Nuovo capitalismo. Alitalia: un caso da manuale.
Il governo Berlusconi, dopo i rifiuti di Napoli, risolve un altro problema del Paese: salva la compagnia aerea di bandiera e, per mandare in porto l'operazione, mette in pratica una nuova forma di capitalismo. Di Maurizio Attanasi. Reds – Settembre 2008.


Anche la pratica Alitalia sta per concludersi, per Berlusconi, in modo positivo.
Dopo che il destino della Società era stato uno degli argomenti al centro della campagna elettorale delle scorse politiche, con il titolo che in borsa saliva e scendeva come le montagne russe, con tutti i politici che hanno detto la loro in proposito, la soluzione definitiva è stata trovata.

Non in mano ai francesi di Air France, con il loro piano di licenziamenti (circa duemila lavoratori) e di nuovi investimenti (pari a circa tre miliardi, più 135 milioni, tra scambio di azioni e aumento di capitale), così come il governo Prodi avrebbe auspicato e come, successivamente Veltroni con più decisione avrebbe voluto. In mano invece a un gruppo di personaggi che, secondo il leader del Pdl è in grado di salvaguardare l'italianità della Compagnia di bandiera.

Si, proprio perché l’italianità della azienda era stato il cavallo di battaglia del centro destra in aprile. Lo stesso principio che era stato affermato qualche anno fa, nella famosa estate dei “furbetti del quartierino”.
Le cordate, poi finite nell’occhio della magistratura, avevano utilizzato il concetto della difesa della italianità per difendere le banche italiane dalle scalate delle banche estere (grande paladino di questa idea fù l’allora governatore della banca d’italia Antonio Fazio); istituti che, dopo l’intervento della magistratura, finirono comunque in mano a banche straniere, mentre i cosiddetti difensori dell’italianità dovettero lasciare le loro prestigiose poltrone (vedi Fazio) e subire l'onta di essere indagati per un mare di ipotesi di reati, che hanno fatto crollare i castelli di carta che avevano costruito e su cui si basavano le loro fortune e le loro ricchezze.

La cordata italiana promessa da Berlusconi in campagna elettorale è arrivata ad agosto.
La nuova compagnia che si è costituta nei primi giorni di settembre e che si è proposta di rilevare Alitalia è composta dal gotha del capitalismo italiano: da Colaninno (ex scalatore Telecom e numero uno della rilanciata Piaggio) a Tronchetti Provera (sua la galassia Pirelli dagli pneumatici agli immobili) a Intesa Sanpaolo, secondo gruppo bancario italiano e regista principale dell’operazione Fenice, come è stata ribattezza tutta la vicenda Alitalia .
Tutti questi “capitalisti coraggiosi” operano e hanno operato in qualche modo con lo Stato.
Dalle concessioni autostradali (i Benetton) ai trasporti marittimi (con Gianluigi Aponte gruppo MSC), ai costruttori Ligresti, Gavio e Caltagirone (cugini del più famoso Francesco, ma anche lui nelle costruzionie negli aeroporti come i Benetton). E poi, con una piccola ma simbolica partecipazione, c’è anche la neopresidente di Confindustria Emma Marcegaglia.

Ma qual è la peculiarità dell’operazione Alitalia che la fà diventare un caso da manuale?
Il presidente del consiglio ha cambiato il quadro normativo esistente, disegnandolo su misura per rendere possibile il salvataggio di Alitalia.
Ha modificato la legge Marzano, che era stata promulgata per il salvataggio di Cirio e Parmalat qualche anno fa, introducendo tra l’altro una norma che “giustamente” (come sostiene Gavazzi sul Corriere della sera) gli imprenditori hanno preteso dal Governo: una norma che li protegge “dal rischio di revocatorie da parte dei creditori della vecchia Alitalia”.

Il Governo, secondo il progetto, ha commissariato la società Alitalia e, contestualmente, il commissario è stato autorizzato a cedere gli asset positivi per far cassa e cercare di pagare i debiti, accollandosi gli esuberi (la cifra non è ancora chiara: 5000/6000?) convogliandoli nella pubblica amministrazione.

La nuova società non avrà, quindi, né debiti né esuberi e incorporerà Airone, anche in questo caso solo gli assett positivi, minando però i vincoli stabiliti dall’autorità in materia di antitrust, visto che, ad esempio, nella tratta Roma-Milano si creerà una situazione di monopolio difficilmente scalfibile.

Si innaugura così un nuovo modello di capitalismo che qualcuno (vedi Corriere della sera del 29 agosto 2008) ha definito "economia sociale di mercato".

Ma in realtà si tratta di un ritornello sentito già altre volte: si socializzano le perdite (sempre secondo il Corriere della sera, i costi che i contribuenti dovranno sostenere sono di circa un miliardo di euro) mentre si privatizzano i profitti; e poichè questi “capitalisti coraggiosi” hanno ottenuto anche una clausole che consente loro di rivendere il tutto dopo un anno o poco più, magari ad una compagnia straniera, per realizzare “il giusto” profitto, rischiano di essere gettati tra le ortiche tutti i bei discorsi sull’italianità della compagnia.

Un altro aspetto che merita di essere osservato da vicino e quello legato ai protagonisti della vicenda.
A fare da sparing parteners al governo del centro destra sono “figuri” che sono considerati vicini al centro sinistra.
Il commissario di Alitalia è Augusto Fantozi, ex ministro di Prodi ed esponente della ex Margherita. E poi a gestire l’operazione, diventandone azionista è Intesa Sanpaolo, una banca considerata vicino al centro sinistra, con l’ad Passera che in passato ha manifestato le sue simpatie politiche partecipando alle primarie che incoronarono Prodi.
Inoltre il ministro ombra del nebuloso governo ombra targato Pd è Matteo Colaninno, capitalista e figlio del presidente della nuova compagnia. Ed è questa contiguità che spiega la passività dell'opposizione politica a questa operazione. Forse è proprio vero che anche in Italia ci stiamo avviando a diventare come gli Usa, con due soggetti politici diversi ma non alternativi tra loro.

Ma non si tratta di imprenditori “traditori” come qualcuno sulla carta stampata ha ipotizzato. Ma, come ha detto Roberto Colaninno, l’imprenditore deve vedere e valutare l’affare (la possibilita di fare profitti) e non il soggetto politico che lo ha proposto.

Ci sono comunque almeno due elementi dell'operazione Fenice (cosi è stato chiamato il piano di ristrutturazione di Alitalia) su cui occorre riflettere: il primo è rappresentato dai dubbi sul suo valore economico reale , tenedo conto sia dei costi per la collettività sia del ridimensionamento di Alitalia de facto.
Il secondo è rappresentato da questa nuova relazione che sta nascendo tra gli industriali e il governo.
In una inchiesta dell’Espresso del l’11 settembre si cerca di proiettare nel futuro questo rapporto tra Stato e imprenditori, che sempre più cercheranno di beneficiare delle opportunità offerte dallo stato stesso per ingrassare i propri profitti: alludiamo al rinnovo delle varie concessioni , alla dismissione del patrimonio dello stato, alla riqualificazione di aree dimesse, alla grossa fetta data dall’expo di Milano del 2015.
Emblematico è il caso del padrone dell’ilva di Taranto che dopo aver avuto problemi con il governo della Puglia sui valori troppo inquinanti della sua azienda attende il parere definitivo dal competente ministero di Roma.

Staremo a vedere.....