Un
ragionamento sull'attuale fase politica
Finiani,
Berlusconiani, Bossiani, Casiniani, ecc…Da questa situazione, bloccata
dallo sterile dibattito e dalle schermaglie parlamentari non può uscire
nulla di buono per la sinistra comunista e radicale. Occorre ricominciare
da capo (di Duilio Felletti). Reds
– Agosto 2010
L’attuale
fase politica è caratterizzata dall’incertezza su quali potrebbero
essere gli sbocchi a medio termine.
La nascita del gruppo Fli ha nei fatti tolto dalla maggioranza un numero
tale di voti da non renderla più tale e la sua capacità di
tenuta è condizionata dalla non opposizione (come si è chiaramente
visto nel caso della fiducia a Caliendo) del nuovo polo “Fini, Casini,
Rutelli, Lombardo”. Se questo gruppo dovesse tramutare i propri voti
in parlamento in opposizione diretta, il Berlusconi cadrebbe in pochi minuti.
Il potere di ricatto che oggettivamente è in grado di esercitare
questo nuovo polo potrebbe essere estremamente forte.
Per quale ragione Fini abbia voluto creare questa situazione non è
ancora molto chiaro (e nei prossimi mesi si potrà capire qualcosa
di più), ma da subito si può certamente affermare che il presidente
della camera abbia inteso rivendicare un suo più visibile protagonismo
sulla scena politica italiana in vista di una possibile successione a Berlusconi
nel ruolo di leader nel Pdl. Un protagonismo oscurato dall’asse preferenziale
Berlusconi-Bossi-Tremonti, che tutto decide e tutto fa, in ossequio al ruolo
istituzionale che Fini si è scelto cacciandosi in questo modo in
un cul-de-sac.
Ciò nonostante, Fini sostiene di non volere provocare lo sfascio
della maggioranza con relativa caduta del governo; intenderebbe invece,
a suo dire, vegliare sull’attuazione del programma che lui stesso
ha contribuito a redigere e con il quale, con questa legge elettorale, il
Pdl e la Lega hanno vinto le elezioni. Sulle altre questioni “extra-programma”
il gruppo Fli intende avere le mani libere e decidere volta per volta il
da farsi, avendo come riferimento la questione morale e la difesa della
legalità (cose abbastanza indigeste per il cavaliere). Intanto il
gruppo si sta attrezzando per costituirsi in partito, giusto per non essere
preso in contropiede in caso di elezioni anticipate.
Nel frattempo permane questa posizione ambigua che Fini ha deciso di tenere
cercando di prendere tempo, per capire anche lui quali sono le forze reali
su cui potrà fare conto nell’immediato futuro e se il raggruppamento
che si è formato in occasione del voto sulla fiducia a Caliendo ha
una consistenza di un certo rilievo e una tensione politica minimamente
omogenea.
Ma, per non dare tempo ai finiani di rafforzarsi, dalla maggioranza (Bossi
con grande determinazione) viene agitato lo spettro delle elezioni anticipate,
se non si troverà un accordo su poche questioni (giustizia, sud,
sicurezza, federalismo, fisco) che possano consentire il proseguimento della
legislatura. E dopo l’ultimo vertice del PdL di Agosto sono anche
stati delineati i contenuti programmatici su cui Fini e suoi dovrebbero
dare la fiducia al Governo.
Dalle parti dell’opposizione non tira aria migliore e la confusione
regna sovrana. La parola d’ordine sembra proprio “no alle elezioni
anticipate” per la ragione molto semplice che, con questo sistema
elettorale rivincerebbe ancora l’attuale schieramento Pdl-Lega. Ecco
allora spuntare la proposta che, come una bacchetta magica risolverà
i problemi dell’attuale fase politica: un governo tecnico di transizione,
guidato non si sa bene da chi, che dovrebbe essere sostenuto dalla stragrande
maggioranza del parlamento e che dovrebbe avere il compito di fare la riforma
elettorale per rendere meno probabile la vittoria di Berlusconi.
Bersani e Di Pietro caldeggiano questa soluzione e chiedono che a guidare
un siffatto governo non sia Berlusconi, mentre Casini è più
possibilista e, da buon democristiano intrallazone punta a un esecutivo
di larghe intese che abbia anche dei compiti politici, ancora guidato da
Berlusconi, ma con all’interno dei suoi uomini a occupare sedie ministeriali
di un certo rilievo.
Di governi tecnici o di larghe intese Bossi non intende parlare (tanto meno
con Casini), in quanto questi rappresenterebbero un freno ai suoi progetti
federalisti, e pertanto spinge come un ossesso affinché si vada alle
urne già a novembre (i sondaggi, tra l’altro, dano la Lega
in forte crescita). E, stando così le cose, sembra proprio che la
prospettiva delle elezioni anticipate è quella che ha una maggiore
credibilità, nonostante Napolitano abbia affermato di voler provare
qualsiasi altra soluzione per evitarle.
