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previously published in DERIVEAPPRODI #17
Autore:
francesca iovino
la
città la deriva la mutazione.it the
mutation.engl
La
città, un sistema composito di elementi architettonici, una struttura
stratificata di valenze, di fattori ordinati, nella sua visione e immagine
contemporanea, attraverso regole economiche e di produzione che intervengono
non soltanto nell'assetto organizzativo ed estetico, ma soprattutto nelle
condizioni di mobilità accesso e fruibilità della struttura
urbana. Certamente il referente immediato e attuale ha una configurazione
a grande scala. Si tratta di metropoli complesse che si sono evolute secondo
una trasformazione per aggiunte. Uno sviluppo continuo pianificato o spontaneo
(ma sempre controllato, delimitato, ripianificato); una concentrazione di
attività molteplici "le cui trame - nella città contemporanea
- non s'iscrivono più nello spazio di un tessuto costruito, ma entro
le sequenze di una impercettibile pianificazione del tempo", che scandisce
e regola la relazione abitante/organismo urbano.
Il
disegno dell'organismo metropolitano evidenzia e approfondisce il contrasto
strutturale e morfologico tra gli elementi componenti. Il centro e la periferia
si oppongono per interesse storico/stilistico ed economico attraverso differenze
di ordine tipologico, distributivo, organizzativo ed infrastrutturale. Viene
stabilita perciò, una codificazione degli spazi e delle attività
ad essi legate; si sviluppano valenze architettoniche peculiari per l'identità
di luoghi nodali, verso una forma di pianificazione per parti o per sistemi
singolari. Elementi questi, che stabiliscono priorità e fruizioni
settoriali volte a consolidare pratiche di controllo dei flussi.
Allo
stesso tempo, si approfondisce un sistema di concentrazioni, di agglomerati
diversificati nella loro specifica destinazione d'uso, sostenuti da una
ampia distribuzione sul territorio.
Nell'organismo
urbano odierno il valore della mobilità e l'entità della distanza
definiscono le forme e gli assetti enfatizzando i sistemi dimensionali,
sino al loro annichilimento. La crisi delle dimensioni s'instaura, secondo
Virilio, come crisi dell'intero, ovvero come mancanza di una progettazione
omogenea dello spazio che sottolinea la funzione e l'importanza delle parti
isolate, operando una atomizzazione dei nuclei costruiti. Il centro storico
si cristallizza, mentre la struttura metropolitana, nella sua estensione,
diviene riconoscibile nell'identità dei suoi poli, nei sistemi di
attraversamento, nelle emergenze architettoniche. Quasi una forma di pianificazione
stabilita entro interessi specifici e 'colonizzazioni' accidentali, non
una progettazione integrata, ma una serie di interventi puntuali, definiti
da valori di mercato e d'immagine.
Con
queste modalità, la città contemporanea europea ha preservato
il centro storico sviluppando il suo dominio sul territorio secondo uno
schema policentrico, in cui le arterie di penetrazione (ovvero il grande
sistema infrastrutturale) hanno costituito la direzione e soprattutto hanno
stabilito le distanze, sino a connotarsi come 'dighe', come sistemi di traffico
e smistamento, a loro volta come elementi nodali e fondativi dei periferici
agglomerati edilizi.
Procedendo
verso una cristallizzazione del centro quindi, la struttura urbana aumenta
il suo territorio in una progressione continua e incessante. Superando i
primi quartieri ancora in stretta dipendenza e in rapporto stilistico con
il centro storico, si assiste, dalla metà degli anni'50, con l'ascesa
economica, alla crescita di strutture urbane residenziali e produttive,
sistemate sui bordi estremi della città pianificata. Si tratta di
quartieri tipologicamente riconoscibili, che subiscono il distacco dalla
città, la separazione, la ghettizzazione, attraverso una deficienza
di strutture e di servizi. Il loro confino viene giustificato come indipendenza
dal centro, condizione questa che stabilisce, tra gli anni '70 e '80, la
configurazione di veri e propri organismi satellitari 'autosufficienti'.
Il loro impianto s'instaura secondo processi di polarizzazione sociale per
la costruzione di un'apartheid spaziale, come viene definita da Virilio
e Davis, che incrementerà successivamente stati di disagio e abbandono.
I nuovi agglomerati della periferia si caratterizzano per la scelta tipologica,
tesa ad una identificazione edilizia verso la combinazione di residenze
e servizi, verso la progettazione integrata di immediato riconoscimento
urbano. Nella costituzione di luoghi differenziati in cui essere produttivi,
o in cui essenzialmente abitare, in cui siano soddisfatte le esigenze primarie,
nel controllo di una mobilità eccessiva e nel limite della penetrazione
nel centro.
