La sinistra italiana: eppur si muove!
Dopo i disastri delle politiche, e le non entusiasmanti prove delle europee, i partiti della sinistra si muovono; in modo ancora incerto, e guardando ognuno nel proprio orto. Di Maurizio Attanasi. Reds – Settembre 2009


Come preannunciato Rifondazione comunista, ha intrapreso la strada della Federazione con i comunisti italiani, socialismo 2000 di Salvi e altri piccoli movimenti.
Il primo momento di questo nuovo soggetto è stato celebrato il 18 luglio a Roma.
Nel manifesto di convocazione, firmato tra gli altri da Ferrero, Di Liberto, Salvi, Vittorio Agnoletto, Margherita Hack e Haidi Giuliani, si legge che quattro dovrebbero essere i punti fondanti:

> una rinnovata critica al capitalismo globalizzato e alla sua tendenza alla mercificazione di ogni cosa e relazione sociale, …..
> l’opposizione al sistema bipolare che rappresenta la forma istituzionale con cui il pensiero unico ha cercato di sancire l’espulsione del tema dell’alternativa dalla politica, …
> questo polo …non possa essere costituito solo tra le forze politiche oggi esistenti ma debba coinvolgere a pieno titolo tutte le esperienze di sinistra che si muovono al di fuori dei partiti”,
> le tradizioni a cui questa forza fa riferimento “il movimento socialista e comunista” tra gli altri.

La visione sul futuro diverge tra i due azionisti di maggioranza della nuova forza.
Ferrero spinge per una federazione vera e propria, che apra oltre gli angusti spazi percorsi dal Pdci e Prc ed è schiacciato in casa propria tra le correnti di ispirazione stalinista che spingono verso l’unificazione col Pdci e i vendoliani rimasti, non favorevoli allo scioglimento in unico partito.
La federazione, per il segretario dei Comunisti Italiani invece, “non è un evento contingente, ma neanche l’approdo finale: deve essere una tappa verso il partito unitario della sinistra” e su questa prospettiva trova diversi sostenitori anche in Rifondazione.

L’incontro di Roma di metà luglio è stato solo un passo di avvicinamento verso il nuovo progetto; il parto vero si avrà ad ottobre con una nuova assemblea che dovrebbe essere più concreta rispetto a quella estiva.
L’appuntamento a cui tutti guardano sono le regionali del prossimo anno, per cui il tempo stringe.
Intanto nell’assise della capitale, un esponente del Pdci ha proposto la creazione di circoli nei luoghi di lavoro in cui sia possibile iscriversi direttamente al nuovo soggetto “ federato senza passare per i partiti e le loro parzialità” (il manifesto 19 luglio) e se ad ottobre sarà assunto questo orientamento, il percorso verso l’unificazione subirà una forte accelerazione, poiché il nuovo soggetto sarà dotato di poteri nuovi e autonomi e militanti appartenenti solo a questa organizzazione.
Più che una federazione il Pdci preferisce parlare di “pre-fusione” all’insegna del solo richiamo identitario, ad un comunismo e ad un anticapitalismo verbale, fatto di solidarietà a Cuba, di ricordi del passato sovietico, ma pronto a sedersi in qualsiasi sedia di consiglio o giunta che il pd avrà la bontà di concedere.

A questo appuntamento le forze nate dalle costole del Prc non sono state trattate allo stesso modo: Marco Ferrando, leader del Partito Comunista dei Lavoratori (PCL), è potuto intervenire all’incontro di Roma, mentre Sinistra Critica (SC) non è stata invitata.

Ferrando ha criticato la Federazione affermando che “la riorganizzazione di un preciso soggetto politico, quali che siano le forme organizzative che si darà, è caratterizzato dalla continuità di posizioni, indirizzi, gruppi dirigenti degli ultimi 15 anni”.
Ferrando ha ribadito le critiche alle partecipazioni ai governi locali del centro sinistra, stigmatizzando l’assenza di autocritica nell’appuntamento di Roma, mettendo invece in evidenza e criticando gli evidenti elementi di contiguità nelle amministrazioni locali con gli esponenti del Pd.
Sulla necessità di autocritica, e sulle conseguenze politiche di questa mancanza di autocritica Ferrando ha sostenuto argomenti ampiamente condivisibili.
Ha poi ribadito la proposta, già lanciata mesi fa di un Parlamento delle sinistre che secondo il segretario del Pcl sarebbe “non un soviet, nelle condizioni attuali, ma neppure un'intergruppi tra vertici di partito. Quanto piuttosto un’assemblea pubblica permanente a carattere elettivo, periodicamente convocata con sessioni regolari di lavoro, in cui ogni soggetto sia presente in proporzione al consenso registrato, nella quale il confronto possa avvenire alla luce del sole, agli occhi dei lavoratori e del popolo della sinistra, non nei conciliaboli riservati agli addetti ai lavori; che sia infine strumento di organizzazione e unificazione del fronte di opposizione contro governo, Confindustria, Vaticano”.
La proposta di Ferrando, che per come è stata avanzata, ha riscosso un non trascurabile consenso tra i militanti, sembra comunque estremamente vaga e con caratteristiche propagandistiche.
Dovremo forse fare nuovamente le primarie per eleggere cosa e per far cosa?

