La parabola dei radicali:
dai diritti negati alla negazione delle libertà ... dei lavoratori.
Considerazioni sul PR a partire dai referendum
promossi da questo partito. Di Loris Brioschi. Ottobre 1999.
Sogni e realtà.
La sinistra, quando si parla dei Radicali, pare identica ad una satira di un programma televisivo di qualche anno fa, quella del compagno addormentato, che risvegliandosi vent'anni dopo, rammenta solo gli avvenimenti del periodo precedente. Il popolo della sinistra evidentemente rammenta più facilmente le cose positive: le battaglie per i diritti civili, il divorzio, l'aborto, le campagne referendarie, i digiuni, l'antiproibizionismo, la difesa dei cittadini deboli dalle istituzioni. Per questo i Radicali, hanno goduto e godono di una rendita di posizione, per questo il popolo di sinistra ha mantenuto un occhio benevolo verso i logorroici sproloqui del Pannella e le amorose letterine spedite nelle nostre case dalla "presidentessa" Bonino.
Occorre che si svegli dal sogno e tocchi con mano la dura realtà: la cosiddetta alternativa liberale dei radicali altro non produce, nel mondo del lavoro, che una darwiniana libertà del più forte. E in questa fase storica, stante gli attuali rapporti di forza tra lavoratori e padroni vuol dire solo flessibilizzazione, licenziamenti, vita precaria ed annullamento del già scarso rivendicazionismo sindacale.
Non a caso, gli
estimatori più sfegatati dei quesiti referendari economici dei radicali
sono Confindustria, padronato e commercianti. Del resto è da quella parte
che è venuto il sostegno economico alla costosissima campagna referendaria,
giungendo al reclutamento di lavoratori interinali per i banchetti medesimi.
Sul "Wall Street Journal", giornale non certo dalla parte dei lavoratori,
lo scorso 5 settembre si leggeva: "Nel prossimo futuro forse l'unica possibilità
dell'Italia di liberalizzare consiste nei diversi referendum promossi da organizzazioni
come il Partito Radicale che vuole un voto sull'apertura dei mercati del lavoro
e una riforma del welfare state. Contrariamente alle speranze di molti italiani,
essere stati ammessi al club euro non ha rappresentato di per sé un modo
per risolvere i problemi fondamentali del paese". Traduzione: se l'Italia
vuole stare in Europa flessibilizzi il lavoro, tagli le pensioni e le spese
sociali. I referendum radicali sono propedeutici, culturalmente e praticamente
al raggiungimento di questi risultati.
Ma che cos'è l'alternativa liberale ?
Facciamo parlare
gli stessi radicali. Il 24 settembre scorso la Bonino partecipa ad un convegno
dei padroni ravennati e tra l'altro dice: "In particolare, i referendum
economici su libertà di lavoro e di impresa e fisco, hanno per obiettivo
di realizzare un quadro di regole economiche e sul lavoro indispensabile per
la creazione di nuovi posti, il rilancio degli investimenti e la crescita economica
in un mercato europeo e mondiale sempre più aperto e integrato. Ad esempio,
la flessibilità ottenuta attraverso i referendum sarebbe non discrezionale
e arbitraria ma regolata, restituita alla disponibilità dei diritti del
lavoratore e del datore di lavoro e alla loro libertà contrattuale. Così
come la piena e non burocratica liberalizzazione del collocamento, ben lungi
dal costituire un assurdo ritorno al caporalato, mira a creare un mercato di
servizi e informazioni più efficiente facilitando enormemente l'incontro
tra domanda e offerta di lavoro. La riduzione delle pensioni d'anzianità
tramite l'innalzamento a 57 anni di età o a 40 anni di contributi i requisiti
minimi senza toccare i diritti acquisiti consentirebbe di eliminare un ingiustizia
palese e insostenibile per i nostri conti pubblici. Anche così questi
requisiti resterebbero tra più generosi in Europa"... Traduzione
liberalizziamo tutto, vinca il migliore e il mercato globalizzato. Ci stupiamo
se destra e padronato applaudono a scena aperta. Dovremmo stupirci perchè
tanti lavoratori li hanno firmati questi referendum! Ed incominciare a capire
che la colpa è anche dell'atteggiamento passivo tenuto dalla sinistra.