La
proliferazione di spazi interstiziali, di risulta e non pianificati, produce
fenomeni di conurbazione (ovvero di edificazione di 'aree cuneo' poste tra
quartieri già consolidati), di sfruttamento delle aree libere, per
la realizzazione di nuove zone satellitari. O per la costituzione di successivi
territori in abbandono, bacini d'irrealtà e organismi di frontiera,
di confine e distacco tra i quartieri consolidati.
I
non-luoghi della periferia metropolitana sono identificabili come 'zone
cuscino' tra realtà diverse, tra destinazioni d'uso contrapposte,
come elementi concreti di un'urbanizzazione d'emergenza, frutto certamente
di una pianificazione per parti. Si tratta di opportunità d'intervento
che inducono verso finalità differenti: la programmazione di una
città che si estende dimensionalmente sul territorio alla ricerca
di nuovi spazi da colonizzare, verso l'edificazione di nuclei autonomi,
particelle di un ampio sistema non-omogeneo. E una metodologia progettuale,
relativa soprattutto ad episodi urbanistici europei, che, come enuncia Rem
Koolhaas nel recente "S,M,L,XL" in riferimento ai grandi spazi vuoti della
città, riconosce la GRANDE DIMENSIONE come "theoretical domain at
this fin de siecle: in a landscape of disarray, disassembly, dissociation,
disclaimation, the attraction of BIGNESS is its potential to reconstruct
the whole, resurrect the real, reinvent the collective, reclaim the maximum
possibility."
La
realtà immaginifica dei non-luoghi risalta nella metropoli contemporanea,
in cui i limiti del costruito e non-costruito divengono confini tangibili,
in cui si accresce l'identità di simulacri di spazi inerti, ma peculiari
per il loro posizionamento nella maglia urbanizzata e per l'attitudine a
stabilirsi come zone d'irrealtà, in cui l'utopia può essere
effettivamente realizzata.
Gli
spazi eterotopici, secondo la definizione foucaultiana, possono essere i
simboli di questo organismo urbano, in quanto aree localizzate di contro-realtà
o di realtà diversificate, giustapposte ma interagenti nella singolarità
del luogo. Con il territorio costruito che li circonda, sviluppano funzioni
specifiche
di interzone, di bacini di spazi illusori e in divenire, come di elementi
di distacco programmato, inseriti tra le periferie per un'immediata delimitazione,
controllo e arginamento di espansioni spontanee.
E'
nel recupero di questi luoghi, attraverso una forma di riconoscimento diretto
e soggettivo, attraverso operazioni di 'appropriazione', ovvero di presa
di coscienza delle potenzialità immaginifiche e di trasformazione
intrinseche, che risulta possibile un processo di mutazione in cui i soggetti
fruitori divengono i maggiori protagonisti della realtà urbana.
L'impossibilità
frequente e preordinata di raggiungere una consapevolezza profonda della
città e dei suoi sistemi di sviluppo e di radicamento, costringe
i processi di espansione entro valenze essenzialmente economiche, nella
negazione di un rapporto di interazione tra le individualità coinvolte.
Questo avviene non soltanto tra gli elementi architettonici compresenti
e il sistema organizzativo di urbanizzazione, ma soprattutto tra gli individui
attivi e le direzioni evolutive della programmazione tipologica e degli
schemi urbanistici di edificazione. Nozioni e strumenti questi, che non
si limitano ad essere patrimonio esclusivo di esperti e cultori della città.
La comprensione del proprio ambiente e delle peculiari risorse o sviluppi
programmatici, costituiscono quei fattori che permettono e facilitano la
conoscenza profonda e soggettiva degli spazi del transitare e del vivere
quotidiano.
Il
situazionista Guy Debord in un articolo di introduzione alla critica sulla
geografia urbana ritiene che: "Psychogeography could set for itself the
study of the precise laws and specific effects of the geographical environment,
consciously organized or not, on the emotions and behavior of individuals."
Si tratta delle prime riflessioni situazioniste sull'analisi della struttura
urbana, nel tentativo di uno studio e un approccio critico in cui fosse
possibile giungere, oltre la semplice e diretta esperienza, ad un grado
primario ed intuitivo di rappresentazione della città.
Così
viene sviluppata una tecnica di 'attraversamento' o "passaggio transitorio
tra ambienti differenti" del complesso metropolitano, in cui il riconoscimento
dei fattori caratterizzanti e delle valenze fondative della struttura urbana,
formano i reali strumenti di lettura e 'appropriazione' del territorio.
