Crisi: come
se ne esce?
Tentiamo di capire cosa stà succedendo nella società
reale in questa fase di crisi economica. Come si muovono le banche, il governo,
i sindacati? Quali le conseguenze per i lavoratori e i settori sociali più
poveri? (Di
Duilio Felletti) . Reds – Maggio 2009.
Il messaggio che ci arriva
Quando sentiamo alla TV e leggiamo sui giornali di possibili vie d'uscita
dalla crisi economica non riusciamo mai a capire come, chi ci governa, intenda
portare fuori il sistema economico dal tunnel della crisi. Sentiamo parlare
di cifre colossali di denaro stanziate (reperite chissà dove) da elargire
a non si sa bene chi, per il salvataggio delle banche e del sistema produttivo
e di altre cifre, meno consistenti, per la tutela dei lavoratori e delle famiglie.
La filosofia che guida questi interventi del Governo è quella di tentare
di tenere in piedi, nonostante tutto, questo traballante castello del sistema
paese per essere pronti a riagganciarsi al treno dell'economia quando questo
ripartirà.
E' stupeffacente vedere come i grandi economisti e tecnici del governo (e
dell'opposizione) non entrino mai nel merito di come si potrebbe uscire dalla
crisi, ma molto più semplicemente si limitino a pensare che prima o
poi questa crisi finirà e che dobbiamo attendere fiduciosi e con spirito
di ottimismo questo miracoloso evento.
Lo scontro politico tra maggioranza e opposizione è tutto incentrato
sull'entità delle risorse messe a disposizione; ovviamente il governo
sostiene che bastano, mentre l'opposizione
accusa il Governo di non investire a sufficienza in rapporto a quanto invece
avrebbero fatto gli atri paesi di analoga importanza economica.
Ma in sostanza anche fuori dai nostri confini non sembra di vedere cose diverse
da quello che vediamo e sentiamo a casa nostra.
Tutti
i paesi e i rispettivi governi sono in attesa... Si curano le ferite...e attendono.....
Ma per capire qualcosa in più sulle ragioni della devastazione sociale che questa crisi stà producendo, forse, ciò che occorre è fare un salto indietro rivedendo e ragionando sulle cause che hanno portato al collasso i meccanismi della produzione della ricchezza.
Non
ci sono soldi
Semplificando, possiamo dire che all'origine di tutto vi è la crisi
di liquidità. Le più importanti banche mondiali si sono trovate
a non avere soldi in cassa da reimmettere sul mercato del credito; questo
perchè a loro volta non sono riuscite a risquotere soldi dai soggetti
a cui li avevano prestati.
Parliamo di lavoratori indebitatisi principalmente per comprare la casa (costretti
a questo passo vista l'impraticabilità del mercato degli affitti) e
che quindi si sono addossati un mutuo, parliamo di lavoratori che si sono
trovati senza un posto di lavoro da un giorno all'altro, ma parliamo anche
di lavoratori assunti con contratti capestro e che si sono trovati a vivere
una situazione di prolungata precarietà con stipendi non garantiti
e comunque estremamnte bassi. In ultima analisi parliamo di lavoratori impoveriti
dalla voracità padronale, tutta rivolta alla crescita sempre più
esasperata del volume dei profitti in presenza di una concorrenza sui mercati
sempre più feroce.
A questa limitata disponibilità di denaro delle banche vi è
da aggiungere la mancanza di garanzie che i soggetti a cui potrebbero prestar
denaro sarebbero in grado di dare ai fini della restituzione. Per queste ragioni
chiedono al governo di farsi lui garante delle eventuali insolvenze. Chiedono
in modo molto esplicito e senza neanche tanta vergogna, che sia il governo
a restituire i soldi che i cittadini, le piccole, le medie e le grandi imprese
potrebbero non restituire.
I
padroni e il Governo
Chi si sta muovendo con maggiore determinazione per tentare un'uscita dalla
crisi è la classe padronale. Le difficoltà che i capitalisti
stanno incontrando nell'attingere dalle banche (come hanno sempre fatto) le
risorse necessarie per acquistare le materie prime, ma soprattutto per fare
investimenti volti a ridurre i costi di produzione e far fronte alla sempre
più agguerrita concorrenza dei paesi emergenti (Cina, India...) e non,
li stà costringendo a muoversi in altre direzioni con il fine di rendere
più solidi i rispettivi ambiti di attività e strutture produttive.
