Bilancio della candidatura
di Fo a sindaco di Milano.
Vicenda
estremamente significativa dello stato (comatoso) della nostra sinistra, con
la "pagella" dei protagonisti. REDS. Dicembre 2000.
La vicenda della candidatura di Dario Fo a sindaco di Milano è estremamente significativa della situazione disastrosa della sinistra italiana. Dario Fo ha rinunciato dopo che una riunione della direzione dei DS milanesi aveva reso chiaro che quel partito non aveva alcuna intenzione di sostenere tale candidatura. Immediatamente la borghesia ha tirato un sospiro di sollievo: il giorno dopo con un editoriale in prima pagina il Correre della Sera faceva scrivere al killer della carta stampata Francesco Merlo un pezzo al vetriolo, da dove risultava chiaramente (se ancora non fosse stato chiaro dopo giorni di martellante campagna contro Fo da parte di questo quotidiano) il peso che la nostra classe dominante assegnava a questa partita. Temeva che Fo avrebbe battuto Albertini? Nient'affatto: temeva che la sinistra si sarebbe risollevata con un proprio candidato e che la poltrona a sindaco fosse disputata da due candidati davvero diversi.
Come già spiegavamo nelle motivazioni che accompagnavano la nostra adesione all'appello per la candidatura di Dario Fo a sindaco di Milano, si trattava di una occasione per la sinistra di risalire dal buco nero nel quale era precipitata, a Milano, più che nel Nord Italia, più che nell'Italia intera. Non ha colto l'occasione, e, come sempre, quando una occasione viene persa, ci si ritrova ancora peggio della situazione di partenza. Tutta la vicenda ha però sortito nel corpo del PRC milanese un effetto assolutamente benefico. Anche presso compagni di base solitamente propensi a tapparsi il naso di fronte alla "necessità" di allearsi con il centrosinistra, vediamo questa volta la determinazione a fare da soli o con chi ci sta. Speriamo che la dirigenza della Federazione non si opponga alla forte richiesta di autonomia che sale dalla base e si adoperi fattivamente per una candidatura alternativa a quella del centrosinistra.
Ecco qui il nostro bilancio della vicenda, protagonista per protagonista.
I DS. Dalla base di quel partito si erano levate non poche voci favorevoli alla candidatura di Fo. Ma il gruppo dirigente dei DS è sordo a ben altre voci, figuriamoci a quelle della propria base. La socialdemocrazia ha compiuto un altro passo verso la propria sparizione dalle zone industrializzate del Paese. I suoi dirigenti immaginano il Nord popolato da una massa di industrialotti, quando questi rappresentano il 3% della popolazione economicamente attiva, e ignorano l'esistenza di una concentrazione operaia che tra Milano e Padova è tra le più notevoli, numericamente, in Europa. La principale preoccupazione di questi dirigenti, che ci spiegano continuamente di appartenere alla razza della "sinistra che vince" proprio quando hanno un piede nella tomba, è lanciare messaggi al capitale, alle classi medie ricche, come se a queste potesse davvero passare per la mente di votare a sinistra. Ora andranno alla ricerca di un candidato che dimostri a coloro che non voteranno mai a sinistra, che la sinistra "non è più la stessa". Così continueranno a perdere i voti della propria base elettorale, senza guadagnarne una nuova. Patetici e stupidi. Stupidi perché è un comportamento autolesionista anche da un punto di vista socialdemocratico: che diavolo c'è di sovversivo a voler scegliere un candidato della propria parte? I diessini si vantano di essere dei socialdemocratici. Sbagliano: essi appartengono alla particolare categoria dei socialdemocratici stupidi. A nessun socialdemocratico tedesco o francese salterebbe in mente di far dipendere la scelta dei propri candidati dal benestare dei democristiani. Che si scelgano il loro candidato, e se lo votino.
Sinistra DS, a Milano di non disprezzabile consistenza: non sono stati capaci di alcuna differenziazione pubblica dai diktat di Veltroni, limitandosi, dopo il ritiro di Fo, a mormorare "adesso però il candidato deve essere nostro!". Non hanno capito nulla.
