Medici: denunciare i clandestini?
I medici dicono no. Solidarietà ai medici che hanno deciso di rifiutare un provvedimento di stampo razzista. Un provvedimento chiaramente inserito in un contesto di nuove leggi repressive volte a rendere inefficace qualsiasi volontà di opposizione sociale. Di Duilio Felletti. Reds – Marzo 2009.


Sembra proprio che i medici intendano dire no all'emendamento presentato dalla Lega Nord al DdL sulla sicurezza, che abroga il divieto di segnalazione dei clandestini, previsto dal Testo Unico sull'immigrazione del 1998. Testo unico che, a parole, il ministro Maroni dice di voler difendere, sostenendo che comunque il medico non è obbligato a denunciare il clandestino/irregolare che si presenta in un ambulatorio, perchè bisognoso di cure.
Ma le nuove regole sono più chiare di quanto non le si voglia fare apparire.

Secondo i medici, la nuova disposizione, già approvata al Senato, e ora all'esame delle commissioni competenti della Camera, imporrebbe di fatto al Dottore di farsi delatore dei pazienti irregolari. Con grave rischio per la salute pubblica.
Già l'effetto annuncio ha ridotto l'affluenza degli stranieri sans papier nelle strutture sanitarie. Inoltre, sempre i medici, sostengono che questa disposizione va in evidente rotta di collisione con i principi costituzionali che parlano di tutela universale della salute e con lo stesso codice deontologico della categoria.
Vi sarebbero tutti gli estremi per poter ricorrere alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia Europea.

Il problema che i medici sembra si stiano ponendo è se accettare il ruolo di spie, o quello del curatore delle sofferenze umane.

Infatti, secondo l'orientamento della giurisprudenza, se la norma diventerà legge, i medici avranno, nei fatti, l'obbligo (al di là delle belle parole) e non la mera possibilità - come invece sostiene la destra che appoggia l'emendamento - di segnalare un clandestino che si rivolga alla struttura sanitaria pubblica, per avere delle cure. Questo perchè un dipendente di enti pubblici o convenzionati con il SSN, riveste contemporaneamente, la qualifica di pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio. Come tale è dunque tenuto a segnalare la condizione di clandestinità, che con il "Pacchetto Sicurezza" è diventata un reato perseguibile d'ufficio.
Perchè scatti l'obbligo di denuncia, insomma, è sufficiente che il medico ravvisi un sospetto di punibilità. Mentre per ogni omissione o ritardo nella segnalazione, incorrerebbe in un provvedimento penale.
Non ci sarebbe spazio neanche per l'obiezione di coscienza, a cui ci si può appellare solo in casi ben precisi previsti dalla legge.

Anche il richiamo al Codice Deontologico non tutela il medico. Anzi, con la nuova norma sanitaria, questi si troverebbe davanti a un paradosso: segnalare il clandestino rischiando un provvedimento disciplinare dell'Ordine; oppure non segnalare, rischiando una denuncia penale. Il tutto con buona pace della Costituzione, che all'art. 32 parla di tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo e della collettività.

Gravi potrebbero essere le conseguenze, in particolare, per i bambini, che alla nascita risulterebbero senza identità. Completamente invisibili, perchè nati fuori da strutture pubbliche da genitori immigrati irregolari. Ma anche quelli nati in ospedali potrebbero non essere riconsegnati ai genitori privi di permesso di soggiorno.

Altre questioni contenute nel Pacchetto Sicurezza, collegate alla sanità, rischiano di rendere ancora più invivibile per gli immigrati la permanenza nel "Bel Paese".
L'allarme è lanciato dalle associazioni di volontariato (non da pericolosi comunisti) che si occupano di povertà.

C'è un articolo del "Pacchetto" che stabilisce la necessità di avere un certificato di idoneità sanitaria per la propria abitazione, per potere ottenere dai comuni la residenza. Una norma pensata, dicono loro, per contrastare il formarsi di favelas. Ma senza residenza, non c'è diritto di accesso ai servizi, e questo non andrà a colpire solo gli immigrati, ma anche molti italiani, come giovani precari e/o anziani che vivono, o vanno a vivere in alloggi privi dei requisiti.
Così i "senza fissa dimora" anzichè essere avviati a un processo di recupero e reinserimento, verranno gettati in una situazione ancor di più estrema.

E' difficile pensare che il filo conduttore di questi provvedimenti sia riconducibile a un semplice accanimento di stampo razzista, anche se è fuor di dubbio la presenza di questa impronta. Quello che appare, invece in tutta la sua evidenza, è la volontà determinata, delle forze politiche della destra, di fare leva sul pregiudizio popolare, per indicare alla nazione autoctona, un nemico su cui scaricare la responsabilità delle difficoltà economiche in cui versa il sistema italiano e non solo.

In una fase di espansione economica, o anche semplicemente, di tenuta del sistema rispetto la concorrenza mondiale, bene o male c'è posto per tutti. Quando in Italia eravamo nell'epoca delle vacche grasse, ci siamo sentiti dire addirittura che le nostre strutture economiche avevano bisogno di immigrati, i quali si sarebbero dovuti occupare di lavori che non erano più ambiti dai nostri lavoratori.
Ma ecco che, in una fase di recessione, come quella che stiamo attualmente conoscendo, il problema diventa un altro: abbattere i costi produzione per essere più competitivi. Ma questo obbiettivo è perseguibile dalla borghesia solo riducendo il numero degli occupati e, nello stesso tempo, incrementare i livelli di sfruttamento sui lavoratori occupati.

I lavoratori che restano in fabbrica non devono poter opporre nessuna resistenza a questo nuovo corso dell'economia, per cui non devono poter rivendicare nessun diritto (contratti, scioperi, sindacato, ecc..) ma devono solo pensare a tenere bassa la testa e lavorare.

A questi lavoratori può essere utile, e forse determinante, indicare negli immigrati, nei fratelli immigrati, i propri nemici. Intanto il manovratore non viene disturbato.