Di nuovo sulle alleanze elettorali
Tra l'alleanza col centrosinistra e la creazione di un "Terzo Polo", la strada da seguire è quella dell'unità della sinistra e la rottura del centrosinistra. REDS. Febbraio 2000.



Nel PRC hanno preso piede fino a diventare luogo comune concezioni profondamente errate sulla politica di alleanze che il partito dovrebbe sostenere. È curioso, diciamo così, che queste concezioni accomunino maggioranza e minoranza del partito, pur portando le due parti a conclusioni pratiche opposte. Maggioranza (raccolta intorno a Bertinotti) e minoranza (organizzata prevalentemente intorno a "Progetto Comunista") condividono nella sostanza la valutazione sulla natura del partito DS e ciò influisce in maniera determinante sulla politica di alleanze proposta.

Bertinotti ed il gruppo dirigente del partito ci dicono che i DS sono "arrivati al punto di non ritorno", "hanno cambiato natura sociale", "si sono collocati fuori dalla tradizione del movimento operaio", "sono ormai un partito liberale". Lo affermano da parecchio, ma ancor di più dopo l'ultimo congresso dei DS. Ne fanno discendere la conseguenza che non vi sarebbe una grande differenza tra DS e il centro del centrosinistra (sentiamo spesso la frase: "Martinazzoli su certe cose è più a sinistra di D'Alema") e dunque se devono parlare di alleanze non discriminano tra le varie componenti del centrosinistra, ma trattano la coalizione come un solo blocco, affermando la necessità di allearvisi per "sconfiggere il centrodestra".

"Progetto Comunista" riferendosi ai DS, benché non sempre in maniera esplicita, ne parla come di "agenzie borghesi nel movimento operaio" (questo era espressamente detto nelle tesi congressuali della mozione 2). I compagni di quest'area non si soffermano in maniera analitica sulla natura sociale dei DS, e il più delle volte quando fanno analisi politica parlano genericamente di "centrosinistra", trattandolo come fosse un solo blocco. Il ragionamento che propongono è che tra centrodestra e centrosinistra le differenze non sono così grandi e che il PRC deve presentarsi come "terzo polo". Al limite propongono di aprire divisioni nei DS praticando un'unità d'azione con la sinistra sindacale e diessina sulla base di accordi concreti. I loro referenti sono cioè i settori politici e militanti "dissidenti" dalla linea del partito e del sindacato piuttosto che la base di classe degli iscritti e dell'elettorato.

Abbiamo sintetizzato e semplificato ovviamente le due posizioni per ragioni di spazio, in maniera più distesa il lettore potrà rintracciarle nei documenti di queste due aggregazioni, largamente accessibili.

In realtà i DS sono qualche cosa di profondamente diverso dal resto delle forze del centrosinistra. I DS sono un partito di sinistra o, usando termini tipici del marxismo rivoluzionario, sono un partito operaio. Per determinare la natura sociale di un partito non possiamo basarci sulla sua politica. Se così facessimo stenteremmo a considerare persino il PRC un partito del movimento operaio: ricordiamoci che il nostro partito ha sostenuto durante il governo Prodi le peggiori finanziarie dal dopoguerra (più pesanti di quella poi fatta votare da D'Alema) aiutando la nostra borghesia a portare avanti uno dei suoi obiettivi storici: l'integrazione nel polo imperialista europeo (vedi a proposito il 3° paragrafo dell'articolo Essenze, nella sezione PRC). Del resto non è difficile trovare partiti classicamente "borghesi" con una linea politica più a sinistra di quelli operai: in Italia "Giustizia e Libertà" nei confronti del PCI, in America Latina il populismo di Chavez nei confronti dei vari PC del continente. Le ragioni di ciò le abbiamo spiegate in un altro nostro articolo (Si veda Comunisti: quali alleanze?, sul n. 13 di Reds).

