IL PRC E I SINDACATI
PICCOLA
RASSEGNA SULLA POLITICA SINDACALE DEL PARTITO NELLE SUE VARIE
COMPONENTI LUNGO LA SUA STORIA DECENNALE, E I SUOI PESANTI LIMITI
gennaio 2001, REDS
La presenza sindacale del PRC è il frutto della convergenza delle diverse culture politiche che hanno dato vita a questa formazione. A dieci anni di distanza dalla sua nascita il partito non ha un proprio, nuovo, radicamento sindacale frutto di una pratica comune. Non ha del resto, e forse non ha mai avuto, un orientamento sindacale discusso e definito.
Alle origini del PRC
Il PRC nasce sostanzialmente intorno a quella che era la frazione cossuttiana del PCI. L'opposizione di Cossutta all'interno del PCI era tutta focalizzata sulla questione della collocazione internazionale del partito: come è noto Cossutta difendeva la prosecuzione del legame che univa il PCI all'URSS. Questa impostazione ha plasmato numerosi quadri che solo in parte poi hanno seguito il leader nella scissione che ha portato alla formazione del PdCI nel 1998 e molti dei quali invece si trovano tuttora nel PRC. Questa tradizione di pensiero mette al centro dell'identità comunista non una certa pratica sociale, o una determinata politica nazionale, ma la problematica internazionale. Si tratta di un "internazionalismo" assai peculiare che ha ben poco a che vedere con quello "classico": per i cossuttiani esso si riassume nella scelta e nella difesa di un "allineamento" ad un determinato stato. All'epoca era l'URSS, oggi sono la Cina, Cuba, e sino a qualche mese fa la Serbia. Le questioni nazionali non erano e non sono al primo posto. Cossutta in effetti ha cominciato a differenziarsi nel PCI sulla questione dell'URSS, e solo successivamente ha inserito nella sua polemica anche la questione della lotta contro la "moderazione sindacale". Anche oggi la corrente che nel PRC si rifà a questa tradizione (quella di Grassi, Sorini, ecc.) ha individuato nella collocazione internazionale del partito la materia di differenziazione con Bertinotti, mentre sulle questioni nazionali si adegua più o meno alle varie scelte politiche del resto della maggioranza (si è differenziata "a sinistra" in occasione dell'ultimo congresso di Roma, e "a destra" a Milano in occasione della candidatura di Fo a sindaco). Il fatto che però Cossutta si differenziasse dai vertici del PCI sul terreno internazionale, costituì motivo di attrazione per tutta una serie di compagni di base scontenti della politica compromissoria del partito sul piano nazionale, e che tendevano a identificare la posizione favorevole all'URSS dei cossuttiani come un sinonimo di "durezza", di "vero comunismo", di "radicalismo". Cossutta, che fu sempre sin dalle sue lontani origini (fu mandato nell'immediato dopoguerra a normalizzare la federazione di Milano, troppo a sinistra per i gusti di Togliatti) piuttosto moderato (ha sempre difeso sia il compromesso storico che i governi di unità nazionale), comprese bene questa dinamica e le dette spazio, ma senza mai investirci sul serio. I quadri della sua frazione quindi si organizzavano nel PCI cercando di conquistarsi spazi nel partito e nelle istituzioni, ma assai poco nel sindacato. Del resto è ciò che accade oggi anche al PdCI: il suo segretario s'affanna a cercare di ampliare l'influenza di partito nelle cooperative e nelle istituzioni, ma quasi per nulla si interessa di sindacato.