Il Partito di alternativa comunista (Pdac) celebrerà il suo secondo congresso.
Il Pdac è la prima corrente a lasciare Prc, costituendosi in partito nel gennaio del 2007. Dopo il congresso costitutivo, questo rappresenta il suo primo passo importante.
Il Pdac ha scelto, organizzativamente, di attenersi alle concezioni leniniste del partito. Si tratta di un partito di militanti e non di iscritti, differenziandosi in questo non solo dal Prc, ma anche dalle altre due formazioni nate dalle scissioni del Prc.
Il Pdac critica fortemente i 15 anni di riformismo di Rifondazione Comunista (tesi 9 delle tesi programmatiche e politiche del Pdac): “la natura del prc - si legge - è stata fin dall’inizio, caratterizzata dalla tradizione del suo gruppo dirigente che, seppur rappresentativo di un area minoritaria del vecchio pci critica della parabola liberal-democratica, riproponeva l’essenzialità della tradizione togliattiana, con tutto quello che ha significato questa eredità sulle impostazioni politico-programmatiche: accettare e promuovere le alleanze con la cosiddetta borghesia democratica e progressista.”
Stessa vis polemica verso quelli che vengono definiti i centristi e cioè Pcl e Sinistra critica (tesi 11: l’inconsistenza politica dei riformisti di sinistra e dei centristi). “Entrambi i gruppi avevano puntato, dopo l’uscita dal Prc, a presentarsi come una credibile alternativa alla socialdemocrazia governista. Questo obbiettivo – in sé corretto – è stato tuttavia perseguito senza mai avviare un progetto effettivamente alternativo, dal punto di vista programmatico e organizzativo, al riformismo.”
Il Pdac descrive il percorso che ha portato gli esponenti di Sinistra critica ad essere coinvolti nelle scelte riformiste dentro Rifondazione, ma critica anche le posizioni prese dalla nuova formazione, una volta uscita dal Prc, perché nel manifesto di fondazione del 2007 rivendica un superamento del marxismo “perché non è l’unica teoria di liberazione cui fare riferimento”.
Nei confronti del Pcl rivolge critiche pesanti, sia sul piano dell’organizzazione interna, estremamente chiusa e scarsamente attenta all’area dei simpatizzanti e che punta invece sulla sparuta schiera dei militanti; sia sul piano della dirigenza, che appare fin troppo legata alla figura dl suo leader, Ferrando, non consentenda la nascita di un vero e proprio gruppo dirigente in grado anche di consentire un ricambio alla guida del partito.
Notevoli sono gli spunti di riflessione presenti nei documenti che i compagni discuteranno in vista del congresso. In quello più voluminoso (Costruire il partito rivoluzionario nel vivo delle lotte, contro la crisi distruttiva del capitalismo in agonia , per una prospettiva socialista, tesi programmatiche e politiche del partito di alternativa comunista) appare molto interessante il giudizio che si da dei governi progressisti, che non hanno lavorato tanto per l’introduzione di un capitalismo dal volto umano ma “piuttosto per il tentativo si spezzare o prevenire la reazione delle classi subalterne coinvolgendo partiti operai e sindacati per tentare di disarmare conflitti che hanno raggiunto livelli pre-rivoluzionari o prevenire i conflitti imponendo una ‘pace sociale ”.
Importante la scelta identitaria visto che il Pdac si definisce orgogliosamente marxista rivoluzionario perché vuole “sviluppare un programma che solo il trotskismo conseguente ha difeso in questo secolo contro la socialdemocrazia e lo stalinismo.”.
Nella tesi 13 (i rivoluzionari di fronte allo stato borghese: la lotta per il potere) si ribadisce “ che il compito dei comunisti resta ancora oggi quello espresso nel Manifesto di Marx ed Engels: guadagnare la maggioranza del proletariato nel corso delle sue lotte quotidiane, alla comprensione dell’impossibilità di riformare il capitalismo e alla conseguente necessità di conquistare il potere politico attraversamento il rovesciamento dell’ordine borghese. … Le teorie ‘gandhiane’ sono dunque incompatibili con il comunismo perché non fanno i conti, per l’oggi, con la necessità di autodifesa di ogni lotta e rimuovono, per il domani, il problema della violenta resistenza che le classi dominanti opporranno a ogni tentativo di espropriarle” chiara frecciata questa indirizzata a Bertinotti e al suo gruppo dirigente che alla vigilia delle elezioni del 2006 aveva fatto pubblica ammenda su tale questione.
Nella tesi 16 (il partito di avanguardia) si sottolinea l’importanza delle lotte e i movimenti in cui i comunisti devono essere presenti “per guadagnare successi immediati, anche parziali, per crescere su scala nazionale e soprannazionale, ogni lotta, ogni sciopero, ha bisogno di collegamenti, di organizzazione, di una teoria generale e della memoria delle precedenti. Tutto ciò può essere assicurata da un partito che intervenga nelle lotte”.
Appare positiva poi la volontà di avere dei riferimenti internazionali e una organizzazione internazionale in cui confrontarsi, condividere la lotta, gli scopi e le strategie. In quest’ottica il Pdac si presenta come Sezione Internazionale della Lega Internazionale dei Lavoratori e afferma la necessita di una rifondazione della quarta internazionale (tesi 19).
Notevoli spunti di riflessioni sono proposti dalla tesi che affronta le problematiche inerenti le oppressioni doppie (tesi 20) in cui si individua non solo la classica oppressione di classe ma anche altre come “quella di genere, etnicha e quella legata alle scelte sessuali. La classe lavoratrice, organizzata in partito rivoluzionario, deve far proprie le istanze delle donne, degli omosessuali, dei lavoratori immigrati e lottare per il cambiamento delle loro condizioni di vita, per l’acquisizione dei diritti essenziali, ma all’interno di un sistema di rivendicazioni transitorie che prospettino l’abolizione della proprietà privata e un nuovo potere della classe degli sfruttati.

