Luci e ombre di una vittoria.
Riflessioni sui risultati dei referendum su licenziamenti e sistema elettorale. REDS. Maggio 2000.


Il risultato del referendum ha segnato una svolta nella politica italiana. L'esito non può essere letto come una "vittoria dei lavoratori" come l'ha apostrofato Liberazione, e nemmeno come una vittoria del capitale, solo perchè Berlusconi esulta. Si tratta semplicemente di una "ricollocazione" dei rapporti di forza tra le classi in un nuovo quadro.

1. Il quadro che si era determinato all'inizio degli anni novanta, frutto indiretto della Caduta del Muro, era quello di una crisi di rappresentanza delle classi sociali. Gli elementi più visibili: la sparizione del PCI e l'apparizione del PRC e del PDS, in un contesto di diminuzione complessiva dei voti alla sinistra; la sparizione della DC e la comparsa di nuovi soggetti (Lega, FI, AN); un ruolo di supplenza svolto dalla
magistratura. Per tutti gli anni novanta abbiamo assistito allo spettacolo di una sinistra
socialdemocratica alleata alla classe dominante nel perseguire due obiettivi: la riforma del sistema elettorale in senso autoritario e l'entrata in Europa.
E ad una nuova destra che invece, complessivamente, per le sue spinte interne sovversiviste, non riusciva ad essere credibile su quei terreni.

2. La perdita dei punti di riferimento tradizionali all'inizio degli anni novanta, insieme agli effetti psicologici della caduta del Muro e della sparizione del PCI, la politica esitante del PRC e quella moderata del PDS uniti al crescente riflusso del movimento operaio (crollo degli scioperi) ha fatto sì che la frustrazione sociale dovuta alle finanziarie, alla recessione economica di inizio anni novanta, ecc. si riversasse a destra invece che a sinistra. Ha così preso piede una cultura politica destrorsa "di massa" fatta di odio antipartito ed antiparlamentare, di arroganza nazionalista (o regionalista), di qualunquismo individualista. La nuova destra per affermarsi si é fatta espressione di questo malcontento ed anche per questo non ha intercettato il favore della grande borghesia. Solo una serie di circostanze (il fatto che ancora non si fossero consolidati i nuovi partiti della destra all'inizio degli anni '90, i coinvolgimenti giudiziari di Berlusconi, i calcoli di partito della Lega, ecc.) hanno impedito alla destra di governare con continuità in questi anni, nonostante fosse maggioranza nel Paese ed hanno consentito alla sinistra moderata di portare avanti la politica della grande borghesia.

3. La socialdemocrazia ha costruito la propria identità anche sull'alleanza strategica con quello che veniva definito il "centro", cioé una rappresentanza politica della grande borghesia. Ma si é divisa tra chi immaginava possibile il superamento del suo carattere di partito di sinistra, cioé espressione delle classi dominate, e chi perseguiva una alleanza elettorale permanente con il centro pur nella separazione organizzativa.
Ambedue queste prospettive sono ripetutamente fallite nel corso degli anni novanta. Il centro disponibile ad un accordo strategico con la sinistra si é mostrato così fragile da non poter resistere per più di due-tre anni (é stato il caso di Alleanza Democratica, di Rinnovamento Italiano, ed oggi dei Democratici, dimezzati nel giro di soli 11 mesi). Ilprogetto di fusione nell'Ulivo si é scontrato con il declino elettorale dei DS, specchio del fatto che un partito é "costretto" a rappresentare i settori sociali dei quali é espressione, ad di là della propria volontà, pena la sparizione.

Questi gli assi portanti del periodo politico aperto dall'89, periodo nel quale siamo tuttora, ma del quale si sta chiudendo la prima fase. Dobbiamo capire quali sono le caratteristiche portanti della nuova fase che si sta schiudendo.