Quale controinformazione è stata fatta? E i vari sindacati come si sono
mossi? In realtà salvo poche iniziative fatte dalle RSU e dai sindacati
alternativi e qualche isolato discorso di pezzi della sinistra rivoluzionaria,
i lavoratori e la società democratica nel suo complesso sono rimasti
a guardare una vicenda di cui pensiano ancora oggi non sia stata valutata completamente
la portata negativa.
I referendum radicali sono, anche se mimetizzati, il "piede di porco"
utilizzato dai padroni per scassinare definitivamente i già precari diritti
dei lavoratori.
Cosa sono e a cosa mirano i referendum economici dei radicali ?
Vediamo i quesiti piu importanti, affinché tutti abbiano a disposizione gli strumenti per replicare ai radical-liberali:
SULLA LIBERTA DI LICENZIAMENTO
Con il referendum
n. 14 i radicali vogliono abrogare, fermo restando il risarcimento patrimoniale
la riassunzione obbligatoria e forzosa nei licenziamenti individuali, non viziati
da motivo illecito o discriminatorio, vincolo disincentivante alla creazione
di nuovi posti di lavoro.
Il referendum (n.14) ha come obiettivo "la rimozione della materiale
impossibilità di licenziare nelle imprese con più di 15 dipendenti".
La "materiale impossibilità" secondo i radicali consiste nel
fatto che l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (che il referendum propone
di abolire) prevede che "in caso di licenziamento il giudice può
decretare la reintegrazione, annullando il provvedimento di licenziamento e
tutte le sue conseguenze, senza tener conto del fatto che con il licenziamento
diviene chiara la rottura di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore, fattore
determinante per la vita delle imprese di minori dimensioni".
Dunque, da un lato non è impossibile licenziare (purché vi
sia preavviso e giusta causa) dall'altro è giusto sanzionare i licenziamenti
illegittimi. Inoltre il problema che i radicali sollevano, quello del rapporto
fiduciario, sono loro stessi ad ammettere che si pone solo fino a certe dimensioni
(fissate oggi dalla legge in 15 dipendenti). Il successo del referendum, invece,
determinerebbe "per tutte le imprese [indipendentemente dalla soglia
dimensionale] il regime vigente per quelle che non superano i 15 dipendenti,
per le quali la "sanzione" prevista per il datore di lavoro consiste
nella riassunzione (comunque meno onerosa del reintegro) o, in alternativa,
nella corresponsione di una indennità monetaria pari a 2,5-6 volte la
retribuzione mensile".
Dunque è chiaro che, al di là del fatto che "è chiaro
che il referendum intende aprire uno scontro" e che "è altrettanto
chiaro che, successivamente, il legislatore dovrebbe intervenire" e che
"per le grandi imprese con centinaia o migliaia di dipendenti potrebbe
ancora essere concepibile una normativa simile a quella attuale", rientra
nella piena libertà di iniziativa politica dei radicali di Pannella-Bonino
aprire uno scontro con l'obiettivo di colpire i lavoratori nel nostro paese,
purché sia chiaro quali conseguenze avrebbe per la libertà del
lavoro e della impresa l'approvazione dei loro referendum: cancellare lo stato
di diritto nei rapporti di lavoro; strizzare l'occhio all'Italia della illegalità
e della sopraffazione.
SULLA PRECARIZZAZIONE E FLESSIBILITA'
Con il n. 7
i radicali vogliono liberalizzare il collocamento privato, facilitando l'incontro
fra la domanda e l'offerta di lavoro.
Il referendum (n.7) propone "l'abolizione degli assurdi vincoli previsti
dalla legislazione vigente" che rendono "quasi impossibile aprire
e gestire una agenzia di collocamento del tipo, per fare un esempio, di quelle
inglesi" e impediscono "un vero sviluppo del mercato e della concorrenza,
per favorire ancora una volta il collocamento pubblico, burocratico, costoso
e pressoché inutile". Il referendum dovrebbe invece "consentire
l'apertura di centinaia di agenzie private efficienti ed in grado di favorire
l'incontro tra chi cerca e chi offre lavoro, tra l'altro, abolendo il vincolo
di "esclusività" dell'attività di collocamento"
(si riferiscono al vincolo che impedisce alle agenzie di collocamento, ad esempio,
di fare anche formazione professionale).
