Italia, Germania, Francia.
I Verdi al governo: la vera natura degli ecologisti.
Traduzione
di un articolo apparso su Lutte de Classe (mensile di Lutte Ouvrière)
e che analizza in maniera puntuale l'agire delle formazioni verdi in Europa.
Non condividiamo del tutto le conclusioni teoriche dell'articolo, ma ci pare
comunque un validissimo contributo. Maggio 2001.
Gli "ecologisti" sono spesso presentati
come una forza politica emergente, nuova; addirittura LA forza politica del
futuro, che scompiglierà i tradizionali giochi politici, sia per le loro
proposte che per la loro pratica. Essi coltivano l'immagine dei guastafeste
che avrebbero introdotto "un diverso modo di fare politica", in quanto
sarebbero portatori di un'altra politica.
Di fronte all'esperienza, un tal modo di presentare le cose merita delle rettifiche.
In effetti, l'apparizione degli ecologisti sulla scena politica, principalmente
nei paesi dell'Europa dell'ovest, che risale ormai a più di trent'anni
fa, durante gli anni Settanta, non ha in alcun modo modificato gli orientamenti
politici dei paesi nei quali sono presenti, e ancor meno là dove hanno
acquisito posti di responsabilità. Essi hanno ottenuto per la prima volta
dei deputati nel 1979 in Svizzera, nel 1981 in Belgio, nel 1983 in Germania
e Finlandia, poi nel 1986 in Austria e nel 1989 in Italia. Ma in nessun luogo
essi sono stati artefici di una vera, grande affermazione elettorale.
Per contro, il fatto notevole della storia del movimento ecologista è
che a partire dal 1995 ha ottenuto dei ministeri nei governi nazionali di quattro
paesi europei. Nel 1995 gli ecologisti finlandesi sono entrati in un governo
di coalizione comprendente il Partito Socialista, l'Alleanza delle sinistre,
il Partito della minoranza svedese e i conservatori della Coalizione nazionale.
Nel 1996 i Verdi italiani ottennero un ministero, in seguito alla vittoria elettorale
dell'Ulivo, la coalizione di centrosinistra; nel 1997 i Verdi francesi l'ottennero
a loro volta nel governo del socialista Lionel Jospin. In Francia però
la situazione non era del tutto inedita, poiché dal 1988 al 1991 l'ecologista
Brice Lalonde fece parte del governo Rocard come Segretario di Stato all'Ambiente,
quindi fu promosso a ministro dell'Ambiente in quello di Edith Cresson fino
al gennaio 1992. La novità è che i Verdi francesi partecipano
come gruppo politico alla coalizione di maggioranza della "sinistra plurale".
Infine nel 1988, furono i Verdi tedeschi, i Grünen, alleati ai socialdemocratici
della SPD, ad ottenere tre ministeri nel governo Schröder, tra i quali
quello degli Esteri.
In questi paesi i contesti politici non sono identici e neppure le coalizioni
che accettano la cooperazione dei Verdi, ma la comparazione delle politiche
che essi conducono, della loro evoluzione, tanto in Italia, quanto in Germania
e Francia, presenta delle analogie impressionanti, che illustrano ciò
che sono realmente questi partiti e quanto sono distanti dall'immagine che pretendono
di dare di se stessi.
Italia - Dalla difesa della natura al Comune di Roma: l'Ulivo apre le porte.
La corrente ecologista è apparsa In Italia
sotto la forma con la quale è conosciuta oggi nel corso degli anni Ottanta,
per la confluenza di due diversi filoni. Da una parte le associazioni ecologiste
che si occupavano di questioni direttamente legate all'ambiente, quali gli "Amici
della terra" o "Legambiente" che presentarono delle liste sotto
il simbolo del "Sole che ride". Dall'altra la decisione assunta da
alcuni militanti di Democrazia Proletaria (un'organizzazione dell'estrema sinistra
creata negli anni Settanta), di farsi portatori di istanze ecologiste e di presentarsi
alle elezioni sotto l'etichetta Verdi, con il simbolo dell'Arcobaleno. Queste
due correnti coesistettero fino al 1992. Quando si fusero, nel gennaio di quell'anno,
personalità in cerca di riciclaggio politico si unirono a loro, tra cui
Francesco Rutelli, di spiccati sentimenti anticomunisti e proveniente dal Partito
radicale di Marco Pannella.
