Dario Fo, sindaco di Milano.
La redazione di REDS aveva aderito all'appello per la candidatura di Fo a sindaco di Milano con le seguenti motivazioni. Poi, com'è noto, Fo, dopo la sostanziale bocciatura dei DS, non si è più reso disponibile. Dicembre 2000.


Appoggiamo la candidatura di Dario Fo a sindaco di Milano e in questo documento argomenteremo il perché.

La candidatura di Dario Fo a sindaco di Milano è un fatto positivo, e per noi della redazione di REDS, militanti del PRC che ci siamo sempre opposti agli accordi elettorali del nostro partito con di centrosinistra, è una adesione non scontata. Nella nostra rivista sosteniamo da tempo che il problema della sinistra (DS, Verdi, PRC), a livello elettorale, è che non ha il coraggio di presentarsi da sola, unita, su un programma di difesa degli interessi elementari dei soggetti sociali oppressi. I dirigenti della sinistra moderata ci rispondono di solito: "ma la sinistra non ha i numeri, la vostra è una mentalità perdente; purtroppo, in un Paese che va a destra, per un po' dovremo avere candidati di centro per attrarre voti di centro, altrimenti vinceranno sempre quelli là. Quindi siamo costretti a scegliere il meno peggio." Questa linea di ragionamento è in campo da anni (noi diciamo che è una caratteristica addirittura secolare della sinistra italiana e che la distingue dal resto della sinistra europea): è ora di trarne un bilancio. D'Alema ha sempre spiegato a noi comunisti, con la sua caratteristica spocchia, che noi eravamo la sinistra che amava perdere, facendo intendere che lui, invece, faceva parte di quella "vincente". Bene, a quattro anni di distanza, un bilancino lo vogliamo trarre? Quella maniera di pensare è risultata non solo perdente, ma assolutamente fallimentare. Si è perso su tutta la linea: si perderà a livello nazionale, perché vincerà Berlusconi, si è perso e si continua a perdere in Lombardia, si é perso nella provincia di Milano, si è perso il comune di Milano: la sinistra è al livello più basso da venti anni a questa parte. La linea "vincente" del scegliere il meno peggio, si é rivelata in realtà una tattica completamente suicida.

Troviamo realmente paradossale che vi sia una parte della maggioranza del PRC di Milano che fa discorsi in tutto simili a quelli diessini. E' stata costretta ad appoggiare Fo, solo dopo una certa pressione da parte del nazionale, in realtà condivideva con i diessini il terrore di non captare i voti del centro. Non dimentichiamo del resto che la maggioranza del nostro partito era già pronta a sostenere il petroliere Moratti. Non ci è sfuggito nemmeno del resto il distacco con cui Il Manifesto dà conto della candidatura di Fo. Abbiamo l'impressione che si tratti compagni che in realtà avevano già messo in conto un candidato di centro, la cui scelta magari si apprestavano a criticare lievemente, senza esagerare, perché in realtà privi di una visione davvero alternativa. Domandiamo a questi compagni: ma davvero pensano in questa maniera di vincere? Inseguire i voti del centro perdendosi quelli propri: che grande strategia! E' come uno che per raccogliere una monetina che gli è caduta, si fa fregare il portafoglio. Pensiamo solo a quella massa di giovani che oggi vota a destra (alla Camera dove votano i più giovani la destra prende sistematicamente più voti della sinistra): davvero si crede che anche un solo giovane possa essere convinto a "votare il meno peggio"? I giovani più di chiunque altro sentono il bisogno di identificarsi con una causa o una parte che sia determinata, fortemente convinta delle proprie ragioni, e non con partiti che si nascondono sempre dietro a chi é altro da loro solo per poter vincere.