In cosa consiste il presunto "assurdo vincolo di legge" che si vorrebbe
abolire? Nel fatto che, per svolgere l'attività di mediazione tra domanda
e offerta di lavoro, oltre ad essere necessaria una autorizzazione del Ministero
nonché un capitale versato dalle agenzie non inferiore a 200 milioni
di lire devono :
- avere quale oggetto sociale esclusivo l'attività di mediazione tra
domanda e offerta di lavoro; questa condizione è una elementare cautela
per evitare che un'attività con queste caratteristiche sia svolta da
chi non ha la necessaria competenza o da chi la usa come tramite per altri "business"
(tipico per l'appunto il caso citato dai radicali della formazione);
- disporre di uffici idonei nonché di operatori (con particolare riguardo
a amministratori e dirigenti) con competenze professionali idonee (come si può
considerare questa condizione un vincolo assurdo?);
- astenersi dal richiedere qualunque compenso ai disoccupati che cercano lavoro
in quanto la legge in vigore impone che l'attività di mediazione sia
esercitata a titolo gratuito nei confronti dei prestatori di lavoro; in altre
parole il lucro deve venire da chi cerca manodopera e non sulla pelle di chi
cerca lavoro!
E' del tutto chiaro che al fondo della deregolamentazione che sarebbe provocata
dal referendum c'è solo l'idea di tornare al caporalato, allo sfruttamento
del disoccupato e alla sua ricattabilità senza più argini di sorta.
Senza uffici idonei, senza personale qualificato, con il costo a carico dei
disoccupati si sfrutterebbe il bisogno dei senza-lavoro. Inoltre si potrebbero
aprire spazi per la presenza di forme illegali di attività.
Con il n. 9
i radicali vogliono liberalizzare i contratti di lavoro a termine.
Si chiede l'abolizione dei vincoli alla stipula di contratti di lavoro a
tempo determinato che, secondo la loro propaganda "limitano le possibilità
di trovare un'occupazione temporanea o di durata incerta".
La legge attuale considera a tempo indeterminato ogni contratto di durata superiore
ai sei mesi. Questo non significa che non possa essere rescisso da parte del
datore di lavoro. Significa però che per rescinderlo (cioè per
licenziare il lavoratore) il datore di lavoro deve avere una giusta causa. Questo
è il vero obiettivo del referendum: dare la possibilità di licenziare
a piacimento. Con la liberalizzazione del tempo determinato si elimina perfino
l'onere del preavviso. In Spagna (paese citato dai radicali nella loro propaganda
come magnifico esempio positivo) dove il tempo determinato è stato in
effetti liberalizzato e dove c'è il più alto tasso di disoccupazione
tra tutti i paesi OCSE, la durata media dei contratti a tempo determinato è
attualmente di 3 giorni.
Il referendum contesta poi il fatto che "il contratto a tempo determinato,
che instaura un rapporto di lavoro destinato ad esaurirsi al termine di un periodo
di tempo prefissato, sia ammesso dalla legge solo come eccezione rispetto a
quello a tempo indeterminato". Questo principio è però stato
sancito recentemente da un accordo tra tutti i sindacati dei lavoratori e quelli
dei datori di lavoro dell'Unione Europea, che afferma testualmente che "il
contratto a tempo indeterminato è quello che risponde meglio alle esigenze
sia dei lavoratori che delle imprese".
La verità è che il tempo determinato è già previsto
e regolamentato dalle nostre leggi. L'intento dei referendum è quello
di deregolamentarlo per farne uno strumento di ricatto verso i lavoratori in
quanto cancellerebbe qualsiasi diritto a vedere riconosciuto il contratto di
lavoro come un contratto a tutti gli effetti, tra soggetti con pari dignità
e pari diritti.
Con il referendum
n. 13 i radicali vogliono liberalizzare i contratti di lavoro a tempo parziale.