Certamente i dirigenti DS perseguono, dal governo, una politica di stampo liberale. Svolgono dunque una funzione borghese, portano avanti cioè compiti che i partiti della borghesia non vogliono o non possono realizzare. Anche in ciò non vi è alcuna novità. È accaduto anche con il PCI e il PSI nell'immediato secondo dopoguerra quando hanno aiutato la borghesia nostrana a uscire dagli scantinati dove si era rifugiata per paura degli operai in armi; il PCI ha aiutato le classi dominanti calmierando le masse in rivolta negli anni settanta; ecc. Anche di ciò abbiamo già parlato diffusamente. Si tratta di una caratteristica costante dei partiti di massa del movimento operaio: arrivati al dunque aiutano la propria borghesia quando questa si trova con l'acqua alla gola.

Ma queste caratteristiche descrivono solo la funzione svolta da queste forze e non la loro natura sociale che è esattamente ciò che spiega quelle caratteristiche. Si tratta di partiti burocratici, partiti cioè molto più complessi di quelli della borghesia che in genere dispongono di apparati snelli spesso a stretto contatto con la classe che li ha determinati. I partiti di sinistra invece dispongono di apparati (una "testa") che in una società come la nostra sono inseriti nel sistema creato da un'altra classe (Parlamento, Consigli Comunali, ecc.), ma mantengono il "corpo" al di fuori, in conflitto con quel sistema. Da qui ne derivano una serie innumerevole di contraddizioni.

L'ultimo congresso dei DS ne è la dimostrazione. La "testa" di questo partito ha dovuto dar retta al "corpo" e ha dovuto virare a sinistra nelle parole per non perderlo. Il Congresso DS, come hanno rilevato tutti gli osservatori (a parte quelli del PRC), ha segnato uno spostamento a sinistra del discorso diessino, un ancoraggio forte, strategico, alla socialdemocrazia. L'area liberal ne è uscita seccamente ridimensionata (come non smettono di lamentarsene Salvati e Debenedetti sul Corriere della Sera). Non stiamo affermando si badi bene che dunque la linea politica perseguita dai DS va a sinistra, la linea è sempre quella, rileviamo solo che le argomentazioni e l'identità di quel congresso puntavano ad ancorare il partito a sinistra. Questa necessità di un discorso di sinistra non sarebbe stato necessario in un partito liberale, cioè borghese, perché il "corpo" di questi partiti è molto più in sintonia con la "testa". Le burocrazie operaie possono fare molti favori alla borghesia, ma difficilmente scelgono di suicidarsi. I dirigenti sanno che vengono votati da una certa base sociale e la vogliono mantenere, anche perché sanno che è l'unica dote che possono portare per farsi accettare e benvolere dalla classe dominante. Che se ne farebbe Agnelli di D'Alema se questi non fosse in grado di garantirgli la pace nelle fabbriche?

La ragione profonda dei contrasti all'interno della coalizione di centrosinistra ha una radice di classe, non solo politicista. Tra Parisi e D'Alema non vi è alcuna differenza sostanziale a livello di linea politica. La differenza sostanziale sta nella diversa natura sociale dei due partiti che capeggiano. I Democratici sono un'accozzaglia di ceti politici che non devono rispondere ad alcuna base operaia e sindacale. A loro non costa nulla dire: siamo a favore della legge sui licenziamenti, perché non devono rispondere ad una base popolare. L'elettorato diessino invece si aspetta cose di sinistra e se non le trova si astiene. Parisi deve cioè rispondere direttamente alla borghesia, D'Alema per stare a galla deve fare ciò che la borghesia si aspetta da lui ma allo stesso tempo deve rispondere alle masse operaie che l'hanno votato.

