Nel Paese dei fichi d'india.
Le dimissioni di Ruggiero e i rapporti tra questo governo, il grande capitale italiano e quello europeo. REDS. Gennaio 2001.


Le dimissioni di Ruggiero ci offrono una buona occasione per analizzare gli attuali rapporti tra il governo e la classe dominante che ne ha sostenuto l'ascesa e il rapporto che intercorre tra questa e la borghesia europea.

I fatti

Negli ultimi mesi la politica estera dell'Italia ha seguito una rotta di collisione con il resto dell'Unione Europea. Vediamo i quattro momenti principali di questo conflitto.

La vicenda Airbus
Il 18 dicembre del 2001, dopo due mesi di tiraemolla, il governo italiano ha rifiutato di apporre la propria firma al progetto di costruzione in scala dell'aereo da trasporto tattico europeo A400M. Hanno firmato invece Germania, Francia, Spagna, Gran Bretagna, Turchia, Belgio, Portogallo e Lussemburgo; immediatamente la Alenia italiana è stata sostituita dalla portoghese Ogma. Questo aereo dovrebbe essere prodotto da Airbus, un consorzio di imprese europee che costituisce un esempio riuscito di costruzione "dall'alto" di una multinazionale, sorta per contrastare i colossi USA. Il governo di centrodestra ha sostenuto che non c'era alcun bisogno di acquistare 16 di questi velivoli (per una spesa di 3mila miliardi di lire) perché l'Italia disponeva già di C130 (USA). Ruggiero si è battuto invece per la firma adducendo motivazioni politiche: la necessità di stare "dentro" un concreto processo di integrazione europea che toccava i campi della difesa e dell'industria pesante.

Mandato di cattura europeo
Durante la prima metà di dicembre è scoppiato il conflitto tra Italia e UE sul mandato di cattura europeo: un quadro normativo che dovrebbe permettere di rendere operativo in tutto il territorio dell'Unione un mandato di arresto emesso da un Paese membro. All'inizio Berlusconi ha tentato di contrattare un numero ridotto di reati cui applicare il mandato (escludendo tra gli altri la corruzione), poi, di fronte alla determinazione europea ad andare avanti anche senza l'Italia, ha dovuto cedere, l'11 dicembre. Il ministro Buttiglione ha accusato il ministro degli esteri Ruggiero di non aver adeguatamente preparato per tempo la battaglia "di libertà" dell'Italia. Bossi intanto inveiva contro "forcolandia" e organizzava una manifestazione il 9 contro il mandato di cattura europeo (sul palco anche il dimissionario sottosegretario Taormina).

Laeken
Il 14 dicembre si apriva a Laeken il vertice dei capi di governo della UE. Berlusconi abbandonava subito il sostegno ad Amato, candidato alla guida della Convenzione che dovrà scrivere la costituzione europea (verrà scelto come vicepresidente insieme al belga Dehaen) passando ad appoggiare il francese Giscard. Berlusconi dirà poi: "a quel punto abbiamo preferito un liberale a un socialista"; "Giscard condivide l'idea di un'Europa più snella e meno burocratica, che applica il principio della sussidiarietà". Quindi faceva saltare con un no clamoroso l'accordo sulle 13 authority, perché non aveva ottenuto che Parma fosse la sede di quella alimentare.

Euro
Ai primi di gennaio si consuma la rottura tra Berlusconi e Ruggiero, dopo che quest'ultimo ha rilasciato un'intervista molto critica nei confronti del governo che accusa di essere pieno di "euroscettici". Ruggiero dà le dimissioni.