PRC, maggioranza. La direzione della Federazione del PRC milanese ha titubato non poco al momento del lancio della candidatura. Conserviamo a futura memoria le dichiarazioni del segretario Casati riportata su Liberazione all'indomani del fatto nuovo, dove si lamentava che "il metodo non è quello giusto" e che "per noi non cambia nulla". Qualche giorno dopo sempre su Liberazione abbiamo letto un articolo sperticato in senso opposto, dove lo stesso Casati considerava addirittura la candidatura Fo "un sogno da cui non voglio essere svegliato". In mezzo c'è stata con tutta probabilità una "raddrizzata" da parte delle alte sfere del partito che, diciamo, l'ha incoraggiato all'attività onirica. Alla fine il PRC ha sostenuto la candidatura, ottimo. Anche se l'ha fatto con la consueta timidezza: pensiamo che le responsabilità dei DS sarebbero risultate ancor più eclatanti se fosse stato chiaro che la candidatura Fo era l'unica che poteva spingere il PRC ad una alleanza con altre forze, in questo modo un no dei DS avrebbe reso evidente ad un pubblico di massa il perché il PRC si sottraeva ad una alleanza di centrosinistra. Si è persa l'occasione cioè per una azione offensiva nei confronti dei DS che potesse mettere in contraddizione la sua dirigenza con la propria base.
PRC, mozione 2. Ancora una volta questi compagni hanno mostrato una preoccupante vocazione minoritaria. Nel direttivo di Federazione dove se ne è discusso hanno parlato d'altro, non comprendendo la dimensione della vicenda o hanno espresso "dubbi" sulla figura di Fo, chiamando alla prudenza il partito. Questi compagni sono giustamente contro l'accordo del PRC con il centrosinistra, ma il dottrinarismo astratto impedisce loro di comprendere quando la questione si dà nella pratica, e il reale non è mai allo stato "puro" come è scritto sui classici. Dato che questa area aveva già deciso che il PRC doveva presentarsi da solo senza alcun gesto verso verdi e socialdemocratici "agenti della borghesia nel movimento operaio", non si sono minimamente interessati (come del resto la maggioranza) del potenziale di contraddizione di cui era portatore la candidatura Fo. Contraddizioni che non interessano a chi nega la natura sociale della socialdemocrazia.
Sinistra della maggioranza del PRC. Intendiamo non Bandiera Rossa, purtroppo del tutto ininfluente per la congenita mancanza di coraggio che caratterizza questa formazione a Milano, ma l'area di Punto Rosso (la definizione non è molto corretta, ma ci siamo capiti). In varie occasioni abbiamo criticato quest'area per un certo opportunismo che la porta a dare le proprie battaglie in maniera tutta interna al ceto politico dirigente del partito, senza che la base ne sia in qualche modo coinvolta. Questa volta però si é comportata bene. Non solo ha portato avanti, con energia, una posizione corretta, la candidatura di Fo, ma ha creato anche un evento, l'assemblea milanese di sostegno del 6 dicembre alla Camera del Lavoro, che ha riunito centinaia di persone, finalmente contente di avere un candidato da sostenere. Ora però li aspettiamo al varco: se il partito accetterà di sostenere una candidatura di centrosinistra si differenzieranno pubblicamente o no?
Il Manifesto. Questo quotidiano ha dato prova di tutta la propria subalternità al quadro del centrosinistra. Gli articoli dove parlava della vicenda trasudavano di sufficienza e scetticismo, e il giorno dopo la rinuncia di Fo, la notizia è apparsa in un trafiletto invisibile. Il Manifesto ha chiaramente remato contro: questi compagni sono sempre pronti a lamentarsi per le scelte di destra dei dirigenti DS, salvo poi sistematicamente ritenerle "purtroppo" senza alternative. Hanno sostanzialmente ignorato l'appuntamento della Camera del Lavoro, nonostante che riunisse una buona fetta dei suoi lettori milanesi.
Fo. Ci sarebbe piaciuto vedere Fo persistere e divenire il candidato di uno schieramento alternativo che avrebbe visto insieme PRC, verdi, centri sociali e pezzi di base DS. Avrebbe dato fiato e speranza al popolo antagonista di Milano, che si prepara ad astenersi alla grande in occasione delle prossime elezioni. Non possiamo far carico però a Fo di non essere quel che non è mai stato: un politico o un kamikaze. Coi dirigenti DS contro (e persino, temiamo, Il Manifesto) avrebbe dovuto reggere il peso di una pressione non indifferente. Fo si è buttato in questa avventura con qualche ingenuità, credendo sul serio che ci fosse qualcosa da salvare in una dirigenza DS sempre pronta ad applaudirlo, ma solo quando ciò non intralcia gli intrallazzi. Ma si è buttato: senza paracadute, e senza avere assolutamente nulla da guadagnarci, perché normalmente quando anche i più feroci oppositori del sistema arrivano ad una certa età, il sistema approfitta della loro stanchezza per incensarli un po', metterli in naftalina e appiccicargli in fronte la scritta: padre nobile. Fo ha rifiutato questo ruolo da santino del centrosinistra o delle patrie lettere e ha avuto l'ardire di dichiarare alla sua prima intervista da candidato che "con me Berlusconi non direbbe una bugia nel chiamarmi comunista: lo sono proprio". Grazie Fo.