Quando sui giornali borghesi leggiamo il dispetto dei commentatori che dicono come D'Alema sia "ostaggio di Cofferati" (criticando il peso che il capo della CGIL ha avuto all'ultimo congresso DS) dicono la stessa cosa che diciamo qui con il linguaggio personalistico che li caratterizza. Significa in concreto: D'Alema vorrebbe fare ciò che diciamo noi borghesi, ma non può farlo perché frenato dalla natura sociale del suo partito. Occorrerebbero tipi come Amato, capaci se è necessario di fare le cose senza il consenso del sindacato. La Confindustria dopo il congresso DS ha dovuto ridimensionare la campagna che si apprestava a fare a favore dei referendum radicali.

La classe dominante vuole arrivare a due poli ambedue ad egemonia borghese cioè dominati da forze che rispondono non ai sindacati ma alla classe dominante (questo è il senso profondo della parola "centro"), per questo danno tutto quel peso a Parisi e soci. È in questo senso che va letto anche l'ultimo editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera.

Per noi marxisti la distinzione tra la natura sociale di un partito e la sua funzione è fondamentale, infatti è proprio lì che risiede la contraddizione strutturale di ogni partito operaio di massa ed è su quella contraddizione che noi possiamo far leva per contendere l'egemonia della sinistra ai DS. Noi dobbiamo avere una politica che dica delle cose semplici: "non è vero che vogliamo andare da soli alle elezioni, vogliamo andarci con tutta la sinistra e fare cose di sinistra". Dobbiamo lasciare ai DS la responsabilità di dirci di no. La proposta va fatta ai DS e non ai centristi. Noi dobbiamo lavorare alla rottura del centrosinistra.

Anche a livello locale dobbiamo sempre caratterizzarci come partito di quelli che ossessivamente propongono l'unità della sinistra, basata su un programma minimo di difesa e rilancio degli interessi dei vari settori oppressi della società e che si presenti alle elezioni puntando a vincere. Nel caso delle elezioni della Lombardia dovevamo dire ai DS: "cari compagni, noi non ci vogliamo presentare da soli ma insieme a voi su un programma di sinistra che includa il no al finanziamento alle scuole private, la difesa della sanità pubblica, il sostegno ai diritti delle donne, degli omosessuali, ecc. ci state? Se non ci state è un peccato, ci presenteremo da soli ma sappiate che siamo sempre pronti ad allearci con voi contro i centristi di ogni risma".

Probabilmente il risultato sarebbe stato che a queste elezioni ci saremmo presentati da soli, ma saremmo stati in un'altra posizione riguardo all'elettorato diessino, non avremmo presentato solo un'alternativa di partito (il "terzo polo") ma anche un'alternativa di alleanze, un'alternativa per la sinistra. Alleandoci con il centrosinistra invece implicitamente ammettiamo che non esiste un'alternativa al centrosinistra dato che non sappiamo indicare agli stessi DS un'alternativa strategica.

Del resto presentarci come "terzo polo" sarebbe una proclamazione di autosufficienza che non potrebbe non essere percepita come settaria o irrealista dalla massa di gente che vota DS pensando di votare a sinistra, significa non offrire alternative che appaiano credibili per l'insieme della nostra classe. Vuol dire dare alla nostra base una visione dei DS totalmente fuorviante. Negare che i DS siano una formazione socialdemocratica, sottende una opinione lusinghiera sulla socialdemocrazia. Al contrario: Veltroni non è peggio di Blair o di Schoeder, la socialdemocrazia è anche quella che ha assassinato Rosa Luxemburg. Parlare di "centrosinistra" come un tutt'uno significa semplificare la realtà e non educare i militanti ad analisi sociologicamente scientifiche, significa non addestrarli a scorgere dietro l'apparenza delle parole la natura sociale dei fenomeni.

Le posizioni di maggioranza e di minoranza nel PRC si aiutano a vicenda: entrambe rifiutano di adottare l'obiettivo della rottura del centrosinistra come uno degli obiettivi che i comunisti dovrebbero porsi per dare prospettiva politica alla lotta di classe nel nostro Paese. Entrambe candidano il partito o ad una posizione subalterna o a una posizione settaria ed isolazionista.


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