Le macerie della storia.
La campagna politica e di stampa sulla "rete spionistica" del KGB e la reazione sbagliata da parte della sinistra. Ottobre 1999.


Qual é il significato dell'attuale campagna politica e mediatica sulla "rete spionistica" del KGB?

Sgombriamo il terreno da improbabili interpretazioni. Non é in gioco la "sicurezza nazionale". Se era tutto lì il dispositivo spionistico sovietico adesso capiamo perché l'URSS é saltata per aria. Avevamo sempre sospettato che quel Paese non fosse quella macchina perfetta che ci veniva dipinta in senso negativo o positivo da detrattori ed adoratori. Ma almeno il KGB pareva un'isola d'efficienza. Migliaia di Segretissimo e travolgenti spy-stories americane ci avevano illuso al riguardo. Quel che é certo dunque é che la campagna mira ad altri fini.

Le ragioni della campagna

Vediamo chi se ne é fatto promotore. Il gruppo di media legati ai settori più rozzi della borghesia (quotidiani del gruppo Monti e i mezzi della Fininvest) hanno fatto una campagna tipicamente e beceramente anticomunista, stile anni cinquanta. Il Polo ha più o meno adottato lo stesso tono, ma strillando un po' meno. Il gruppo dei giornali legati alla grande borghesia (La Stampa e Il Corriere della Sera) si sono gettati anch'essi nella campagna con un po' più di stile, ma facendone comunque il centro della scena politica (media di 6 pagine dedicate all'evento). Tra questi vari agenti di campagna possiamo distinguere una ragione comune e strategica ed alcune ragioni particolari e contingenti.

La ragione comune sta nella riproposizione dell'ennesima campagna antisinistra. Periodicamente ne viene fuori una: il triangolo della morte, la gladio rossa, Porzus, ecc. ed ora le spie del KGB. La ragione? Lo spiega molto bene Angelo Panebianco nell'editoriale del Corriere della Sera che riportiamo nella sezione "I nostri avversari". La ragione é tutta "ideologica". Questo é stato il secolo dei conflitti, il secolo degli orrori, ma anche delle masse in movimento. Mai come nel Novecento le masse hanno influito sulla storia. Prendendo in considerazione anche solo gli ultimissimi anni, sono caduti sotto la pressione popolare regimi come quello indonesiano, sudcoreano, albanese, zairese... Per la borghesia é un secolo, politicamente, da dimenticare. Lo stesso Panebianco ha dedicato innumerevoli articoli ad argomentare la sua feroce opposizione (sostenuta anche dal Polo) di NON insegnare la storia del '900 nelle scuole. Questi utopisti sperano, con l'ultimo dell'anno, di lasciarsi finalmente alle spalle questo secolo che li ha tenuti tanto in ansia nelle loro ville dorate, immaginano, e ci credono sul serio, che il prossimo secolo sarà un prolungamento di questi anni di dominio assoluto del mercato, sognano che non gli capiterà più di incrociare cortei arrabbiati, masse operaie in rivolta, studenti con le molotov. Ma, sotto sotto, quando cercano di convincere anche noi, sentono, sospettano, che forse potrebbe anche NON essere così. Una vocina bisbiglia nel loro orecchio mentre la bocca pronuncia sicure parole sull'eternità del mercato: attento, sii cauto, il fuoco cova sotto la cenere. Le loro insistenti campagne anticomuniste dovrebbero, in fondo, confortare noi comunisti: vuol dire che siamo vivi e vegeti, pensiamo d'essere stanchi, un po' depressi, e qualcuno sta pure scoppiando, eppure, c'é da non crederci, facciamo paura. Loro cercano di produrre egemonia culturale, egemonia morale. Vogliono creare un ambiente ad uso soprattutto delle giovani generazioni, dove sinistra sia sinonimo di sinistro, dove la parola ribellione sia bandita, dove trasformazione sociale faccia rima con orrore. Si tratta di, come dire, una vaccinazione di massa. Questa loro battaglia per l'egemonia morale contribuisce a rendere difficoltoso il nostro contatto con le giovani generazioni. Così i nostri avversari si sforzano di ascrivere al "comunismo", che per ora non é mai esistito, le infamie dello stalinismo, mentre si guardano bene dall'ascrivere al capitalismo, che invece é ben esistente, fenomeni quali quelli della prima e della seconda guerra mondiale, del nazismo, ecc. Nella storia di questo secolo i regimi capitalisti non basati sul terrore sono un'eccezione, e queste eccezioni si sono rette sempre sullo sfruttamento di altri popoli. Ma chi lotta per l'egemonia morale degli sfruttatori li vuol fare apparire la norma.

