Sul comitato politico nazionale
del 3-4 febbraio.
Il Comitato
Politico Nazionale del 3-4 febbraio 2001 è stato segnato dalla relazione
politica del segretario Fausto Bertinotti, che ha delineato la tattica elettorale
del partito. Spieghiamo in questo articolo il perché del nostro dissenso.
REDS. Febbraio 2001.
Il Comitato Politico del 3-4 febbraio è stato segnato dalla relazione politica del segretario Fausto Bertinotti, che ha delineato la tattica elettorale del partito. Si tratta di una relazione chiara nella maggior parte dei punti, e molto "raffinata". Tuttavia dissentiamo, perché vi ravvisiamo elementi di contraddizione interni e perché non riteniamo la tattica lì delineata la più adatta a muovere il partito nelle acque stagnanti e un po' maleodoranti di questi mesi che precedono la vittoria della destra.
La tattica elettorale presuppone la strategia delineata a giugno dell'anno scorso. Questa strategia si basa, a parole, su due assi. Uno è quello della "sinistra plurale" e l'altro quello della "riaggregazione della sinistra di alternativa".
Come abbiamo già avuto modo di spiegare, noi concordiamo con il perseguimento della sinistra plurale (vedi il nostro articolo I dieci giorni in cui eravamo d'accordo con Bertinotti) se si tratta di una politica che intende propagandare la necessità che, su una serie di punti qualificanti, la sinistra (DS, PRC, Verdi) si presenti unita. In questo ci troviamo in dissenso con la sinistra della maggioranza (Bandiera Rossa e "area Ferrero", interessati solo al discorso della aggregazione della "sinistra di alternativa") e di una parte della minoranza interna (interessata solo ad una riproposizione della sola Rifondazione). Nessuno riuscirà mai a convincerci infatti che la politica migliore per mettere in contraddizione un elettore DS sia dirgli: "non vogliamo avere nulla a che fare con il tuo partito perché è agente della borghesia". Noi abbiamo verificato nella pratica che è molto più efficace dire: "noi vorremmo presentarci uniti con il tuo partito, ma che ci possiamo fare se preferisce stare coi democristiani?". Pensiamo che sia più utile una offensiva propagandistica (perché nella fase attuale si tratterebbe solo di questo, dato che con ogni evidenza i dirigenti DS non si sognano nemmeno di mollare il centro per allearsi con noi) centrata sulla proposta di unità della sinistra, contro la destra e il centro. In pratica è la traduzione di quello che i "classici" chiamavano "fronte unico" tra comunisti e una socialdemocrazia che non era certo migliore di quella attuale, visto che si era fatta complice del massacro della Grande guerra e dell'assassinio di Rosa Luxemburg. Sul fronte unico, visto che siamo in clima di celebrazioni, si spese tutta l'Internazionale Comunista contro la politica settaria del primo PCdI a direzione bordighiana.
Il problema è che non siamo così certi che il discorso di Bertinotti abbia qualcosa a che vedere con quell'illustre antenato, dato che non abbiamo sentito mai indicare in maniera chiara chi sono i referenti politici della "sinistra plurale": qualche volta abbiamo il sospetto che vi includa anche ... i popolari. Siamo invece assolutamente certi che Bertinotti si guarda bene dal mettere in pratica questa strategia, altrimenti non si capirebbe il suo sostegno alla Jervolino, o, due anni fa, a Zaccagnini.
Mentre la politica della "sinistra plurale" ha una valenza che al momento è poco più che propagandistica, quello della aggregazione della "sinistra d'alternativa" ha una portata, potenziale, più immediata: significa per noi che, parallelamente ad un'offensiva propagandistica per l'unità della sinistra, si sviluppano momenti di unità d'azione con pezzi politici e di movimento che sono più vicini a noi. Ma anche questa politica non è perseguita nei fatti. Di casi notevoli c'è stato solo quello veneziano, con la presentazione di un'aggregazione elettorale rosso-verde in occasione delle ultime comunali, ma ha avuto un pessimo epilogo: la convergenza al secondo turno sul sindaco di centrosinistra ha dato all'operazione una sgradevole coloritura politicista.
La relazione di Bertinotti comunque si sviluppa dando la strategia appena descritta per acquisita e digerita, quando invece abbiamo appena visto che essa è detta male e praticata peggio.
Il ragionamento bertinottiano è il seguente: il PRC deve praticare una politica che consenta alle larghe masse di comprenderci e di non vederci addossare la responsabilità della sconfitta del centrosinistra; allo stesso tempo dobbiamo incidere sulla crisi del centrosinistra dopo le elezioni e lo possiamo fare con tanta più efficacia quanto più siamo stati autonomi da un lato ma "non indifferenti" dall'altro; per questo non dobbiamo esserci là dove la nostra presenza non ci arrecherebbe alcun vantaggio come partito, ma procurerebbe sicuri danni al centrosinistra: il maggioritario alla camera, appunto.
