Una "syriza" anche per l'Italia?
Sono diversi gli interventi e i contributi che auspicano di importare nel nostro paese il modello greco. Di seguito gli articoli di Giorgio Cremaschi, Paolo Ferrero, Marco Revelli e il documento di Sinistra critica. Reds – Luglio 2012.


Pubblichiamo quattro articoli e contributi che sono stati scritti negli ultimi giorni. Quello di Sinistra Critica, un articolo di Marco Revelli, sul manifesto, che rilancia l'assemblea dell'Alba, quello di Giorgio Cremaschi e poi Paolo Ferrero. Ognuno, con il suo linguaggio, la propria storia, le proprie motivazioni e moventi all'agire, si concentra sul punto che la crisi europea e le politiche di austerità rendono sempre più inaggirabile: costruire un'alternativa unitaria al governo europeo, in Italia il governo Monti, e quindi al Pd. In parte si tratta di considerazioni tardive, per quanto giuste. Ricordiamo che Marco Revelli, lo scorso novembre si pronunciò per "baciare il rospo Monti" (vedi qui l'articolo) e la stessa Rifondazione non ha ancora escluso del tutto l'eventualità di un accordo con Bersani se si dovesse votare con l'attuale legge elettorale. D'altro canto, il riavvicinamento tra Casini e Bersani riapre gli occhi a quella sinistra che non smette di illudersi che il Pd sia "permeabile" ad alcune istanze e, quindi, a possibili alleanze (un discorso che vale in parte anche per la Fiom).
Quindi, finalmente, tutto bene? Si procederà, come scrivono gli interventi di seguito, alla costituzione di una "Syriza italiana"? Non è così semplice. Intanto perché Syriza vuol dire tante cose e non tutte positive. Per alcuni, ad esempio, è assimilabile a ipotesi come il Front de Gauche francese, dominato dal Pcf, e che si muove su una linea ambigua rispetto al Partito socialista. Per altri è solo un espediente per passare indenni le prossime elezioni. Per altri ancora è una mossa tattica congiunturale. E Syriza, da parte sua, non può essere un modello vista la storia che la riguarda e la specificità greca.
Tuttavia, se si affermasse l'idea che si possa costruire un campo largo a sinistra del Pd, forse si potrebbe ricominciare a dare uno sbocco a quella rabbia latente e a quella radicalizzazione liquida che muove la società italiana e che non sa dove andare. Certo, una ripartenza è un processo lungo e necessita di ben altro: di gambe sociali e di una rinnovata capacità di collegarsi alla società con strumenti propri, espressione diretta delle attuali forme, molto spurie, di politicizzazione, e con un protagonismo inedito.
Ecco, una discussione tra tutte queste forze è bene che sia fatta e sarebbe bene che sgombrasse il campo da equivoci e banalità. Ad esempio, quello di eventuali primarie che non sembrano essere lo strumento più efficace per organizzare, stabilizzare e democratizzare la partecipazione. Molto più utile, invece, sarebbe un lavoro di rinnovamento dei vertici e delle varie leadership. Poi c'è il nodo dell'efficacia sociale: se non si mette in piedi un'iniziativa che possa per lo meno resistere all'austerità e alla svendita dei diritti sociali non si va da nessuna parte.
L'auspicio è che questa discussione si faccia e che le due coordinate fondamentali indicate dall'esperienza di Syriza, l'alternatività al social-liberismo e l'opposizione di fondo ai memorandum e all'austerità, siano al centro di essa.