Poi vi sono le ragioni più contingenti della campagna. E stanno tutte nella nuova fase dei rapporti tra centrosinistra e borghesia. Il lavoro sporco é stato fatto con il governo Prodi. Era durante le finanziarie lacrime e sangue di quel governo che vi era il pericolo più concreto della ripresa di conflittualità sociale, ma l'intera sinistra ha contribuito a disinnescare la bomba spingendo il movimento operaio a sopportare il peso delle ambizioni imperiali della propria classe dominante. Ora anche un governo senza la partecipazione di partiti del movimento operaio può portare avanti la baracca, e magari con maggiore scioltezza di quel che può permettersi un partito, i DS, che comunque, nonostante tutto, NON é un partito della borghesia. D'Alema può essere anche tanto simpatico, ma il suo partito ... sospirano i Tronchetti Provera. Quindi questa campagna serve a mettere i DS sulla difensiva e a far crescere la parte moderata del centrosinistra (i democratici, e non i popolari che hanno legami più deboli con la borghesia e troppo forti con le parrocchie) ed il centrodestra, che oggi appare, agli occhi della borghesia, più presentabile.

Il morto che afferra il vivo

Concentriamo ora la nostra attenzione sulla sinistra. Come ha reagito di fronte alla campagna?

D'Alema si é comportato in maniera vergognosa. Ha risposto con un inchino ad una lettera di Cossiga che era un cumulo di provocazioni (l'ha pubblicata per intero il Corriere del 14 ottobre: vale la pena di leggerla) e il tutto per salvaguardare qualche mese in più di vita del suo governo. D'Alema é la quintessenza del politicismo. E' il leader naturale di questi tempi di riflusso. Data l'assenza di movimenti e di pressioni dal basso, D'Alema può permettersi di giocare tutto sulla manovra. Lui immagina che la politica consista esattamente nella capacità di manovrare all'interno dell'alto ceto politico. Lo si vede nei suoi interventi alle Camere: il suo eloquio é rivolto ai parlamentari, quello della destra, invece, al pubblico televisivo. E' attraverso una manovra sopraffina che D'Alema é riuscito ad installarsi a Palazzo Chigi. La politica però é la superficie della realtà. Certo, quando sotto non si muove nulla, si può arrivare a pensare che la realtà sia tutta lì. Ma la realtà ha la testa dura, si solleva all'improvviso, e dà belle botte. D'Alema é un tattico, che vince qualche battagliuzza, e fa perdere l'intero suo esercito. Perché scene umilianti come quelle della riverenza a Cossiga sono destinate a far crescere lo spaesamento, la rabbia, la frustrazione, il disimpegno di quel popolo di sinistra, che comunque, ogni tot numero di anni va a votare. E cosa possono mai pensare le giovanissime generazioni quando vedono questi spettacoli, o, semplicemente ne sentono la puzza? Possiamo meravigliarci che non riescano a capire il segno di destra della lista Bonino?

