Croce
uncinata in salsa verde.
Sulla Lega esiste
ormai un'ampia letteratura. Il partito di Bossi non è più un
oggetto politico sconosciuto, come quando alle sue origini sembrava saltato
fuori da chissà dove nell'opulento nord. (articolo tratto da Liberazione).
Reds –Marzo 2011.
Sulla Lega esiste
ormai un'ampia letteratura. Il partito di Bossi non è più un
oggetto politico sconosciuto, come quando alle sue origini sembrava saltato
fuori da chissà dove nell'opulento nord.
Non è un fenomeno effimero, come ancora si poteva pensare agli inizi
degli anni Novanta. I suoi esponenti, da capi di un movimento di protesta
sono diventati classe di governo.
Quella della Lega è, per così dire, una storia "interna"
alla crisi della società italiana e le risposte politiche avanzate
in questi anni continuano a essere parte della medesima crisi. La Lega si
alimenta della crisi tanto quanto cerca di riprodurne indefinitamente le dinamiche
dalle quali, in una sorta di circolo vizioso, dipende la sua esistenza di
soggetto politico.
Persino i temi della sicurezza e della difesa dell'identità etnica
della Padania che pure stanno a cuore al movimento leghista, vengono affrontati
con proposte che hanno l'obiettivo non di risolverli, ma di potenziarli a
dismisura. Se per assurdo le ricette politiche della Lega in tema di sicurezza,
come su altri versanti, dovessero avere successo e, come d'incanto, svanisse
il disagio dei ceti medi (e operai) del nord, verrebbe meno il serbatoio di
voti da cui dipendono le sue fortune politiche.
Va segnalata l'uscita nelle librerie del lavoro di Walter Peruzzi e Gianluca
Paciucci, Svastica verde, sottotitolo Il lato oscuro del Va' pensiero leghista
(Editori Riuniti, prefazione di Annamaria Rivera, pp. 438, euro 15), un'antologia
in presa diretta che segue di poco un altro studio dedicato al Carroccio,
La rivincita del nord, del sociologo Roberto Biorcio.
Nel giro di vent'anni i dirigenti leghisti si sono accreditati come personaggi
pubblici, a dispetto di un repertorio politico e di un orizzonte culturale
criptonazisti. «Vengono declassati a innocue e risibili sparate folcloristiche
- scrivono i due autori, Peruzzi Paciucci - linguaggio, gesti triviali, gesti
e comportamenti violenti, che ricordano le camicie nere e i cappucci bianchi
del Ku Klux Klan, o altre camicie verdi di estrema destra, come le Croci frecciate
ungheresi e la Guardia di ferro rumena». «Lo strumento più
semplice e più diretto per contestare il quadretto idilliaco cui è
ridotta la Lega Nord ci è parsa un'antologia.
Ecco quindi "la Lega raccontata dalla Lega", attraverso una raccolta
sistematica e ampia, anche se ovviamente incompleta, di opinioni e dichiarazioni
dei dirigenti leghisti, degli articoli de "la Padania" e delle proposte
legislative, di iniziative nazionali e locali tratte dalla nuda cronaca, aggiornate
ai primi giorni del dicembre 2010». Il risultato, neanche a dirlo, è
inconfondibile. Sotto la patina di un partito dell'ordine e della legalità
si cela «un movimento eversivo, razzista e tendenzialmente totalitario»,
fondato su una doppia occupazione, dell'immaginario e del territorio - non
da ultimo, «mediante alleanze e intese con lobby e centri di potere
politico, economico e bancario».
È sorprendente che sia diventato partito di governo un partito che
nel primo articolo del proprio statuto recita: «il movimento politico
denominato "Lega Nord per l'indipendenza della Padania" ha per finalità
il conseguimento dell'indipendenza della Padania attraverso metodi democratici
e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica federale indipendente
e sovrana». Del resto anche la versione più soft del federalismo
contiene indizi di autoritarismo e di destabilizzazione dello Stato. Il primo
a fornire una spiegazione teorica del federalismo leghista fu l'ideologo delle
origini, quel Gianfranco Miglio al cui nome il sindaco di Adro aveva di recente
proposto di intitolare una scuola elementare. «Non ha niente a che vedere
con Cattaneo e Gioberti. Io immagino un federalismo autoritario... Non si
può dare lo stesso diritto civile e penale a tutte le regioni... Io
sono anche per il mantenimento della mafia e della 'ndrangheta». «Il
destino dell'Europa è rivivere le invasioni barbariche. Dovremo incorporare
alcuni milioni di immigrati che svolgeranno i lavori rifiutati da noi europei.
Ma bisogna evitare i mescolamenti, se vogliamo far sopravvivere l'Occidente».