Syriza e la sinistra europea
di Sinistra Critica

Syriza non ce l'ha fatta. Una campagna forsennata da tutta Europa, fatta anche di calunnie e menzogne, ha indotto i greci a dare un vantaggio ai conservatori che ora formeranno il governo con i socialisti del Pasok. Quelli che hanno rovinato i lavoratori e il popolo greco sono ora chiamati a salvarli. In realtà non faranno che aggravare la situazione.
Ma la battaglia non finisce qui. Lo straordinario risultato di Syriza è anche il capitale accumulato da una generosa lotta di resistenza fatta di scioperi, manifestazioni, scontri e conflitto diffuso e che ha visto nella proposta della Coalizione di sinistra un possibile punto di appoggio. La forza di Syriza, il suo essere esempio per la sinistra europea, non sta tanto nella formula politica tipicamente graca, con i suoi limiti e le sue specificità, ma nella sua capacità di tenuta, nell'aver resistito alle pressioni e aver indicato un'alternativa alle politiche della Troika a partire dall'annullamento del debito. Così come è stato significativo aver dimostrato che è possibile essere distanti e alternativi al socialismo moderato e liberale del Pasok così come di gran parte della socialdemocrazia europea.
In questo senso servirebbe una Syriza anche in Italia. Sul piano del programma, con il rifiuto delle politiche di austerità, l'annullamento del debito illegittimo, la riforma fiscale o la nazionalizzazione delle banche. E sul piano politico, con un progetto che spazzi via il liberalismo temperato di Bersani e soci e proponga un'altra strada. Non a caso il centrosinistra, Cgil compresa, si allinea alla vittoria dell'unità nazionale a Atene.
Noi pensiamo che questa ipotesi di lavoro sia un utile esempio anche per la sinistra sociale e politica in Italia sapendo che non esistono mai modelli da imitare. Un esempio sul piano dell'unità fra forze diverse, sul piano del rinnovamento e su quello della radicalità dei contenuti.
Ai sindacati di classe, ai comitati territoriali contro le devastazioni ambientali, ai centri sociali, gli studenti, i precari, il movimento delle donne, il movimento impegnato nei vari Pride, alle associazioni e ai collettivi e alle forze politiche disponibili a mettersi in gioco chiediamo di lavorare per una Coalizione sociale e politica che innanzitutto costruisca un movimento unitario e plurale, autorganizzato e democratico, radicale e combattivo. E' questa la priorità assoluta per uscire dall'attuale stasi della resistenza all'austerità. Una coalizione non identitaria, né settaria, capace di parlare a tutto il mondo del lavoro, del precariato, di chi è colpito dalla crisi in tutte le sue varie espressioni e di realizzare un contrasto efficace e duraturo, il contrario di quanto fatto finora, al governo Monti e alle politiche della Troika.
E che discuta, senza feticci o ultimatismi ma anche senza complessi, della possibilità di rappresentare anche una alternativa sul piano elettorale. Una Coalizione anche in Italia ci sembra il modo più efficace per sostenere la lotta di Syriza che, contrariamente alle apparenze, è appena cominciata.