I diessini si trovano senza strumenti per fronteggiare l'offensiva. Sono impossibilitati ad utilizzare il mezzo più naturale che si possa immaginare. Come osano quei signori parlare di "tradimento alla patria" per qualche segretuccio industriale passato all'URSS, quando la CIA ha imperversato nel Paese seminando stragi? Sono illazioni? Ci si é già dimenticati delle risultanze dell'inchiesta del giudice Salvini dove l'intervento della CIA é stato provato in più d'un episodio di strage: la notizia é venuta fuori sotto il governo Prodi, ebbene dall'Italia non é partita nemmeno una lettera che chiedesse qualche spiegazione agli USA. I DS sono infatti immobilizzati dalla loro stessa scelta di campo: come fare ad accusare altri di essere servi della CIA, se loro stessi hanno gli USA come modello di riferimento?

Vi é poi una difficoltà tipica della sinistra italiana di questo secondo dopoguerra, che ha sempre dipinto se stessa come copartecipe nella costruzione di questo Stato (chiamato anche "democrazia") che invece le era estraneo ed ostile. Questo non é lo Stato nato dalla Resistenza, ma CONTRO la Resistenza. Questa realtà amara fa fatica ad emergere in una sinistra che ha sempre chiamato le trame dello Stato (cioé la lotta con tutti i mezzi che questo conduceva contro il movimento operaio), frutto di servizi "deviati", rami "deviati", e così via, come se fosse esistita una qualche parte sana. Ora sono i Panebianco, il Corriere, Cossiga a gridarcelo chiaro in faccia: sì, forse noi non abbiamo sempre seguito il galateo, ma avevamo VOI da combattere, e dunque ogni mezzo era lecito.

Le molte patrie

Anche Cossutta si trova in difficoltà a difendersi. Dobbiamo però ricordarci che fino a dieci anni fa i filosovietici erano parecchi, e venti anni fa lo erano quasi tutti. Il loro problema é che essi difendevano un regime che oggi (ma noi pensiamo anche ieri) è chiaramente indifendibile. Perché, per essere chiari, se l'URSS fosse stato DAVVERO un paese socialista, sarebbe stato un onore da rivendicare avere svolto azioni, anche di spionaggio, per sostenerla. Noi comunisti non dobbiamo certo considerare nostra patria, il paese imperialista in cui ci tocca vivere. Ma il problema é che l'URSS non aveva nulla a che vedere col socialismo. Soltanto qualche settimana fa Cossutta aveva espresso contrarietà all'abolizione del servizio di leva, argomentando che per i giovani "dovrebbe essere un onore servire la patria". Da parte di uno che ha servito innanzitutto gli interessi della patria russa non c'é male. Ma c'é una logica. La vecchia sinistra filosovietica era sempre stata ANCHE patriottarda italiana. Il PCI ha sempre tenuto in gran conto gli interessi (o "il bene") dell'Italia, del Paese, della Nazione, ecc. a meno che non entrasse in rotta di collisione con l'interesse nazionale russo. È una mentalità dura a morire: è la negazione stalinista dell'internazionalismo. Internazionalismo non significa negazione del problema nazionale, al contrario: significa porre le nazionalità su uno stesso piano d'uguaglianza. Quindi i comunisti devono essere contro le nazionalità che opprimono (la Russia, gli USA, l'Italia) e a favore di quelle oppresse (la cecena ad esempio). Significa dunque attaccare la propria "patria", o quella degli altri, se é una patria che opprime, ma difenderla se é oppressa da un'altra nazionalità (dunque difendiamo il carattere nazionale, oltre che classista, della Resistenza, quando l'Italia fu occupata dai tedeschi). In Italia abbiamo avuto il movimento operaio più forte e radicale d'Europa, ma la sinistra che se ne é fatta espressione l'ha appoggiato ideologicamente sulla propria classe dominante o su quella di Paesi lontani. Accettare un vero internazionalismo da parte del movimento operaio italiano avrebbe significato, oltre che appoggiare i movimenti antistalinisti, combattere sul serio la propria borghesia, quindi situarsi CONTRO gli interessi del proprio Paese, cioé dell'Italia come paese imperialista. Quindi una sinistra abituata a togliersi il cappello di fronte alla "patria" si trova in difficoltà quando é attaccata su quel terreno.