La sinistra CGIL
E' dunque la loro peculiare cultura politica a spiegare perché quando dettero vita al Movimento della Rifondazione Comunista, i cossuttiani disponessero di un debolissimo impianto in CGIL. La sinistra CGIL (con questo termine si intende oggi tutto ciò che sta a sinistra del centro DS) era invece data da due componenti essenziali: quella legata a sindacalisti con una cultura politica da sinistra socialista (derivazione terza componente, PSIUP, ingraiani) la stessa dalla quale provengono Bertinotti, Cremaschi, ecc. e quella legata a Democrazia Proletaria. Sono tuttora le due componenti dominanti (di queste culture sindacali abbiamo parlato diffusamente nel dicembre 1999 nell'articolo L'assemblea lombarda della sinistra sindacale CGIL al quale rimandiamo per chi volesse approfondire). La prima è abituata a considerarsi la voce critica delle varie maggioranze, esattamente ricoprendo il ruolo di "grillo parlante" che aveva Ingrao nel PCI e poi, molto parzialmente, nel PDS; è dunque restia a differenziazioni congressuali, preferendo distinguersi in meno cruenti "battaglie" sugli emendamenti, infervorandosi in discorsi contro il capitalismo ma negoziando nei corridoi posti e spazi con la maggioranza. L'anno scorso questo settore è stato per mesi indeciso se, in occasione del prossimo congresso CGIL, presentare emendamenti o, insieme al resto della sinistra, tesi alternative; alla fine una parte, con Cremaschi, si è associata alla nuova area di minoranza, mentre gli altri (FIOM bresciana, ecc.) hanno deciso di continuare a sostenere la parte dell'ala critica della maggioranza.
DP aveva costruito invece, dalla prima metà degli anni ottanta, una frazione sindacale formalmente autonoma dall'organizzazione: Democrazia Consiliare. Questa si è andata piano piano rafforzando nel tempo ed ha contribuito a costruire, con altri pezzi di sinistra sindacale, Essere Sindacato prima, e Alternativa Sindacale poi. Questo lungo lavoro di frazione pubblica ha consentito di allargare la democrazia formale in CGIL ed ha costruito un raggruppamento dotato di una forte coesione interna, efficiente e abile. Rispetto al resto della sinistra sindacale questo settore, che viene chiamato "ex DP" dagli altri concorrenti della sinistra sindacale, non si distingue per una maggiore radicalità, ma per una decisione che coerentemente porta avanti congresso dopo congresso: al fine di mantenere gli spazi nell'apparato burocratico della CGIL, ad ogni congresso presenta tesi alternative chiedendo che la suddivisione degli spazi (organismi di direzione e funzionari) si diano proporzionalmente ai voti congressuali ottenuti. Questa semplice decisione di carattere organizzativo ha fatto sì che questo gruppo mantenesse nel tempo una forte continuità e solidarietà politica, decisamente superiore a quella del resto della sinistra sindacale, dove nessuno era ed è vincolato a nessuno e dove quindi sono sempre stati possibili i più inverosimili cambi di casacca ed entrate e uscite dalla maggioranza alla minoranza e viceversa. Questa differenza ha sempre costituito anche la ragione dell'intima debolezza di un Bertinotti all'interno della CGIL: pur godendo di ampio prestigio, e pur essendo stato il referente nazionale di Essere Sindacato, ha perso la partita con quelli che venivano chiamati "ex DP", dato che lui non ha mai potuto contare su una frazione dotata di un minimo di stabilità.
