Perchè
non sono gli speculatori i nostri nemici
Nella
realtà gli speculatori, come soggetti separati dagli altri attori del
capitalismo, non esistono, non sono mai esistiti, né mai esisteranno.
E' una bufala. L'attività
"speculativa" è inseparabile dal normale funzionamento del
capitalismo.
(di Michele Corsi). Reds – Gennaio 2012.
Ogni crisi ha i suoi untori. Quando si trova tanta gente, colpita da calamità,
che vaga disorientata e senza riparo è usuale che si scateni la caccia
ad un qualche facile nemico. Hanno assolto allo scopo gli "stranieri"
durante le pandemie di peste dei secoli scorsi o i "banchieri ebrei"
della Repubblica di Weimar. Nei media come per le strade sembra che anche
l'attuale crisi economica abbia trovato i suoi untori: gli "speculatori".
Nella recente trasmissione "Porta a Porta", durante la pseudo
intervista al neopresidente del consiglio Monti, il conduttore Bruno Vespa,
sempre attento e prono agli umori più retrivi del popolo televisivo,
ha chiesto all'ospite: "ma chi è l'uomo nero, cioé chi
sono questi speculatori?". Lasciando intendere implicitamente che sono
queste le entità oscure e senza volto causa degli sconquassi di Borsa
e dell'impennarsi del costo del debito italiano. Monti era visibilmente
imbarazzato nella risposta ed ha presto deviato. La verità, che lui
conosce benissimo, non poteva svelarla.
Come sempre la caccia agli untori è alimentata dagli offesi, ai quali
l'ideologia dominante rende difficoltosa l'individuazione dei veri colpevoli,
ma anche dagli stessi veri colpevoli, che hanno tutto l'interesse a distogliere
da sé l'attenzione pubblica. E' dura prendersela con gli ebrei, in
tempi in cui Israele è un alleato fondamentale dell'Occidente. Ed
ecco apparire lo "speculatore", figura così astratta che
costa davvero poco attaccarla, o lasciarla attaccare dal popolo scontento.
Nella realtà gli speculatori, come soggetti separati dagli altri
attori del capitalismo, non esistono, non sono mai esistiti, né mai
esisteranno. E' una bufala. Serve solo a far immaginare ai più che
esista un capitalismo sano e onesto, contrapposto ad un altro malato e truffaldino.
Una fiaba per tordi. L'attività "speculativa" è
inseparabile dal normale funzionamento del capitalismo. Il capitalismo,
nelle sue necessarie diramazioni finanziarie, è "ovviamente"
speculativo. Questo sistema è nato con l'usura e l'attività
bancaria, proprio come "capitalismo finanziario". Prima è
nato il capitale, e solo dopo sono apparsi i "mezzi di produzione".
Come tutti sanno il termine "speculare" ha un significato letterale
che va al di là dell'ambito finanziario e che anzi ne è all'origine:
significa "scrutare", "osservare". "Specula"
era la vedetta di guardia nei campi degli antichi legionari. "Speculare"
nell'attività finanziaria significa poter "scrutare" l'evolversi
ipotetico di una determinata situazione. Nel linguaggio comune si utilizza
la frase "sono solo speculazioni", per dire "sono solo ipotesi
astratte". Lo "speculatore" agisce in base ad ipotesi di
guadagno fondate su dati piuttosto aleatori. E' quasi una scommessa. Se
vince guadagna, altrimenti perde. Questa è la speculazione. Teoricamente
è una funzione diversa da quella dell'investitore, che trasforma
un capitale finanziario in mezzi di produzione. Questa distinzione, nei
fatti, come vedremo, è solo teorica, ma qui ci interessa sottolineare
che la speculazione è inseparabile dall'attività finanziaria
capitalistica "normale". Si potrebbe anzi dire che ne è
l'essenza. Chiunque impieghi soldi "scommettendo" di ricavarne
di più senza passare attraverso un ciclo produttivo è in senso
stretto uno speculatore. Chiunque vende e compra azioni, chiunque investa
in derivati, chiunque compri e venda obbligazioni. Il problema è
che, a partire da un certo livello di classe sociale: tutti lo fanno.
Le stesse banche "speculano". Quando si depositano dei soldi in
banca viene spontaneo pensare che in qualche modo essi verranno custoditi.
