Le elezioni del 13 maggio.
Cosa vota la borghesia e perché? Le preferenze e i diversi progetti della borghesia attraverso gli editoriali della Stampa e del Corriere della Sera. REDS. Aprile 2000.


Qual è la posta in gioco delle elezioni del 13 maggio? Perché l'Economist ha sparato a zero contro Berlusconi? Perché l'assemblea degli industriali ha applaudito Berlusconi e invece la FIAT continua a preferirgli Rutelli? La classe dominante del nostro Paese vuole Rutelli o Berlusconi? Che cosa ci giochiamo in queste elezioni come lavoratori e lavoratrici? Proviamo a capirlo analizzando due tra i maggiori quotidiani italiani: Corriere della Sera e Stampa.

Il Corriere della Sera è il quotidiano a più ampia diffusione in Italia e sente su di sé la responsabilità di rappresentare i più generali interessi della borghesia, anche se, data la sua appartenenza ad un gruppo industriale, segue le particolari inclinazioni di questo, e i suoi spiccati interessi politici. Il Corriere ha tirato discretamente dalla parte del centro destra. La propensione è visibile dalla maggiore rilevanza che nei titoli viene data a Berlusconi o alle posizioni a lui favorevoli, e soprattutto dalle critiche che produce, a partire dagli editoriali, nei confronti dello schieramento di centrosinistra. La Stampa ha invece, altrettanto discretamente, tirato verso il centrosinistra e lo si vede dalla rilevanza che viene riservata alle gaffe del leader del centrodestra e, ad esempio, dall'insofferenza mostrata nei confronti della vicenda del referendum lombardo ("L'ambiguo federalismo elettorale" di Gian Enrico Rusconi, del 10 aprile). Si potrà obiettare che esistono molti altri quotidiani che cercano di difendere gli interessi della classe dominante. Certo, diremmo, quasi tutti. Ma pochi, se non di carattere locale, sono legati a settori produttivi. La Repubblica ad esempio è parte di un complesso editoriale che non ha coinvolgimenti diretti in altri ambiti; il suo punto di vista è certo interessante, ma è espressione di una tradizione di pensiero borghese-giacobina che ha avuto in Italia un'assai scarsa fortuna presso i borghesi.

Analizzare i due quotidiani di cui sopra ci è particolarmente utile poiché nella sinistra anticapitalista sta passando una visione semplicista secondo la quale il centrodestra sarebbe espressione della piccola e media borghesia, mentre invece il centrosinistra della grande borghesia. In realtà la borghesia, come qualsiasi classe, compresa la nostra, quella dei lavoratori, è divisa in varie opzioni politiche che non dipendono meccanicamente dalla collocazione nella struttura sociale. Il mondo della politica gode di una propria autonomia: "offre" alle classi sociali determinati strumenti politici che quelle, a seconda di una fase o dell'altra, possono scegliere di rafforzare o meno.

Il Corriere della Sera è proprietà di HDP, una delle maggiori società in Italia, con forti interessi in Mediobanca, presente nel settore tessile (marchi Fila e Valentino, tanto per fare due esempi) e in quello editoriale (Rizzoli). A capo di questo gruppo vi è Cesare Romiti, sponsor dell'elezione di D'Amato a presidente di Confindustria. La Stampa invece è diretta proprietà della FIAT, maggior gruppo industriale italiano; vicino alla sua impostazione politica vi è un'altra fetta di Mediobanca ed altri gruppi come la Pirelli, Marzotto, ecc. che insieme a nuovi protagonisti in debito politico con il centrosinistra (Colaninno - Telecom) tirano per il centrosinistra. Queste diverse preferenze non corrispondono ad una divisione secondo il fatturato (Berlusconi del resto, dovrebbe essere classificato come "grande" capitalista), lo stesso D'Amato è proprietario di una fabbrica (di contenitori) con un migliaio di addetti che ha filiali in vari Paesi del mondo tra i quali la Gran Bretagna. Gli applausi che l'ultima assemblea di Confindustria ha riservato a Berlusconi, ma non a Rutelli, dimostrano in maniera abbastanza inequivocabile quali siano le simpatie elettorali della maggioranza della borghesia.