Vale la pena sottolineare che la sinistra sindacale, in tutte le sue componenti, non si differenzia al suo interno nella mansuetudine con cui convive con la maggioranza della CGIL e le sue inenarrabili malefatte: questi sindacalisti costituiscono una vera e propria frazione della burocrazia e condividono con il loro ceto privilegi, tic, linguaggio e attaccamento alle poltrone. Anche la loro maniera di esercitare l'opposizione è burocratica: essa si esaurisce solitamente in una serie di ordini del giorno presentati negli organismi dirigenti e che assai pochi lavoratori riusciranno anche solo a leggere. Non si tratta di una opposizione preoccupata di coinvolgere la base (questa viene chiamata solo in occasione dei congressi per votare le tesi di minoranza) o di usare la permanenza nelle strutture per organizzare le lotte. Non a caso i compagni della sinistra sindacale non gradiscono li si chiami "opposizione sindacale", preferendo il termine "area di minoranza". E forse non hanno tutti i torti.PRC e sindacato: i primi anni novanta
Quando Democrazia Proletaria si sciolse e confluì nel MRC, dunque, fece guadagnare al nuovo partito una consistenza sindacale che prima non possedeva. E da ciò nacque la sorda e nascosta lotta tra componenti che caratterizzò per anni il nostro partito su quel terreno. La maggioranza cossuttiana del PRC (che allora manteneva un controllo molto più autoritario di quello che oggi l'attuale maggioranza può sperare di esercitare) mal poteva tollerare la superiore influenza degli ex dirigenti di DP sul piano sindacale. Costoro del resto non esitavano a riversare la propria presenza in CGIL nel partito, quando ne ravvisavano la necessità. Lo hanno fatto sino all'ultimo, prima di uscire in larga parte dal PRC, nel 1998: alla vigilia della rottura con Prodi si proposero come "terza forza" nella lotta che contrapponeva la componente Bertinotti a Cossutta, e si preparavano a presentare proprie tesi all'imminente congresso.
Queste diverse componenti tenevano comunque la CGIL come orizzonte pressoché esclusivo dell'intervento sindacale. Ciò cominciava a creare una qualche frizione con pezzi della base del partito. Questo perché diversi compagni del partito all'inizio degli anni novanta erano presenti nelle organizzazioni del sindacalismo di base che muoveva i suoi primi passi. Una parte dei cossuttiani erano sin dalle origini nelle Rappresentanze di Base, nel Comu vi erano compagni del PRC, poi ci sarà la separazione dei compagni dell'Alfa Romeo (la più forte sezione di fabbrica del PRC, allora) dalla FIOM e la formazione di quello che verrà poi chiamato SLAI-Cobas. Per questo intorno alla metà degli anni novanta una parte di quella che allora era la sinistra del partito (area Bandiera Rossa, area Bacciardi) polemizzavano con il partito per il suo eccesso di attaccamento alla CGIL. Lo scarso peso dato dal PRC alla vicenda Alfa Romeo produceva poi la drammatica rottura di questi compagni con il partito e la sparizione, nei fatti anche se non sulla carta, della sezione dell'Alfa Romeo.
Il declino dell'influenza sindacale del PRC
Quando nel 1996 il PRC conseguì un certo successo elettorale, frutto dell'opposizione al precedente governo Dini più che della politica di desistenza, ed entrò nella maggioranza di governo, si diffuse tra i dirigenti del PRC un forte ottimismo sulle potenzialità di crescita del partito, e decisero che era giunto il momento della resa dei conti con l'area sindacale dominata da quelli che loro chiamavno "ex DP", che pure formalmente integravano la maggioranza congressuale del partito. Sia detto di passata che tutte queste manovre passarono inosservate alla gran parte della base del PRC, dato che formalmente vigeva nel partito la più rigorosa condanna di ogni frazionismo pubblico, cosa che facilitava, come storicamente sempre avviene, quello nascosto agli occhi dei più. La fase congressuale della CGIL, aperta nel 1996, vedeva la costituzione di un'area di minoranza che si chiamò "Alternativa sindacale", più ristretta rispetto alla precendente Essere Sindacato. In quell'occasione i sindacalisti che facevano riferimento al PRC si divisero nei tre raggruppamenti (maggioranza di Cofferati, Cara CGIL che raccoglieva una parte della "destra" di Essere Sindacato, e Alternativa Sindacale), mentre quelli che venivano definiti ex DP compattamente integravano, insieme ad altri militanti del PRC, Alternativa Sindacale. Durante il congresso CGIL i dirigenti dell'area chiamata ex DP ignorarono le esigenze di crescita nell'apparato (cioé più posti in direzione e tra i distaccati) manifestate vivacemente dalla