Comunisti e movimenti.
Affrontiamo
qui una discussione "classica" tra comunisti: che rapporto costruire
con i movimenti? La discussione nei partiti di sinistra ha spesso visto schierarsi
due tendenze: quella "movimentista" e quella "partitista".
Noi non ci ritroviamo in nessuna delle due tradizioni e dunque argomenteremo
di conseguenza. REDS. Aprile 2001.
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critico i comunisti
e il movimento Seattle
Affrontiamo qui una discussione "classica" tra comunisti: che rapporto costruire con i movimenti? Sino agli anni sessanta questa problematica era limitata sostanzialmente al cosa fare nei sindacati, dato che non esistevano altre organizzazioni e/o movimenti di massa, a parte quelli rigidamente controllati da partiti. Le cose sono poi cambiate, appunto dalla fine degli anni sessanta, con il sorgere di movimenti autonomi dai partiti, di massa, su temi specifici o espressione di soggetti sociali diversi dalla classe operaia: movimenti femministi, omosessuali, neri, per la pace, la casa, l'ambiente, il consumo critico, ecc. Questi movimenti hanno via via accresciuto sempre più la loro importanza rispetto ai partiti di sinistra, sia in termini quantitativi (la militanza di movimento è di gran lunga superiore in quasi tutto il mondo a quella di partito), sia di incisività (dato che hanno ottenuto risultati concreti). Di fronte a questa realtà nuova la discussione nei partiti di sinistra (specie quelli anticapitalisti) ha spesso visto schierarsi due tendenze: quella "movimentista", di sostanziale adeguamento ai modi e ai contenuti dei movimenti, quella "partitista", nel fondo distante e diffidente nei confronti di qualsiasi movimento. I due documenti della conferenza dei GC di Milano ripercorrono questa tradizione, il documento 1 adeguandosi ad una visione "movimentista", il documento 2 a quella "partitista". Noi non ci ritroviamo in nessuna delle due tradizioni e dunque argomenteremo di conseguenza.
Egemonia o contaminazione
E' tipico di certa tradizione, ripetere che i comunisti devono essere alla "testa" dei movimenti di massa, devono lottare per la propria egemonia, ecc. Ripetendo così alcune posizioni che erano espresse dai classici fino agli anni venti, in un contesto però totalmente diverso. All'epoca si intendeva per "movimenti", agglomerati spontanei e disorganizzati di persone, come tuttora si possono vedere in diverse situazioni, ad esempio il movimento di massa che ha defenestrato Milosevic, o quello che ha imposto la caduta di Suharto, ecc. Si tratta di masse in movimento, all'interno delle quali certamente si trovano gruppi organizzati, ma che declinano rapidissimamente appena terminata la fase di radicalizzazione. La competizione che si sviluppa in quelle occasioni tra i diversi gruppi è giusta e sana, perché in ultima analisi significa offrire alla massa in movimento la possibilità di scegliere tra diverse strade che potrebbe imboccare. Negli ultimi venti anni però assistiamo alla costruzione e allo sviluppo di vere e proprie organizzazioni di massa, reti, coordinamenti di collettivi, che mantengono una forte continuità di azione nel tempo. Spesso l'identità di questi gruppi è molto forte, simile a quella presente nei sindacati. Quindi il nostro atteggiamento non dovrebbe differire molto da quello da tenersi nei sindacati (vedi Comunisti e sindacato).
In questo senso formare dei compagni all'idea che il compito dei comunisti nei movimenti sarebbe quello di catechizzare gli inconsapevoli, significa negarsi la possibilità di incidere. Li vediamo spesso questi compagni: giungono in gruppo al momento in cui quel certo movimento si riunisce, sfoderano la loro rivista dalla linea giusta, cercano di venderla assillando i malcapitati che s'erano magari mostrati un po' curiosi, il leader del gruppetto fa il suo intervento che indica la linea giusta, poi, soddisfatti, tirano su giornalini e banchetti e se ne tornano a casa. Questo è ciò che intendono per "presenza dei comunisti nei movimenti". Cosa ci hanno guadagnato? Ogni tanto qualcuno "cade nella rete" e viene subito spedito a vendere i giornali dell'organizzazione, ma l'influenza nei movimenti di queste pratiche è pari a uno zero assoluto. La gran parte delle persone vede con fastidio quelle che appaiono loro vere e proprie sette (e difatti formalmente i metodi non differiscono molto da quelli, ad esempio, dei Testimoni di Geova). In concreto la "lotta per l'egemonia" di questi gruppetti si esaurisce nel cercare di accalappiare questo o quell'altro.
La gente si infastidisce non perché non abbia voglia di ascoltare persone con idee difformi, ma perché vede in questi metodi, a giusto titolo, la volontà non di rafforzare il movimento ma la propria organizzazione.