2013, un nuovo inizio
di Marco Revelli

Non dimentichiamola troppo in fretta, la lezione greca. Ancora la scorsa domenica mattina il mondo – non solo l’Europa – sembrava appeso al voto di quella decina di milioni di elettori greci chiamati a scegliere tra la vita e la morte. Con i nostri quotidiani “indipendenti”"a spiegarci, senza pudore – producendosi in un falso plateale – che ad Atene si sceglieva tra l’Euro splendente e la miserabile dracma. E la stampa finanziaria a disquisire di computer dei broker globali puntati sul fatidico “sell” che, in caso di vittoria dei “nemici dell’Europa”, avrebbero scatenato l’opzione fine del mondo dando inizio a una tempesta di vendite sui titoli di Stato dei paesi deboli (come il nostro), mentre in caso contrario il “buy” avrebbe polverizzato lo spread… e salvato il mondo! Abbiamo visto persino i virtuosissimi governanti di Berlino tifare scompostamente – alla faccia dell’intransigente etica protestante germanica – per quegli stessi politici di “Nuova democrazia” che appena qualche settimana fa accusavano (a ragione) di aver truccato i conti sul debito greco.
Così fino, grosso modo, alle 23 del 17 giugno. Poi, dalla mezzanotte, tutto è cambiato. Archiviata la vittoria degli amici dell’Europa, l’Europa ha voltato pagina (e spalle), come se nulla fosse stato: lo spread ha continuato a ballare sul filo dell’insostenibilità; la retorica dei compiti a casa è tornata a dominare a Berlino; i rischi per la zona euro hanno continuato a caratterizzare le esternazioni degli eurocrati di Bruxelles, i favori alla Grecia virtuosa sono passati in cavalleria.
Mentre i mercati, semplicemente, con un colpo di pinna e un nuovo arrotar di denti, spostavano un po’ più a ovest il tiro, mettendo nel mirino le banche di Madrid e, di rimbalzo, i conti di Roma… Non gli basta mai, verrebbe da dire… La distruzione distruttrice dei mercati (Schumpeter è lontano, quasi quanto Keynes), unita al default della politica su scala globale, procede su un piano inclinato in cui non sono previsti punti di rimbalzo. Non c’è decisione di popoli o di governi che tenga: indifferente a tutto, la trasformazione per via finanziaria di tutto ciò che è solido in materia gassosa (in ricchezza astratta) procede, inarrestabile, lasciando dietro di sé – come l’angelus novus di Benjamin – un panorama di macerie. I greci, alla fine, col loro voto ossequiente, si sono guadagnati un altro anno di vita da spendere al lavoro (e a svenarsi) per pagare ai propri creditori internazionali – in primis alle banche globali che hanno rischiato sul loro debito – interessi a due cifre, esattamente come le pecore di Trasimaco, allevate dai propri pastori per esser tosate ad ogni stagione, prima di farne carne per i banchetti rituali.
Tutto questo l’abbiamo capito già lunedì scorso. Ma non è l’unica scoperta (o conferma) del dopo-voto greco. Tra le pieghe della trattativa in punta di fioretto di questa densissima settimana – soprattutto dallo scambio di messaggi (più o meno subliminali) sulla proposta dei mini eurobond avanzata da Monti – abbiamo imparato per esempio un’altra verità sulla vera natura delle istituzioni finanziarie internazionali, e sul modo in cui i loro stessi fautori e supporters le percepiscono. Ce la rivela la tenace resistenza. opposta da tutti i governanti coinvolti, ad accettare formalmente gli aiuti del Fondo Salva-Stati. O a concepire soluzioni che facciano scattare il meccanismo che pone i beneficiati sotto il controllo della cosiddetta Troika. Che cosa significano i lampi di terrore che s’intuiscono dietro gli occhiali del nostro presidente dei consiglio, il vade retro satana stampato sul volto di Rajoy, se non il fatto che, nello stesso cuore della governance europea, le ricette dell’inevitabile
Memorandum che seguirebbe all’aiuto sono considerate mortali. Sanno benissimo, evidentemente, che quelle condizioni – le stesse, appunto, che in meno di un biennio hanno condotto la Grecia sull’orlo del medioevo, e che continuano a figurare nei manuali del Fondo monetario internazionale e della Bce – portano alla morte sociale i Paesi che sono costretti a sottomettervisi. Sono consapevoli – pur avendo contribuito a fissarne i codici di comportamento e pur aderendovi ideologicamente – che la Troika – come le Gorgoni del mito – trasforma in pietra chi ha la sventura di doverla guardare negli occhi…
La verità, sempre più evidente a tutti, e tuttavia non detta da quasi nessuno, è che dentro quel paradigma –
dentro il paradigma che domina a Francoforte e a Bruxelles e che non trova oppositori significativi in quasi nessun parlamento nazionale – non c’è soluzione possibile. La crisi può essere protratta, dilazionata, controllata temporaneamente, ma non risolta. «Ad Kalendas graecas soluturos» dice Svetonio che fosse solito ripetere l’imperatore Augusto… – «i debiti saranno saldati alle Calende greche» – per indicare una dilazione all’infinito, dal momento che i greci non possedevano il concetto romano delle Calende (il primo giorno del mese, quello in cui si era soliti onorare le promesse). Lo stesso vale per la promessa europea della ripresa dopo il purgatorio del rigore. Dentro questo modello – che orienta la metafisica influente dell’establishment politico e finanziario europeo – la soluzione verrà… alle Calende Greche. O, per dirla nella lingua della Merkel, «Zu dem juden Weihnachten»: al «Natale ebraico».
Di questo, sono convinto, ci si dovrebbe preoccupare in primo luogo quando si ragiona sul nostro 2013, se si vuole collocare il problema politico del nostro Paese nella sua dimensione effettiva (che è alta, da «grande politica», direbbe Tronti), e se vogliamo sottrarci al provincialismo un po’ umiliante dell’attuale dibattito sulle primarie (di partito o di coalizione o di programma, con la foto di Vasto strappata o rappezzata, con Renzi o senza Renzi, e via degradando…): della necessità di “pensare” un paradigma alternativo a quello che domina oggi in modo totalitario – con il totalitarismo finanziario che caratterizza l’epoca – l’orizzonte europeo. Non l’alternativa triviale tra stare dentro o uscire dall’Europa – che è il modo con cui i nuovi totalitari ci impongono la loro immagine del mondo come l’unica concepibile – ma in quale Europa vogliamo stare. E del come difendere il modello sociale europeo – l’unico miracolo, in fondo, ascrivibile al nostro continente dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale – dalla devastazione che i governanti europei ne hanno prodotto nell’ultimo biennio. E neppure – voglio aggiungere – l’alternativa misera tra la difesa dell’Euro o il ritorno alla moneta nazionale (lasciamola a Berlusconi…), ma al contrario in quale moneta europea stare, come renderla compatibile con la difesa del sistema di garanzie sociali congruenti con un’idea accettabile di società giusta, come ripensarla, dal momento che questo euro (che non è l’unico euro concepibile) non funziona.
Questo significa, non c’è dubbio, porsi fuori dal quadro di compatibilità che costituisce il dogma dell’Europa attuale (e della politica italiana prevalente). Rompere con la logica dei Memorandum, effettivi o minacciati. Anzi, porre la rottura di quella logica (e la sua ri-negoziazione collettiva, in solido con un fronte ampio di paesi) come discriminante irrinunciabile per qualsiasi progettualità condivisa e per qualsiasi politica delle alleanze. Su questo non sono più possibili illusioni: se neppure il professor Mario Monti, che è uno di loro, che ne gode della fiducia come solo tra sodali è possibile, e che ne conosce ogni piega del carattere, ogni dettaglio del linguaggio, non è riuscito finora a spostare neppure di un millimetro l’intransigenza tetragona dei campioni della tripla A, da Angela Merkel a Olli Rehn, questo significa che i margini di manovra stanno a zero, o quasi. Che se anche in un qualche vertice europeo si riuscisse a strappare qualche punto a nostro vantaggio, questo ci consentirebbe tutt’al più una dilazione, ma non una soluzione. E che se si vuole sperare di uscirne vivi, bisogna pensare, rapidamente, in termini culturali in primo luogo, e nella sua articolazione politica, un paradigma alternativo che non si esaurisca nella finanza ma coinvolga una visione ampia e altra.
Qui non si tratta di primarie. Si tratta di strategia (ed eventualmente di tattica). Come e con chi (e a quali condizioni) avviare un processo costituente che abbia il peso e la consistenza dell’alternativa allo stato di cose presente. Quando Syriza avviò il proprio percorso verso la sfida elettorale, non si presentò alle primarie con il Pasok e Nuova democrazia. Tracciò una linea netta con la parte corrotta del quadro politico e con i segmenti falliti dello stesso passato dell’intera sinistra greca (compreso il proprio). Pensò, davvero, a un nuovo inizio.
Il nostro 2013 sarà, inevitabilmente un nuovo inizio – se non altro perché i tecnici scadono dal loro mandato. Tanto vale prenderlo sul serio, e lavorare fin da ora al programma di una progettualità politica che sia davvero, e senza mascheramenti, nuova. Nei contenuti, nelle alleanze, ma anche nelle forme, nel modo di interpretare la propria vocazione politica, e la natura della rappresentanza. Alba incomincerà questa riflessione il prossimo fine settimana a Parma, sapendo che non c’è tempo da perdere. Che almeno l’avvio di questo processo non può essere rinviato… alle Calende greche.