Perché la borghesia come classe punta di più su Berlusconi se lo schieramento di centrosinistra ha reso tanti e riconosciuti servigi agli imprenditori?

Prima di tutto dobbiamo considerare che questo appoggio è profondamente critico. Il primo problema è quello del "conflitto di interessi". Dal punto di vista dei borghesi la questione ha una dimensione tutta pratica e assai poco "democratica": Berlusconi è uno di loro, e non è un caso che i capitalisti solitamente preferiscano servirsi di politici professionisti, si conoscono e sanno che uno di loro con le leve del potere in mano ben difficilmente resisterebbe alla tentazione di curarsi gli affari propri a scapito del bene della borghesia come classe. Berlusconi ha interessi in tutti i settori dove oggi la concorrenza è più accanita: servizi finanziari, media, telecomunicazioni; averlo al governo significa regalargli tutta una serie di carte nella lotta per l'egemonia.

Lo strumento Forza Italia inoltre non è il tipico partito borghese sul quale gli stessi borghesi hanno una qualche possibilità di incidere: il congresso azzurro, che pure si annunciava come una innocua kermesse, è stato rimandato a dopo le elezioni. La gran parte delle sue risorse finanziarie sono dovute ai versamenti del grande capo. Di correnti interne e personalità indipendenti nemmeno l'ombra (le poche che c'erano sono state emarginate: Martino, Taradash, Colletti, ecc.). Negli altri partiti borghesi invece assistiamo a continue lotte per la leadership che costituiscono una garanzia di possibilità di intervento da parte della borghesia che può intervenire finanziando uno o l'altro, orchestrando una campagna di stampa contro chi non ritengono più adatto a guidare il partito, ecc. La possibilità invece di incidere su Forza Italia da parte di qualsiasi capitalista che non sia Berlusconi sono ridotte a zero.

Altri dubbi li raccolgono i suoi partner: AN preoccupa per il suo "statalismo", cioè la scarsa propensione a privatizzare pezzi di stato, mentre invece della Lega Nord non piace lo slittamento sul piano etnico che non ha alcun interesse per i borghesi e in qualche caso costituisce un ostacolo ai suoi affari (come quando si pongono dei freni all'immigrazione in presenza di una domanda di manodopera).

Sono i problemi di un partito che è nato dalla volontà di un solo capitalista, e che si è collocato sul piano della politica intercettando il bisogno di rappresentanza di ceti sociali che sino ad allora si era espresso parte nella Dc e parte nel PSI craxiano. Questi ceti, i settori privilegiati e in gran parte parassitari che abbondano in tutti i Paesi imperialisti e di cui parleremo dopo, sostengono questo partito, insieme, oggi, alla fetta maggioritaria della borghesia.

Nonostante tutti i suoi limiti dunque, la gran parte della borghesia preferisce Berlusconi a Rutelli. Angelo Panebianco, uno dei più autorevoli editorialisti del Corriere, spiega nell'editoriale del 19 marzo ("Troppi orfani alle urne"):

"in cinque anni di governo [la sinistra ndr] non ha perduto le sue tradizionali propensioni stataliste e dirigiste. Né avrebbe potuto perderle, tenuto conto della cultura politica di provenienza, del suo legame organico con il sindacato più conservatore, la Cgil. [.] Con una riconferma della sinistra, non ci sarebbe riduzione della pressione fiscale né della spesa pubblica, il mercato non cesserebbe di essere ingessato, non ci sarebbero significativi recuperi di competitività, né capacità di attrarre investimenti esteri."

