Federalismo: nuovo grimaldello delle classi dominanti.
Cosa c'è dietro l'attivismo dei presidenti regionali eletti con il centrodestra. REDS. Giugno 2000.


Il centrosinistra ha svolto i suoi servizi a favore dei potenti (sostanzialmente l'entrata nell'euro, la controriforma scolastica e la sburocratizzazione), ma è arrivato ai suoi limiti strutturali: la sinistra non può andare oltre, pena la propria sparizione. Il pallino passa dunque a chi può andare oltre, perché ha una base sociale che non ne condiziona i movimenti. Non siamo più nel 1994 quando la vittoria di Berlusconi è stata vista con dispetto dal grande capitale. I segnali di una profonda inversione di tendenza non fanno che accumularsi giorno dopo giorno.

Ad alcuni di questi segnali abbiamo già accennato nei numeri scorsi (l'elezione di D'Amato ad esempio), altri si sono aggiunti in questi giorni. Piccoli e grandi segnali. Piccoli: la rivista Liberal, clamorosamente fallita perché nessuno se la comprava, manco i borghesi che la finanziavano, ma che conta tra i suoi redattori e sostenitori nomi eccellenti del gran capitale e degli intellettuali al suo servizio, editerà un periodico che punterà sul centrodestra. Adornato, il leader di questo raggruppamento (ex compagno di FGCI di D'Alema e Veltroni) si collocava da sempre nel centrosinistra cercando di spingerlo ancora più a destra, ma ora, dice, "si è arreso": con "questa sinistra" non c'è più nulla da fare, meglio puntare sulla destra e cercare di educarla ad un laico liberalismo. Grande segnale: le ripetute assoluzioni di Berlusconi dalle numerosi imputazioni che gli erano piovute addosso nell'anno del suo governo. La magistratura, pezzo della classe dominante, sta preparandosi pure lei al "necessario" cambio della guardia. Il Corriere della Sera del 20 giugno a proposito dell'assoluzione di Berlusconi sulla questione "Lodo Mondadori" spara un editoriale in prima pagina di Piero Ostellino in cui dice peste e corna della magistratura giustizialista e non pone un minimo dubbio sulla validità della sentenza. Il giorno dopo Sergio Romano ribadiva il concetto a più chiare lettere, sempre sul Corriere: "Questo lungo interludio giudiziario ha avuto almeno due effetti di cui tutti stiamo facendo le spese: ha distorto il corso della politica nazionale e ha convinto buona parte dell'opinione pubblica straniera che gli italiani sono tutti corrotti. D'ora in poi, se non vogliamo che il danno divenga irreparabile, sarà meglio pensare meno alla giustizia e più alla politica."

Altro macrosegnale è il conflitto tra stato e regioni. Come si sa i presidenti delle quattro principali regioni del Nord (Piemonte, Lombardia, Liguria e Veneto) stanno reclamando vari poteri (Formigoni ad esempio chiede il passaggio nelle sue mani dell'istruzione) e passano già ad alcune vie di fatto sulla redistribuzione delle risorse. Si tratta di un conflitto solo apparentemente politico tra centrodestra (al potere nelle regioni del Nord) e centrosinistra (al potere nel governo centrale). In realtà esso rimanda a qualcosa di più profondo, ad una stretegia delle classi dominanti tesa a rompere con lo stato sociale utilizzando il grimaldello del federalismo. Quindi l'alleanza del Polo con la Lega non è qualche cosa di raffazzonato come quello del '94: corrisponde ad un mutamento di linea delle classi dominanti. Ci faremo guidare in questo ragionamento da un interessante editoriale di Angelo Panebianco pubblicato sul Corriere del 15 giugno dal titolo: "Federalismo dopo gli insuccessi dello stato. Una possibilità anche per il sud."

Il Nostro afferma: "Credo nelle virtù del conflitto (pacifico e nel rispetto delle leggi, si intende), e credo, nello specifico, che non solo il federalismo, ma nemmeno una più modesta ridistribuzione di poteri fra centro e periferia all'interno di uno Stato che resti unitario, possano realizzarsi senza durissimi conflitti tra i poteri coinvolti. [...] Ed è chiaro il perché. Modificazioni istituzionali di tale portata cambiano invariabilmente la distribuzione del potere politico e sociale. E il potere non è una cosa che gli altri graziosamente ti concedono: se hai il fiato te lo prendi, se no, amen". Nulla "autorizza a considerarlo come un male assoluto o, alternativamente, come una pozione miracolosa. Benefici e malefici del federalismo dipendono dalle circostanze, dal tipo di Paese, dai modi di realizzazione." Dunque il federalismo va valutato "solo in rapporto alle condizioni italiane in questa fase storica." Poi polemizza con chi come Eugenio Scalfari afferma che il federalismo è un grimaldello per dare di più alle regioni ricche e impoverire il Sud: "non c'è nessun rischio che il federalismo trasformi i servizi pubblici del Sud in servizi di serie C, per la semplice ragione che essi sono già, da sempre, in condizioni deplorevoli, e proprio nel non aver cambiato questa situazione consiste il fallimento dello Stato centralizzato." Grazie al federalismo il Meridione la finirebbe di incolpare lo stato delle proprie inefficienze e sarebbe portato a fare i conti con se stesso e "dovrebbe finalmente prendere atto del fatto che una società che continua, per esempio, in tante zone, ad avere tassi così elevati di dipendenti pubblici sul totale degli occupati è una società senza futuro, è una società che, a meno di una vigorosissima reazione, è destinata a perdere ogni treno, ad essere tagliata fuori dalla modernità."