1. La grande borghesia dall'inizio degli anni novanta contava su una riforma del sistema elettorale che, semplificando in due formazioni il panorama politico italiano, consentisse a questa classe di potersi giostrare tra due formazioni in buona sostanza simili, sul modello americano. Questo disegno é stato portato avanti attraverso i suoi principali quotidiani (Stampa, Repubblica, Corriere della Sera), iniziative editoriali (Liberal), diretto intervento dei propri organismi (Confindustria), o di leader di fiducia (Segni). Liberal ha oggi chiuso, Segni é reduce da mille sconfitte, e alla vigilia di questi referendum la campagna di Confiunstria e della stampa é stata così flebile da non ha inciso in nulla.
Oggi il grande capitale appare rassegnato ad avere a che fare con questa destra, e si appresta a negoziare o a fare pressione sui futuri nuovi rappresentanti. Ma la borghesia, pur essendo una classe molto ristretta, comprende molti altri settori. Questi vanno chiaramente a destra. Come dimostra l'elezione del presidente di Confindustria, essi chiedono una rappresentanza che sappia scontrarsi con il movimento operaio e che tragga profitto dei rapporti di forza che ci sono sul terreno, assolutamente favorevoli alla classe dominante. A costoro pare intollerabile di avere a che fare con un movimento operaio così debole e, insieme, istituti (come lo Statuto dei Lavoratori) che palesemente non corrispondono più ai rapporti di forza reali.

2. La destra del resto ha attutito molto le proprie spinte sovversiviste. E' il caso della Lega che si é accorta che (al contrario della prima metà degli anni novanta quando il suo radicalismo antisistema gli aveva fatto guadagnare anche consensi tra gli operai) parole d'ordine troppo radicali senza alcuna "conquista" concreta gli alienava le simpatie di settori di massa. AN già da tempo si offre come partito affidabile della classe dominante ad esempio sul terreno della riforma elettorale, senza riceverne riconoscimenti a causa della sua identità ancora troppo incerta ed un personale politico che é sempre stato esterno ai rapporti con il grande capitale. FI del resto, con una politica moderata e di compromesso, cerca di guadagnarsi il favore di quei "poteri forti" che sino ad ora le sono mancati e di costruire un'area di centro di stampo democristiano, un quadro di riferimento rassicurante quindi per tutta una serie di soggetti sociali (Chiesa, classe media, ecc.).
Il risultato referendario premia questo centro (del resto già reduce dal successo alle regionali in tutti e due i campi politici), gli dà prospettiva e sicurezza. Il mancato raggiungimento del quorum é percepito a livello di massa più come una vittoria di Berlusconi che come una vittoria dell'estrema sinistra.

3. La sociademocrazia é reduce da una batosta assolutamente spettacolare. Che si aggiunge a quella sul terreno elettorale. Essa é frutto del fatto che avendo perseguito la politica della grande borghesia, ha perso pezzi della propria base sociale senza averne conquistati di nuovi (che godevano già di un'abbondante offerta di rappresentanza politica). La sconfitta sulla riforma elettorale é drammatica perché i DS sono nati proprio nella prospettiva del "bipolarismo", percepito dalla burocrazia socialdemocratica come grimaldello, scorciatoia per conquistarsi quel peso nella società che non sapevano ottenere in altri modi. Oggi i diessini si sbracciano a dire che sui referendum non erano impegnati, ma l'affluenza diversa per regioni, dimostra chiaramente chi aveva fatto campagna.

Si chiude dunque il ciclo delle riforme elettorali, cioé dell'illusione borghese e socialdemocratica della semplificazione del quadro politico. E' allo stesso tempo una vittoria della sinistra capitalista che vede salvaguardati i propri spazi, ma è allo stesso tempo la vittoria del centro.

La vittoria del no al referendum sui licenziamenti (più del 60% dei voti) è da considerarsi una secca vittoria e dimostra che su temi di elementare difesa degli interessi di classe si raccolgono nel Paese vaste maggioranze e che la propaganda pro flessibilità non ha poi avuto un gran seguito a livello di massa. Ma attenzione: il referendum sbarra la strada a colpi di mano unilaterali della borghesia (come quello della riforma pensionistica di Berlusconi), ma NON ad accordi concertativi tra burocrazia sindacale e borghesia (come accaduto con la riforma Dini che in pratica concedeva ciò che non si era concesso a
Berlusconi).

Il PRC ha condotto una politica esitante. All'inizio é stata indecisa sul boicottaggio o sul no. Sul referendum riguardo ai licenziamenti la posizione é stata sino all'ultimo assai ambigua, anche se alla fine il risultato é indiscutibilmente positivo la modalità con cui ci si é arrivati, senza movimento, senza costruzione di comitati per il no, ecc. fa sì che la vittoria sia confusa ed in tono minore, cosa che non elimina il rischio di future sconfitte.