I Verdi unificati fecero propria una linea politica cosiddetta di responsabilità
verso gli interessi del paese, che si inscriveva nel gioco politico classico
che fino ad allora avevano criticato. Per esempio essi sostennero il progetto
di sistema elettorale maggioritario. Altro esempio significativo, che si potrebbe
inserire nelle loro preoccupazioni ambientaliste ma che nello stesso tempo dimostra
la loro scarsa premura per i problemi dei salariati, è il fatto che essi
non esitarono a contrapporsi ai sindacati operai in occasione di una manifestazione
per la chiusura di un'industria di vernici accusata di inquinare il Mediterraneo.
Nel 1993, Carlo Ripa di Meana, che proveniva dal Partito Socialista, divenne
il portavoce dei Verdi e si distinse per le sue prese di posizione mediatiche,
volte a creare scandalo, come in occasione della campagna contro le pellicce
indossate dalle dame dell'alta società organizzata da sua moglie, la
quale si fece ritrarre nuda sui manifesti che tappezzarono i muri delle città
con lo slogan: "Ecco la sola pelliccia che non ci si vergogna di portare".
Questa iniziativa produsse all'epoca qualche clamore, anche tra i Verdi stessi,
che non erano tutti d'accordo. D'altro canto non pagò neppure sul piano
elettorale.
I Verdi fecero parte di diverse alleanze che la sinistra mise in campo nel tentativo
di accedere al potere, facenti perno intorno al PDS, la nuova formazione uscita
dall'ex Partito Comunista Italiano. Essi parteciparono al raggruppamento dei
"progressisti" nel 1994, che fallì nella competizione elettorale
che vide la vittoria della destra guidata da Berlusconi. Per contro, Francesco
Rutelli, che si era segnalato nello stesso anno per una campagna elettorale
in bicicletta, riuscì a conquistare il Comune di Roma, grazie alla nuova
legge che introduceva un sistema maggioritario alle elezioni municipali e grazie
anche al fatto che l'insieme della coalizione detta di sinistra ne fece il suo
candidato, contrapponendolo a quello di Alleanza nazionale che presentò
Gianfranco Fini.
Una nuova opportunità si presentò per i Verdi nel 1996, con la
coalizione dell'Ulivo. La figura di spicco di questa alleanza era il democristiano
Romano Prodi, che non aveva nulla dell'uomo di sinistra. Pertanto fu proprio
lui che fu scelto come leader, tra le diverse personalità e le componenti
della coalizione, tra cui la più importante era il PDS. I Verdi, dopo
aver espresso qualche riserva all'indirizzo di Prodi, rimproverandogli tra le
altre cose l'assenza di proposte in campo ambientalista, si allinearono. L'Ulivo
vinse le elezioni, Prodi divenne primo ministro e un Verde, Edo Ronchi, fu scelto
come ministro dell'Ambiente, nonostante che il risultato elettorale dei Verdi
non fosse stato molto brillante. Essi infatti ottennero solo il 2,5% dei voti,
ma tuttavia il sistema elettorale permise loro di avere 28 eletti al Parlamento,
per via del fatto che in 39 circoscrizioni per rappresentare l'Ulivo fu scelto
il candidato dei Verdi.
Il congresso dei Verdi che ebbe luogo lo stesso anno vide l'ascesa dei notabili
alla testa del partito. Da allora i Verdi italiani hanno partecipato ai governi
successivi: quello diretto da Prodi, quindi quello di D'Alema e infine di Amato.
Ma in quest'ultimo governo formatosi nell'aprile 2000, i Verdi non occupano
più il posto che tradizionalmente veniva loro riservato al ministero
dell'Ambiente; essi hanno comunque due ministeri, quello dell'Agricoltura e
quello delle Politiche comunitarie.