Il disegno della borghesia non è quello di Bossi che è espressione effettivamente delle regioni ricche del Nord e di tutti i suoi ceti (popolari compresi), che puntano a trattenere il malloppo della fiscalità, senza redistribuzione verso il Sud (con il quale manterrebbero un rapporto di tipo neocoloniale). Ma alla borghesia il passaggio delle ricchezze tra Nord e Sud, in sé, poco interessa. Vuole altro. Immaginiamoci davvero una Italia federale dove la scuola dipendesse dalle regioni: se così già fosse non avremmo mai assistito allo storico sciopero del 17 febbraio con decine di migliaia di insegnanti in piazza, le lotte sarebbero completamente frammentate e non sarebbe nemmeno ipotizzabile una lotta nazionale contro i soldi alle scuole private, dato che ogni regione farebbe da sé. Andiamo avanti: pensiamo davvero che una contrattazione nazionale sarebbe possibile? Ma questa non c'è nemmeno in Germania. Solo che mentre là il contratto dei metalmeccanici di una regione poi "fa testo" per tutte le altre, qui in Italia non accadrebbe certo la stessa cosa. Avremmo contratti estremamente frantumati regione per regione, perché una disparità territoriale come la nostra non si trova in altre parti d'Europa, una disparità che in questo caso risulterebbe terribilmente vantaggiosa per la borghesia: significherebbe non dover dislocare in Romania, ma, mal che vada, in Calabria. Del resto la FIAT con lo stabilimento di Melfi è quella che è andata più avanti su questa strada. Ha ottenuto in forza della propria forza contrattuale sgravi dalla regione, dai comuni, dallo stato e nei fatti un contratto speciale solo per gli operai di Melfi. Il resto della borghesia non vorrebbe far altro che generalizzare Melfi. Sogna una situazione come quella USA dove basta che una fabbrica accenni alla possibilità di traslocare che la contea sulla quale risiede sopprima ogni genere di tassa. Ma senza tasse i servizi vanno giù.

Questa rappresenterebbe la strada anche per risolvere la questione meridionale nel senso più volte auspicato dalla borghesia, con sane iniezioni di liberismo: se il Sud vorrà sopravvivere dovrà offrire alle imprese migliori condizioni del Nord. Naturalmente da una strategia alla sua messa in pratica ce ne corre. Noi non apparteniamo alla scuola dei Quaderni Rossi che tanto successo ha avuto tra i quadri di DP, tra gli ingraiani e i bertinottiani, secondo la quale il capitale ha sempre un "piano" che lucidamente mette in pratica. I borghesi vanno, come noi, a tentativi, sondano il terreno, guardano ai rapporti di forza, hanno chiaro che obiettivi vogliono raggiungere, ma sul come arrivarci, le idee non ce le hanno sempre chiarissime, a volte improvvisano, altre scherzano col fuoco, molte volte sbagliano calcoli. "In questa fase storica", come dice Panebianco, ci provano con il federalismo, ma non sarà per loro facile, perché vi sono forze che appartengono al loro stesso campo e che hanno interessi specifici di ceto da salvaguardare, ed AN potrebbe divenire la loro espressione politica. Tutta l'alta burocrazia romana, ad esempio, pezzi del sistema creditizio, ecc. non hanno alcun interesse a diminuire i poteri "di Roma". Gli apparati statali della borghesia non sono molto duttili, e a volte per cambiare le cose la classe dominante deve mettere un pezzo di apparato contro l'altro per vincerne le vischiosità e gli interessi propri. Ad esempio ha dovuto sostenere la magistratura per far fuori il vecchio ceto pentapartitico. Per questo Panebianco preconizza ed aupisca un "periodo di conflitti" tra stato e regioni. Contrariamente a un anno fa oggi la borghesia intravvede nel federalismo una possibile scorciatoia che gli consenta di evitare uno scontro frontale con il sindacato affrontando invece i lavoratori regione per regione. Ci provano e ci proveranno, a noi lavoratori compete il compito di attrezzarci per dimostrare loro che hanno sbagliato qualche calcolo.