parte di Alternativa Sindacale più vicina a Bertinotti e Cossutta e così questi ultimi (nel senso letterale del termine dato che il partito non discusse in alcuna istanza questa decisione) operarono nei mesi successivi una scissione a freddo di Alternativa sindacale costituendo l'Area Programmatica dei Comunisti, apertamente legata al partito, come le vecchie componenti sindacali della CGIL. A capo della nuova corrente posero un compagno che al congresso aveva sostenuto Cofferati. Fu una scissione dall'alto, passata sulla testa di tutti militanti non solo di Alternativa sindacale ma anche del PRC. Il calcolo dei dirigenti del PRC era semplice: immaginavano davvero che la politica di sostegno "critico" al governo Prodi avrebbe portato sempre più consensi al partito e si domandavano: "perché il nostro partito che ha una tale e crescente proiezione elettorale non deve contare nulla a livello sindacale e deve continuare a dipendere da un gruppetto di ex DP?" La scissione si portò via una fetta minoritaria di Alternativa Sindacale, ma i dirigenti del partito con il tempo pensavano, disponendo di un partito che aveva ancora fiducia in se stesso ed era dotato di una certa coesione interna, di poter erodere lo spazio degli "avversari". Il calcolo si rivelò assolutamente sbagliato. E' proprio con il sostegno al governo Prodi che cominciava il lungo declino del partito, che ancora non accenna a fermarsi. L'Area Programmatica dei Comunisti si trovò a difendere in CGIL le giravolte che compiva il partito ad ogni finanziaria e scelte che ad esempio sul terreno della scuola (dove Prodi accompagnò formidabili tagli a misure controriformistiche) portò l'Area virtualmente a sparire da una categoria che si sarebbe dimostrata la più vivace sul terreno sindacale. Alternativa Sindacale, non avendo invece alcun vincolo di partito, poteva sentirsi più libera di criticare le scelte governative da sinistra. I rapporti tra massimi dirigenti del partito e i vertici di Alternativa Sindacale divennero dunque pessimi, sino a che in occasione dell'uscita dalla maggioranza di Prodi, questi (non tutti, ma molti di loro) decisero di uscire dal partito, senza peraltro aderire a quello di Cossutta. L'uscita di Cossutta non sottrasse molte forze alla possibile influenza del PRC in CGIL data la storica debolezza sindacale di questa componente, ma l'uscita di una parte dei quadri di Alternativa Sindacale sì, e da allora la possibilità del partito di orientare l'opposizione in CGIL sono ridotte praticamente a zero.
L'inizio del declino politico del PRC e il grande turn over che lo ha sempre caratterizzato hanno favorito nella seconda metà degli anni novanta il fenomeno che abbiamo descritto in un altro nostro materiale (Il dissenso nel PRC): lo spostamento delle energie dei militanti, soprattuto di base, dal PRC verso il "sindacalismo di base", favorito dalla opposizione tutta istituzionale, e dunque scarsamente motivante, della sinistra CGIL. L'entrata di tanti iscritti del PRC nel "sindacalismo di base" non fu in alcun modo frutto di un qualche orientamento di partito, dato che questo, a parte la brillante manovra che portò alla costituzione dell'Area Programmatoca dei Comunisti, non aveva mai dato indicazioni di alcun tipo. Così le energie del partito finivano per rafforzare organismi sindacali diretti da un personale estraneo al PRC e molto ridotto numericamente, ma che aveva finito per giovarsi dell'incapacità di direzione politica dei nostri dirigenti. Nella scuola moltissimi iscritti al PRC aderivano ai Cobas, sindacato egemonizzato da una componente che per semplificare possiamo definire ex-autonoma, esterna al PRC, altri nei servizi aderivano alle RdB egemonizzate da un gruppo che possiamo definire neostalinista, esterno al PRC, altri ancora alla CUB il cui gruppo dirigente è sempre stato lontano dal PRC, altri addirittura aderivano, ad esempio nella sanità, all'USI anarchica. Lo SLAI comprende tanti compagni che provengono dal PRC, e che hanno rotto per la moderazione del partito in campo sindacale, e oggi si collocano su un piano di concorrenzialità politica con il partito. Solo il piccolo Sin Cobas mantiene un certo collateralismo con il PRC, destinato a tramontare, sospettiamo, appena andrà in porto l'operazione di unificazione coi Cobas. L'indecisione, l'imperizia e la mancanza di principi della direzione del PRC dunque, portava a perdere anche l'occasione di un radicamento nel "sindacalismo di base", che è cresciuto caoticamente, diviso in innumerevoli sigle in perenne lotta tra loro e con dirigenze lontane dal partito e con prospettive politiche proprie.