Noi pensiamo si debba agire nei movimenti in senso esattamente opposto. I comunisti devono distinguersi nei movimenti non per quelli che elargiscono prediche ma perché sono quelli che portano avanti sino in fondo e lealmente le istanze dei movimenti e aiutano a costruirli e a rafforzarli. Che cosa c'è al fondo di questo diverso approccio? L'idea che la presenza dei movimenti non solo sia utile alla lotta degli oppressi, ma sia indispensabile. Al fondo dell'atteggiamento settario invece vi è la convinzione, non sempre dichiarata, che i movimenti siano qualcosa per natura imperfetta, e che se a qualcosa deve servire, questo può accadere solo dopo una ampia purificazione. Vi è cioé una profonda incomprensione del fatto che gli oppressi si danno e si sono sempre dati strumenti diversi per raggiungere obiettivi diversi. Per raggiungere un obiettivo parziale c'é bisogno di un movimento, non di un partito, e non si può accusare un movimento di non essere ciò che per natura non vuole e non potrà mai essere. Un sindacato lotta per obiettivi specifici, la difesa degli interessi immediati dei lavoratori, non gli si può chiedere di lottare per il socialismo, che è compito (in teoria) di un partito. I movimenti e i sindacati non sono inferiori ai partiti, ma sono semplicemente altri strumenti, si collocano su un altro piano di azione sociale. Ed è su quel piano che li dobbiamo giudicare. Non dobbiamo criticare un'associazione ambientalista perché non predica la socializzazione dei mezzi di produzione, ma la dobbiamo criticare se non persegue sino in fondo i propri obiettivi di difesa della natura. Dobbiamo criticare Lega Ambiente e WWF non perché non lottano per il socialismo, ma perché, in generale, sono organizzazioni che agiscono in base a logiche di lobby senza organizzare lotte. E così via.
I movimenti non sono solo utili in sé (perché migliorano i rapporti di forza tra oppressi ed oppressori), ma anche indispensabili sul piano politico. Una vivace attività sul piano dei movimenti infatti è certo una condizione necessaria per il dispiegarsi di una alternativa sul piano del politico. I movimenti sono un'ottima scuola di lotta e di autoformazione per gli oppressi, e ciò non potrà non beneficiare coloro che parallelamente si spendono per l'affermazione di un partito con ambizioni di carattere più generale.
Per gli oppressi i movimenti possono essere una palestra di protagonismo e di democrazia, per questo i comunisti dovrebbero distinguersi per coloro che più di altri difendono il carattere basista di un movimento, si battono per la rotazione, contro il leaderismo, ecc. (vedi La rotazione: tabù organizzativo di partiti, sindacati, movimenti) e perché il movimento sia sino alle estreme conseguenze coerente con le premesse della sua costituzione. L'esistenza dei movimenti non è concorrenziale rispetto al partito, al contrario: è come l'aria che gli serve per respirare.
La specificità dei movimenti, il fatto cioé che si battano per obiettivi parziali, non significa certo che i comunisti, che si battono su un piano di azione (quello della politica) che è più complessivo, non possano imparare dai movimenti, esserne contaminati, cambiati. I comunisti non inventano a tavolino i propri metodi di lotta e i contenuti del proprio agire, essi si distinguono dai movimenti per l'obiettivo che li anima: la conquista del potere da parte dei soggetti sociali oppressi, ma ciò non li deve porre certo nella posizione di sacerdoti di una religione che dobbiamo imporre al prossimo. Non sono i comunisti che hanno insegnato ai proletari come si fa uno sciopero, un sindacato, un sit in, o un assalto a un palazzo pubblico. Lo hanno insegnato i proletari ai comunisti, nelle loro spesso confuse esperienze di lotta. I comunisti non devono rifiutare di farsi contaminare, al contrario devono continuamente apprendere dall'attività concreta delle masse, attività concreta che, nella gran parte dei casi prende la forma dei movimenti. I comunisti dovrebbero poi fare tesoro di questi insegnamenti, sintetizzarli, ordinarli e riattualizzare così continuamente la strategia per raggiungere i propri fini, che sono diversi da quelli dei movimenti, perché questi si battono volutamente per obiettivi più parziali.
I comunisti dunque non devono cercare di conquistare l'egemonia dei movimenti? Purtroppo questa impostazione si presta a molti equivoci: lo si traduce di solito con l'obiettivo di occupare i posti di direzione di quel certo movimento. In realtà la preoccupazione dei comunisti nei movimenti è quella di assicurare la democrazia interna perché il movimento sia palestra di crescita per gli oppressi, e dall'altro lottare per portare sino alle estreme conseguenze l'obiettivo parziale di lotta del movimento. Se vi è una direzione che già pratica questi due obiettivi, i comunisti non hanno nulla da egemonizzare: il loro compito è di sostenere ed aiutare quella certa direzione in maniera aperta e leale. Se non vi è una direzione di questo tipo, come spesso accade, allora i comunisti si batteranno, con tutti coloro che ci staranno formando frazioni, tendenze, ecc. ma che non avranno un carattere "comunista", ma rappresenteranno solo l'ala conseguente di quel certo movimento.
