Ma
i grillini sono di sinistra
Questa
è una domanda che, nella sinistra (e nella destra) si fanno in tanti.
Claudio Grassi e Tonino Bucci propongono una breve analisi del fenomeno “Grillo”
che può aiutare a trovare una risposta. L’articolo che proponiamo
è tratto da uno
più ampio che entra anche nel merito delle recenti elezioni amministrative
in Germania. Reds – Maggio 2012.
Con quali categorie vanno interpretati fenomeni politici come quello di
Beppe Grillo che, per un verso, attingono a un repertorio di temi tradizionalmente
di sinistra e, per un altro, mostrano di essere una riedizione del populismo,
di movimenti che rivendicano a sé un rapporto diretto con gli elettori,
con il Popolo, rigettando i corpi intermedi della politica nel novero delle
istituzioni parassitarie e liberticide? Basta soffermarsi sulle parole d'ordine
del Movimento 5 stelle, molte delle quali si ritrovano nei programmi della
sinistra radicale: la difesa dell'ambiente, la critica alle multinazionali,
la centralità dei beni comuni, il diritto a sottrarre la vita individuale
e pubblica alla mercificazione, la proposta di un controllo sui capitali
finanziari. E persino la composizione del personale politico grillino chiama
in causa un “tipo” più vicino al militante di sinistra
che non al ceto politico del centrodestra italiano. Dietro le quinte del
teatrante Grillo si muovono volontari e amministratori locali che hanno
competenze specifiche. Basta spulciare nei curricula dei candidati al primo
turno delle amministrative: ricercatori, ingegneri, studenti, laureati in
economia, commercialisti, persone impegnate nel mondo dell'associazionismo
e, ancora, ambientalisti, geometri, tecnici – insomma, figure a metà
strada tra il ceto medio riflessivo e il precariato cognitivo.
Eppure, se i singoli contenuti ricalcano le rivendicazioni della sinistra
radicale, è nell'impianto complessivo del discorso che salta fuori
la novità. Per il M5S la critica all'economia non mette in discussione
l'organizzazione sociale, non chiama in gioco soggetti collettivi, ma vale
nella misura in cui i poteri forti ledono la sfera dei diritti individuali.
Anche la critica ai partiti e alle forme organizzate della politica è
funzionale all'idea che la democrazia debba essere rapporto diretto con
l'individuo, al di fuori del quale ogni istituzione diventa inevitabilmente
parassitaria. Il programma del M5S si può riassumere nella ostilità
al finanziamento pubblico ai partiti (e ai giornali), nella volontà
di ridurre ai minimi termini qualsiasi corpo intermedio della democrazia,
percepito come una casta contrapposta agli interessi dei cittadini. Le invettive
di Grillo contro il parassitismo delle istituzioni sono state accostate
agli attacchi di Berlusconi contro gli organi intermedi della democrazia
(la magistratura, i sindacati, l'informazione) che ostacolerebbero l'esercizio
diretto della sovranità da parte di chi detiene il potere in nome
del Popolo. Chissà, è un'analogia da approfondire.
Un'ultima divagazione prima di concludere.
La società non esiste, afferma il filosofo argentino Ernesto Laclau,
uno dei principali teorici del populismo: nel senso che non esiste il Popolo,
né alcuna realtà sociale precostituita, a prescindere dall'intervento
della politica con i suoi linguaggi e le sue costruzioni.
La società sarebbe un campo attraversato da faglie e antagonismi,
da domande particolari irrisolte, da lotte sociali e bisogni slegati tra
loro, e nel quale non vi sarebbe nessuna legge naturale a garantire l'esistenza
di soggetti collettivi già bell'e pronti per l'azione politica (o
classi per sé, in termini marxiani).
Nel campo sociale si contenderebbero il primato due diverse logiche: la
prima è quella specifica del Potere, delle forze di sistema, ed è
la «logica di differenza».
Il Potere, in ossequio alla legge del divide et impera, isola tra loro le
domande sociali, tende a contenere le diverse istanze nel quadro esistente
e a favorirne, per quanto è possibile, il loro soddisfacimento all'interno
della cornice istituzionale presente.
Questo progetto è secondo Laclau strutturalmente impossibile, una
sorta di atto condannato a ripetersi indefinitamente e, al tempo stesso,
destinato a fallire l'obiettivo di una «totalizzazione sociale»,
cioè di una comunità organica e stabile nel tempo.
Su un altro versante, operano le forze “antisistema” che agirebbero
secondo una «logica equivalenziale», che raccoglie e assembla
un certo numero di rivendicazioni insoddisfatte – in origine slegate
tra loro – su un unico fronte antagonista, tracciando una linea di
rottura tra queste domande e il Potere. Quando questa operazione politica
riesce si forma il Popolo, una comunità, un Noi, contrapposto alle
istituzioni (o al nemico, all'Altro, nel caso dei populismi di destra).
Il movimento di Beppe Grillo – tornando alle nostre cronache politiche
– è finora riuscito nell'intento di unire e rendere “equivalenti”,
domande che fino a ieri erano sconnesse tra loro o che trovavano la propria
rappresentazione in schieramenti politici contrapposti.
Il boom elettorale
va probabilmente cercato nella capacità di farsi portavoce di rivendicazioni
eterogenee, mettendo nello stesso paniere temi che sono di sinistra (il
controllo dei capitali finanziari, l'acqua pubblica, i beni comuni, le energie
rinnovabili) con temi tradizionalmente orientati a destra (l'antifiscalismo,
il parassitismo della politica, l'ostilità verso i partiti e l'idea
che sono “tutti uguali”).
Una spregiudicatezza che finora ha consentito al M5S di pescare voti nell'astensione
e nei bacini elettorali sia di sinistra sia di destra.
Le scelte comunicative dello stesso Grillo in campagna elettorale hanno
infatti toccato temi tradizionali del repertorio leghista, soffermandosi
in più occasioni sull'impossibilità degli italiani di pagare
le tasse, sui piccoli e medi imprenditori strozzati dalle banche che non
fanno più credito e, persino, mettendo in dubbio la legittimità
di un sistema fiscale che servirebbe soltanto a drenare soldi nelle casse
di partiti voraci e corrotti. Ma a ben vedere, il collante che tiene assieme
le rivendicazioni grilline è l'universalizzazione della figura del
proprietario, il riferirsi a una società di piccoli proprietari minacciati,
nei propri diritti e nelle proprie tasche, da poteri proprietari più
grandi, che di volta in volta possono essere incarnati dalle banche come
dallo Stato, dalle multinazionali come dai partiti, dai gruppi economici
come dalle istituzioni.