Piccolo partito di notabili, costretto alle alleanze per esistere nelle istituzioni,
per avere un pugno di eletti e alcuni ministri, i Verdi italiani si distinguono
sempre meno dai loro partner, anche se si permettono ancora qualche critica
marginale, ma in ogni caso non mettono in discussione gli orientamenti delle
maggioranze alle quali partecipano. Così ad esempio criticarono ma senza
risultati concreti la posizione presa dal governo italiano ai tempi dell'intervento
NATO in Serbia o ancora l'atteggiamento di questo stesso governo nei confronti
dell'accoglienza degli immigrati clandestini.
Le prossime elezioni avranno luogo nella primavera del 2001. La ricostituita
coalizione dell'Ulivo ha scelto il sindaco di Roma, il Verde Rutelli, come suo
leader, per affrontare la destra capitanata da Berlusconi. Rutelli fa una campagna
all'americana, mettendo l'accento molto più sulla sua fotogenia e il
suo portamento o sulla futura candidatura di Roma per l'organizzazione dei giochi
olimpici che sul suo programma. Il fatto è che per quanto concerne il
programma Rutelli non dice cose molto differenti da quelle del suo rivale Berlusconi.
In particolare niente di diverso in ciò che riguarda l'ambiente. Il verde
di questi Verdi si è rapidamente schiarito, al punto da essere scomparso.
E' vero che ciò che conta non è il programma e neppure l'influenza
elettorale. Su questo piano, la partecipazione dei Verdi ai governi non ha influito
per nulla, al contrario! I loro risultati sono in ribasso. Essi hanno raccolto
l'1,8% dei suffragi alle europee del 1999 contro il 3,2% del 1994 e il 2,5%
delle politiche del 1996. Ma l'importante per i notabili Verdi, molto più
notabili che Verdi, non è forse il partecipare... al potere?
Germania - I Grünen, dal pacifismo al ministero degli Affari esteri
I Grünen (Verdi) in Germania non ebbero
dei ministri in seno al governo federale che a partire dal 1998, un anno dopo
rispetto alla Francia, dove Dominique Voynet divenne la ministra Verde di Jospin.
Ma essi avevano avuto ben prima dei Verdi francesi degli eletti al parlamento
federale, il Bundestag; nel 1983 infatti, con il 5,6% dei voti ottennero 26
deputati. Nello stesso periodo essi cominciarono non solo ad avere degli eletti
nei parlamenti regionali, ma anche a entrare negli esecutivi di alcuni Länder.
Questo accadde grazie all'alleanza con la SPD in Assia, a Berlino, Amburgo,
in Renania del Nord/Westfalia; in altri casi a questa alleanza veniva aggiunto
un terzo partner, i liberali del FDP, come in Bassa Sassonia e in Sassonia-Anhalt,
a Brema e nel Brandeburgo. A livello locale, le alleanze dei Grünen hanno
talvolta debordato da questo quadro, poiché esistono, in alcune città,
degli accordi taciti o formali, che comprendono i cristiano-democratici della
CDU.
Il movimento ecologista si è sviluppato in Germania a partire dalla metà
degli anni Settanta, intorno alle mobilitazioni contro i grandi lavori che saccheggiavano
l'ambiente, quali per esempio quelli degli aeroporti di Francoforte e Monaco,
o nelle mobilitazioni contro la costruzione di centrali nucleari. Queste battaglie
raccolsero un numero elevato di manifestanti e sfociarono molto spesso in violenti
scontri con la polizia.