Altre critiche che sentiamo alla candidatura di Fo, provenienti da ambienti del PRC e del centrosinistra, è: si stava seguendo un percorso che avrebbe portato, insieme, a formulare un programma e poi dopo un candidato. Il metodo è in linea teorica corretto, ma nella sostanza niente affatto. I soggetti che erano coinvolti in questo genere di discussione erano ceti politici, dirigenti, leader. Il "percorso" non partiva certo dal basso. Questi "democratici" immaginano sempre che "partire dalla società civile" significhi coinvolgere i dirigenti di qualche associazione, pur meritoria. Ebbene domandiamo: chi, non diciamo della massa degli operai e delle donne o dei giovani, ma semplicemente della massa dei militanti sindacali, associativi, ecc. era a conoscenza degli ambiti dove si discuteva il programma? L'approccio a questa discussione era assolutamente elitario: anche l'ultimo degli ingenui sapeva bene che, alla fine, avrebbero deciso tre o quattro grandi capi, e nemmeno di Milano. Inoltre si trattava di uno spazio di confronto tra forze estremamente eterogenee. La sinistra moderata infatti non rinuncia proprio a cercare di mettere insieme forze che hanno tra loro interessi opposti: gli industriali (cioé i padroni, chiamati ora eufemisticamente "mondo dell'impresa") e i sindacati che difendono (o dovrebbero farlo) gli interessi dei lavoratori. Dunque anche ammesso che questo fosse un confronto democratico, volendo mettere insieme gli opposti, un programma che venisse fuori da tale assortimento sarebbe stato come minimo vago e confuso.

Vi sono poi contestazioni alla candidatura di Fo che vengono da sinistra, diciamo dall'area della mozione 2 del PRC e da pezzi di sindacalismo di base. Essi dicono: se appoggiamo Fo, appoggiamo indirettamente una degenerazione, quella della personalizzazione della politica, che ci è estranea, dato che noi dobbiamo partire dagli schieramenti e dai programmi. In linea teorica è un ragionamento corretto: si deve definire lo schieramento che vuole battere il centrodestra, poi dettagliare un programma e solo alla fine scegliere un candidato che si ponga al servizio di questo schieramento e di questo programma. Questi compagni pensano che sia ora di finirla con gli accordi tra PRC e centrosinistra. Anche noi ci siamo sempre dichiarati contrari, ed esattamente per questa ragione sosteniamo la candidatura di Fo. Si deve avere una visione dinamica della realtà. Noi la realtà non la determiniamo, gli eventi "accadono" e di fronte a questi dobbiamo prendere delle decisioni. Non si tratta di dire: "la realtà doveva andare in quella maniera, perché io prendessi questa decisione". I fatti ci dicono che la discussione concreta su quale tipo di schieramento possa incarnare l'opposizione alla destra qui a Milano oggi, passa per la candidatura di Dario Fo. Questo evento, per come si è dato, può non piacere (a noi sì), ma è la realtà data. Dobbiamo mettere alla prova le nostre idee sull'evento concreto, non possiamo dichiararci insoddisfatti del reale ed esiliarci dalla realtà. La realtà si è incaricata di porre la questione dello schieramento in maniera comprensibile alle larghe masse. Noi dobbiamo dunque comprendere quale dinamica oggettiva la candidatura di Dario Fo sta innescando, e su questa dinamica noi fondiamo il nostro appoggio alla sua candidatura.