Nella realtà quei soldi verranno subito prestati ad un tasso di interesse
superiore a quello di deposito. In senso stretto non si tratta ancora di
"speculazione". Le banche però non si limitano al prestito
di ciò che hanno in deposito, ne prestano molto, molto di più.
Nel loro linguaggio tecnico, il prestare più di quanto essi abbiano
in cassa si chiama "leva".
Il prestito in eccesso rispetto al deposito è possibile perché
la nostra economia è basata sul denaro, ma non sulle "banconote".
Per far spese usiamo il bancomat, lo stipendio ci viene accreditato in banca,
se compriamo una casa c'è un passaggio di denaro che noi in realtà
non vediamo, perché il denaro, ma non le banconote, passa da una
banca all'altra. Quindi le banche non sono forzieri in cui si custodiscono
denari fisici (e tutti si sono accorti che di rapine in banca non se ne
fanno più). Per questo le banche possono permettersi di "bluffare"
e di prestare molti più soldi di quelli che in realtà hanno.
Si tratta di un'attività "speculativa" dato che è
basata sulla "scommessa" che i clienti non verranno tutti insieme
e nello stesso momento a reclamare il proprio denaro. Perché, se
ciò accadesse, anche in misura ridotta, la banca fallirebbe istantaneamente.
Questa attività speculativa è all'origine della bancarotta
della Lehman Brothers nel 2008, con la crisi susseguente di gran parte delle
banche statunitensi. Le banche USA infatti avevano concesso mutui immobiliari
con interessi esosi ad un mucchio di gente le cui capacità di pagamento
erano assai dubbie, i cosiddetti mutui subprime. Dato che le banche, come
abbiamo detto sopra, dispongono di una quantità di denaro "vero"
molto ridotta (rispetto a quello che fanno circolare), è bastato
che una discreta quantità di mutuatari ritardasse coi pagamenti (soldi
veri) che la banca andasse in crisi. E così a catena tutte le altre.
L'effetto a catena in una ambiente in cui regna sovrana una leva esagerata
è molto rapido. Tutte le banche, infatti, agiscono con una forte
leva, dunque hanno un capitale, rispetto a quello che fanno circolare, limitato.
Quindi in fasi di emergenza sono molto restie a prestarsi capitali l'un
l'altra, dato che non si fidano più della solvibilità delle
altre. Eppure del prestito interbancario hanno assoluta necessità,
proprio perché il capitale "vero" su cui possono contare
è poco (relativamente a quello che fanno circolare). Così
la crisi di una banca diventa crisi di sistema.
Non vi è alcuna banca il cui core capital, cioé il suo capitale
"vero", superi il 10% delle attività. Nel 2008 si erano
incolpate le banche USA, troppo intente in attività "speculative",
e si decantavano le virtù di quelle europee, più "sobrie".
Nella realtà quelle europee "speculano" lo stesso, ma con
altri titoli. Hanno meno titoli "tossici", ma hanno più
titoli legati a Stati potenzialmente insolventi. Dal punto di vista di chi
ha depositato soldi in banca la differenza tra una banca piena di titoli
legati ai mutui subprime, ed una piena di titoli di stato greci, la differenza
non è poi molta: è una banca comunque votata al fallimento.
Le banche europee, quelle francesi in maggior misura, hanno comprato, ad
esempio, una gran quantità di titoli di stato greci facendo uso della
leva, cioé spendendo soldi che non avevano. Per ingenuità?
Per amor di patria? No, per convenienza. Per "speculazione". Le
banche europee possono farsi prestare a tassi molto bassi i soldi dalla
BCE, con quei soldi ci comprano i titoli di stato. Speculazione. E perché
tra tutti i titoli di stato le banche europee sceglievano proprio quelli
degli stati che rischiavano la bancarotta? Semplice: perché quei
titoli, proprio perché pericolosi, davano interessi più alti.
Speculazione.