Sinistra critica, invece non è stata invitata. Salvatore Cannavò, su Liberazione del 25 luglio, ha voluto mettere in evidenza questo non invito a questo importante appuntamento e ha sostenuto che “a questo percorso serve una seconda condizione: per essere davvero alternativa al Pd e alla sinistra moderata - perché esistono ancora diverse sinistre e non vederle è l'ennesimo, grave, errore di analisi - occorre semplicemente essere alternativi fino in fondo. A volte quel 5% di cose che ci dividono, per citare Paolo Ferrero, è la non piccola questione se occorre governare gangli importanti della gestione capitalistica come le Regioni o le Province o le grandi città. Se occorre condividere, sia pure "riducendo il danno", ristrutturazioni e tagli alla spesa, opere antiecologiche e via dicendo.
Su questo punto, la discussione non è compiuta: noi parliamo di "elogio dell'opposizione" come viatico per ricostruire davvero una sinistra anticapitalista in grado di strappare conquiste e anche "riforme" ma soprattutto di porsi il problema della rottura con questo sistema sociale; altri pensano a una più tradizionale via di riforme progressive in cui l'opposizione di oggi serve solo a rafforzarsi in vista di un governo "delle sinistre" del domani in ossequio a una logica del "compromesso" più o meno dinamico - ma la cui sostanza è l'ipotesi di governare con la borghesia "progressista" - che non è stata mai dismessa finora. Al di là degli scontri congressuali, questa discussione di fondo, programmatica e strategica, non l'abbiamo mai fatta e questa discussione rinvia esattamente alla natura della sinistra che vogliamo costruire. Nodo centrale per poter reimpostare un percorso che non si esaurisca al primo intoppo o alla prima vera prova del fuoco.