Sarebbe un errore se il nostro partito, il PRC, reagisse a questa campagna rinverdendo le vecchie glorie, e riesumando, con tutto il rispetto, fior di cadaveri. Vediamo in giro ad esempio un gran agitare l'icona di Berlinguer. Così ci si inventa una versione difendibile del personaggio (quello anni '80), come se fosse stato in rottura con quella precedente procompromesso storico e prestrappo. No, non é la strada giusta. Noi dobbiamo formare una nuova generazione. Ciò che dobbiamo salvare del passato é la storia delle masse comuniste che si sono battute eroicamente per la giustizia sociale per poi essere spesso tradite dai propri stessi dirigenti, in URSS come in Italia. Non inventiamoci nuovi santini tra i dirigenti del passato.

L'adesione passata di gran parte del movimento operaio allo stalinismo é stato un tragico errore, del quale non dobbiamo certo rendere conto agli editorialisti del Corriere, ma é la dimostrazione che la storia si vendica, che i castelli costruiti sulla menzogna crollano, e le macerie sono destinate a ricadere sulle generazioni che quelle menzogne non hanno contribuito a costruire. Noi dobbiamo lottare anche per affermare la nostra egemonia morale, non la vinceremo cercando di difendere l'indifendibile, ma solo se sapremo mostrare nell'azione e nella parola che il comunismo é un'idea nuova.

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brani di

I PRIGIONIERI DEL PASSATO
UN ESAME DI STORIA, POI GUARDARE AVANTI

14 Ottobre 1999 di Angelo Panebianco pubblicato dal Corriere della Sera

Adesso che la lista del Kgb è stata infine resa pubblica, la domanda è: riusciremo a trarne lo spunto per fare qualcosa di buono per il futuro del nostro Paese, oppure, come è stato fin qui nella nostra tradizione, sprecheremo anche questa occasione, magari per inutili processi sommari ai singoli?

Sprecare l'occasione significa, da parte della destra, usare il dossier per strappare piccoli vantaggi politici immediati e, da parte dei Ds, continuare a non fare i conti fino in fondo con la storia passata, continuare a oscillare fra la rimozione del passato e la sua riscrittura fantasiosa (la favola dei "buoni" comunisti ostacolati, come recita la teoria del doppio Stato, dalle trame congiunte dell'imperialismo americano e della mafia). Un errore clamoroso, quest'ultimo, perché, come si è visto, il passato si vendica, e periodicamente ritorna, con il suo carico di veleni.

Alcuni dirigenti diessini (ma purtroppo non tutti) sembrano avere capito che così, con le furbizie di questo decennio, non si va più da nessuna parte. Poiché un partito che non fa i conti davvero con il proprio passato, se questo passato porta stampata la dicitura "comunista", è un partito condannato a rimanere nel limbo, senza identità, e il suo futuro politico, quali che siano i vantaggi del presente, è irreparabilmente compromesso. Ecco perché sembra che i dirigenti diessini si stiano orientando per una solenne e radicale presa di distanza dal "comunismo", inteso come grande errore, e tragedia, del secolo.

Ecco perché sembra che i dirigenti diessini stiano finalmente maturando l'intenzione di dare un vero seguito alla svolta iniziata da Occhetto dieci anni fa. L'intenzione è lodevole ma destinata a non avere effetti se accompagnata da dichiarazioni e azioni con essa incoerenti. Faccio due esempi. Folena dichiara che la commissione d'inchiesta, se si farà, dovrà indagare, mettendoli sostanzialmente sullo stesso piano, i finanziamenti del Kgb ai comunisti e quelli della Cia ai partiti anticomunisti. Ecco un'altra partenza col piede sbagliato. Già, perché se si ammette che il comunismo è stato un errore assoluto e che è stato un bene che l'Occidente abbia vinto, come si fa a mettere poi sullo stesso piano i finanziamenti sovietici al Pci e quelli della Cia ai partiti "borghesi" dell'epoca? La Cia, infatti, finanziava quei partiti che si opponevano proprio a quel comunismo di cui, vedi caso, il gruppo dirigente diessino oggi dice peste e corna. E allora?