Nell'editoriale del 2 aprile ("Il vero rivale del Cavaliere") afferma:

"Berlusconi è il capo della sua [coalizione ndr] e può dire ciò che vuole: l'intendenza si adegua e segue. Rutelli, invece, è il portavoce (non il capo) di una coalizione divisa al suo interno. Se assume posizioni troppo nette su questo o quel problema può scatenare, di volta in volta, la reazione irata di Cofferati, dei Verdi, dei Popolari, eccetera."

La borghesia è perfettamente cosciente degli enormi meriti del centrosinistra nei confronti del capitalismo (ricordano con nostalgia il governo Prodi, quando con finanziarie lacrime e sangue l'Italia è riuscita ad entrare per il rotto della cuffia in Eurolandia) ma teme fortemente che più in là non possa spingersi. Cosa c'è più in là? La privatizzazione di sanità e istruzione, l'eliminazione dei contratti nazionali, la piena licenziabilità, ecc. E su questo punto hanno ragione. Il centrosinistra è un'alleanza organica tra rappresentanze della borghesia e del movimento operaio. La burocrazia diessina è largamente predominante in CGIL. Tra i DS vi sono poche centinaia di funzionari politici, ma migliaia e migliaia di funzionari sindacali. Un governo sostenuto dai DS non può permettersi di sferrare colpi al movimento operaio senza il consenso della stessa CGIL. D'Alema ci ha provato, sulle pensioni, quando era Presidente del Consiglio, con Stampa e Corriere che, insieme, tifavano per lui, ma di fronte al no della CGIL ha dovuto fare marcia indietro. Questa analisi lascia di solito molto perplessi i compagni dei sindacati autorganizzati che sono abituati a considerare la CGIL il nemico dei lavoratori. Noi però non stiamo affermando che la tenuta sulle pensioni è merito della burocrazia della CGIL, ma che questa non può a sua volta permettersi di rompere con la sua base sociale con la velocità e la profondità che la Confindustria esige: altrimenti potrebbe perdere il controllo delle masse (ricordiamoci cosa accadde all'indomani degli accordi sulla concertazione che segnarono l'inizio delle fortune del sindacalismo di base) e alla fine essa stessa verrebbe travolta: in un mercato totalmente deregolamentato non c'é più posto nemmeno per decine di migliaia di funzionari sindacali che non saprebbero più nemmeno di che contrattare.

La nuova direzione della Confindustria sulla questione dei contratti a termine sta proprio tentando questo: isolare la CGIL, invece di scegliere la via della concertazione. D'Amato cioè sta già facendo oggi ciò che la borghesia spera che Berlusconi una volta al governo faccia. La borghesia spera che il centrodestra operi una forte discontinuità con quella situazione di continua concertazione che ha caratterizzato il dopoguerra italiano. Pensa che sia giunto il momento di sfondare, perché mai come in questo momento il movimento operaio è stato così debole e sulla difensiva.

Un settore minoritario della borghesia invece non pensa che la soluzione consista nell'isolare le rappresentanze del movimento operaio, ma nel costringerle ad essere complici di scelte antipopolari. Non si tratta affatto di borghesi buoni: basti vedere la dittatura che la FIAT ha instaurato nei suoi stabilimenti e il pugno di ferro che sta menando in occasione del contratto interno.

Per questo la Stampa nell'articolo del primo aprile della sua principale editorialista, Barbara Spinelli, non si rivolgeva a Berlusconi, ma a Rutelli, cercando di spingerlo però a destra, invitandolo a "trasgredire consumate abitudini" perché divenga "davvero indipendente dagli interessi particolari: dagli interessi di questo o quel gruppo sociale, dalle ingerenze del Vaticano, dai calcoli utilitari dei partiti, dal suo stesso desiderio di conservare il posto." Egli deve essere leader "che prescinda dalle mire di Marini, di Cofferati o di Salvi, dai progetti di rifondazione socialdemocratica di D'Alema come di Amato". La stessa Spinelli il 22 aprile riserva a Berlusconi invece un acidissimo editoriale ("Paure e inquietudini del cavaliere errante"): [in Berlusconi è ndr] "profondamente radicato, il disprezzo nutrito per la politica era destinato a originare atteggiamenti vacillanti, nei quali la res publica si scioglie nella res privata. [] Ai suoi occhi non esiste l'autonomia della politica. La funzione di quest'ultima è ancillare rispetto a mansioni economiche e imprenditoriali, e il mestiere del politico non è di governare eventi, emozioni".