Oltre a non cessare mai di chiedere ai rispettivi governi nazionali sgravi
fiscali e incentivi di vario tipo volti a favorire e a facilitare la vendita
dei propri prodotti sui mercati, sono molto attivi nel tentare di ridisegnare
le dimensioni delle proprie aziende. Il caso Fiat/Crysler/Opel è emblematico.
Ma anche lo stesso caso Alitalia/Air One.
Ciò che dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi è un allargamento
di questo fenomeno di concentrazione del capitale nelle diverse nazioni, come
pure dobbiamo aspettarci una ripresa della lotta tra questi nuovi mega gruppi
produttivi (una volta costituiti) per la conquista dei mercati e per il rilancio
dell'accumulazione del profitto.
Questa linea intrapresa dalla borghesia viene ritenuta senza alternative per
cui i vari governi da parte loro stanno addottando la linea del lasciar fare
e, nei limiti del possibile, arrivano a dare a queste manovre un vero e prorpio
sotegno economico drenando risorse dalle casse pubbliche. Risorse che vengono
normalmente sottratte dalle voci che sevono ad alimentare la spesa per i servizi,
la sanità, le pensioni e la scuola. Tutti settori per cui, in maniera
anche esplicità, si continua a parlare di prossima privatizzazione.
Le
conseguenze
I lavoratori rappresentano l'anello debole della catena su cui viene scaricato
tutto il peso della crisi. Le scelte che in questa fase il governo, le banche,
i padroni e i sindacati fanno, hanno come presupposto e come elemento finale,
ritenuto inevitabile, un pesante peggioramento delle condizioni dei lavoratori.
Sul piano del salario, dei diritti sindacali, delle pensioni, della precarietà
e ultimamente, anche sul piano della repressione.
Imperversa la Cassa Integrazione, ai precari non vengono rinnovati i contratti
e sui posti di lavoro gli operai, giovani e vecchi, uomini e donne, italiani
e stranieri, chi più e chi meno, vivono con l'ansia della perdita del
posto di lavoro e, per questo, accettano condizioni di salario, di diritti
e di sicurezza che qualche decennio fà sarebbero state impensabili.
Sono chiusi nell'individualismo e non cercano più soluzioni collettive
alle loro problematiche.
Da questo punto di vista, i fenomeni di concentrazione del capitale di cui
abbiamo detto sopra, non lasciano ben sperare. E' fin troppo facile prevedere
che le chiusure di strutture produttive simili rappresenteranno un fatto inevitabile
e il terrore che prenderà la gran parte della classe lavoratrice di
non essere coinvolta in questi processi di espulsione dal tessuto produttivo,
porterà a un indebolimento strutturale della classe nel suo insieme,
per cui è facile prevedere che anche le relazioni sindacali subiranno
radicali cambiamenti.
I sindacati
maggiormente rappresentativi, che, grazie ai vari accordi concertativi (scala
mobile, modello contrattuale, pensioni) non hanno sicuramente contribuito
a rafforzare i lavoratori, in questa fase si trovano a dover fare i conti
con lacerazioni interne pesantissime.
La crisi ha messo a nudo la loro incapacità di dare rappresentanza
alla maggioranza dei lavoratori. L'incapacità dei burocrati sindacali
di dare una lettura delle dinamiche della crisi dal punto di vista dei lavoratori,
ha portato i sindacati fuori dagli ambiti in cui tradizionalmente hanno svolto
il loro ruolo di soggetto contrattuale. Siccome anch'essi si ritrovano a dover
pensare che la via prospettata dai padroni per l'uscita dalla crisi non ha
alternative credibili, si trovano a dover fungere da soggetti che in ultima
analisi si limitano a sorvegliare affinchè padroni e governo non calchino
troppo la mano e che vengano tutelate le realtà produttive dentro i
confini nazionali.
Per quanto riguarda il rapporto con i lavoratori, ogni sindacato ormai, nel
momento in cui si trova a dover fare delle scelte, prende a riferimento il
settore di classe lavoratrice che ritiene di poter adeguatamente rappresentare,
con l'unico intendo di autoconservarsi. Per cui la Cgil, che ha una forte
presenza di operai nelle sue fila, cerca di ridurre l'impatto dei provvedimenti
governativi cercando tenere in piedi quegli strumenti (contratto nazionale)
che sembrano più efficaci alla difesa dell'unità e della forza
contrattuale dei lavoratori. Mentre le altre confederazioni che hanno connotazioni
più corporative puntano alla difesa dei settori più protetti
del mondo del lavoro, pensando che, così facendo, questi potranno avere
un effetto di trascinamento verso un'uscita dalle crisi. I sindacati minoritari
e massimalisti non sembrano in grado di conquistare fette rilevanti di classe
lavoratrice in grado di dare un impulso importante alla lotta generale (che
è la vera cosa che servirebbe).