E' solo con lo scoppiare della crisi che gli Stati hanno chiesto (in maniera
assolutamente tardiva, insufficiente e blanda) alle banche di aumentare
la relazione tra core capital e leva. Hanno cioé loro imposto di
raccogliere soldi "veri". Per questo vediamo affissi in giro grandi
manifesti dove le banche offrono rendimenti per conti deposito mai visti
prima. Gli Stati devono imporre alle banche queste misure per legge perché
da sole non resistono alla tentazione di aumentare la leva, dato che ciò
significa ingigantire i propri profitti. La sorveglianza da parte degli
Stati su queste speculazioni è risibile. Un anno fa per tranquillizzare
i "mercati" le autorità bancarie europee avevano sottoposto
le banche a degli "stress test" per misurarne la resistenza al
fallimento. Erano uscite tutte trionfalmente a testa alta. Ai primi posti:
Dexia, che sarebbe fallita pochi mesi dopo.
S'è detto che ad agosto e a novembre l'Italia è stata "sotto
l'attacco della speculazione". L'interesse del debito italiano è
salito vorticosamente. Colpa degli "speculatori"? Vediamo.
Il debito di uno Stato è gestito attraverso la vendita di titoli.
Ve ne sono di varia tipologia e scadenza, ma sostanzialmente il principio
è lo stesso: lo Stato si fa prestare dal sottoscrittore una certa
quantità di denaro e si impegna (obbligazione) a restituirgliela
con gli interessi. L'interesse è tanto più alto quanto più
è consistente la possibilità che quello Stato non gli restituisca
i soldi. Chi compra e chi vende titoli di stato? Gli unici che possono accedere
in maniera diretta a quel mercato sono i grandi soggetti finanziari di cui
si conosce nome ed indirizzo, non fantomatici ed oscuri "speculatori".
Quando gli Stati organizzano le loro aste per piazzare i titoli, ci sono
le banche che comprano. Si chiama mercato primario. Dopo che hanno comprato,
vendono ad altri (mercato secondario), ad esempio ai piccoli risparmiatori.
Larga parte di coloro che hanno "speculato" nelle recenti aste
dei titoli di stato italiani, lo hanno fatto nel mercato primario, erano
banche che cercavano di liberarsi dei titoli nostrani, per la semplice ragione
che l'Italia era ed è a rischio insolvenza. Le banche sono disposte
a comprarne i titoli solo con interessi molto alti. E' "speculazione"?
Boh, da un certo punto di vista sì, ma si farebbe prima a dire, tanto
è normale questa logica, che: è capitalismo, è il normalissimo
funzionamento del capitalismo. Se rischio di più, l'interesse cresce.
A manovrare grosse quantità di titoli di stato non sono solo le banche,
ma altri soggetti in grado di spostare enormi quantitativi di denaro. Ad
esempio i fondi di investimento. I piccoli risparmiatori o anche meno piccoli,
non hanno né il tempo né le competenze necessarie per comprare
e gestire azioni ed obbligazioni. Perché se si tengono nel cassetto
questi titoli, fermi per anni, ci si rimette un mucchio di soldi, come attestano
le serie storiche. Ci si guadagna solo se si compra e si vende quando è
il momento. Così larga parte dei risparmiatori affidano i propri
piccoli o medi o grandi capitali a delle società che cercano di collocarli
al meglio. Ma non sono aziende di beneficienza. E non sono circoli democratici.
La logica è la stessa che sottende alle società per azioni.
Se io compro dieci azioni della Coca Cola non divento comproprietario di
quella azienda. Forse ogni tanto mi darà un dividendo, ma la massa
dei piccoli azionisti non ha alcun potere nè alcuna informazione
vera su quel che accade là dentro. A governare la Coca Cola, così
come il resto delle società per azioni, sono ristretti circoli di
manager e grandi azionisti. In ogni Paese capitalista sono poche migliaia
di famiglie quelle che incrociano la propria presenza nella gran parte dei
Consigli di Amministrazione di banche e imprese (una di queste famiglie
è la famiglia Monti: papà direttore di banca, parente del
dirigente d'azienda Mattioli, lui stesso membro della Goldman Sachs, advisor
della Coca Cola, ecc. ecc., figlio incamminato sullo stesso destino). Ugualmente
accade con i fondi di investimento. Formalmente il loro capitale è
costituito dal contributo di centiaia di migliaia di persone, ma sostanzialmente
le decisioni (e i maggiori utili, anche sotto forma di "spese")
vanno ad una ristretta cerchia di persone. Che è l'unica ad accedere
alla totalità delle informazioni e degli spostamenti di denaro. Sono
insomma "normali" società capitaliste. Molte di loro, tra
l'altro, sono direttamente legate alle banche. Vi sono poi fondi di investimento,
i cosiddetti Hedge Found, che adottano politiche spinte di leva che li portano
ad "investire" più di quanto abbiano, come le banche.