Articolo 18, un voto costituente
di Giorgio Cremaschi

L'approvazione della controriforma del lavoro con voto di fiducia cambia definitivamente il quadro sociale e politico del paese, e' un atto costituente.
Sul piano sociale la legge sanziona il successo del modello Marchionne. Che paradossalmente si afferma in tutto il paese proprio mentre in fiat sta fallendo il progetto di rilancio industriale. Non e' un caso.
Il progetto imposto a Pomigliano due anni fa rappresentava infatti non solo un modello per la fiat, ma un via indicata a tutte le forze dominanti per affrontare la crisi scaricandola sul lavoro. E come tale si e' affermato grazie al governo Monti e alla Bce. Questa via chiede all' Italia di stare sul mercato diventando un paese low cost, con precarietà, supersfruttamento, distruzione dei diritti sociali.
La legge Fornero rappresenta il culmine ideologico del progetto di controriforma sociale che costruisce questa via. Con essa la precarietà del lavoro diventa permanente per tutte e tutti e lo statuto di lavoratori viene sostanzialmente abolito. Dopo questa legge in tutti il luoghi di lavoro cresceranno arbitrio e oppressione, l'Italia sarà ancora più ingiusta e la sua democrazia ancora più evanescente. (...)
Ma ci saranno anche effetti sul sindacato e sulla politica. La Cgil subisce qui la sua più grave sconfitta del dopoguerra, tanto più dura perché il principale sindacato italiano non ha lottato davvero per evitarla.
Sul piano politico e' evidente che il voto in parlamento suggella la fine del centrosinistra classico, per dirla con Vendola, a favore di quello montiano allargato a casini.
Allora su entrambi i fronti, sindacale politico, bisogna costruire la risposta e l'alternativa.
Sul piano sindacale bisogna operare per l'unità di tutte le forze che dentro e fuori la Cgil, dicono no a Monti e a Fornero, per ricostruire la forza del sindacalismo di classe. . Questa unità e' incompatibile e alternativa a quella con Bonanni ed Angeletti, che invece difendono la controriforma così come stanno con Marchionne.
Sul piano politico bisogna costruire a sinistra l'alternativa al Pd e al suo sistema di alleanze, come e' avvenuto in Grecia rispetto al Pasok.
Questi due processi avranno sicuramente tempi e modalità diverse, ma ci saranno perché sono necessari.
Coloro che dicono sì alla controriforma Fornero stanno dall'altra parte, e noi dobbiamo ricostruire la nostra parte contro di loro.

