Un partito folle. Che cos’è il Partito Democratico.
Il Partito Democratico è un segno dei tempi. E’ uno di quei fatti politici che, da solo, riesce a spiegare che cosa sia diventata la politica, come sia cambiata la società, e come i protagonisti della politica, soprattutto gli eredi della storia del movimento operaio, fatichino a trovare un ruolo, un orizzonte d’azione, un significato del proprio agire politico. Di Loris Caruso. Reds – Novembre 2007.


L’idea di dare vita a questa nuova formazione deriva innanzitutto dalla sconfitta storica subita dalla sinistra dopo l’89, con la caduta dei regimi comunisti. Da quel momento per la sinistra “riformista” (meglio usare le virgolette, perché mai una parola è stata usata tanto a sproposito) di origine comunista è iniziata un’infinita rincorsa a destra, un’affannosa ricerca del proprio spazio politico, un’ansia mai placata di cancellare le proprie tracce.
In questo percorso, Il Pds ed i Ds si sono dati nuovi referenti sociali e nuovi “ideologi”.
I nuovi referenti sociali, che sostituiscono il tradizionale radicamento nel mondo del lavoro dipendente, sono le cooperative ormai divenute grandi imprese, a volte multinazionali, considerate il proprio mondo economico di riferimento, da far crescere a tutti i costi con le derive di cui sappiamo (come appoggiare scalate bancarie in compagnia di soggetti criminali, i vari Ricucci, Coppola, eccetera), il lavoro autonomo, i piccoli imprenditori, le banche, la grande impresa. In una parola, e semplicemente, gli stessi referenti sociali della destra. A cui si cerca di sottrarli, di contenderli. E il Partito democratico nasce con l’idea di sottrarre e contendere alla destra anche il suo elettorato, con le sue pulsioni, i suoi istinti di legge e ordine, il suo disprezzo per il conflitto sociale, le mobilitazioni politiche, la partecipazione attiva, le differenze culturali.
I nuovi ideologi della sinistra moderata, cioè le persone che i suoi esponenti ascoltano, quelle di cui seguono le indicazioni e da cui si fanno suggerire le strategie politiche, sono gli editorialisti dei grandi quotidiani nazionali. Gli ex diessini tremano, di fronte ad un bell’articolo di fondo di Panebianco, di Galli della Loggia, di Ferruccio de Bortoli. Lo criticano, e il giorno dopo fanno quello che i nuovi ideologi gli suggeriscono. Difficilmente (mai) citano un libro, citano solo gli articoli della grande stampa italiana. I libri sono troppo complessi.
Che cos’è la follia? E’ non saper distinguere chi si è e che cosa è il mondo. La sinistra moderata, in questo senso, è diventata folle. Non sa dire chi è, non ha un’identità: è contro la guerra ma a favore di quasi tutte le guerre, è per dare soldi ai ceti popolari ma anche (molti di più) alle imprese, per i Dico ma anche (molto di più) contro i Dico, vicina (molto) a Confindustria ma anche (poco) ai sindacati, laica ma vicina all’integralismo cattolico, per correggere la globalizzazione ma anche per sostenerla, per difendere l’ambiente ma anche per costruire tutte le autostrade, le tangenziali, i porti e le alte velocità possibili immaginabili. Il Pd cerca di mostrarsi equidistante rispetto ad ogni conflitto tra interessi. Ma, come sempre, quando si è equidistanti alla fine si sceglie il più forte: Confindustria, Il Vaticano, gli Stati Uniti, le banche. Questi sono gli “alleati” del Pd, i soggetti che ne hanno suggerito la nascita.
Incapacità di capire il mondo. Quando perde una tornata elettorale, la sinistra moderata dice che la causa sta nel fatto che “i ceti moderati non ci hanno capito”, “dobbiamo raggiungere le zone più dinamiche del paese”, “i ceti produttivi non hanno compreso il nostro messaggio”. Pensando che quando la sinistra perde è perché non la votano gli imprenditori. Pensando che al Nord siamo tutti imprenditori, e che sia possibile costruire una forza politica progressista intorno al consenso degli interessi economici. Non capendo, dopo quindici anni di tentativi andati male, che se la sinistra non è ancora riuscita a diventare maggioranza in questo paese è perché questa strategia è fallimentare. Non capendo che c’è un astensionismo dei ceti popolari e del voto di sinistra sempre più grande. Che c’è un mondo, quello della povertà, che non rappresenta più nessuno, che sparisce.
Quasi niente, per questo nuovo partito “folle”, è più di destra: non lo è la difesa oltranzista della famiglia tradizionale, non lo è mandare i carabinieri nelle scuole a “controllare” i ragazzi, non lo è sgomberare i campi Rom, tagliare le pensioni, pensare che governare significhi solo far tornare i conti, non lo è favorire una cordata economica contro l’altra, non lo è chiamare Ricucci “compagno”, non lo è sospendere lo stato di diritto per inseguire la chimera mediatica della “sicurezza”. Non lo è scrivere provvedimenti fascisti come il “Pacchetto sicurezza”, rincorrere i lavavetri e i mendicanti. Il sogno, il massimo sogno che questo partito sa avere è quello di comprare una banca. Quello che era destra, lo chiama sinistra. Questa è una sinistra che non sceglie, ma la politica è scegliere, è opporre una cosa all’altra, un gruppo sociale all’altro, una visione del mondo all’altra. Politica è scontrarsi, non conciliare l’incociliabile. Il Partito democratico è la fine della politica.
Non saper più associare un nome alle cose: è il primo sintomo della follia. Come tante follie, anche questa è americana. Fateci sognare. Il sogno del Partito democratico: un’Italia fatta di due grandi partiti, quasi uguali, in cui il sistema politico governa insieme ai grandi interessi economici. I cittadini passivi, a casa a guardare. La sinistra marginalizzata. Non ascoltare mai le manifestazioni, la libera espressione dei cittadini quando diventa azione politica (vedi Vicenza), ascoltare solo le lobby economiche e le pulsioni culturali della destra, perché se si convincono tutti che la sicurezza è un’emergenza si ottengono cittadini impauriti che si sottomettono a qualsiasi potere. Il Partito democratico è la fine della politica come la conosciamo e l’inizio di una politica molto peggiore.
Facciamo un altro sogno, più razionale, più utopico.