Metodologia
'spontanea' e diretta di avvicinamento, si definisce nella teoria della
deriva situazionista, attraverso la mappatura psicogeografica di un territorio
urbano, o meglio attraverso la comprensione e conoscenza di una città
da percorrere assolutamente fuori dagli itinerari turistici e irrimediabilmente
seguendo direzioni accidentali. Per attraversare strade o piazze dove si
è attratti da elementi particolari, come un edificio di archeologia
industriale o l’intricato ripetersi di percorsi stretti, sintomo di una
complessa e diacronica programmazione edilizia.
Ecco,
questo vagare metropolitano che permette l’assimilazione soggettiva della
pianificazione e distribuzione degli elementi urbani, si visualizza in un
vero processo di ricerca iniziale: la deriva indica "una forma di comportamento
sperimentale, fortemente legata alle condizioni della società urbana".
Ed allo stesso tempo, delinea una tecnica di attraversamento di un quartiere
o di un più grande intorno edificato, secondo schemi preordinati
o meglio senza alcun tipo di limitazione o delimitazione. Per soddisfare
non soltanto un interesse esplorativo, ma soprattutto per raggiungere un
‘disorientamento emozionale’ nell’osservare un nuovo contesto ambientale
o i dintorni di un quartiere conosciuto, ma mai attentamente osservato.
Verso il raggiungimento di un'azione di "spaesamento" rivolta sulla città,
che sia strumento di presa di coscienza delle caratteristiche di formazione,
più che semplice visione romantica dei soggetti itineranti.
Un
complesso 'processo di conoscenza' che conduce ad un’indagine del territorio
urbano seguendo le sue 'articolazioni psicogeografiche', tramite l'assimilazione
delle valenze, delle diverse entità ed unità ambientali, delle
particolari condizioni e localizzazioni, ma soprattutto verso il riconoscimento
dei sistemi di penetrazione e di percorrenza, d’ingresso e perimetrazione
della città percorsa.
Si
definisce così, una pratica di osservazione, che mostra le sottili
direttrici per porsi quali soggetti attivi dell'evoluzione urbana. Una presenza
consapevole, che sia capace di operare successive elaborazioni. Per un'azione
di 'appropriazione', di trasformazione, di spazi e luoghi dell'organismo
costruito, che possano indicare nuove forme 'dell'abitare urbano' realizzando
mutazioni anche temporanee verso l'interpretazione e la crescita delle potenzialità
di un luogo.
E’
molto grande. Praticamente uno spazio infinito su cui intervenire, affondare
i propri segni per occupare questo luogo.
La
prima mossa è l’appropriazione per un tempo limitato, il bisogno
di operare una “colonizzazione” per introdurre nuove immagini, nuove rappresentazioni,
o meglio per stabilire la propria presenza e il proprio pensiero. Un sottile
processo di identificazione: un’operazione di riconoscimento dei limiti
fisici spaziali, che induca una sorta di interiorizzazione degli elementi
componenti e dei confini, verso la visualizzazione dell’identità,
anzi di una possibile (e potenziale) identità dello spazio stesso.
La
ricerca e la scoperta della potenzialità immaginifica di un luogo
scatena un processo progettuale d’interpretazione, che si traduce in un’opera
di mutazione. E’ necessario spiegare e concretizzare qual è il senso
di un intervento di questo tipo, in cui la trasformazione si definisce secondo
una dinamica interpretativa dei segni e degli elementi costituenti.
Nessuna
semplice sovrapposizione può aver luogo. La trasformazione per sovrapposizioni
non costruisce uno sviluppo lineare: realizza semplicemente uno spazio su
uno spazio, un’immagine su un’immagine. Non produce scoperta, non rivela,
opera per aggiunte e non crea mescolanze.
Eppure
uno spazio contiene caratteristiche ed emergenze sue proprie che indicano
differenti percorsi di appropriazione e sconvolgimento.
Lo
strumento dello straniamento agisce sulle
identità esistenti, lavora attraverso un procedimento di amplificazione,
piuttosto che di negazione delle caratteristiche componenti e identitarie
di un ambiente, conserva, enfatizza e svela essenzialmente una ”altra” rappresentazione
spaziale. Quel che è già presente in un luogo ma non è
visibile o raggiungibile quotidianamente.Il tentativo di produrre un processo
epifanico di rivelazione di un diverso uso per una diversa fruizione, o
di differente immagine per una raggiunta differente ‘individualità’.