Il PRC ha giustamente individuato come priorità politica nella penultima Direzione Nazionale la "rottura del centrosinistra". E' un proposito assolutamente giusto: il PRC deve battersi per rompere una coalizione che ha portato alla rovina la sinistra italiana: la sinistra italiana deve essere unita intorno ad un programma ed un progetto comune, dobbiamo fare come in Francia, dove pezzi di sinistra anche diversi si presentano uniti quando è ora di battere la destra e senza elemosinare accordi con pezzi di centro. Ciò che critichiamo della politica del PRC è che a questa giusta prospettiva non fa seguire i fatti. Come si fa a voler rompere il centrosinistra quando si cercano accordi con quello schieramento? Noi pensiamo che in questo modo, nella realtà, lo si legittima, perché si fa intendere che a quello schieramento non c'è alternativa. Pensiamo che ai DS e ai Verdi si dovrebbe offrire una alleanza politica che escluda il centro e solo in caso di rifiuto il PRC dovrebbe presentarsi da solo, o con chi ci sta.
A Milano questa possibilità è data nella pratica, ora. E dato che la realtà non si presenta mai in termini puri, vi sono, non vi è dubbio, numerose ambiguità e punti critici. La politica di rottura del centrosinistra e dell'unità della sinistra che difendiamo, porta ad una dinamica che riteniamo positiva, anche se si perde. Il popolo di sinistra ha bisogno oggi più che mai di identificarsi pienamente con una parte, è stanco di dover votare il meno peggio, è stanco di dover sostenere politiche di destra per impedire l'avanzata della destra; lo si può chiedere una volta, ma difendere questa come una prospettiva strategica porta ad una lenta e costante erosione dei consensi, ad una sparizione degli entusiasmi, e ad una non adesione della massa dei giovani. E' meglio perdere come ha fatto Ralph Nader negli USA: ha perso, ma ha posto le basi per una crescita di una terza forza, fatto storico in un Paese dove la polarizzazione ha reso del tutto simili le due alternative politiche.

La candidatura di Fo sta sollevando dunque nella base della sinistra un qualche entusiasmo, che è spiegabile non con la prospettiva di vincere sul centrodestra, ma con la prospettiva di sostenere un candidato che si riconosce come proprio, come parte della propria storia. In questo non possiamo parlare di personalizzazione, perché il processo è stato inverso: Fo è divenuto l'impersonificazione di una esigenza che era divenuta URGENZA per decine di migliaia di militanti sindacali, politici, associativi del milanese. Se non ci fosse stato Fo, ci sarebbe stato qualcun altro.

La sua candidatura ha innescato inoltre una dinamica di rottura nella pratica del centrosinistra che riteniamo assolutamente salutare. Non solo il centro si è detto contrario alla sua candidatura e con certezza cercherà un altro candidato, ma anche tra i DS ha creato contraddizioni molto positive con una differenziazione pubblica dell'ala apertamente borghese (cioé la cosiddetta area liberal che raccoglie i consensi dei capitalisti interni a quel partito, e per la quale essere socialdemocratici è troppo di sinistra). Il Corriere della Sera fa apertamente campagna contro, quando invece avrebbe visto con grande piacere lo "scontro " tra un Moratti e un Albertini, cioé due capitalisti, in una città dove i capitalisti, come in qualsiasi altra parte di Italia rappresentano il 3% della popolazione economicamente attiva.

Non nascondiamo i pericoli che possono derivare da un appoggio alla candidatura Fo. Siamo certi che da ora in poi assisteremo ad un tentativo continuo di porre Fo sotto tutela, di addomesticarlo, moderarlo, fargli pronunciare dischiarazioni a favore "delle imprese", di rassicurare i moderati, ecc. Ogni suo passo in quella direzione toglierà entusiasmo e potenziale di identitificazione nel popolo di sinistra, che troppo spesso ha assistito a queste scenette. Se la candidatura dovesse diventare organicamente una candidatura di centrosinistra con un Fo addomesticato, ovviamente una tale candidatura cambierebbe di segno. Come al solito si perderebbe, e nei peggiori dei modi, con un'altra figura della sinistra bruciata. In quel caso anche la nostra posizione muterebbe. Oggi però non possiamo che affermare, mettendoci in sintonia con il popolo di sinistra di Milano, che della candidatura Fo c'era bisogno e che, così come il centro e la socialdemocrazia faranno le loro mosse per dare alla candidatura un significato moderato, allo stesso modo la sinistra deve compiere ogni sforzo in senso esattamente opposto, dando gambe, programmi e forze di sinistra a questa candidatura. C'è la possibilità concreta che a Milano accada quel che a Londra è successo con Livingstone. E Livingstone ha vinto. Abbiamo visto apparire in giro la scritta "con Fo Milano ce la fa". E' anche il nostro slogan.

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