Gli
operai la Fiat e il Pd.
La
scelta di equidistanza tra le classi e il moderatismo sociale, fanno oggi
del Pd un partito inservibile. Sul Pd grava la responsabilità di aver
privato la società italiana di una opposizione che portasse i bisogni
del paese dentro il Parlamento. (Di Pietro Bevilacqua - Il Manifesto 4/01/11).
Reds –Gennaio 2011.
Ma
sul paese più ricco del mondo, epicentro della crisi mondiale, voglio
aggiungere due dati che persuaderanno il lettore.
Nel 1995 il numero dei bambini al di sotto della linea ufficiale di povertà
assommavano al 26,3%, quasi alla pari con la Russia di Yeltsin (26,6%), allora
in vendita ai predoni di tutto il mondo e in mano alle mafie locali. In tale
statistica - da un'inchiesta comparativa su 25 paesi - figuravano al 3°
e 4° posto il Regno Unito (21,3%) e l'Italia (21,2), i paesi più
zelanti nell'applicare verbo e dettami del pensiero neoliberista.
E sempre per restare negli USA, già nel 1990 la National Association
of State Board of Education aveva dichiarato senza mezzi termini: «Mai
prima una generazione di teenagers americani è stata meno sana, meno
curata, meno preparata per la vita di quanto lo fossero i loro genitori alla
stessa età». Potremmo continuare.
Ma qui è sufficiente ricordare che già prima della crisi il
capitale aveva saccheggiato il lavoro salariato e i redditi dei ceti medi,
senza risolvere il drammatico problema della disoccupazione e diffondendo
la precarietà.
In Italia, dopo decenni di asservimento del ceto politico - di centro-sinistra
e centro-destra - alle ragioni dell'impresa, è andata anche peggio.
Nell' utilizzare il termine asservimento, non mi riferisco solo alle vendite
del patrimonio pubblico, alla liberalizzazione di tanti servizi municipali.
In questo caso penso alla deliberata volontà di scaricare sul lavoro
i rischi dell'impresa, rendendo il lavoratore flessibilmente subordinato alle
sue necessità.
Dalla Legge Treu del 1997, alla Legge 30 del 2003, il capitalismo italiano
ha potuto godere di condizioni di generosa disponibilità nell'uso della
forza lavoro.
Con quale esito?
Mi è sufficiente sintetizzare i risultati di tale geniale strategia
con un bilancio recente (2008) del Governatore della Banca d'Italia: «Negli
ultimi vent'anni la nostra è stata una storia di produttività
stagnante, bassi investimenti, bassi salari, bassi consumi, tasse alte».
Tasse relativamente più gravose per gli operai che - secondo un'indagine
Ires - tra il 2002 e il 2008 hanno lasciato al fisco, mediamente, 1.182 euro
delle loro misere paghe. E per finire (dati Banca d'Italia 2008), la metà
più povera della popolazione possedeva il 10% della ricchezza nazionale,
mentre il 10% di quella più ricca deteneva il 44%.
E allora torniamo alla Fiat, agli operai, ai partiti politici.
Quanto abbiamo ricordato significa innanzi tutto una cosa: la politica moderata
del centro-sinistra, che ha attuato - non diversamente dal centro-destra -
le ricette neoliberiste, non è minimamente servita a difendere i ceti
operai, anzi li ha ulteriormente impoveriti. Non ha ottenuto maggiori investimenti
da parte delle imprese, ha contribuito a fare arretrare il paese nel suo complesso.
Continuare su questa linea fallimentare, con l'idea di «uscire dalla
crisi» secondo la ricetta moderata, costituirà una sciagura di
portata incalcolabile per le masse popolari e per tutta la società
industriale italiana.
Il tracollo economico in cui siamo immersi non è la solita crisi
ciclica. Altrimenti non avremmo avuto così tanta disoccupazione
e povertà prima che essa esplodesse.