Il "partito europeista"

Del "partito europeista" fa parte una larga schiera di "tecnici" di alto livello provenienti o facenti parte del mondo della diplomazia, della finanza, dell'università: Padoa Schioppa, Monti, Prodi, Ciampi, Amato, ecc. Si tratta di personaggi che hanno compiuto anche scelte politiche di schieramento piuttosto divergenti, ma uniti dalla prospettiva europeista. I maggiori organi di informazione a mezzo stampa, pur con diverse sfumature, li fiancheggiano: La Stampa, La Repubblica, il Corriere della Sera. Questi personaggi godono dell'appoggio del "grande capitale" italiano, integrato all'economia europea e mondiale. Non è un caso ovviamente che Ruggiero sia stato "imposto" da Agnelli come ministro degli esteri.

La ragione di questo sostegno risiede in una valutazione assai realistica della struttura del capitalismo italiano: poche grandi multinazionali in grado di competere sul mercato mondiale e un PIL sostanzialmente costituito da piccole aziende di cui molte affogate nel "sommerso" (il 25% del PIL secondo alcune valutazioni): questo "nanismo" produttivo produce una grande vitalità del capitalismo italiano, ma che non si traduce in termini di "potenza". La debolezza strutturale della sua borghesia (in relazione a quella degli altri Paesi imperialisti) è anche alla radice dei limiti della struttura statale, farraginosa, clientelare e parassitaria, ben poco in grado di salvaguardare gli interessi "globali" della classe dominante. Basti pensare al peso esercitato dalle strutture mafiose sulle formazioni politico-sociali di alcune regioni del Sud nell'ostacolare un "normale" sviluppo capitalistico. Il "partito europeista" ha dunque visto nella costruzione di una entità statale o similstatale europea lo strumento per vincolare l'Italia al passo degli altri capitalismi e integrare la propria classe dominante all'interno della più vasta classe dominante europea. Secondo i suoi esponenti in un'epoca di crescente concorrenza l'Italia non solo non avrebbe alcuna possibilità di competere con Paesi quali Francia e Germania, ma sarebbe letteralmente schiacciata dal confronto con gli USA o con l'Asia. Leggiamo ora direttamente pezzi del pensiero degli esponenti di questa corrente, tenendo conto ovviamente che quando essi parlano di "interesse nazionale" non intendono precisamente l'interesse degli operai metalmeccanici.

Tommaso Padoa Schioppa, ricordando le ragioni che spinsero l'Italia sul terreno dell'europeismo, scrive sul Corriere del 14 dicembre: "chi ha l'agilità ma non la stazza fisica cerca di vincere il mondiale alla scherma, non al lancio del martello. La nostra politica era fondata su un analisi corretta sia degli interessi di un'Italia bisognosa di consolidare economia e sistema politico".

Mario Monti in un'intervista al Corriere del 19 dicembre (dove tra l'altro elogia ripetutamente Ciampi e Ruggiero): "Un paese come l'Italia , che è grande ma che ha molte debolezze sia nell'apparato amministrativo pubblico, sia nel proprio sistema di imprese, avrebbe tutto da perdere se lo sviluppo dell'Europa avvenisse per concerto delle nazioni, con un metodo intergovernativo. L'Italia è un vaso grande, ma tuttora più fragile di altri grandi vasi che compongono l'Europa. Quindi ha interesse a che ci siano istituzioni comunitarie forti, in grado di imporre regole comuni a tutti gli stati, compresi i più grandi e comprese le imprese degli stati più grandi. Forse in passato si è data l'impressione che l'Italia desse solo un apporto di carattere idealistico alla costruzione dell'Europa. Mentre è la concretezza dei suoi interessi che la porta in quella direzione". "Tutti i connotati di un'economia liberale che erano assenti dalla prassi italiana sono stati portati in Italia dal liberalismo dell'Europa."