Ma riflettiamo su alcuni elementi della situazione che sinteticamente abbiamo
descritto.
I governi tecnici o di larghe intese.
Non esistono governi tecnici, esistono i governi che governano a tutto campo,
come correttamente ha detto Napolitano. I governi reggono fino a che hanno
una maggioranza parlamentare che li sostiene e mentre li sostiene, possono
fare qualsiasi cosa, anche dichiarare una guerra.
Non esiste neppure la possibilità di un governo di larghe intese.
Questa tipologia di governo avrebbe un senso a fronte di una emergenza nazionale
(l’invasione del territorio nazionale da parte di un nemico) per la
quale le scelte da fare dovrebbero riscontrare il consenso unanime di tutte
le forze politiche. Ma così non è. Quando si dice che c’è
un’emergenza economica da affrontare di solito assistiamo a una diversificazione
delle posizioni delle varie forze politiche sulle soluzioni da adottare,
per cui non si tratta di una emergenza che giustifichi la necessità
di larghe intese.
Anche in questi casi ci troviamo quindi di fronte a chiacchiere fumose che
servono solo a non scegliere il da farsi in attesa che accada qualcosa su
cui innestare nuove polemiche senza alcun costrutto.
La riforma elettorale.
Sembra proprio questa la questione principale. Alle elezioni, Bersani e
soci, non ci vogliono andare perché “prima” occorre fare
la riforma elettorale.
Il sistema elettorale vigente (definito “porcata” da chi l’ha
inventato) ha effettivamente evidenti distorsioni antidemocratiche, che
dovrebbero essere rimosse, affinché il confronto elettorale sia degno
di questo nome.
Distorsioni che l’attuale maggioranza di destra non intende rimuovere
perché non è nel suo interesse farlo. Parlare quindi di riforma
elettorale oggi, con questi assetti politici, significa disquisire su una
pia illusione, sul nulla. Ed è stupefacente constatare che personaggi
di consumata esperienza politica, di cui il centro-sinistra è ricco,
non si rendano conto di quanto sia campato per aria il discorso sulla riforma
elettorale.
Occorre, poi aggiungere un’altra cosa non di secondaria importanza:
siamo certi che chi, oggi presente in parlamento, vuole la riforma elettorale
ha in mente l’instaurazione di un meccanismo veramente democratico,
che cioè consenta una rappresentanza proporzionale in parlamento
delle diverse posizioni politiche presenti nel tessuto sociale?
Le voci che vengono dalla sedicente sinistra parlamentare dicono di “bipolarismo”
di “sbarramenti” e di “collegi uninominali”, nessuna
voce dice di “proporzionale” e di “abolizione del premio
di maggioranza”.
La verità è che non c’è una reale intenzione,
anche da parte dell’opposizione, di dotare l’Italia di un sistema
elettorale realmente democratico (e forse è per questa ragione che
ritengono possibile un accordo con le destre). Le uniche voci che si battono
per elezioni democratiche sono fuori dal parlamento e hanno scarse possibilità
(quasi nulle) di farsi sentire.
Le elezioni anticipate.
Il Pd e l’Idv, per non parlare dell’Udc, cercano in tutti i
modi di evitarle per ragioni difficilmente comprensibili ai più;
devono evidentemente ritenere che sia preferibile andare avanti con questo
governo, che correre il rischio di una nuova sconfitta elettorale.
Ma un’opposizione che si reputa tale dovrebbe avere come obiettivo
proprio quello delle elezioni anticipate, per impedire al governo di andare
oltre nelle sue politiche antipopolari.
Ritengono invece, in buona sostanza, preferibile che questo governo continui
a portare avanti la sua linea confindustriale e antioperaia, con le sue
pratiche clientelari e mafiose, piuttosto che correre il rischio di vedere
bruciare la leadership di questo o quel burocrate di partito. Preferiscono
vivacchiare nelle aule del parlamento facendo tuonanti e inconcludenti discorsi
(magari con la diretta TV), complimentarsi tra loro per le belle parole
pronunciate, invece di tornare tra la gente portando nuove proposte alternative
a quelle della destra (ma forse il problema è proprio quello) per
cercare di vincere le elezioni.
Cosa vuole realmente l’opposizione di centro-sinistra?
Vuole che Napolitano, in caso di crisi di governo, e quindi del venir meno
della maggioranza parlamentare che sostiene Berlusconi, dia l’incarico
a (?) per formare un nuovo governo di centro-centro-sinistra. Spera in un
ribaltone bell’e buono, senza colpo ferire e senza rischiose campagne
elettorali, per andare quindi alla naturale fine della legislatura.
