I dieci giorni in cui eravamo
d'accordo con Bertinotti.
L'illusione
di essere per una volta d'accordo con il nostro segretario è durata meno
di due settimane. L'idea di "rompere il centrosinistra" è giustissima,
ma non si vede come riuscirci continuando ad allearci coi centristi. REDS. Giugno
2000.
Avevamo letto il resoconto della Direzione Nazionale del PRC del 30 maggio pubblicata su Liberazione del 31 ed eravamo rimasti contenti. Poi abbiamo letto la lettera aperta ai DS di Fausto Bertinotti pubblicato sull'Unità il 3 giugno e siamo rimasti ancora più contenti. Poi abbiamo letto l'intervista rilasciata dal nostro segretario al Corriere della Sera del 12 giugno e ci sono cascate le braccia. L'illusione di essere per una volta d'accordo con il nostro segretario è durata meno di due settimane. Per fortuna che alle delusioni siamo abituati: ci rimetteremo presto. Andiamo per ordine.
La Direzione Nazionale del 30 maggio
Nella replica riportata
su Liberazione Bertinotti faceva un'analisi sostanzialmente condivisibile della
fase politica. Diceva:
"Le regionali hanno segnato la crisi del centrosinistra; quella dei DS
e di questa loro strategia che si spingeva fino all'obiettivo del partito unico
del centrosinistra è stata conclamata dai referendum. Questa crisi strategica
pone i DS in una condizione di instabilità." Il centrosinistra e
i DS "tendono a ripetere gli errori, continuando ad insistere sull'asse
unico tra il centro e la sinistra di governo, su cui compiono qualche aggiustamento
che nulla ha a che fare con una presa d'atto della costituzione materiale del
Paese." Sui movimenti: "Lo sviluppo avuto a Genova del movimento esploso
con Seattle, è un annuncio importantissimo sul futuro del conflitto con
il neoliberalismo. E la nostra scommessa dovrebbe essere quella di operare una
connessione progressiva tra questo disgelo della critica e delle pratiche d'opposizione
nuove al neoliberalismo e il movimento operaio, oggi silente in Italia."
Sulle prospettive: "Si conferma valido il triangolo proposto dall'indirizzo
assunto dal Comitato Politico Nazionale: quello tra apertura del partito, costruzione
della sinistra d'alternativa e intervento sulla crisi del centrosinistra per
guadagnare l'orizzonte d'una sinistra plurale." I DS: "Quale deve
essere, dunque, la nostra interlocuzione con quella sinistra? Dev'essere la
richiesta, con i fatti, d'una crisi del centrosinistra, d'una rottura col centro,
e appunto d'una sinistra plurale in cui si confrontino una sinistra d'alternativa
e una sinistra riformista, che sono ovviamente i nostri interlocutori a dover
connotare."
Il triangolo che proponeva Bertinotti nella sua replica era qualche cosa sulla quale valeva la pena ragionare. Da alcuni mesi Il Manifesto si sta spendendo perché si dia vita ad un percorso costituente, del quale il PRC dovrebbe divenire l'attore principale, verso la costruzione di un "nuovo soggetto politico della sinistra". L'operazione della Rivista del Manifesto va nella stessa direzione.
La proposta del
resto risponde ad una esigenza sentita dalla base della sinistra antagonista.
E' un piccolo popolo di scontenti e delusi, non soddisfatti dell'offerta politica
oggi in campo. In qualche modo questa gente è stata in varie riprese
sedotta dal PRC, specie al suo inizio: oggi il partito ha poco più di
centomila iscritti ma ha sempre sofferto di un turn over senza precedenti nella
storia del movimento operaio italiano, segno inequivocabile della distanza tra
ciò che ci si aspettava e quel che si è trovato. Attraverso il
nostro partito sono passate diverse centinaia di migliaia di persone, poi allontanatesi
sconfortate da un ambiente pervaso da litigiosità interne spesso dettate
dal personalismo, da scissioni senza costrutto, dall'immobilismo, ecc. Speravano
di trovare un partito vivace e se lo sono trovato bloccato e pochissimo interessato
ad una vera rifondazione. Oggi gli "ex PRC" formano un esercito ben
più consistente dell'attuale militanza. Certo, sembra dunque anche a
noi centrale una proposta politica che punti ad aggregare quest'area. Ma.
