Quando la partita è truccata astenersi non è... reato.
Proposta d'astensione per i referendum antisociali. Di Loris Brioschi. Maggio 2000.


I referendum radicali sono antisociali e antidemocratici e vanno battuti. Bisogna sconfiggerli non andandoli a votare e facendo mancare il quorum necessario. Una parte dei referendum antisociali fu cancellata dalla Corte Costituzionale ma resta tutta intera la pericolosità di ciò che è rimasto.
Non a caso i referendum radicali uniscono un attacco durissimo ai diritti, ancora sopravvissuti del lavoro, (il diritto ad essere reintegrati nel proprio posto in caso di licenziamento avvenuto senza giusta causa) e insieme, alle possibilità di essere rappresentati, con la quota proporzionale della legge elettorale, nelle istituzioni democratiche parlamentari da parte del mondo del lavoro.

Si tratta, infatti, di referendum che mentre colpiscono una tutela essenziale del lavoro cercano di cancellare dal Parlamento chi più di ogni altro lotta per difendere ed estendere i diritti dei lavoratori. L'assetto democratico proporzionale ha consentito l'espressione di bisogni e conflitti che hanno permesso il raggiungimento di diritti sociali importanti.
La cancellazione delle diversità, l'omologazione politica imposta va di pari passo con la cancellazione delle conquiste sociali e del lavoro messe in discussione dall'affermarsi violento del pensiero unico del mercato.

Solo i liberisti filoconfindustriali possono contrabbandare la strage di diritti e di persone per misure utili al lavoro e alla libertà dei cittadini.
E infatti Confindustria si schiera e insieme a lei la destra, e particolarmente AN.

Ciò che c'è dietro il referendum sui licenziamenti è l'idea iperliberista, sbagliata e inaccettabile che sarebbero forme di tutela del lavoro a rendere più difficile l'aumento dell'occupazione. La realtà ci insegna, al contrario, che a mano a mano che si sono ridotte le tutele non è cresciuta l'occupazione ma la sostituzione di lavoro stabile con lavoro precario, ferma rimanendo la massa enorme dei disoccupati. Così si consegnano i lavoratori all'arbitrio padronale e nient'altro. Tutto ciò che è avvenuto in questi ultimi due decenni conferma come la furia iperliberista che sta alla base di questo referendum non serve ad altro che a incentivare politiche che hanno determinato precarietà del lavoro, riduzione dei salari, compressione dello stato sociale senza per questo creare né più lavoro né più sviluppo.

I lavoratori hanno perso almeno 100 mila miliardi di reddito (il 10% circa del P.I.L.) ma sono cresciuti i profitti e la disoccupazione che è salita dell'8 al 12%.
Il lavoro "flessibile" aumenta e ormai la grande maggioranza dei nuovi contratti è precario, ma questo lavoro sostituisce quello stabile e non aumenta gli occupati.
Si è tagliato lo stato sociale (sanità e pensioni) rendendo i cittadini meno tutelati, facendo crescere la povertà, lasciando il paese agli ultimi posti per la spesa sociale (-4% sulla media europea) ma non si è creato nuovo sviluppo. Tanti soldi alle imprese ma l'economia ristagna e l'occupazione pure.
Le ricette liberiste hanno fallito. L'Europa di Maastricht è piena di disoccupati.
La stessa America conosce grandi sofferenze sociali come il lavoro povero, l'assenza di assistenza sanitaria per 40 milioni di persone, due milioni di carcerati.

Questi referendum svelano il vero obiettivo del liberismo: stravolgere ogni diritto. È il momento dunque di lottare contro questa aggressione e di tornare a battersi non solo per difendersi ma per conquistare anzi nuovi diritti fondamentali: al lavoro, alla tutela sociale, alla democrazia.

Vediamoli da vicino. Più li conosciamo e più vogliamo far saltare il quorum per batterli.