E Ruggiero sempre sul Corriere: "tutto quello che abbiamo fatto finora è stata una cessione di sovranità nazionale inefficiente per acquisire una sovranità molto più ampia ed efficiente negli interessi del paese"

Per questo oltre all'appoggio scontato di Repubblica, anche il Corriere della Sera, che ha sostenuto il centrodestra nelle ultime elezioni, si è mostrato molto allarmato per la piega che sta prendendo la politica estera italiana: sul mandato di cattura europeo ha fatto aperta propaganda perché l'Italia non rimanesse isolata ed ha difeso poi sino all'ultimo Ruggiero. Anche Agnelli è sceso direttamente in campo con una intervista indispettita (dove dichiarava che l'Italia non è neppure una repubblica delle banane, ma solo di fichi d'india) rilasciata a Repubblica: "È una brutta giornata per l'Italia e anche per me. È una brutta perdita per il governo e per il Paese. Temo che non se ne rendano ancora conto, almeno non del tutto. Mi auguro che non sia così nell'interesse del Paese, ma credo proprio che realizzeranno solo dopo che cosa significa l'uscita di un uomo come Ruggiero dagli Esteri. A quel punto gli farà male".

La politica estera della destra

La destra al governo è fatta invece di altri umori. Al suo interno si registrano varie tendenze, ma l'asse mediano passa per una concezione di Europa come spazio libero commerciale, e non come "Europa potenza". La destra non è, ormai, contro l'euro, e i suoi margini sono assai ristretti, come dimostra anche l'Austria di Haider che non può certo permettersi grandi atti di ribellione. A tutti è chiaro qual è il quadro mondiale di concorrenza internazionale: persino la Svizzera sa che non potrà sopravvivere se non aggregandosi al polo europeo. Ma l'idea di Europa che ha la destra è quella di una struttura debole, con istituzioni quasi inesistenti, e un apparato legislativo ininfluente. Alla radice di questa concezione c'è l'Italia del capitalismo "diffuso": piccole e medie aziende che vivono lo stato come oppressione, e che considerano la "politica" una avversaria da spazzare via. Si tratta certo di imprese che vivono anche, e a volte soprattutto, di esportazione: ma di una esportazione che si insinua negli interstizi lasciati liberi dai grandi, che non ha mai fatto conto sulla presenza alle spalle di uno stato "forte". Sono industrie che magari producono una gran quantità di mine per il Terzo Mondo, ma nemmeno si sognano di competere con la Boeing per la produzione di aerei militari: la Boeing ha bisogno di uno stato imperiale forte che garantisca i suoi interessi nel mondo e le assicuri un adegato numero di commesse, le fabbriche di mine no: s'arrangiano da sole. A questi settori "produttivi" si devono aggiungere tutta una serie di figure sociali che la particolare storia dell'Italia ha ingrandito a dismisura e che costituiscono la vasta piccola borghesia. Come dice Francesco Giavazzi sul Corriere del 29 dicembre, il nostro è un Paese dove ci sono i "commercialisti che boicottano la riforma universitaria, imponendo cinque anni di studio per tenere la contabilità di una piccola azienda, notai che difendono una professione medievale, sconosciuta nei Paesi anglosassoni, banche centrali nazionali che ostacolano l'integrazione dei mercati finanziari nel timore che essa tolga loro un po' di potere". Il campione di questi personaggi è appunto un Tremonti, ministro dell'economia, che in vita sua non si è mai occupato di produzione, ma di tasse: ha passato gran parte del suo tempo a trovare i modi perché i suoi clienti frodassero il fisco. Ed anche liberisti come Martino vogliono semplicemente meno lacci possibili alle "forze del mercato", e dunque vedono male forti istituti europei per le stesse ragioni per cui li vedono male anche in Italia.