Il successo di queste spettacolari mobilitazioni attirò verso gli ecologisti
un certo numero di gruppi dalle preoccupazioni e dagli obiettivi differenti:
i movimenti pacifisti, le femministe, ma anche - componente importante all'epoca
- gli "alternativi", che teorizzavano e praticavano un modo di vita
fuori dalle strutture tradizionali, che vivevano in alloggi comunitari, organizzavano
scuole non convenzionali, rigettavano la medicina classica, ecc. Daniel Cohn-Bendit
visse più anni in una di queste comunità dopo la sua espulsione
dalla Francia nel 1968. Questi raggruppamenti rifiutavano l'attività
politica, qualificandola come manipolatrice e corrotta. Si unirono agli ecologisti
anche gruppi politici di estrema sinistra - che si dichiaravano maoisti, talora
trotzkisti - e gli antinuclearisti, che erano tra gli animatori di alcuni di
quei movimenti. Tutte queste entità hanno finito per fondersi completamente.
Nel gennaio 1980, a Karlsruhe, quando i Grünen si costituirono ufficialmente,
includevano un vero mosaico di gruppi. Appena costituiti, essi presero la decisione
di presentarsi alle elezioni federali previste per il mese di ottobre dello
stesso anno. Non raccolsero allora che l'1,5% dei suffragi, risultato molto
lontano dalle loro aspettative. Ma conservarono l'immagine di contestatori,
militanti per il disarmo, un'immagine che s'era forgiata attraverso le campagne
pacifiste nelle quali s'erano impegnati opponendosi all'installazione sul suolo
della Repubblica federale tedesca dei missili americani Pershing. Questo valse
loro un certo credito tra i giovani. Questa immagine fu rafforzata da gesti
simbolici, come la scelta di presentarsi in jeans e maglione nelle assemblee
regionali nelle quali venivano eletti. Era da parte loro un modo di rappresentare
il proprio rifiuto a entrare nei giochi politici, il rifiuto a partecipare alle
manovre e agli aggiustamenti. Soprattutto essi rimanevano intransigenti in tutte
quelle materie che avevano rapporto con l'ambiente. Ma questo non sarebbe durato.
Rapidamente i Grünen si divisero tra "fondamentalisti", che si
richiamavano ai valori ecologisti di partenza, e "realisti", che cominciarono
a porsi la questione della loro integrazione nelle istituzioni politiche. Furono
questi ultimi a prevalere e gli altri si sottomisero alle scelte maggioritarie
dopo un agitato dibattito interno. Tra i "realisti" si trovavano Cohn-Bendit
e Joschka Fisher. Fu allora che i Grünen accettarono di entrare negli esecutivi
dei parlamenti regionali. Una decisione che arrivava molto opportunamente nel
momento stesso in cui la SPD, che governava insieme ai liberali, veniva abbandonata
da questi.
Alle elezioni europee del 1984, i Grünen ottennero l'8,2% dei voti, percentuale
che fu confermata nelle legislative del 1987, dove ottennero l'8,3%, e nelle
europee del 1989, con l'8,4%. Ma alle elezioni legislative del 1990, le prime
dopo la riunificazione della Germania, essi non raccolsero che un misero 3,9%,
che non fu sufficiente per avere dei deputati. Nel 1994 presero il 7,3% dei
suffragi, che permise loro di disporre di 49 parlamentari al Bundestag. Ma fu
solo nel 1998 e sulla base di una relativa perdita, dal momento che ottennero
il 6,7% dei voti, che essi poterono realizzare la loro ambizione: partecipare
al potere. L'alleanza con i socialdemocratici della SPD permise loro di avere
tre ministri in un colpo solo, tra cui quello prestigioso degli Affari esteri.
Da allora si può apprezzare il realismo dei Verdi in tutto il suo dispiegamento,
benché già se ne avesse avuta un'idea attraverso i loro atteggiamenti
nei governi dei Länder. Joschka Fisher, figura di spicco dei Grünen,
ma soprattutto ministro degli Esteri di questa coalizione, proclamò che
egli non era un ministro degli Esteri Verde, ma il ministro degli Affari esteri
della Germania. E lo dimostrò. Ad esempio egli fu un fermo sostenitore
dell'intervento della NATO in Serbia, spiegando, lui vecchio pacifista, che
era il modo migliore per assicurare la pace in questa parte di Europa. E ancora,
praticando una diplomazia accuratamente equilibrata, egli spiegò che
la questione cecena è un affare interno della Russia e la responsabilità
di una sua soluzione riguarda solo questo paese. Inoltre, egli non si oppose
alla vendita di carri tedeschi alla Turchia, a dispetto degli accordi e delle
convenzioni che impediscono la vendita di armi ai paesi che non rispettano i
diritti umani.