1) Referendum sulla disciplina dei licenziamenti.
Cioè libertà di licenziare senza giusta causa. Viene chiesta l'abrogazione dell'art. 18 della legge 300 del 970 (statuto dei lavoratori), così come modificato dalla legge 108 del maggio '90. Questo articolo obbliga alla riassunzione in caso di licenziamento illegittimo.
I radicali sostengono che rimarrebbero gli indennizzi pecuniari ma ciò è assai discutibile in quanto è l'art. 18 (cioè quello che i referendum vorrebbero cancellare) che fa da riferimento per gli altri dettati di legge e che concentra in sé tutta la tutela (reintegro e indennizzo) e altri dispositivi come la legge 108/990 potrebbero lasciare il risarcimento solo alle aziende fino a 60 dipendenti.
Ma aldilà di ciò, la libertà di licenziare a proprio piacimento senza cioè giuste ragioni, significherebbe consegnare tutto il potere al datore di lavoro, che si verrebbe così a trovare in una condizione di totale predominio.
Ed è particolarmente odioso pensare a come si potrebbero esercitare su soggetti deboli prepotenze e discriminazioni che, se anche riscontrate, non porterebbero al reintegro nel lavoro. Si pensi che secondo l'ISTAT i lavoratori reintegrati nel posto di lavoro a seguito di decreto del giudice sono stati nel 1997 (ultimi dati disponibili) 5.746, cifra in difetto in quanto a detta dell'ISTAT i dati del distretto di Roma non sono completi.
Sostenere che liberalizzare i licenziamenti significa rendere più facili le assunzioni è contro ogni evidenza come dimostra il fatto che dove c'è più lavoro precario, cioè licenziabile, c'è più disoccupazione (come nel Sud d'Italia).

2) Referendum sull'abolizione trattenuta alLa fonte da INPS e INAIL a favore di associazioni sindacali e di categoria.
È l'abrogazione della legge n° 311 del giugno '73 e successive modificazioni. Nei fatti la questione delle trattenute è risolta nei contratti anche dopo il precedente referendum.
È un referendum simbolo contro i sindacati che pure devono ripensare il loro rapporto con gli iscritti.

3) Referendum sull'abrogazione della quota proporzionale.
Significa cancellare definitivamente un pezzo rilevantissimo della democrazia nel nostro Paese!
Abolizione di numerosi articoli del DPR 30 marzo '57 n° 361 così come modificato in particolare dalla legge 4 agosto '93 n° 277 e dal D.L. gvo 20 dicembre '93 n° 534.
La legge elettorale della Camera attuale seguita al referendum antiproporzionale di qualche anno fa, ha una quota proporzionale del 25%. Con la sua abrogazione si avrebbe l'eliminazione sostanzialmente del pluralismo politico e in particolare delle forze che per la loro diversità non si omologano alla concorrenza tra i poli.
Per di più il risultato del referendum farebbe si che il 25% verrebbe distribuito tra i secondi arrivati, rendendo del tutto arbitrario il risultato finale e persino contraddittorio rispetto alla logica dei confronti uninominali in quanto ripescherebbe anche gli sconfitti.
In questi anni abbiamo misurato tutti i danni del maggioritario. Altro che stabilità: si è impoverita la democrazia, si è alimentata l'astensione, si sono omologate le forze politiche, è dilagato il trasformismo, si è moltiplicata la frammentazione con il proliferare di aggregazioni senza identità.
Il potere di interdizione dei piccoli gruppi risulta moltiplicato proprio dalla logica maggioritaria che li rende indispensabili per vincere e ne accresce la capacità di condizionamento, tanto più quanto c'è una sostanziale omologazione nei programmi.
Il rilancio della logica maggioritaria ha solo il senso dunque di impoverire ulteriormente la democrazia cercando di porre fuori gioco le forze alternative come il PRC.
Escludere le forze alternative è indispensabile per perseguire le controriforme sociali degli altri referendum.

4) Referendum sull'abolizione della nuova legge sul finanziamento pubblico.
Ovvero come lasciar fare la politica solo ai ricchi.
Si tratta dell'abrogazione della legge 3 giugno '99 n° 157.
Questa legge consente un rimborso elettorale alle forze politiche che si presentano alle elezioni, rimborso rapportato al numero dei voti percepiti.
L'attacco demagogico e qualunquistico al finanziamento della politica copre in realtà la volontà di rendere la politica stessa appannaggio esclusivo di chi può permettersela: lobbies, portatori di poteri forti, partiti-azienda.
È l'americanizzazione della politica che esclude le masse, gli antagonisti, i soggetti più deboli.
Dalle stesse elezioni vengono sempre più esclusi ad esempio, i lavoratori.
In tal modo non si esce da tangentopoli, che fu sostanzialmente la realizzazione di un blocco di potere tra interessi economici e determinati partiti, ma si sancisce la prevalenza degli interessi economici stessi sui partiti e la politica.