Oggi
Dopo un processo lento e faticoso e tutto burocratico, si è arrivati nello scorso dicembre all'unificazione delle diverse anime della sinistra sindacale (con l'autoesclusione del settore che fa riferimento alla FIOM bresciana) nella componente Lavoro Società/Cambiare rotta. In tutto questo processo l'influenza del partito è stata pressoché nulla. L'Area programmatica dei Comunisti ha perso anche la sua ultima occasione per dimostrare di servire a qualcosa quando ha assecondato l'area Cremaschi in tutto il lungo periodo in cui quest'ultima era indecisa se presentare emendamenti o tesi alternative al congresso CGIL. Si trattava di costruire dal basso un'opposizione sindacale che non partisse dai sempiterni dirigenti e che non vedesse la base, come al solito, nel ruolo dei portatori d'acqua. Il partito avrebbe potuto orientare in questa maniera la costituzione della nuova aggregazione, ma non l'ha fatto, perché è anch'esso imbevuto di una pratica verticistica per cui la politica, anche quella sindacale, la fanno i colonnelli. Così alla fine ciò che conta è il mantenimento e la conquista di posizioni nell'apparato e non la costruzione dell'opposizione sindacale sui posti di lavoro, dura e senza sconti, anche al prezzo della perdita di qualche poltroncina.
L'impotenza del partito sul terreno sindacale si è mostrata chiaramente in occasione dell'unico movimento di massa di questi ultimi anni: quello degli insegnanti. I militanti del PRC della scuola si trovano sparsi in tutti i numerosi sindacati della categoria, anche se non ne dirigono nessuno; essi si ritrovano in ordine quantitativo: nella sinistra CGIL (nelle sue tre sottocomponenti), nei Cobas, nella Gilda, nella CUB, nella UIL, nella CISL e persino nello SNALS. Questo frastagliamento poteva essere, in presenza di una cultura sindacale dotata di un minimo di senso, una ricchezza: il movimento è stato funestato da un settarismo tra organizzazioni sindacali che ne ha minato non poco le potenzialità; poteva essere un'occasione, se il partito avesse difeso il principio dell'unità dei lavoratori al di là della sigla sindacale di appartenenza, per dare un utilissimo contributo al successo delle manifestazioni: forse non sarebbe riuscito ad impedire la sciagura di tre diversi scioperi generali proclamati dalle diverse sigle a due o tre giorni l'uno dall'altro, ma si sarebbe per lo meno segnalato come una organizzazione utile alla lotta di classe. Al contrario abbiamo trovato i militanti PRC tra i più accaniti difensori della propria sigla sindacale, in guerra contro tutte le altre. La commissione scuola nazionale del partito che si è riunita qualche volta, non faceva altro che registrare le diverse posizioni non dei compagni inseriti nei sindacati, ma dei militanti sindacali inseriti nel partito, per cui ben lontano dall'unificare, era una discussione tra sordi. Dato che in questa commissione prevalgono per motivi abbastanza casuali militanti cobas, Liberazione per tutta la durata del movimento ha fatto da cassa di risonanza di quel sindacato, ignorando la non disprezzabile presenza di compagni di partito negli altri sindacati. Questa posizione "estremista" sulla scuola (che fa a pugni con quella di due anni prima e che è stata complice delle politiche sulla scuola alle quali oggi si dichiara guerra), non impedisce però allo stesso partito di coprire la moderata sinistra sindacale FIOM quando questa, pur criticando l'ipotesi contrattuale, si rifiuta di dare battaglia nella categoria. Una linea sindacale quella del partito, dunque, che non può a rigore definirsi moderata (riguardo alla scuola ha avuto venature estremiste) e nemmeno radicale (visto che è opportunista verso la direzione FIOM): per quanto riguarda la collocazione sindacale è semplicemente confusa e opportunista.