Le posizioni dei Grünen nelle questioni economiche e sociali esprimono
un atteggiamento di tutto riguardo nei confronti del sistema, vale a dire nei
confronti del padronato. Essi hanno approvato gli sgravi fiscali per le imprese
e le misure di austerità adottate dal governo Schröder. E' così,
per esempio, che recentemente Rezzlo Schlauss, il capogruppo dei deputati Verdi
al Bundestag, ha suggerito che si potrebbero diminuire i salari sotto il livello
previsto dai contratti collettivi nelle imprese considerate in difficoltà.
Per quanto riguarda l'uscita dal nucleare, rivendicazione emblematica dei Grünen,
l'accordo stipulato con i rappresentanti delle compagnie elettriche ha lasciato
a questi l'ultima parola, dal momento che potranno sfruttare le loro centrali
nucleari fino al 2018, al termine dunque dei trent'anni di funzionamento di
ogni centrale. Ciò corrisponde grosso modo alla durata di vita di queste
centrali, la cui produzione avrebbe dovuto in ogni modo cessare intorno a quella
data.
I Grünen hanno dunque beneficiato dell'opportunità offerta loro
dall'alleanza con la SPD. Ciò non significa tuttavia che essi leghino
esclusivamente il loro avvenire politico a una alleanza con la sinistra, se
si può parlare di sinistra a proposito della politica di Schröder.
L'ipotesi di un patto futuro con le forze di destra è stata evocata,
non solo dai commentatori, ma dai Verdi stessi. E' così che Cem Zdzmie,
uno dei deputati Verdi al Bundestag, di origine turca, si è fatto araldo
di una tale evoluzione del suo partito, auspicando a gran voce che i Verdi si
radichino ancor più nelle classi medie e occupino quello spazio politico
che attualmente è dei liberali del FDP. In una tale prospettiva non è
escluso che i Grünen si alleino con la CDU. Bisogna ammettere che ciò
non sarebbe contro-natura per i Verdi, a condizione che i cristiano-democratici
siano interessati e vogliano questo tipo di alleanza. A dire il vero non sarebbe
neppure una novità, poiché un'alleanza del genere esiste già
in Germania in un certo numero di località.
Francia - Da Lalonde a Voynet
L'integrazione dei Verdi alla coalizione di
maggioranza in Francia non è il risultato, almeno non più, di
una spinta elettorale significativa. E' l'esatto contrario. Dominique Voynet,
candidata dei Verdi alle elezioni presidenziali del 1995, non aveva ottenuto
che il 3,34% dei suffragi, ancor meno dei suoi predecessori ecologisti in questa
competizione elettorale: nel 1981, Brice Lalonde ottenne il 3,91% e nel 1988
Antoine Waechter il 3,83%. Le elezioni legislative del 1997 non fermarono questa
tendenza regressiva. I Verdi raccolsero in media il 3,7% dei consensi, ma bisogna
tener conto in questa media del risultato di 29 circoscrizioni nelle quali il
PS aveva scelto di non presentare candidati per favorire i Verdi. Fu dunque
grazie alla desistenza del PS e sulla base di un risultato debole che gli ecologisti
(non tutti membri dei Verdi) entrarono per la prima volta nel Parlamento francese
con 8 deputati e ottennero il ministero dell'Ambiente, attribuito a Dominique
Voynet. La novità non era che i Verdi partecipassero al governo, poiché
Brice Lalonde l'aveva già fatto. Si può dire la stessa cosa di
Corinne Lepage, proveniente anch'ella dal movimento "Generazione ecologica",
creato e diretto da Brice Lalonde, ministra dell'Ambiente nel governo Juppé.