Il referendum (n.13) ha come obiettivo la "abolizione di alcuni dei
principali ostacoli alla diffusione del lavoro part time in Italia, fino ad
oggi osteggiato anche e soprattutto da parte del sindacato".
In realtà il sindacato ha stipulato un gran numero di accordi, in sede
confederale, sia europea che nazionale, oltre che nei contratti collettivi di
categoria, nazionali e aziendali, per favorire il ricorso al part-time oggi
ancora a un livello di utilizzo molto basso in confronto ai paesi industrialmente
avanzati (il dato, citato dai radicali nel materiale di propaganda, del "6,4%
del totale degli occupati, contro il 15,6% della Francia, il 16,3% della Germania,
il 18% degli USA ed il 35,6% dell'Olanda" è ripreso dal Piano
per l'Occupazione del 1999 che, giunto al termine di un approfondito confronto
con i sindacati, pone un obiettivo realistico di "accrescere l'occupazione
di 100.000 unità attraverso il lavoro part-time portando a fine 1999
il peso del part-time sul totale dell'occupazione intorno all'8%" senza
tuttavia smantellare le tutele fondamentali che i referendum vorrebbero abolire.
A rafforzare ulteriormente l'efficacia delle norme in vigore sono anche previsti
incentivi contributivi e fiscali per chi adotta regimi di orario part-time per
i nuovi occupati o come trasformazione dei posti esistenti.
Contrariamente a quanto sostengono i radicali, dunque, se anche fosse vero che
"milioni di persone opterebbero per un lavoro part time (lasciando
così "spazio" per altri lavoratori anch'essi part time)"
ciò che oggi lo impedisce non è certo "la normativa che
prevede vincoli eccessivi e disincentivanti" quanto piuttosto
la scarsa propensione di una parte dei datori di lavoro che vorrebbero pagare
come part-time una disponibilità a pieno tempo, ciò che oggi leggi
e contratti non consentono, in quanto il part-time deve permettere una corrispondente
libertà di utilizzare il tempo restante, per un altro lavoro part-time
o per lavori di cura, o domestici o per un tempo libero effettivamente degno
di questo nome.
Con il referendum
n. 18 i radicali vogliono liberalizzare i contratti di lavoro a domicilio.
Il referendum (n.18) proposto dai radicali per liberalizzare i contratti
di lavoro a domicilio ha come obiettivo la loro completa liberalizzazione in
nome della "evoluzione delle tecnologie e dell'organizzazione produttiva,
e in particolare gli enormi progressi nell'utilizzo dei sistemi informatici
e delle reti telematiche" che rendono "la legislazione vincolistica
sul lavoro a domicilio non solo superata, ma addirittura deleteria per una più
flessibile ed efficiente organizzazione del lavoro e per una migliore qualità
della vita di tanti lavoratori".
Il lavoro a domicilio oggi non è affatto vietato ma regolamentato. E'
già in discussione in Parlamento un disegno di legge sul "telelavoro"
che punta a adeguare meglio le regole attuali alle nuove caratteristiche dello
sviluppo tecnologico tenendo conto delle forme, sempre più diffuse, di
lavoro fuori dalla fabbrica e dall'ufficio (ma non necessariamente solo a domicilio:
si pensi ai "call center", luoghi talvolta peggiori delle peggiori
catene di montaggio).
E' evidente a chiunque la differenza tra sostituire una regolamentazione inadeguata
(con un'altra più adeguata) e abrogarla del tutto. Tanto che i promotori
dei referendum si sono sentiti in dovere di chiarire che vi è pur sempre
un vincolo che non intendono abolire, e cioè "il divieto di svolgere
a domicilio attività che comportino l'impiego di sostanze o materiali
nocivi o pericolosi per la salute o l'incolumità del lavoratore e dei
suoi familiari". Dunque non deve esserci altro vincolo che questo: e se,
anziché impiegare sostanze o materiali nocivi o pericolosi, fossero inadeguate
le postazioni lavorative? E se il lavoratore (dipendente, si badi, perché
è di questo caso che si parla) fosse obbligato a procurarsi da solo gli
strumenti di lavoro? E se fosse sottoposto a controllo, 24 ore su 24? E se si
facesse aiutare da figli minori di 14 anni? E' chiaro quanto sia importante
la casistica delle regole necessarie che con il referendum scomparirebbe lasciando
campo libero ad ogni sopruso e ogni abuso.