Bisogna costruire Syriza anche in Italia
di Paolo Ferrero

Il risultato delle elezioni greche segna una vera novità nella situazione europea. Per la prima volta una forza di sinistra contro le politiche di austerità europee, dichiaratamente antiliberista e anticapitalista, raggiunge una percentuale del 27% e complessivamente le forze della sinistra antiliberista arrivano attorno al 40%. Lo fa in nome di un’altra Europa, di una Europa democratica basta sui diritti sociali e civili, dove il rovesciamento delle attuali politiche europee non è finalizzato ad un nuovo nazionalismo ma ad una nuova Europa.
Il messaggio che ci viene dalla Grecia è quindi un messaggio di speranza perché ci parla della possibilità di rovesciare le folli politiche neoliberiste. Sarebbe infatti sbagliato pensare che la vicenda greca sia chiusa con queste elezioni. Oggi, in virtù di una legge elettorale maggioritaria Nuova Democrazia può formare il governo ma tra qualche mese, quando sarà chiaro che la situazione è destinata a peggiorare, la situazione sarà molto più bollente. In questa condizione, pensare che il governo che verrà formato in questi giorni sia destinato ad aprire una fase di stabilità per la Grecia è una pura illusione. Anche perché la Merkel ha già pensato bene di spiegare a tutti che non farà sconti al governo greco. Come abbiamo visto nel caso spagnolo, questi delinquenti che governano l’Europa, sono disponibili a mettere risorse (100 miliardi) per salvare le banche, ma non sono disponibili a permettere alla BCE di salvare gli stati, cioè i popoli. Le banche vengono salvate, le famiglie no.
La situazione greca è quindi tutt’altro che stabilizzata e nei prossimi mesi Syriza è nelle condizioni di costruire – da sinistra – una opposizione sociale, politica e culturale alle politiche europee, ponendo le condizioni per un deciso cambio di marcia. In altre parole la Grecia ci dice che è possibile anche in Europa avviare un percorso come quello imboccato negli ultimi decenni dall’America Latina, in cui le politiche neoliberiste sono state sconfitte e con esse buona parte delle forze politiche che le proponevano.
Il punto è di non lasciare isolata la sinistra greca. La Grecia da sola non può cambiare l’Europa, serve il contributo di tutti, a partire dal nostro. Per questo è necessario costruire anche negli altri paesi europei una sinistra antiliberista che abbia due caratteristiche fondamentali:
In primo luogo di essere molto netta nelle posizioni contro le politiche di austerità europee. Non si tratta quindi di fare qualche emendamento – come propongono il Pd e i partiti socialisti – ma di rovesciare radicalmente l’impostazione economica e sociale: occorre demolire la speculazione, ridistribuire reddito e costruire un intervento pubblico in economia finalizzato alla riconversione ambientale e sociale dell’economia. Si tratta di costruire una sinistra che individuando chiaramente l’avversario da battere nella finanza e nelle multinazionali, riesca a raccogliere i disoccupati, i pensionati, i lavoratori e le lavoratrici, gli artigiani, i commercianti, i piccoli imprenditori. Si tratta cioè di fare un sinistra che per la chiarezza degli obiettivi difenda gli interessi della maggioranza della popolazione.
In secondo luogo si tratta di fare un sinistra che superi i confini delle attuali organizzazioni politiche. Per questo penso che il nostro compito sia quello di costruire una Syriza italiana, di dar vita ad un processo di aggregazione paritario tra tutti coloro che ritengono necessario costruire questo polo di sinistra, autonomo dal Pd e dal centro sinistra.