Parlare di una spinta elettorale ecologista che, a partire dal 1997, avrebbe
scombussolato la vita politica in Francia è dunque eccessivo. Anche il
9,7% dei suffragi raccolti dalla lista Verde guidata da Daniel Cohn-Bendit alle
elezioni europee del 1999, presentato dai commentatori e soprattutto dai Verdi
stessi come il segnale della loro emergenza sul piano politico, era inferiore
al 10,6% realizzato dieci anni prima da A. Waechter alle elezioni europee.
La storia degli ecologisti in Francia, per tumultuosa che sia stata, con il
suo susseguirsi di figure di spicco (Lalonde, Waechter, oggi Voynet, domani
forse Mamère) è segnata da una continuità politica incontestabile
che cela a malapena il modo in cui sono affrontate le questioni e le dispute
tra le persone. Il recente congresso dei Verdi a Tolosa ne è stata una
nuova dimostrazione. Gli incessanti cambiamenti di leadership riflettono delle
differenze tattiche, non delle divergenze di fondo.
La prima apparizione dell'ecologismo sul terreno politico in Francia fu la candidatura
di René Dumont alle presidenziali del 1974. Egli superò appena
l'1% dei suffragi. Brice Lalonde ne fu il continuatore. Forte della notorietà
acquisita grazie alla sua candidatura alle presidenziali del 1981, sostenne
Mitterand in quelle del 1988, che gli valse in cambio l'ingresso nel governo,
e allo stesso tempo gli fornì l'occasione di distribuire dei posti a
qualcuno dei suoi accoliti, come Noël Mamère, che fece molto parlare
a quell'epoca. Ma se in quell'occasione Lalonde strinse legami con la sinistra
mitterandiana questo posizionamento fu solo di circostanza, poiché alle
elezioni europee del 1984 egli aveva presentato una lista ecologico-liberale
(ERE) comprendente personalità come il giornalista Jean-François
Kahn, o Olivier Stirn, che si qualificavano essi stessi come liberali. E' vero
che un tale posizionamento non disturbava affatto Mitterand, che alla stessa
epoca associava al governo, nel quadro di una politica detta di apertura, politici
come Soisson. L'evoluzione politica di Lalond, che ebbe in seguito incarichi
da Balladur e fu sponsorizzato da Alain Madelin nelle elezioni locali, non illustra
solo un'evoluzione individuale, ma è significativa della linea politica
degli ecologisti a cui piace ripetere che essi non sono né di destra
né di sinistra, e che è riassunta nella formula "ni-ni".
Un modo per dire che essi sono disponibili per ogni opportunità. Brice
Lalonde fu l'incarnazione vivente di questo atteggiamento.
Il suo successore come capogruppo degli ecologisti, Antoine Waechter, fino al
1992 alla testa dei Verdi, la cui esistenza ufficiale data a partire dal 1986,
incarnò anch'egli la politica del "ni-ni", la linea maggioritaria.
Se essa cominciò a essere contestata a partire dal 1992, lo fu più
per ragioni di opportunità che di principio. Alcuni la consideravano
poco gratificante sul piano elettorale, ma soprattutto senza sbocchi politici,
nel senso che difficilmente avrebbe permesso di accedere al governo.
Quando Dominique Voynet soppiantò Antoine Waechter e divenne la candidata
dei Verdi alle presidenziali del 1995, questi non avevano ancora chiaramente
scelto i loro futuri alleati, tanto che i partner tradizionali, i quali si stavano
forse interrogando sul magro bottino di voti garantito dai Verdi, non erano
più tanto disposti a elargire compensi. I Verdi cercarono anche di evitare
di entrare direttamente nella competizione elettorale, o considerarono per un
istante di presentare la candidatura dell'Abbé Pierre. Dominique Voynet
solo a fior di labbra invitò a votare per Jospin al secondo turno di
queste elezioni. L'alleanza col PS non si definì che nei mesi seguenti,
nello stesso tempo in cui le possibilità di vittoria della sinistra cominciavano
ad apparire più evidenti. L'opportunità si presentò prima
del previsto, in seguito allo scioglimento dell'assemblea nazionale voluto Chirac
nel 1997.