Come
se ne esce?
In merito a ciò, i padroni hanno le idee molto chiare. Viste
le grosse difficoltà per accedere al credito, si stanno muovendo con
determinazione costruendo nuove alleanze con conseguente concentrazione dei
capitali. E vista la necessità di rendere, nel contempo, queste nuove
aggregazioni più dinamiche e meno dispersive di energie produttive,
puntano a una razionalizzazione dei prodotti eliminando le unità produttive
non in grado di essere competitive. La modifica dei modelli contrattuali,
ottenuta con le firme dei sindacati meno legati ai settori più combattivi
della classe lavoratrice, servirà a far sì che i guadagni derivanti
da un'eventuale ripresa produttiva vadano redistribuiti in modo mirato solo
in quelle situazioni che sono state in grado di produrre utili. Non manca
la solita richiesta di sgravi fiscali e incentivi a sostegno degli investimenti.
Il Governo (e in particolare questo governo) si stà prodigando affinchè
i manovratori non trovino sulla loro strada ostacoli di vario tipo, come ad
esempio, lavoratori troppo zelanti vogliosi di lottare e occupare piazze e
strade: per loro è ritornato il manganello, come ai vecchi tempi.
In parlamento le opposizioni non sembrano in grado di sviluppare proposte
alternative, in quanto non è nella loro cultura pensare a un modello
di società alternativa. Quello che fino ad oggi sono riuscite a fare
è accusare il governo di non fare abbastanza per sostenere le centinania
di migliaia di lavoratori che perdono il posto; si limitano a chiedere una
spesa maggiore per gli ammortizzatori sociali e fanno proclami rivolti ai
sindacati affinchè recuperino l'unità perduta. Francamente un
po' pochino.
I partiti che si richiamano al comunismo sono fuori dal parlamento e si trovano
attualmente in grosse difficoltà a riallacciare le relazioni con quella
classe lavoratriche che, quando anche loro erano dentro ai giochi di potere,
hanno contribuito a indebolire. Il troppo parlamentarismo ha prodotto una
scollattura che si potrà ricostruire non certo nel giro di poche settimane.
Insomma, a ben vedere, ciò che impressiona maggiormente è il piattume generale, nonostante che in tutti sia ben chiaro che il danno prodottosi nei meccanismi dell'economia sono una conseguenguenza dei meccanismi perversi che questa economia hanno fatto funzionare fino a ieri. Un piattume che si esplicita ancora di più quando in coro sono lì tutti a chiedere nuove regole, senza entrare nel merito di questa generica proposta, ma soprattutto senza mettere in discussione i personaggi ai vertici del mondo per i quali si continua a mostrare grande reverenza.
Ma
è proprio lì che bisogna puntare il dito: sui meccanismi.
Ma a questo punto il discorso diventa pesante e forse difficilmente comprensibile
per chi oggi ha la preoccupazione di come tirare alla fine del mese. Possiamo,
comunque almeno, cominciare a pensare che quanto ci viene dato in pasto dai
mas media non è completamente disinteressato e che è unicamente
proteso a difendere lo status quo. Occorrerebbe, come si diceva una volta,
sviluppare contro cultura. Non dare nulla per scontato e ineluttabile.
E' da qui che si parte per ricominciare una nuova resistenza: incontrarci,
discutere, leggere, proporre.
In tutti gli ambiti: nei partiti, nei sindacati, nei movimenti, nelle associazioni.
Tutto ciò per far sì che nelle coscienze individuali e collettive
possano sedimentarsi valori nuovi (che tanto nuovi non sono) e contro corrente.
La direzione verso cui andare in prospettiva, è quella della costruzione
di un fronte ampio di lotta (internazionale) contro le scelte del grande capitale
e contro le tendenze filonazionaliste dei sindacati maggiori, che altro non
fanno che rendere ancora più gravi le divisioni tra lavoratori. E nell'immediato
non c'è altra via della resistenza, che diventa efficace quando si
sviluppa in un contesto di solidarietà e di allenza tra gli oppressi.