Nelle fasi alte del ciclo - come sappiamo dalla lunga storia storia dei tracolli
capitalistici - crescono ricchezza e occupazione. Noi abbiamo avuto soltanto
la bolla finanziaria, cresciuta sul debito. La «crisi» di questi
anni è il risultato di un gigantesco saccheggio di reddito che il capitale
ha compiuto in una fase storica di debolezza del suo avversario di classe
e del movimento operaio organizzato.
Perciò dal presente imballo sistemico non si esce se non attraverso
una altrettanto gigantesca opera di redistribuzione della ricchezza.
Un compito di ampia portata, ne siamo consapevoli. Ma bisognerebbe innanzitutto
incominciare a dichiararlo. Poi predisporre le forze. Perché oggi,
per essere all'altezza delle sfide, bisogna mettere in piedi un fronte di
conflitto sociale di non comune ampiezza.
Il comportamento «moderato» di tanti dirigenti del Pd, sostanzialmente
favorevoli ad accettare la strategia di Marchionne, è a mio avviso
un fatto drammatico, che impone una presa d'atto di tutte le persone che militano
oggi nella sinistra.
Il Pd: «un amalgama malriuscito» è stato definito da chi
conosce la materia, avendo ridotto la politica all'arte di «amalgamare»
capipartito. Credo che sia stato qualcosa di ben più grave. La scelta
veltroniana del «bipartitismo perfetto» rivela una lettura di
retroguardia delle tendenze politiche mondiali. Laddove esso è stato
storicamente dominante (Usa e UK) oggi appare una barriera all'esercizio della
democrazia.
Gli scienziati della politica hanno coniato in proposito il termine di cartel
party, cartello di partiti, per indicare questo assetto di duopolio che emargina
le voci e le culture politiche dissenzienti e realizza invariabilmente le
medesime politiche alternandosi alla guida degli esecutivi.
Ma è la scelta di equidistanza tra le classi, il moderatismo sociale,
che oggi fa del Pd - sia detto con tutta la responsabilità che l'argomento
e il momento richiedono - un partito inservibile. Ha privato la società
italiana di una opposizione che portasse i bisogni del paese dentro il Parlamento.
Qualcuno dei lettori ha mai sentito D'Alema, Veltroni, Bersani parlare - poniamo
- di legge urbanistica e di problemi della città, di assetto del territorio,
di riscaldamento climatico, di agricoltura biologica, di ritmi di lavoro e
di sfruttamento in fabbrica, di beni comuni? Non aggiungo all'elenco precarietà
e disoccupazione, perché sono presenti nel loro vocabolario, ma come
slogan privi di qualunque contenuto.
Mi permetto di continuare con le domande.
Quanto, la sfida che Marchionne ha lanciato alla Fiom e alla classe operaia
di Pomigliano e di Torino, si fonda sul calcolo di un'opposizione benevola
di tanta parte del Pd?
E infine una questione generale, relativa alla vita politica italiana recente:
quanto il dilagare della Lega nelle zone operaie del Nord o la permanenza
del potere berlusconiano, anche in queste ultime settimane, dipendono direttamente
dall'assoluta incapacità del Pd - culturale ancor prima che politica
- di rappresentare gli interessi delle masse popolari, di offrire agli italiani
un progetto e almeno un'immagine diversa di società?
Il moderatismo politico non è oggi una scelta di prudenza, di politica
dei piccoli passi. È piuttosto un galleggiamento sull'esistente.
Ma l'esistente, dominato oggi da forze predatorie, non rimane fermo, tanto
meno procede verso il meglio.
Si indietreggia lentamente sul terreno sociale, dei diritti, della democrazia.
In una fase storica in cui solo la ripresa del conflitto può ridare
equilibrio alla macchina economica e alla società, come anche significato
e forza alla politica, i partiti moderati sono inservibili.
Sono oligarchie parassitarie.
Danno ospitalità permanente a professionisti che vivono di politica.
E dobbiamo amaramente concludere: a che serve un Pd che crede di uscire dalla
situazione in cui siamo precipitati replicando la politica che ci ha condotti
sino a questo punto?