Sicuramente farà la riforma elettorale, ma sarà una riforma
che darà maggiori chances alle forze ribaltoniste di conquistare
la maggioranza, con buona pace di chi oggi è fuori dal parlamento
(come ad esempio i comunisti). Una riforma che verrà fatta nei tempi
dovuti, con annessi mercanteggiamenti della più infima specie; e,
nel frattempo, i nostri governeranno tranquillamente, con calma, con molta
calma, per riprendere in mano le redini del potere nel modo migliore, imponendo
nuovi sacrifici per salvare l’Italia e chiedendo passo per passo il
sostegno della società civile, agitando lo spauracchio del ritorno
di Berlusconi.
Ma se Berlusconi dovesse rompere gli indugi e dimettersi pur avendo dalla
sua la maggioranza parlamentare, questa sarebbe in grado di impedire la
formazione di nuovi governi e pertanto si andrebbe alle urne così
come si è andati nel 2008. Ed emergerebbe in questo modo l’inconsistenza
dei discorsi, i propositi, le strategie e le speranze della sedicente opposizione.
Cosa fare?
Ovviamente ci riferiamo a cosa dovrebbero fare le forze di opposizione vera,
cioè i comunisti, seppur frammentati e rintanati nelle rispettive
parrocchie.
Per costoro e per la sinistra radicale (Fds, Sel e tutti gli altri) è
strategico riuscire a misurarsi sul terreno elettorale con regole democratiche.
Occorre un sistema che garantisca la proporzionalità della rappresentanza
politica, senza sbarramenti e senza vincoli di alleanze. Ma come abbiamo
già detto questo è impossibile da realizzarsi nell’ambito
dell’attuale quadro politico; per la ragione molto semplice che nessuna
forza politica del centro sinistra è minimamente interessata a favorire
l’entrata in parlamento delle forze della sinistra radicale. Puntano
invece a distruggere quella sinistra che viene considerata responsabile
dei fallimenti a cui sono andati incontro i precedenti governi Prodi.
Per questa ragione, la possibilità di avere una riforma elettorale
democratica, potrebbe realizzarsi solo a posteriori l’entrata della
sinistra nelle aule del parlamento, con un numero sufficiente (non necessariamente
alto) di parlamentari tale da poter tenere sotto scacco l’eventuale
maggioranza di centro-sinistra, qualora dovesse vincere le prossime elezioni.
È fondamentale quindi che i comunisti e la sinistra radicale inizino
un lavoro deciso, dal basso, coinvolgendo in un ampio dibattito tutti i
militanti e il popolo di sinistra, con l’obbiettivo di dare vita a
una alleanza elettorale di sinistra che si vada a presentare alla competizione
elettorale (anche con il porcellum).
I contenuti programmatici di questa alleanza devono essere forti e con una
decisa connotazione di classe, tali da mettere in condizione i soggetti
sociali oppressi di riconoscersi in essi.
È necessario avere un approccio con il popolo di sinistra limpido
e moralmente irreprensibile, chiamandolo costantemente in causa nei momenti
di presa delle decisioni, sia che si tratti delle azioni da portare avanti
sia che si tratti della scelta dei candidati: il metodo della democrazia
dal basso deve essere costantemente praticato.
Deve essere ben chiaro che, alla luce delle negative esperienze fatte, tale
soggetto politico non entrerà in nessun governo, ma si limiterà
a sostenerlo volta per volta dall’esterno sui vari provvedimenti che
riterrà coerenti con le proprie finalità.
Inoltre non si dovrebbe chiedere alle diverse forze politiche che dovrebbero
dare vita a questa alleanza di sciogliersi, anzi dovrebbero, mantenere le
rispettive strutture e avere autonomia di azione nel portare avanti, nei
movimenti e sul territorio, i propri contenuti che storicamente le ha caratterizzate.
Quello che dovrebbe esistere è un patto di consultazione permanente
tra le forze politiche che daranno vita a questa alleanza di sinistra.
L’obbiettivo non deve essere quello della conquista del voto moderato
e di opinione, devono invece essere riconquistati quei compagni che hanno
abbandonato il voto alla sinistra facendo la scelta astensionista.
Per questa ragione diventa di fondamentale importanza proporre la candidatura
di un/una compagno/a chiaramente schierato/a a sinistra con indiscussi e
indiscutibili requisiti morali di cui si può ragionevolmente essere
certi che non tradirà.
Non ci sono scorciatoie, da questa situazione, bloccata dallo sterile dibattito
e dalle schermaglie parlamentari non può uscire nulla di buono per
la sinistra comunista e radicale. Il tutto è nelle mani dei militanti
che hanno deciso di non chiudere la bottega e degli attivisti che in questi
ultimi anni abbiamo visto in piazza a fianco degli operai, delle donne,
degli immigrati e del popolo tutto che chiede più diritti e democrazia.