La base programmatica
Dato che i movimenti sono parziali, non si può pretendere da loro che elaborino una piattaforma teorica complessiva quanto quella di un partito. Il programma di un partito deve essere completo, deve riguardare molti aspetti del reale, perché ciò corrisponde all'ambizione dell'obiettivo che si prefigge: fare la rivoluzione, costruire un'altra società. Un movimento però nasce e si sviluppa sempre su obiettivi parziali. Ed è giusto che sia così. Altrimenti entrerebbe su un piano di concorrenzialità con i partiti.
La parzialità dei movimenti si spiega con il fatto che su un determinato argomento si raccolgono molte persone, indipendentemente dalle idee che queste nutrono sulla società in generale. Ai sindacati ad esempio i lavoratori aderiscono per difendere salario, occupazione, ecc., ma vi si iscrivono anche lavoratori che poi votano a destra. I movimenti non devono possedere programmi ma solo parole d'ordine parziali che raccolgano il più ampio numero di persone; per parziali non intendiamo vaghe, ma selezionate.
Se una organizzazione pretende di costruire movimenti mettendo il cappello di un articolato programma politico otterrà un semplice risultato: che la gran parte della gente confonderà, non del tutto a torto, quel certo movimento con l'organizzazione che l'ha promosso, e se ne terrà alla larga. Un tale movimento non diverrà mai un movimento di massa. E' ciò che è accaduto con l'esperienza del Sindacato degli Studenti promosso da Falce e Martello: una ottima idea, ma sprecata dato che tutti sapevano che quel sindacato era una copertura dell'organizzazione politica. Il suo programma era veramente completo e marxistissimo, peccato però che ciò non abbia consentito di creare... un sindacato degli studenti. E oggi nessuno ne parla più.
(A proposito delle difficoltà della minoranza interna del PRC nell'approcciare la questione movimenti vedi anche Analisi del programma elettorale della minoranza).
L'appiattimento sui movimenti
D'altro canto abbiamo incontrato spesso compagni la cui esaltazione dei movimenti arrivava sino al punto di domandarsi: ma allora a che serve un partito comunista? Se a tutto pensano i movimenti! E' l'altra faccia dell'atteggiamento settario verso i movimenti: mentre quello esprime una sostanziale sottovalutazione dei movimenti, l'atteggiamento "codista" nasconde una pesante sottovalutazione del ruolo del partito. I movimenti si muovono su obiettivi parziali, e dunque non potranno mai porsi, se non in termini confusi, grotteschi o illegittimi, sul piano della lotta politica. I "movimentisti" assegnano sostanzialmente al partito un ruolo di sponda istituzionale dei movimenti, ma in ciò si candidano a fare del partito un carrozzone burocratico, un insieme di rappresentanze istituzionali. In fondo è ciò che è accaduto ai verdi: composto in gran parte di militanti di movimento oggi si trova ad essere un partito privo di radici nel sociale che ha abdicato al suo parziale obiettivo di salvaguardare l'ambiente. Una linea politica movimentista fa sì che il partito perda il suo contenuto più profondo e radicale: quello di essere portatore di un progetto complessivo di cambiamento e di una strategia per conseguire questo obiettivo. I militanti si abituano ad una ginnastica fatta di "appuntamenti" tra i più disparati, di adesioni più o meno acritiche alle mode interpretative dominanti, e alla fine non capiscono più perché dovrebbero continuare a stare in un partito che serve solo ad accompagnare il lavoro che fanno altri.
I militanti comunisti, proprio perché dovrebbero avere una visione più complessiva, hanno più possibilità di altri, almeno teoricamente, non solo di proporre le soluzioni migliori per rafforzare un certo movimento, ma anche per comprendere quando un movimento è necessario costruirlo da zero. I comunisti non dovrebbero aspettare che i movimenti piovano dal cielo. Ad esempio oggi in Italia è urgente la costituzione di una grande organizzazione di massa degli immigrati (o mista e dunque tematica, come SOS Racisme), i comunisti dovrebbero impegnarsi in tal senso con tutti i soggetti disponibili.
Nel partito dovrebbero confrontarsi i compagni che provengono e sono militanti di diversi movimenti sociali, e in ciò sta la ricchezza dei comunisti, o meglio lì dovrebbe stare. Perché all'interno di quell'organizzazione la militanza in un ambito parziale di movimento trova un senso complessivo, entra in un disegno più ampio. Al partito aderiranno quei militanti di movimento che a un certo punto sentiranno come un pesante limite la parzialità della propria militanza, sentiranno che il movimento è uno strumento ottimo per ottenere un obiettivo parziale, ma assoltamente insufficiente per cambiare il mondo.