Ma questa lieve tendenza verso l'uno o l'altro schieramento non appassiona i nostri borghesi, che, alla fine, non hanno molto da temere dalla vittoria dell'uno o dell'altro. Per questo si preoccupano continuamente di spegnere gli incendi e sedare gli animi. Le lamentele sulla crudezza dello scontro elettorale abbondano sui loro media. Vorrebbero due poli simili che si affrontassero a colpi di fioretto, senza destare passioni, o, peggio, aizzare la piazza. Panebianco il 19 marzo ("La lenta agonia del bipolarismo"): "I sistemi bipolari, per durare, necessitano come l'aria della reciproca legittimazione. Essa crea la cornice entro cui l'alternanza al potere può realizzarsi senza minacciare le fondamenta del sistema. La delegittimazione incrociata, invece, crea un clima psicologico di insicurezza e di emergenza".

Eppure la stessa borghesia non sa molto bene cosa Berlusconi riserverà. Sa già che cosa l'aspetterà se vincerà Rutelli: altri anni in cui certo ci sarà un governo che farà fondamentalmente gli interessi del capitale, ma lentamente, senza le forzature che oggi le paiono possibili e necessarie. Ci provano, vogliono la discontinuità: Panebianco in un editoriale del 28 aprile ("La democrazia e il ricambio"):

" Già una volta, nel '94, sconfiggendo con un attacco a sorpresa le legioni romane, le gioiose macchine da guerra, i barbari si impadronirono di Roma, ma l'occupazione durò pochi mesi. I bravi ed esperti cives romani, manovrando per linee interne ed esterne, riuscirono in breve tempo a scacciarli. Questa volta le cose potrebbero andare diversamente. Effettivamente, un governo di centrodestra in carica per una intera legislatura potrebbe determinare modificazioni di rilievo nella composizione della classe dirigente. Se poi, dopo cinque anni di governo, il centrodestra riuscisse addirittura ad ottenere dagli elettori una riconferma per altri cinque anni, i cambiamenti sarebbero profondi, e permanenti. [] Discontinuità nelle classi politiche, di solito, si trascinano dietro cambiamenti nelle culture politiche. Per esempio, tanto per toccare un tema assai delicato, è difficile che alcune formulazioni, quelle cosiddette "sociali", della prima parte della Costituzione (influenzata, come è noto, soprattutto dai valori che le infusero democristiani di sinistra, comunisti e socialisti, con marginalissimo apporto liberale) possano continuare a godere a lungo del rispetto di cui hanno goduto in passato, una volta emarginati politicamente gli eredi di quelle tradizioni. Così come è difficile che possa sopravvivere quell' idea di democrazia, molto italiana, secondo cui l'unico governo "democratico" sarebbe quello debole, in balia delle oligarchie partitiche, anziché quello guidato saldamente da un leader."

Dunque val bene la pena una avventura se vi è la possibilità "finalmente" di instaurare anche in Italia un regime presidenziale, che non debba scendere a compromessi coi Cofferati, che la faccia finita con i principi sociali della Costituzione (quindi con lo stato sociale, ecc.). In questo atteggiamento vi è, come dicevamo, una forte dose di avventurismo, ma la gran parte dei borghesi non ha storia né memoria, vive la fase non il periodo, non scambierebbe mai il guadagno che potrebbe avere nel corto periodo in cambio della tranquillità sul lungo periodo. In fondo, pur in un contesto totalmente differente, e con altra posta in gioco, non è avvenuto diversamente alla vigilia del fascismo. Il fascismo non era un prodotto del capitale, ma alla fine il capitale si risolse ad utilizzarlo per un certo periodo e i liberali Croce e Giolitti, come troppo spesso viene dimenticato, votarono la fiducia a Mussolini.