Si tratta di un'area che non può essere fregata una seconda volta. Come
offrire qualcosa di nuovo se noi stessi non siamo in grado di cambiare le nostre
abitudini, a cominciare dai circoli? Perché dalla base ai vertici vi
sono abitudini incrostate (vedi il nostro documento Un modo nuovo di costruire
i circoli) che fanno sì che il centro di ogni preoccupazione siano le
elezioni e l'organizzazione della festa, e che all'interno procedano i vecchi
riti per cui un segretario conterà sempre più di una assemblea
degli iscritti.
L'articolo pubblicato su L'Unità del 3 giugno
Si tratta di una
sorta di lettera aperta che Bertinotti rivolge ai DS. E dove tra l'altro scrive:
"Il centrosinistra ha fallito, e costituisce oggi una prigione da cui le
forze di sinistra che ancora ne fanno parte farebbero bene a liberarsi quanto
prima." E poi: "Quella che propongo è la rottura del centrosinistra,
la liquidazione del governo Amato che l'incredibile atteggiamento verso
il world gay pride ce lo indica impietosamente oltre a comprimere i diritti
sociali mortifica quelli civili." Prosegue: "Rompendo la prigione
del centro-sinistra può aprirsi un campo completamente nuovo per tutte
le forze della sinistra, ma bisogna che questo avvenga". I nuovi movimenti
"trarrebbero forza e prospettiva se le sinistre fossero capaci di unirsi
in una logica che non pretende di ridurre ad uno l'irriducibile, che accetta
l'esistenza di una sinistra plurale, con differenze ideali anche marcate, ma
con la capacità di trovare momenti di unità su obiettivi e anche
su più ambiziosi programmi di governo, purché questi nascano dalla
convinzione che le sinistre devono essere tali e che la loro perdita di identità
favorisce tutti i disegni possibili, da quelli della grande destra a quelli
del grande centro".
Eravamo sostanzialmente
d'accordo con queste affermazioni (vedi: "Centrosinistra: versione politica
dell'accanimento terapeutico" e "Sinistra: tempo scaduto!").
Siamo favorevoli che da parte del partito si sviluppi una politica diretta all'insieme
del popolo di sinistra composto, nonostante tutto, da gente che vota i DS. Sostenere
l'idea che i DS siano ormai solo una formazione liberale, confondendo così
la natura sociale di un partito (che è imposta da coloro che lo sostengono)
con la linea politica portata avanti dal suo gruppo dirigente, è un tragico
errore. Di questo abbiamo diffusamente trattato su REDS (vedi: "La maledizione
dei socialdemocratici" e "Congresso DS, che passione!" ).
L'esigenza di rompere la "gabbia" del centrosinistra corrisponde ad
un sentimento che si va facendo strada nel popolo di sinistra che non solo condanna
in maniera crescente le politiche moderate che scaturiscono da tale alleanza
(e che è la trasposizione sul piano politico dell'alleanza tra grande
capitale e burocrazia del movimento operaio) ma anche i continui attacchi che
da questo centro vengono alla scuola pubblica, alle donne, agli omosessuali.
Ma anche qui il
PRC non ha tutte le carte in regola: s'è presentata un'ottima occasione
per rompere la "gabbia" del centrosinistra: uscire dalla maggioranza
Rutelli, quando il sindaco ha vergognosamente pugnalato alle spalle il movimento
omosessuale. Era un'ottima occasione per praticare in prima persona ciò
che si consiglia agli altri, e su una questione nettamente collocata a sinistra.