Oppure prendiamo il tentativo in atto di "canonizzare" Berlinguer. Traendo spunto dal contenuto del dossier del Kgb oggi troppi diessini dicono: vedete?, i sovietici tramavano contro di lui, perché egli rese il Pci indipendente da Mosca. Conclusione: Berlinguer può restare una fonte di ispirazione per i diessini. A parte il fatto che il rapporto fra Berlinguer e i sovietici fu assai meno lineare di come i diessini lo dipingono (lo ricostruisce assai bene Fabrizio Rondolino, ex portavoce di D'Alema, su La Stampa di ieri: pur con la sua voglia di emancipazione, Berlinguer fu e rimase fino alla fine prigioniero del sistema sovietico), il punto fondamentale è comunque un altro: canonizzando Berlinguer i diessini restano prigionieri dell'ambiguità, del dire una cosa e poi subito dopo un'altra che è la negazione della prima.

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E' certo che questo Paese ha bisogno di lasciarsi definitivamente alle spalle la contrapposizione fra comunisti e anticomunisti, ma temo che ciò non potrà mai accadere fin quando i diessini continueranno ad intrattenere con il loro passato comunista un rapporto così ambiguo. Il giorno in cui ciò finirà, non solo i diessini potranno finalmente darsi una identità (che oggi non hanno), ma tutti noi italiani potremo guardare, per la prima volta, con serenità al passato. Che è stato quello di un teatro di conflitto fra due blocchi politico-militari, che erano però anche rappresentativi di due visioni del mondo, di modi antitetici di pensare l'organizzazione della politica, dell'economia e della cultura. In quel gigantesco scontro non c'era spazio per la neutralità e difatti gli italiani si divisero: ciascuno si scelse liberamente gli dei (o i demoni) per i quali combattere. E alla fine la vittoria arrise all'Occidente, ai cui valori gli sconfitti di allora da tempo rendono omaggio, un omaggio accompagnato però da troppe riserve e da troppi distinguo. Non è ora di finirla?

Contemplando le attuali polemiche sorrido del fatto che, un paio di settimane fa, dalle colonne dell'Unità, uno storico di sinistra, Giovanni De Luna, mi ha rimbrottato per avere io sostenuto su questo giornale (il 28 settembre) la seguente tesi: poiché il Paese resta diviso fra due Italie, l'una che durante la guerra fredda è stata comunista (e simpatizzante) e l'altra anticomunista, tuttora impegnate a rovesciarsi reciprocamente addosso feroci accuse di gangsterismo politico (Kgb contro P2, e simili), c'è il serio rischio che la decisione del ministro Berlinguer di fare irrompere anche la storia degli anni più recenti nei programmi delle scuole, si risolva in un disastro educativo, in un insieme di operazioni politico-propagandistiche di un'Italia contro l'altra. E il fatto che, al momento, la sinistra calcoli di esserne avvantaggiata poiché ci sono in giro più manuali scolastici di storia contemporanea scritti da autori con una formazione di sinistra (ne ho sfogliati parecchi, e so che è così), non riduce, anzi aggrava, le probabilità del disastro educativo. Le aggrava perché trasmette ad alunni incolpevoli la schizofrenia politica di una sinistra che, da un lato, dichiara di non avere più nulla a che fare con il comunismo d'antan e, dall'altro, conserva, nei confronti di quel comunismo, come risulta dalle ricostruzioni che essa fa della guerra fredda, un atteggiamento assolutorio e giustificazionista.

Ecco, io penso che l'anticomunismo finirà quando saremo tutti d'accordo nel dirci (e anche nello scrivere nei libri di scuola) che, non solo chi stava con i sovietici, ma anche chi pensava che la proprietà privata fosse simile al peccato originale, era un nemico della libertà. Un nemico della libertà che, fortunatamente, abbiamo sconfitto. A quel punto, non ci saranno più dossier in grado di sconvolgere la nostra vita democratica.