Il sostegno al PS permise ai Verdi di avere per la prima volta dei deputati,
ma le trattative con i socialisti aprì loro anche le porte del governo;
essi ottennero in un primo tempo un ministero, quello dell'Ambiente e del risanamento
del territorio, poi, dopo qualche mese, una seconda poltrona concessa a Guy
Hascoët al ministero dell'Economia solidale.
Si può dunque osservare i Verdi francesi all'opera da ormai circa quattro
anni. E' opinione comune che durante questo periodo essi non hanno fatto che
inghiottire dei rospi. Per certi versi è proprio così. A cominciare
dalle questioni ambientali. In effetti essi sono lontani dall'aver ottenuto
ciò che figurava nella lista delle loro richieste su questo argomento.
Se si eccettuano l'abbandono di Super-Phoenix e quello del progetto di canale
tra Reno e Rodano, Jospin non ha lasciato loro altre occasioni di cantar vittoria.
La moratoria sullo sviluppo autostradale, tanto promessa da Jospin, è
caduta nell'oblio, così come la rinuncia al nucleare civile. Altre misure
sono state prese che vanno contro le aspettative degli ecologisti, come la decisione
di autorizzare il seppellimento delle scorie nucleari.
Voynet e i Verdi si sono ridotti a rantolare e a lamentarsi dell'egemonismo
del PS. Essi, ad esempio, fingono di indignarsi che Jospin non ha mantenuto
le promesse concernenti la regolarizzazione dei sans-papiers. In realtà
sembra che essi non vogliano ammettere che questo egemonismo è un dono
da loro fatto e accettato fin dal principio della costituzione dell'alleanza,
in cambio soprattutto dell'ottenimento di posti da deputato e da ministro. Voynet
sa molto bene e Jospin, che non perde occasione di ricordarglielo, pure, che
è lui che "li ha fatti re". L'ipocrisia di questa indignazione
di facciata è ancora più grande quando rimproverano a Jospin di
non aver mantenuto fede alla promessa di abrogare la legge Pasqua-Debré.
Jospin non ha mai fatto promesse su questo punto e si è ben guardato
di contrassegnare in questo senso l'accordo stabilito tra Verdi e PS alla vigilia
delle elezioni legislative del 1997. Voynet e i Verdi non possono ignorarlo
dal momento che hanno sottoscritto questo accordo.
Se i Verdi ingoiano rospi, è dunque con
coscienza di causa, consenzienti e contenti di partecipare al festino. Niente
di diverso dai loro omologhi tedeschi e italiani. Ma, aldilà del contesto
attuale che fa di loro gli alleati di coloro che ben li vogliono, c'è
da chiedersi se i Verdi sono stabilmente ancorati alla sinistra, ammettendo
di voler considerare di sinistra la socialdemocrazia! In tre paesi su quattro
i Verdi fanno parte di coalizioni di sinistra - la Finlandia fa eccezione poiché
si trova nella coalizione di governo almeno una componente di destra. Questo
accade nonostante che in Italia le coalizioni che hanno espresso leader come
Prodi possono difficilmente essere qualificate di sinistra, anche se gli elettori
del PDS, che portano il maggior numero di suffragi alla coalizione, lo sono.
Il fatto che i Verdi siano attualmente dei componenti di governi cosiddetti
di sinistra è più il frutto delle circostanze che il risultato
di una scelta. Questa situazione può essere ribaltata senza troppe difficoltà
se queste circostanze muteranno. Un simile ribaltamento d'alleanze è
d'altronde evocato in Germania e non appare incongruo a nessuno.