Eppure si è organizzato invece un congresso romano che va nel senso del
ritorno in Giunta.
L'intervista di Bertinotti al Corriere
Nell'intervista al Corriere della Sera del 12 giugno Bertinotti ribadisce le varie posizioni di critica a Veltroni, che condividiamo, ma poi afferma: "costruiamo una sinistra plurale composta da noi, dall'area ecologista, dalla sinistra moderata e dai cattolici democratici".
Allora, ci siamo
detti, non avevamo capito niente. Il termine "cattolici democratici"
non si presta a molti equivoci: sta ad indicare tradizionalmente la sinistra
DC ed oggi l'area del PPI. Ora, il partito di Castagnetti, NON è un partito
di sinistra anche perché per esserlo come minimo i suoi membri dovrebbero
per primi dichiararsi tali, e per quanti sforzi facciamo non riusciamo a vedere
un De Mita ed un Martinazzoli affermarsi improvvisamente "di sinistra".
Sul PPI abbiamo sentito varie sciocchezze anche nel nostro partito. Per giustificare
ad esempio le alleanze elettorali spesso sentivamo dire a mo' di battuta, ma
nemmeno tanto: "il PPI ha posizioni politiche più a sinistra dei
DS". Confondendo così di nuovo linea politica e natura sociale.
Per i DS, come per qualsiasi socialdemocrazia una linea politica di destra NON
è una novità, ma è SEMPRE in contraddizione con la sua
natura sociale, per questo quando questi partiti praticano una linea di destra
perdono voti. Al contrario per un partito della classe dominante, quale è
il PPI, è normale il perseguimento di politiche moderate, il suo elettorato
gliele chiede e quando non le ottiene non lo vota più. Abbiamo già
trattato di questo su REDS ("Di nuovo sulle alleanze elettorali" e "risposta
di Reds a Paul O'Brien"). E' accaduto nella storia che da formazioni
democristiane si staccassero settori che poi andarono a sinistra, è il
caso del MAPU cileno, e per poco non è stato il caso della Rete di Orlando,
ma si tratta di rotture traumatiche dove vi è l'emersione di un ceto
politico per gran parte nuovo, ecc. Non è certo il caso del PPI di Andreotti.
E' solo una politica di proposta di unità della sinistra (ma se intendiamo
la stessa cosa, chiamiamola pure "sinistra plurale") che può
esaltare la contraddizione tra linea politica della socialdemocrazia e le richieste
e le aspettative della sua base sociale. I casi della fecondazione assistita
e del World Gay Pride hanno tagliato con molta nettezza il confine tra destra
e sinistra.
Ci domandiamo dunque a questo punto che diamine intenda Bertinotti quando parla
di "rottura del centrosinistra" se comunque si vede all'orizzonte
un accordo con il PPI. Se non si esclude da una "sinistra plurale"
il PPI infatti, non si vede perché scartare i Democratici, i socialisti
di Boselli, ma anche l'UDEUR perché non ci si venga a raccontare che
Mastella è meglio di Zecchino. E dunque non si vede dove risieda la rottura
tra centro e sinistra.
Conclusioni
Siamo dunque arrivati alla conclusione che, di nuovo, NON siamo d'accordo con il nostro segretario. Per riassumere pensiamo che il "triangolo" di cui avremmo il bisogno è:
1) un partito aperto
sì, ma nel senso di una democrazia interna sostanziale che superi le
incrostazioni burocratiche e che si fondi non sulle elezioni e le feste, ma
sul radicamento dei propri militanti nei movimenti
2) una aggregazione della sinistra antagonista sì, ma che metta insieme
non ceti politici o associativi, ma offra spazi perché le basi dei movimenti,
dei partiti e delle associazioni possano contare sul serio e incidere nelle
scelte
3) la rottura del centrosinistra sì, ma che significa in primo luogo
la rottura con il "centro" in tutte le sue espressioni politiche.