SULLA PREVIDENZA E CONTRIBUTI
Con il n. 4
i radicali vogliono abolire l'obbligo di stipulare l'assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro con l'INAIL, lasciando la possibilità di scegliere,
in alternativa, un'assicurazione privata.
L'abrogazione dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro
e le malattie professionali ci riporterebbe indietro di cento anni, quando i
lavoratori erano costretti a intentare cause lunghissime e dall'esito incerto
per ottenere giustizia dopo aver subìto un infortunio o essere stati
colpiti da malattie professionali. Cause che vincevano quasi sempre i datori
di lavoro. Per questo alla fine del secolo scorso si impose la grande conquista
sociale della assicurazione, oggi gestita dall'Inail, in base alla quale i lavoratori
e le loro famiglie hanno automaticamente diritto, oltre all'assistenza sanitaria
necessaria, all'indennizzo da parte dell'istituto assicuratore.
Se passasse il referendum numero 4 i lavoratori perderebbero questa tutela e
sarebbero costretti a rivolgersi alle compagnie di assicurazione private, che
non potrebbero mai garantire:
- l'automaticità delle prestazioni (anche quando l'azienda non ha versato
i premi);
- la ripartizione del rischio su una grande massa di assicurati (datori di lavoro)
- l'assoluta mancanza di fini di lucro, che consentono all'Inail di praticare
tassi di premio contenuti che, viceversa, sarebbero da 4 a 10 volte più
onerosi con una compagnia privata.
Con il n. 10
i radicali vogliono abolire il finanziamento pubblico dei patronati.
Anche se probabilmente i milioni di italiani che si recano annualmente agli
uffici dei patronati (oltre il 70% delle persone che si rivolgono all'Inps preferiscono
farlo attraverso gli istituti di patronato), basterebbero da soli a rispondere
al quesito radicale, vogliamo fare un discorso particolare su questo referendum
che taglierebbe i finanziamenti pubblici ai patronati sindacali, strutture che
oggi offrono servizi come la dichiarazione dei redditi, o il controllo dei versamenti
Inps.
Questi finanziamenti hanno contribuito sicuramente, alla burocratizzazione del
sindacato, sia per motivi economici (dipendenza dai soldi pubblici), sia perché
orientano sempre di più la struttura sindacale, a partire dai delegati,
a compiti di servizio distogliendoli dal compito di organizzare i lavoratori.
Tuttavia, è decisivo il contesto in cui è presentato il referendum.
I radicali puntano a strumentalizzare la sfiducia dei lavoratori verso l'apparato
sindacale per poter nascondere il vero contenuto dei loro referendum, che come
abbiamo visto rappresentano un vera e propria controriforma dei diritti.
Non bisogna però affatto chiudere gli occhi sul funzionamento burocratico
del sindacato, e neppure sugli abusi che possono verificarsi in settori come
i patronati che sono sottratti a un reale controllo degli iscritti e dei lavoratori.
Non basta dire che è sbagliato che il sindacato dipenda finanziariamente
dallo Stato. Questo è uno dei tanti aspetti della crisi e della involuzione
dei sindacati in questi anni, ma l'unico modo per combatterlo è quello
della presenza cosciente dei lavoratori mobilitati su una battaglia per la democrazia
interna e contro la concertazione. Questa battaglia non può avere niente
in comune con dei referendum che dietro alla demagogia sul finanziamento a Cgil-Cisl-Uil
nasconde il suo vero obiettivo che è quello di distruggere il sindacato
nel suo insieme, facendo un favore al padronato.
Con il referendum
n. 11 i radicali vogliono lasciare ai cittadini la libertà di scegliere
un'assicurazione privata in alternativa al servizio sanitario nazionale, fermo
restando l'obbligo di assicurazione.
