubblica, e questo
comporterà una riduzione sia della qualità dei servizi che della
quantità.
Si prevede infatti un taglio pesante negli organici della scuola e il ricorso
anche nella pubblica amministrazione dei contratti di lavoro interinali, cioè
di lavoratori che quando non servono più si possono cacciare.
A tale proposito stanno assumendo un significato chiaro e sinistro i continui
richiami fatti da D'Alema ad abituarci a farla finita di pensare al posto di
lavoro fisso, e i continui attacchi allo Statuto dei lavoratori.
Si prevede di conseguenza anche una riduzione degli stanziamenti delle risorse
per il rinnovo dei contratti di lavoro dello stato, il tutto condito via con
un aumento (già deciso qualche mese fa) dei finanziamenti alle scuole
private.
Si stanno preparando anche pesanti tagli alle pensioni, sia con l'introduzione
del sistema di calcolo contributivo (molto caldeggiato anche dal sig. Cofferati)
sia con la pratica obbligatorietà a farsi una pensione integrativa con
l'utilizzo del TFR.
Si dice inoltre che lo stato spenderà qualcosa come 900 mld. per l'occupazione.
Ma leggendo attentamente si vede chiaramente che questi soldi saranno spesi
per dare maggiore impulso alle assunzioni con contratti a tempo determinato
o comunque atipici.
Ciò che ne deriverà per i lavoratori nel loro insieme è
un maggiore indebolimento del loro potere contrattuale e uno spostamento dei
rapporti di forza in favore dei padroni, con tutto ciò che ne deriverà
sul piano dello sfruttamento e della sicurezza sui posti di lavoro.
Fiore all'occhiello di questa legge finanziaria è lo sgravio fiscale
sui redditi delle famiglie (il passaggio dal 27% al 26% irpef), ma a ben vedere
tale sgravio è stato completamente risucchiato da un'inflazione ormai
prossima al 2%, contro l'1,2% programmato su cui sono stati fatti
tutti i conti della finanziaria.
Vi è inoltre da tenere presente che sono state introdotte delle addizionali
Irpef regionali, provinciali e comunali che, anche se alcune di esse non sono
obbligatorie (comunali e provinciali) lo diventeranno necessariamente a causa
della riduzione di trasferimenti agli enti locali.
La lotta all'evasione fiscale e contributiva continua ad essere insufficiente,
ma forse questo è proprio quanto si vuole, per evitare che si vadano
ad intaccare gli interessi di chi sta molto in alto che sono quelli che alla
fine si ritengono prioritari.