5) Referendum sugli incarichi extragiudiziali
Riguarda cose che hanno caratteristiche diverse. Si può essere contrari agli incarichi ai magistrati per gli arbitrati perché fonte di notevole lucro e di pericolosi collegamenti con settori amministrativi ed economici. Diverso è però privare il ministero di Grazia e Giustizia, la Corte Costituzionale della collaborazione dei magistrati.

6) Referendum sulla distinzione delle funzioni dei magistrati
Il referendum non tende, come è stato erroneamente affermato, alla separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti (tant'è che la Corte Costituzionale ha " bacchettato" nella sentenza di ammissibilità del quesito la Corte di Cassazione per aver imposto al referendum un titolo eccedente la sua portata oggettiva). Piuttosto, mira ad impedire il passaggio da una funzione all'altra in alcune circostanze; in particolare, in occasione dei trasferimenti dei magistrati su loro richiesta e, nel caso di ricollocamento in ruolo di magistrati precedentemente distaccati presso il Ministero della Giustizia.
Il referendum non riguarda le altre, numerose, norme che regolano i criteri di assegnazione di funzioni ed in alcuni casi il passaggio dei magistrati da una funzione all'altra, che sono sparse in diverse leggi. Paradossalmente, però, in caso di successo del quesito si determinerà un effetto boomerang per i promotori; vale a dire, che l'eventuale caducazione delle norme oggetto del referendum faciliterà il passaggio indiscriminato e senza controllo dei magistrati da una funzione all'altra, nei casi previsti dalle altre disposizioni non toccate dal referendum e, probabilmente ­ a causa del "buco" legislativo derivante ­ anche nei casi di passaggio di funzioni all'interno della stessa sede giudiziaria (una delle norme di cui si richiede l'abrogazione è quella che prevede, in caso di passaggio dall'una all'altra funzione, il controllo della sussistenza delle attitudini alla nuova funzione da parte del C.S.M.). Completamente irrisolto sarebbe, dunque, il problema dell'eccessiva "promiscuità" dei magistrati quanto al disinvolto passaggio da una funzione all'altra; anzi, la questione sarebbe destinata a peggiorare.

7) Referendum sul sistema elettorale della componente togata del CSM
Le elezioni della componente togata del C.S.M. si svolgono in un collegio nazionale ed in quattro collegi territoriali. Nel collegio nazionale si esprime un voto per uno solo dei candidati; nei collegi territoriali si vota su liste contrapposte ed il voto è quello di lista con una eventuale preferenza; i seggi vengono ripartiti con metodo proporzionale. Il referendum punta ad abolire la possibilità di esprimere il voto di lista nei quattro collegi territoriali, la ripartizione proporzionale dei seggi e le modalità di sostituzione in caso di cessazione della carica prima della scadenza del consiglio. In caso di vittoria del referendum, si voterebbe per i singoli candidati, senza liste, con preferenza unica, ed i seggi verrebbero attribuiti in base ai voti riportati da ogni singolo candidato. Si tratta di un sistema elettorale uninominale in cui diventa preminente la scelta della persona da eleggere. Le sedi giudiziarie maggiori (Milano, Roma, Napoli) potrebbero essere favorite nell'eleggere propri esponenti a discapito di altre sedi giudiziarie minori. D'altro canto il C.S.M. quale organo costituzionale non ha la funzione di garantire equilibri politici, di talché un sistema elettorale basato sulla scelta delle persone potrebbe essere giustificato.

Non è un mistero che nella sinistra, sul referendum più odioso quello dell'art.18, a sinistra c'è un molto dibattito sulla necessità politica (espressa dall'appello dei sindacalisti) che su questo referendum ci sia oltre alla mancanza del quorum, una "valanga di NO".

Non c'è più il tempo necessario per trovare una posizione unitaria, e l'auspicio è che i compagni comprendano anche le ragioni dell'astensionismo ed invitino chi ritiene che sia comunque giusta questa posizione a ritirare solo la scheda relativa al referendum sulla giusta causa in caso di licenziamento, rifiutando tutte le altre

BATTERE I REFERENDUM ANTISOCIALI....CON QUALSIASI MEZZO