Sinistra critica celebrerà in autunno (6-8 novembre) la seconda conferenza nazionale. Nel suo documento politico critica fortemente l’esperienza del Prc sostenendo che Rifondazione “era nata con la missione storica di smentire la dissoluzione di una sinistra anticapitalistica e di una soggettività antisistemica: con la svolta del 2003-04 il Prc ha invece rinverdito alcuni aspetti del canone classico del togliattismo italiano … il ciclo si chiude cosi con la prova del governo”.
Non è molto chiaro il passaggio sul fallimento della sinistra nel governo Prodi, laddove nel punto 4 si dice che “ a venir meno è stato il retroterra politico e culturale che ha permesso a Rifondazione di infilarsi al governo senza capire la partita in gioco”. Cosa si vuol dire? Sembrerebbe quasi che si voglia affermare che essere al governo, in un certo modo, con le forze della borghesia si sarebbe potuto avere risultati diversi. In questi compagni c’è ancora radicata la convinzione che Rifondazione, per vari motivi, non sia riuscita a condizionare l’azione del governo, non essendo ruscita a far entrare nelle stanze del governo le richieste del movimento. Come a dire che ciò sarebbe stato posibile con un gruppo dirigente e una rappresentanza parlamentare più capace.
Positiva è invece la prospettiva unitaria che Sinistra Critica lancia: sinistra critica “non è il soggetto nuovo di cui c’è bisogno ma non di meno considera la propria costruzione e il proprio radicamento come tassello fondamentale per arrivare a quell’obbiettivo.” “Non abbiamo mai fatto mistero - si legge nel punto 7: l’unità possibile - della nostra assoluta vocazione a realizzare la più ampia unità d’azione, dal basso e diffusa territorialmente, con tutte le forze che possono riconoscersi in una piattaforma comune… a discutere con tutti e tutte...” .
Molto interessanti i passaggi sull’autonomia dei movimenti, che per i compagni di Sinistra Critica è una “acquisizione irreversibile”, una autonomia che non deve essere solo declamata o auspicata ma che “ha bisogno di strumenti concreti per essere realizzata in particolari meccanismi di partecipazione democratica in grado di garantire l’autodeterminazione delle lotte stesse e la loro autorganizzazione”.
Altro passaggio importante è l’affermazione del principio della rotazione che è visto come uno strumento per evitare la cancrena della burocratizzazione interna all’organizzazione.
Dubbi e perplessità invece permagono sulla questione dell’organizzazione che Sinistra Critica intende darsi.
Nel documento si parla di una organizzazione orientata al movimento, “senza derive elettoralistiche” ma senza dare ulteriori specificazioni.
Sinistra critica parla di organizzazione militante e democratica ritenendo che la nuova organizzazione debba funzionare come un collettivo militante: “servono circoli non troppo grandi… quando le nostre sedi provinciali superano certi livelli occorre suddividersi in circoli tematici e di quartiere ….
Con la II conferenza nazionale Sinistra Critica intende “completare con un dibattito fecondo la nostra identità programmatica selezionando gli interlocutori politici sulla base delle esperienze pratiche e delle esperienze comuni”.
Il richiamo a Marx è fatto con chiaroscuri; nel punto 1, intitolato “Marx e il tempo della crisi” leggiamo “ pensare Marx e pensare con Marx non significa supporre che ogni verità sia scritta in un libro, che si deve ora solo comprendere e reinterpretare”. Ma nello stesso documento al punto 17 leggiamo, laddove si esplicitano le tre voci che sono alla base del simbolo di sinistra critica ecologista, femminista e comunista che “il comunismo ha una lunghissima storia cominciata molto prima della nascita di Karl Marx, presente in sette religiose popolari o nelle aspirazioni intellettuali del mondo antico e moderno.” (!!!)
Elemento positivo, come per il Pdac, è la volontà di avere dei riferimenti internazionali.
Sinistra critica guarda alla sinistra anticapitalista europea che ha il suo principale soggetto nel Npa francese ed alla Quarta Internazionale che il prossimo anno terrà il suo congresso e che è anche essa impegnata nella costruzione di una sinistra anticapitalista.

I percorsi che le organizzazioni della sinistra italiana continuano a essere divisi.
L’auspicio è che il processo unitario che in prospettiva si potrà innescare parta dalla base; che i militanti che sono nei movimenti trovino i punti di contatto, già presenti nelle diverse formazioni (critica alla burocrazia, autonomia e riconoscimento dell’importanza dei movimenti, critica al capitalismo) per operare insieme sul piano politico.
Forse, sul piano organizzativo, quello che occorrerebbe è dar vita a coordinamenti locali per spingere gli apparati di partito a superare le proprie logiche e procedere verso l’unità, mettendo al centro più i contenuti che le scadenze elettorali.