Riconosciamo una certa saldezza nell'impianto del ragionamento. Tuttavia qualcosa non funziona anche al suo interno. Questo qualcosa si chiama "elezioni amministrative".
Perché ciò che alla Camera si chiama "non indifferenza" alle sorti del centrosinistra, alle amministrative diviene soccorso a sirene spiegate e piena complicità? Se infatti è vero l'obiettivo di voler rompere il centrosinistra ("sinistra plurale"), non capiamo francamente perché si continui, a livello locale, a sostenere candidature di centro e a integrare schieramenti di centrosinistra. Non a caso il passaggio sulle amministrative è quello più oscuro nel ragionamento bertinottiano. Lo riproduciamo per sottolinearne l'incongruenza:
"Allo stesso modo ci dobbiamo comportare in occasione delle importanti elezioni amministrative. Il nostro non è un atteggiamento da piccola forza politica tesa a sfruttare spazi per propri vantaggi, ma quello di una forza attenta al problema del governo delle città, che guarda a nuove esperienze di democrazia nel mondo, come quella di Porto Alegre in Brasile, che vuole intervenire nella crisi del progetto imprenditoriale delle città che ha portato il centrosinistra a candidare manager e imprenditori alla carica di sindaco, che quindi ricerca punti di alleanza più avanzata nel centrosinistra o liste alternative rosso-verde come Venezia."
In realtà vi è una totale, ma apparente, casualità. I manager li ha sostenuti anche il nostro partito, come Fumagalli nelle ultime amministrative di Milano. E qualcuno ci dovrebbe spiegare che c'entra Porto Alegre che ha una amministrazione di estrema sinistra con il sostegno alla Jervolino per Napoli.
Questa debolezza tutta interna al ragionamento bertinottiano ha una diretta influenza a livello di massa: risulta incomprensibile alla gran parte delle persone perché vi siano scelte tanto difformi tra il nazionale e il regionale/locale.
Ma ammettiamo pure che il discorso bertionottiano sia coerente in sé. Bene, non saremmo d'accordo lo stesso.
Ripetiamo brevemente i nostri argomenti che si possono trovare anche in altri materiali della rivista (vedi nell'archivio il settore riguardante le alleanze elettorali). La tattica elettorale proposta dal CPN immagina che in Italia le masse siano ancora quelle degli anni settanta: fortemente ideologizzate, fedeli alle indicazioni di partito, ecc. Masse di questo tipo erano in grado, forse, di recepire certi messaggi che si collocano al livello della politica pura. Certo, questi settori ci sono ancora, ma in via di costante riduzione. Oggi crescenti settori di massa sono liberi e vaganti. Innanzitutto ci sono masse di giovani che votano con alle spalle un periodo ormai ventennale di profondo riflusso e crescente spoliticizzazione. E ci sono anche appartenenti alla vecchia guardia e che sono stanchi, delusi e in libera uscita. Queste masse vaganti hanno bisogno di segnali semplici, chiari, coerenti, forti. Hanno bisogno di un discorso che non si collochi solo al livello dei messaggi che si scambiano ceti politici o che presuppongono un vissuto che ormai pochi possono vantare. Per dirla in parole povere: sbandierare il pericolo delle destre, spaventa solo una parte del potenziale elettorato della sinistra, mentre lascia totalmente indifferente l'altro. Gran parte dei giovani non ha fatto esperienza concreta di che cosa differenzia la destra dalla sinistra, se non per le prove non certo gloriose della sinistra al governo. Siamo d'accordo che non per tutti è così. Una fetta dell'elettorato in un qualche momento della propria vita questa esprienza l'ha fatta ed ha imparato ad associare la parola sinistra ad una lotta, uno sciopero, un'occupazione. Questa gente vota a sinistra e non vuole la destra al potere: è giusto avere una politica anche per loro (ed è quella dell'unità della sinistra). Occorre però anche misurarsi con quella fetta dell'elettorato attratto dalla chiarezza di un messaggio nettamente dissidente rispetto all'esistente. Soprattutto per la natura di questo elettorato (giovani e operai). E allora la rinuncia alla presentazione al maggioritario della Camera non ci mette al riparo dalle critiche delle masse spaventate dall'arrivo della destra, e allo stesso tempo lancia un segnale contradditorio verso tutti gli altri, che saranno portati a pensare (a maggior ragione con la nostra tattica a livello locale) che in fin dei conti centrosinistra e PRC fanno parte della stessa famiglia.