Risposta al segretario della Federazione di Padova.
L'appello promosso dai compagni di Padova, Torino, ecc. contro la tattica della non belligeranza ha suscitato molte discussioni. Dopo l'intervento critico verso l'appello del segretario di Padova del PRC pubblichiamo la risposta di Lucia Bisetti del circolo di Bussoleno (TO). Gennaio 2001.


All'egregio Segretario della Federazione di Padova

La prima cosa da notare è che noi non pretendiamo di rappresentare la base, noi siamo la base; saremo pochi, testardi, ossessionanti ma siamo un pezzo della base; il nostro intento non è quello di farci portavoce (come spesso succede per la dirigenza del partito) di istanze di altri compagni, ma quello di cercare adesioni di altri compagni su un problema specifico, quello della posizione del partito alle prossime elezioni; mi pare che questa sia una prassi che dovrebbe far esultare un partito comunista per la vitalità dei suoi militanti e non suscitare apprensione e diffidenza come invece la sua lettera rende palese.

La seconda cosa da notare è che quando lei pensa di andare alla sostanza della proposta, in realtà non la sfiora nemmeno; perché non è certo la sua attenta (anche se partigiana) analisi dei punti programmatici che -scusi- ci interessa, ma la preoccupazione che ogni programma (che il partito sicuramente elabora meglio di noi), in fase di trattativa elettorale diviene carta straccia: i nostri scarni punti di programma sono stati indicati per definire dei confini invalicabili per la trattativa elettorale, dei paletti in nessun caso rimovibili. Vogliamo dire: su questi punti i margini di mediazione sono risibili se non inesistenti; nessuna ambizione quindi di fare meglio del "vituperato" partito, ma la tenacia nel proporre le proprie basilari convinzioni come inaggirabili. E non mi dica che c'è da parte nostra una qualche volontà pervicacemente diffamatoria: qui in Piemonte, per le elezioni regionali, il PRC ha sbandierato l'ostinata volontà di non recedere da alcuni punti programmatici (alta velocità, lavoro, questione ambientale) e poi ha firmato con quell'essere veramente spregevole che è Livia Turco, un programma dove c'erano dentro le casalinghe manager, la flessibilità amica, la "piemontesità", l'alta velocità sotto mentite spoglie. Non c'è alcuna ragionevole motivazione che porti a credere che il PRC, una volta presentatosi alle elezioni con il suo cristallino e rivoluzionario programma, poi non baratti appoggi ed armistizi parlamentari per un piatto di lenticchie, probabilmente risalenti all'epoca di Esaù. E d'altronde, questo partito deve spiegarsi: se è davvero contro globalizzazione, finanziarizzazione etc. l'unica posizione elettorale che esprime con chiarezza e coerenza questa determinazione non può che essere quella di una presa di distanza netta dalle posizioni della coalizione di centro "sinistra" (ma dov'è poi questa sinistra lì dentro? il PdCI forse? Mah?). Lei sostiene che non c'è alcun segno tangibile che faccia pensare a una riconquista del non voto di sinistra; possiamo anche crederci, ma -mi domando- siamo sicuri che quel "lavoro di lunga lena che ancora non incontra il terreno della politica" di cui lei parla possa essere attivato tramite l'individuazione del mezzuccio elettorale; siamo sicuri che la nostra possibilità di parlare a "vasti settori della società" per "radicarci socialmente" ed "essere il motore di un nuovo ciclo di lotte e di partecipazione attiva alla politica" si dispieghi al meglio nell'approfondita analisi della preoccupazione di quello che dirà il centrosinistra della
nostra politica elettorale? Questo, scusi, è il nocciolo della questione; come si attiva un processo di riaggregazione del proletariato frammentato e confuso che nella nostra società -e nel nostro partito- non trova più una rappresentanza credibile che possa spingerlo al voto? a partire da parole d'ordine e programmi precisi e concreti -anche se necessariamente futuri- o fornendogli cabale elettoralistiche e programmi minimali da sconfessare poi in fase di accordo-poltrone?

Una terza cosa da notare; lei sostiene che il partito, lungi dall'operare per trattative ufficiali e ufficiose come maliziosamente sostiene il nostro appello, dispiega i suoi intendimenti con chiarezza e limpidezza: "Niente più alla luce del sole dell'interlocuzione aperta dal nostro gruppo dirigente nazionale." Ma scusi, aperta con chi? sicuramente con la Repubblica, che ogni fine estate ci sforna i pensieri che il nostro segretario nazionale ha elaborato stando in vacanza a Dolceacqua. Certamente con il gruppo dirigente nazionale, che si impegna subito a sostenere o a controbattere (a seconda della mozione di appartenenza ) queste intelligenti, ma personali elucubrazioni. Ma con la base? che secondo il nostro statuto (che sta facendo la fine della costituzione italiana) dovrebbe essere il centro dell'elaborazione politica del partito, quando mai si è aperto o si aprirà un confronto? Forse in occasione di un seminario sulla cottura della braciole, potremo sperare in un dibattito vero, ma per il resto io vedo soltanto una dirigenza che -virilmente radicata non nella società ma sulle proprie poltrone- decide senza minimamente interloquire con la sua base. Questo c'è dietro, davanti, di fianco e dentro il nostro appello; il resto sono chiacchiere per salvaguardare le proprie posizioni di piccolo/grande potere all'interno del PRC.