Se parliamo di pratica sindacale poi, è ancora peggio. Su questo approfondiamo in altre parti della rivista, ma vale la pena dire che a nostro avviso un partito comunista dovrebbe costituire il legame forte che impedisce ai militanti sindacali di essere assorbiti dalla routine. Si tratta di una routine micidiale che stritola anche i migliori rivoluzionari e li trasforma in nauseabondi burocrati. Il partito dovrebbe ergersi come l'ancoraggio sicuro contro le facili degenerazioni dell'ambiente sindacale, "ricordare" all'attivista che lotta per migliori salari la prospettiva strategica di una società senza classi, combattere attivamente le lusinghe della burocrazia e i suoi nefasti effetti sui comunisti, spingere i propri militanti a dare il buon esempio nel rifiuto della carriera sindacale e del distacco a vita. La presenza nel partito di attivisti di diverse organizzazioni dovrebbe educare alla lotta contro il settarismo sindacale e a quella che è una degenerazione morale e politica: il patriottismo di sigla, qualcosa che se non provocasse tanti danni, a un comunista dovrebbe sembrare ridicolo quanto il tifo da stadio. Nei sindacati più piccoli i comunisti dovrebbero distinguersi per coloro che lottano instancabilmente contro i bizzarri muri tra sindacatini, dovrebbero riconoscere nel leaderismo carismatico l'embrione della burocrazia e combatterlo per tempo. I comunisti dovrebbero sul posto di lavoro praticare la lotta contro la delega, dando per primi il buon esempio nella maniera in cui stimolano la rotazione degli incarichi, la partecipazione dal basso, ecc. Siamo distanti anni luce dalla cultura sindacale, ammesso che esista, del nostro partito.
Sarebbe un errore considerare che il problema sia esclusivo della maggioranza del PRC. La minoranza del partito c'è dentro sino al collo. L'area di Proposta, che ha sempre portato avanti una linea da lei stessa definita "principista" sulla questione sindacale (sostanzialmente ha sempre difeso la permanenza esclusiva in CGIL), alla prova dei fatti del primo movimento di massa conosciuto in questi anni, quello degli insegnanti, ha visto una fetta dei suoi militanti traslocare armi e bagagli nei cobas. Ciò non impedisce ad alcuni dei suoi massimi esponenti di condurre una tranquilla esistenza di "oppositori" ai massimi vertici della struttura burocratica CGIL. Il risultato è che sulla loro rivista non compare una presa di posizione di carattere sindacale da anni. Bandiera Rossa, che integra formalmente la maggioranza, ma è sempre stata parte della sinistra del partito, ha passato gran parte dei suoi cinquant'anni di esistenza a spiegare il dettato leniniano di lavorare nei sindacati di massa, ma già nella prima metà degli anni novanta contribuiva alla nascita dello SLAI e successivamente alla sua scissione e alla formazione del Sin Cobas, formazioni che, soprattutto la prima, si sono sempre distinte per una polemica ferocissima verso chi aveva deciso di rimanere in CGIL. Ciò non impedisce a diversi dei suoi militanti e dirigenti di ricoprire ruoli di primo piano nella struttura CGIL da anni, anche come funzionari.
Il problema dunque è del partito nel suo complesso, senza eccezioni. E' il problema di un partito che non ha ancora deciso a cosa servono i sindacati e che cosa i comunisti devono farci dentro, indipendentemente dalle sigle che queste organizzazioni si danno.
vedi anche Comunisti e sindacato