Il referendum n.11, ha due obiettivi:
1. quello di finalizzare l'assicurazione obbligatoria non più
al Servizio sanitario nazionale, ma al sistema assicurativo privato, abrogando
anche l'estensione dell'assicurazione ai familiari dei cittadini soggetti alla
dichiarazione Irpef
2. quello di togliere qualsiasi riferimento a caratteristiche integrative delle
prestazioni assicurative rispetto al Servizio stesso, prevedendone la loro completa
sostitutività.
Attualmente il decreto-legge di "razionalizzazione del Servizio sanitario
nazionale", ferma restando la normativa che assicura con il Servizio sanitario
nazionale tutti i cittadini italiani, con lo scopo di garantire comunque e a
tutti l'accesso alle prestazioni sanitarie, prevede che si possano istituire
fondi integrativi, in ogni caso utilizzabili anche per:
- pagare il ticket delle varie prestazioni (ritorno economico dell'investimento
assicurativo)
- ricorrere a prestazioni specialistiche libero-professionali presso strutture
pubbliche e private che lavorino anche per il Ssn (caratteristiche di alternativa
alle prestazioni in regime di ticket)
- godere di facilitazioni fiscali.
Risulta quindi evidente che questo referendum si risolve in un "favore"
alle compagnie private di assicurazione, perché non viene abolita
l'obbligatorietà di per sé, bensì solo la parte della legge
che ne prevede la copertura pubblica a carico del Ssn.
Così i singoli cittadini - anche tramite i loro datori di lavoro, purché
li abbiano - sarebbero liberi di assicurarsi obbligatoriamente
con un'assicurazione privata per tutelarsi contro il rischio di malattia o infortunio.
Le considerazioni da fare, in relazione al diritto dei cittadini di poter contare
su un servizio sanitario in caso di bisogno e a prescindere dalla loro condizione
sociale e culturale, sono:
- le Assicurazioni assicurano sulla base del criterio di selezione dei rischi:
chi più è a rischio, più paga. Sono a maggior
rischio le persone che hanno meno lavoro, meno cultura, meno benessere.
- le imprese che assicurano meglio i propri dipendenti (in caso di polizze
collettive) sono quelle più grandi e più ricche. Vale in ogni
caso la proporzionalità del benefit offerto al dipendente, che corrisponde
alla capacità contributiva individuale, legata a sua volta alla scala
parametrale e professionale.
- abrogare l'estensione ai familiari del detentore di dichiarazione Irpef significa
poter contrattare le tariffe da parte della Compagnia assicuratrice a seconda
delle inclusioni che l'assicurato chiede debbano contenere.
Perciò, il quesito è' strumentale, perché fa leva sulle
corde sensibili della soggettività con l'idea che, individualmente si
possano meglio gestire le proprie risorse in funzione della salute. E' conservatore,
nel mantenere le disuguaglianze di accesso ai servizi sanitari pubblici e privati,
sulla base -di fatto- delle possibilità economiche e della classe sociale
dei cittadini.
Qualche riflessione
E' evidente che questa vicenda è uno specchio della situazione in cui versa la sinistra, di governo, la quale le "cose di sinistra" non riesce neppure a pensarle, figuriamoci a farle. Basti ricordare le dichiarazioni di D'Alema sulla fine del "posto fisso".
Anche la sinistra d'opposizione, principalmente il PRC, non esce dalla politica del pendolo, dove il dualismo opposizione-governo finisce per paralizzare la sua azione senza che i lavoratori, riescano a percepirla come un utile strumento (e i risultati elettorali parlano da soli) per la difesa dei loro diritti.
Ma è soprattutto
la modificazione della natura del "sindacato storico" che è
passato da un sindacato rivendicativo conflittuale ad un sindacato concertazionista
il punto da cui partire. Siamo in presenza di un "Ministero delle Partecipazioni
Sindacali", che ha retto però fin'ora però al tentativo di
scalzare la sua leadership tentata da parte dei sindacati alternativi. Per la
sinistra, che vuole cambiare la società, sciogliere il nodo della ricostruzione
di un sindacato di classe, altermativo e progettuale, rimane l'obiettivo da
perseguire.