Verso una mutazione lineare dello spazio, verso la ricerca di potenziali
schemi d'interpretazione, manipolazione, composizione, delle realtà
da scoprire e realizzare. Nessuna messa in scena, non si tratta di racconto
leggenda o composizione narrante attraverso l’alterazione dello spazio,
ma di un luogo che diviene oggetto di espressione, soggetto di azione, fondale,
caverna, corazza o struttura robotica mutante per la narrazione, organismo
architettonico in trasformazione per successive decodificazioni e visualizzazioni.
Il
luogo parla diversi linguaggi che inducono operazioni di reinterpretazione
più che di invenzione o re-invenzione: capire i limiti che il sito
propone appropriandosene, innescando un vivo processo di assimilazione,
permette di agire in una sorta di simbiosi solcando le sue direttrici peculiari,
per raggiungere i segnali della mutazione in divenire. Ovvero, per attivare
l’azione straniante.
Attraversare
le proprie risorse d’intervento significa superare i limiti della semplice
scenografia, del semplice aggiungere materiale, per ottenere una reale operazione
di allestimento spaziale. E' necessario poter sfruttare qualsiasi mezzo
di trasformazione, sia esso soltanto musica per invadere le pareti di un
edificio abbandonato e designare una futura e possibile alterazione; sia
un lavoro di riconoscimento degli elementi componenti la struttura fisica,
verso una manipolazione dell’ambiente, verso una trasfigurazione lineare
della realtà. Verso l'indicazione di differenti sistemi di espressione,
percezione, interpretazione nel ricercare e rappresentare potenziali e possibili
evoluzioni ambientali.
E' la città
nella sua struttura completa, è lo spazio urbano e non il solo
elemento edificato, è l'organismo costruito nella sua immagine
quotidiana vissuta, che divengono agenti, materia e sostanza reale per
interventi che siano cicatrici e solchi, per un'azione profonda di appropriazione
e mutazione.
the
mutation
It's very huge. Practically an infinite space on
which intervine, sink the own marks for occuping this place. The first
move is the appropriation for a limited time, the necessity to do a "colonization"
for introducing new images, new representations, or better for setting
the own presence and the own thoughts. A subtle process of identification:
a recognition's operation of the physical spatial limits, that induce
a sort of interiorization of the component elements and of the edges,
towards the visualization of the identity, better of a possible (and potential)
identity of the same space. The research and the discovery of the imaginative
potentiality of a place stirs up a projectual process of interpretation,
that carries on in a work of mutation. It's necessary to explain and concretize
what is the sense of this kind of intervention, in which the transformation
is defined according to an interpretative dynamics of the signs and the
constituting elements. Any simple superimposition can't take place. The
transformation through superimpositions doesn't construct a linear development:
it carries out a space over a space, an image over an image, simply. Any
discovery gets reached, nor revealed, it works through additions and doesn't
create mixings. But a space holds its own features and emergencies which
suggest different paths of appropriation and upsetting. The mean of estrangement
acts on the existent identities, works through a process of amplification,
rather than deny the component and identifing features of an environment,
essentially it preserves, emphatizes and reveals an "other" spatial representation.
What is already present in a place but it's not visible or reachable daily.
The attempt of producing an epiphanic process of revealing of a different
use for a different fruition, or a different image for a reached different
'individuality'. Towards a linear mutation of the space, towards a search
of potential schemes of interpretation, manipulation, composition of the
realities to be discovering or accomplishing. Any staging, it's not a
question of tale legend or telling sensation through the space's alteration,
but of a place that becomes object of expression, subject of action, backcloth,
cave, cuirass or mutant robotic structure for the narration, architectonic
organism under transformation for following code conversions (decodifications)
and displays. The place speaks various languages which induce employments
of re-interpretation more than of invention or re-invention: by priming
a real process of assimilation, the understanding the limits proposed
by the site through an exercise of appropriation, allows to act in a sort
of symbiosis by furrowing its peculiar directricies, for reaching the
signals of mutation under becoming. That is to put in action the estranging
process. To cross the own resources of intervention means to get over
the edges of the simple stage design, of the simple adding stuff, for
achieving a real work of spatial setting up. It's necessary to be able
to exploit any means of transformation, whether it's only music to invade
the walls of an abandoned building and to designate a future and a possible
alteration; or a work of recognition of the elements forming the physical
structure, towards an environment's manipulation, towards a linear transfiguration
of the reality. Towards hint of different systems of expression, perception,
interpretation on researching and representing potential and possible
environmental evolutions.
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