Si dirà che ci sono molti prodotti finanziari puramente speculativi
e che questi sono aumentati grandemente negli ultimi tempi. Si tratterebbe
della ragione per cui l'Europa sta cercando di limitarne la circolazione.
Quando si parla di questi prodotti ci si rifestisce di solito ai cosiddetti
"derivati". I derivati non sono obbligazioni o azioni che in qualche
modo corrispondono a qualcosa di tangibile: un "pezzo" di debito,
un "pezzo" di impresa, ecc. Sono strumenti che stanno "sopra"
l'economia reale, ma non la toccano. Ad esempio i "futures", vere
e proprie scommesse, rialziste o ribassiste: prima che apra la borsa di
New York, ad esempio, posso comprare un future che scommette sul rialzo
del suo indice. Se indovino guadagno soldi, altrimenti li perdo. La pratica
finanziaria più diffusa in quel mondo è la cosiddetta vendita
allo scoperto. Posso comprare ad un certo prezzo delle azioni, senza nella
realtà mettere i miei soldi, ma impegnandomi a darli qualche giorno
dopo, nel frattempo, prima di pagare, riesco a vendere quelle stesse azioni
ad un prezzo maggiore di quello d'acquisto: senza averci messo soldi "veri"
ho realizzato un guadagno. Naturalmente gli stessi soldi, se va male, posso
perderli. Ma questo genere di manovre fanno sì che il denaro non
corrispondente a denaro "vero", aumenti di volume, dato che il
denaro virtuale circola, compra e vende come quello vero. Sono questi gli
"speculatori"? No, sono sempre i soliti. Banche, fondi di investimento,
imprese. Quelle statunitensi e inglesi sono più attive in questo
campo, vero, ma il resto dell'Europa vede poco favorevolmente questi strumenti
non perché ha minori tendenze "speculatrici", ma semplicemente
perché è, su questo piano, meno concorrenziale. La Germania
ha l'auto, l'Inghilterra la City. Ognuno cerca di piazzare quel che di meglio
ha e quel che più lo fa guadagnare. Tristissimo, certo. Chi ha mai
detto che il capitalismo è allegro?
Si dirà: c'è però un capitalismo esente dalle speculazioni,
quello legato alla produzione industriale. Non è così. In
questo periodo le entità capitaliste che dispongono di maggiore liquidità
sono le imprese produttive. Ci si domanderà: com'è possibile,
visto la crisi recessiva in atto in Europa e il calo del PIL negli USA e
nel resto del mondo? E' molto semplice: le aziende hanno licenziato un sacco
di gente, hanno ridotto il loro volume di affari, e dunque si sono "alleggerite",
tagliando i debiti. Il mondo è nella cacca, comprese le masse dei
licenziati, ma loro se la spassano alla grande. Si noterà in effetti
che appena un'azienda annuncia un piano di licenziamenti, le azioni della
stessa schizzano verso l'alto. Bene, questo processo di dimagrimento ha
portato le aziende produttive ad accumulare un enorme volume di liquidità.
Ragioniamo: dove può mai risiedere quella liquidità? In un
qualche reparto di una qualche fabbrica? Non scherziamo. Si è parlato
molto, ultimamente, della liquidità di Apple, superiore a quella
di molti Stati. Bene: dove colloca Apple questi soldi se non investendoli
in attività "speculative", cioé "normalmente"
legate al capitalismo finanziario? Mica li tengono sotto il materasso!
Il capitalismo è un sistema economico i cui protagonisti sono spinti
e in qualche modo "obbligati" a fare profitti. La modalità
in cui questo avviene a loro poco importa. Può essere la cosiddetta
"speculazione", la produzione, la guerra. Come diceva Lenin farebbero
affari anche con le corde che li impiccheranno. Non vanno divisi in buoni
e cattivi, capitalisti sani e speculatori crudeli: "quelli", tutti
loro, si preoccupano solo di accumulare sempre più soldi. Siamo noi
lavoratori che dobbiamo decidere se ci sta bene continuare con questo sistema
oppure no. Nell'attesa che decidiamo, meglio non farsi prendere per i fondelli
dalle storielle sull'uomo nero.