Nel tempo la Lega non ha mantenuto le stesse posizioni ideologiche. La coerenza
non è una virtù del partito di Bossi, che ha fatto della disinvoltura
teorica la propria forza. «Bossi? L'ho chiamato io nel 1989 - parole
sempre di Miglio - perché volevo conoscerlo... Mi rendevo ben conto
di che cos'era: un politico, quindi un ignorante. E da ignorante l'ho sempre
trattato».
In origine la Lega ha provato a legittimarsi come uno dei tanti movimenti
autonomisti e indipendentisti esistenti in Europa. «Ma si tratta di
un falso - scrivono gli autori - poiché a differenza dei Paesi baschi,
della Catalogna, della Corsica, dell'Irlanda, entità realmente esistenti
e con un'identità, una cultura, una lingua e anche una storia comune
d'oppressione, di rivendicazioni e lotte, la Padania non è mai esistita».
A volerla dire tutta, la Padania esiste perché esiste la Lega. Ma si
tratta di un'invenzione che per poter vivere ha bisogno di un territorio,
di una comunità e di una identità etnica da definirsi in una
relazione di ostilità amico-nemico. «L'altra faccia del ripiegamento
ossessivo e celebrativo su una propria patria inventata, ha come risvolto
l'odio verso le patrie degli altri e le loro identità: da Roma a un
Sud indefinito e generico, dai migranti agli omosessuali. Sembra quasi che
l'inconsistenza del concetto di "Padania" possa acquisire concretezza
solo attraverso il rifiuto e il disprezzo dell'altro». La variante economica
dell'antimeridionalismo è la proposta delle gabbie salariali. Poco
più di un anno il ministro Calderoli ha rilanciato l'idea di buste
paga parametrate sul reale costo della vita nelle diverse aree del paese.
L'altro campo è la scuola, vecchio cavallo di battaglia. «Vogliamo
professori che parlino come noi... che abbiano la nostra mentalità,
che ci spieghino le nostre tradizioni e le nostre usanze. Perché anche
il Manzoni, spiegato da un meridionale, può avere un significato diverso»,
diceva nel 1996 il responsabile del Movimento giovani della Lega. E ancora:
«Mai più professori meridionali nelle nostre scuole... No al
colonialismo romano che tenta di eliminare l'identità padana».
Persino la spazzatura diventa un demarcatore etnico. «Non li vogliamo,
perché i nostri rifiuti sono diversi da quelli napoletani», ha
detto pochi mesi fa il leghista Luca Zaia, governatore del Veneto.
Tutti gli ingredienti del discorso leghista servono da demarcatori di una
comunità fittizia e inventata da zero. L'antimeridionalismo, certo,
ma anche il sessismo, l'omofobia ("questo non è un paese per culattoni"
e anche le donne "devono avere le palle", parole di Gentilini) e
il cattolicesimo (arrivederci e grazie al paganesimo delle origini). «Siam
venuti giù in Emilia e ve le abbiam trombate tutte. E da come ci han
votato, si vede che gli è anche piaciuto», firmato Bossi, aprile
2008. «Essere culattoni è un peccato capitale e chi vota una
legge a favore dei Dico finirà nelle fiamme del più profondo
dell'Inferno», Calderoli, 31 marzo 2007. «Non vogliamo vedere
film dove gli omosessuali si slinguano tra di loro: la depravazione morale
sta raggiungendo il suo limite estremo, arrivando a superare la cattiveria
con la quale Hitler ha mandato sei milioni di ebrei a morire» (Andrea
Rognoni, conduttore di "Radio Padania"). «Il leghismo - annotano
gli autori - è riuscito a fare del razzismo un senso comune».
La punta di diamante, se così si può dire, è Borghezio,
"nazista identitario" cresciuto in gioventù nel movimento
di estrema destra "Giovane Europa". Un tempo ferocemente antigiudaico,
oggi Borghezio è in prima fila nella propaganda antiislamica: «queste
brutte barbe, questi pupazzi con la palandrana, un giorno o l'altro li prendiamo
per la barba e li cacciamo via a calci in culo», dice nel 2002, anno
in cui è condannato per aver appiccato con le sue camicie verdi un
incendio alle baracche di alcuni stranieri. Calderoli non è da meno:
«che gli immigrati tornino nel deserto a parlare con i cammelli o nella
giungla con le scimmie, ma a casa nostra si fa come si dice a casa nostra»
(18 settembre 2005).
«Lega ed estrema destra tradizionale certamente non coincidono, ma vi
sono indubbi elementi ideologici comuni che rendono possibile una convergenza-concorrenza,
come il tradizionalismo, la xenofobia, il razzismo e la tendenza totalitaria».
Nulla di sproporzionato in questa tesi. «Vi è un filone di pensiero
- scrive nella postfazione Annamaria Rivera - occultato anche da alcuni critici
della Lega Nord che può essere fatto risalire direttamente all'ideologia
nazionalsocialista, come peraltro ammettono alcuni ideologi leghisti. Per
accertarsene basterebbe visitare di tanto in tanto il sito ufficiale del Movimento
giovani padani».