A questo avventurismo a maggior ragione si associano tutta una serie di ceti parassitari e privilegiati, che coltivano un odio atavico e irrazionale nei confronti delle classi subalterne: l'esercito delle corporazioni (avvocati, notai, farmacisti, medici), della piccola borghesia impoverita proprio dall'avanzare del capitalismo, i quadri intermedi dello stato e delle aziende. Queste classi medie che ritardano l'avanzata del capitalismo in Italia chiederanno protezione proprio a Berlusconi, sperando di essere salvati dal dilagare della grande impresa nei servizi da un salvifico abbassamento delle tasse sul reddito.

Nell'atteggiamento delle classi dominanti restano da decifrare gli attacchi di El Mundo e dell'Economist, autorevoli riviste di destra, a Berlusconi. La nostra borghesia non è dunque sulla stessa lunghezza d'onda di quella europea? Non lo è mai stata. Negli altri Paesi la borghesia ha già fatto i conti con bottegai e corporazioni semplicemente eliminandole. Non è un caso che le catene di distribuzione straniere stiano invadendo i mercati italiani: per anni la piccola borghesia è stata protetta in funzione anticomunista. La nostra è una borghesia che pur di restare a galla ha sostenuto le rappresentanze politiche della Chiesa, della mafia, della piccola proprietà contadina, che ha colluso con la corruzione dei partiti, ecc. E' una borghesia alla continua ricerca di scorciatoie (che le permettano di non confrontarsi con il mercato mondiale), oppure di avventure. E ciò ha a che fare non con una intrinseca incapacità ma con una costituzionale debolezza del nostro stato, debolezza sulle cui cause ora non ci dilunghiamo.

Vale però la pena sottolineare che la causa dell'avventurismo delle classi dirigenti italiane non ha una radice in fondo molto diversa da quella del sovversivismo delle classi popolari italiane. Siamo l'unico Paese industrialmente avanzato che ha conosciuto nel secolo scorso tre crisi prerivoluzionarie, che ha visto la Resistenza più diffusa e il '68 più lungo. La radice ultima di questo sovversivismo, così come dell'avventurismo delle classi dominanti, è la sfiducia nei confronti dell'apparato statale e delle sue istituzioni. La borghesia non vi può far conto per combattere la sua guerra sull'arena della concorrenza mondiale, così come le masse popolari non hanno fatto esperienza diretta di quello che significa uno stato che abbia per lo meno l'apparenza di uno stato al di sopra delle parti, con una giustizia efficiente, una sanità all'altezza delle tasse pagate, ecc. Dalla scarsa lealtà nei confronti delle istituzioni nasce la perenne disponibilità popolare al sovversivismo. E dalla scarsa fiducia nella forza dell'apparato statale italiano come gestore degli interessi della classe dominante nasce la disponibilità all'avventura della borghesia.

Non possiamo dire certo che sarà la stessa cosa se vincerà il centrodestra o il centrosinistra. I compiti che si porranno a noi lavoratori saranno tatticamente diversi nel caso vinca Berlusconi o Rutelli. Ma sia in un caso che nell'altro ci troveremo di fronte un nemico, che utilizza mezzi diversi per raggiungere gli stessi fini, e non possiamo dire quale dei due sia più pericoloso, la velocità con cui vuole muoversi Berlusconi ad esempio non ne fa un avversario più temibile di Rutelli: è proprio il cattivo calcolo delle proprie forze che ha portato alla rovina gente come Berlusconi.

Possiamo però certamente dire che sia in un caso che nell'altro si eserciterà nei nostri confronti una fortissima pressione. Ma la misura di quel che riusciranno a combinare contro di noi chiunque vinca (perché è chiaro che chiunque vinca avrà come principale problema il come applicare il programma della borghesia), sarà data dalla energia e dalla determinazione con cui sapremo esercitare una pressione contraria.