La storia dei Verdi, in particolare là dove hanno potuto essere testati
attraverso la partecipazione alle scelte governative, dimostra che essi sono
rimasti nei fatti al "ni-ni" delle loro origini, disponibili nei confronti
di chiunque li vorrà. Gli episodi che hanno avuto protagonisti Lalonde
o Waechter in Francia, Joschka Fisher in Germania o Rutelli in Italia non sono
delle peripezie secondarie, ma rivelano la vera natura dei Verdi. Il passato
degli ecologisti francesi, non molto lontano dal servilismo e dalle civetterie,
era rappresentato da Lalonde e Waechter, ma il loro presente è quello
della loro testa di lista alle elezioni europee del 1999: e non è migliore.
Dominique Voynet è stata quella che si è trovata là nel
momento in cui si è presentata l'opportunità di un'alleanza che
permettesse ai Verdi di realizzare le loro ambizioni. Forse risulterà
troppo segnata e compromessa da questa esperienza per essere accettata dalla
destra, se questa vorrà tentare l'avventura e soprattutto se troverà
interesse a farlo. Ma i Verdi hanno dimostrato di avere una grande quantità
di frecce al loro arco. In Francia un Noël Mamère potrà ben
incarnare una tale virata dei Verdi. Il suo itinerario in seno al movimento
ecologista è stato perlomeno tortuoso: ha fatto parte in un primo tempo
del gruppo di fiducia di Brice Lalonde, è stato candidato alle elezioni
europee nella lista guidata da Bernard Tapie, ha fondato un suo proprio movimento
politico per ricongiungersi finalmente ai Verdi all'indomani del 1997. E in
effetti non è senza precise ambizioni che egli pensa a una sua candidatura
alle presidenziali del 2002, in concorrenza con Dominique Voynet.
Aldilà di questi aspetti politici, i Verdi, quale che sia il nome che
si daranno, non hanno quelle radici che legano il Partito Comunista, e anche
il Partito Socialista, al movimento operaio - benché ora appaiano molto
lontane. I Verdi non hanno mai avuto, né in passato né al presente,
il benché minimo legame con le forze politiche del movimento operaio.
Il PC e i Verdi francesi partecipano insieme al governo socialista e seguono
dietro il PS la stessa politica antioperaia e reazionaria. Su certi problemi
specifici è addirittura possibile che i Verdi assumano posizioni meno
reazionarie del PC. Ma il radicamento che in passato legava strettamente il
PC nel movimento operaio e, in una certa misura, i suoi legami ancora presenti
obbligano la sua direzione a contorsioni d'ogni tipo per non alienarsi troppo
una base sociale in gran parte operaia, a cominciare dai suoi stessi militanti.
I Verdi non sentono alcuna responsabilità, se non demagogica, nei confronti
del mondo del lavoro, che non costituisce la loro base sociale. Essi non devono
nascondersi quando difendono le misure anti-operaie. nel loro intimo essi sono
apertamente anticomunisti e mascherano questo anticomunismo dietro un antistalinismo
di circostanza, per il quale gli storici alla moda forniscono loro comodi argomenti.
Questa attitudine non dipende semplicemente da una scelta ideologica; essa ha
un fondamento sociale profondo. Ciò che caratterizza il movimento ecologista
non è tanto che ricusa il movimento operaio, le sue battaglie, la sua
storia, le sue tradizioni e i suoi referenti, ma che si situa socialmente al
di fuori della classe operaia, quando non è apertamente contro le sue
aspirazioni d'insieme o i suoi interessi quotidiani. Gli esempi di un tale atteggiamento
non sono affatto eccezionali. Uno dei più recenti riguarda la Francia,
e anche se forse è secondario non è tuttavia meno significativo:
si tratta della posizione assunta dai Verdi nei confronti del prezzo della benzina,
sulla quale vorrebbero imporre le tasse più alte possibili. Poco a loro
importa delle conseguenze sociali di una tale misura, la discriminazione che
essa accentua tra ricchi e poveri. I Verdi sono politicamente degli elettroni
liberi, che possono altrettanto bene flirtare con la sinistra e con la destra.
Ma dal punto di vista sociale essi si situano completamente e senza riserve
nel campo della borghesia.