La politica estera del governo di destra dunque suscita la preoccupazione del partito europeista che ben ha compreso, ormai, la filosofia dei nostri. Esso teme che, negando la connessione strettissima che esiste tra la possibilità di fare "grandi" affari, e la "grandezza" del proprio stato (che ormai non può che avere la dimensione continentale), gli gnomi del governo si apprestino a combattere nel teatro della competizione mondiale con fionde e a dedicare metà del tempo a nascondersi dalle schioppettate. Il 4 gennaio Sergio Romano scrive sul Corriere: "Non credo che il governo possa considerarsi pregiudizialmente ostile all'Europa e penso che sarebbe ingiusto negare, ad esempio, la coerenza europea della sua politica finanziaria. Mi limito a constatare che esistono nel centrodestra molte diffidenze, qualche prevenzione e una certa ottusa insensibilità per la storia e gli scopi della politica europea. L'orizzonte di Bossi non supera i confini della Padania. Le idee di Martino sono quelle dei monetaristi di Chicago, a cui la strategia dell'euro non è mai piaciuta. AN è ancora, nonostante il lavoro di Fini, un partito social-nazionale, in cui molti 'colonnelli' sono contrari a qualsiasi cessione di sovranità. E Berlusconi è nella situazione di certi studenti brillanti che non 'sentono' una materia, non l'hanno mai studiata e preferiscono parlare d'altro". Se Ruggiero fosse licenziato il fatto "avrebbe conseguenze di cui è bene che Berlusconi pesi l'importanza. Può darsi che la prospettiva susciti qualche occasionale simpatia a Madrid, Londra, Stoccolma, e Copenaghen. Ma potrebbe allontanare l'Italia dai governi e dagli ambienti con cui ha costruito per cinquant'anni, spesso in prima fila, l'integrazione europea".

E' estremamente significativo che la maggior riforma che prevede il governo in tema di politica estera sia quella di trasformare le ambasciate in una sorta di centri import-export: per capitalisti che si rifiutano di porsi problemi di carattere geopolitico, ma sono attenti al "soldo" a che altro dovrebbero servire gli ambasciatori? Per le stesse sostanziali ragioni essi sono contrari al voto a maggioranza in sede di istituzioni europee: non vogliono correre il pericolo di vedere "altri", magari i Paesi del Nord Europa dal welfare "esoso", ficcare il naso nelle tasse nostrane.

La costruzione europea

La costruzione di una Europa potenza, faticosamente, va avanti, anche senza l'Italia. La nuova politica estera dell'Italia sta avendo un esordio tra il disastroso e il comico, com'è nello stile nazionale. L'UE ha dimostrato che può fare benissimo a meno dell'Italia: ha costretto Berlusconi ad una penosa ritirata sul mandato di cattura, ha prontamente sostituito le industrie italiane nel progetto dell'aereo da trasporto, non gli ha concesso la presidenza della Convenzione, non gli ha dato la sede di authority che desiderava. Come dimostrano gli opposti giudizi sulla vicenda Ruggiero dello statunitense Wall Street Journal e dell'inglese e filoeuro Financial Times, la politica estera italiana suscita simpatia oltreoceano perché indebolisce un concorrente in costruzione, ma non potrà rallentare un processo che è irreversibile perché i piccoli imperialismi europei non possono sopravvivere allo scontro con America e Asia senza unirsi.

E che fanno i leader del centrosinistra? Incapaci di riannodare i nodi con la propria naturale base sociale che diserta il voto o vota a destra, si preoccupano di apparire agli occhi di Agnelli e della grande borghesia europeista, come i primi della classe e intitolano la prima manifestazione anti Berlusconi... contro lo scippo del TFR? No. Contro la riforma fiscale che toglie ai poveri per dare ai ricchi? No. Per migliori salari? Macché: per solidarizzare con Ruggiero. E non otterranno nemmeno un grazie dai sofisticati signori europeisti: la grande borghesia finirà anche per ingoiarsi questo boccone: se davvero Berlusconi riesce a sconfiggere il movimento operaio italiano, pensano Agnelli, il Corriere e compagnia bella, forse si può pagare il prezzo di un certo declassamento europeo. E' un film già visto: si sono ingoiati a suo tempo il fascismo e poi la DC, digeriranno anche Berlusconi, purché allarghi i loro profitti immediati. Puzza sotto il naso a parte, i grandi capitalisti assomigliano dannatamente ai piccoli.