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telefono viola di genova
Qua di seguito trovi parte di un opuscolo che il Telefono Viola di Genova ha prodotto assemblando una serie di testi, alcuni scritti direttamente, altri recuperati qua e là.
PREMESSA Sia ben chiaro
che il senso della presente raccolta di testi non é da ricercarsi
all'interno di una LOGICA TEORICA che li colleghi, ma risulterà
soltanto dall'incontro di questa con la PRATICA REALE che si cercherà
di mettere in atto a livello comunicativo, relazionale e di ridefinizione
collettiva dei problemi concreti che stanno alla radice delle manifestazioni
definite come "patologiche": a questo riguardo verranno ad assumere
importanza decisiva i gruppi di pratica non psichiatrica.
In altre parole non abbiamo cercato di privilegiare una rigorosa coerenza
a livello teorico concernente gli approcci concettuali ai problemi della
psichiatria, quanto di mantenere la pluralità dei punti di vista
presenti nel dibattito interno al TELEFONO VIOLA.
Ciò che ci preme affermare é che in ultima analisi l'elaborazione
teorica non può essere costruita a priori. Se questa ci sarà,
verrà data soltanto come esito di un lavoro di dissoluzione della
separazione tra "OPERATORI" ed "UTENTI" in nome di
una pratica che dia voce ed espressione a chi "NORMALMENTE" ne
é privato. Privazione intrinseca alla posizione di chi é
reso oggetto delle "SCIENZE PSICHIATRICHE" le quali, al massimo
riconoscono a tali espressioni lo status di delirio.
La diversità sta in silenzio, oppure urla, non parla.
LETTERA DI MAURO AL TELEFONO VIOLA
Sono una vittima della psichiatria.
Sono stato sottoposto ad uno stillicidio spaventoso di psicofarmaci pesanti
(neurolettici, anticolinergici, ecc).
Ho letto alcuni libri di Antonucci e Roberto Cestari, dove ho scoperto
gli effetti raccapricianti (tardivi, persi= stenti ed irreversibili) di
questi veleni legali.
Adesso vivo nel terrore di diventare un demente cronico, di vivere derubato
di nuovo e per sempre della libertà e della salute.
E sogno di morire prima che sia troppo tardi, prima di finire nuovamente
nelle grinfie del Boia in camice bianco.
La psichiatria é il mio incubo.
Grazie infinite dell'attenzione
MAURO.C.
T.S.O |
(in merito vedi anche i documenti del TV Roma) |
Appena costituito Telefono Viola ci é sembrato
particolarmente importante iniziare una raccolta di dati sui T.S.O., pratica
da tutti noi considerata sempre violenta, a volte inutile negli altri casi
dannosa.
T.S.O. sta per Trattamento Sanitario Obbligatorio cioé; una
cura coatta imposta con la forza ad una persona che non vuole sottostare
ad essa.
COSA E' EMERSO DAI DATI RACCOLTI PRESSO
IL TRIBUNALE DI GENOVA
Abbiamo iniziato a raccogliere i dati presso il Tribunale per cercare
di capirci qualcosa; ebbene, nel periodo da noi considerato (primo semestre
1994), sono state sottoposte a T.S.O. solo alcune "categorie"
di malati o presunti tali: i matti (la stragrande maggioranza), gli alcolizzati
e i tossicodipendenti. Da ciò possiamo trarre una prima riflessione:
la violenza della medicina si abbatte con tutta la sua capacità
coercitiva solo sulle categorie più deboli, più indifese
e più emarginate . Sia chiaro che non si vuole affermare
che le pratiche mediche non psichiatriche non siano violente anzi tutt'altro,
tuttavia, in breve, la differenza consiste nel fatto che in questi casi
il paziente viene convinto a farsi parte diligente, ad affidarsi alla scienza
dei dottori assumendo un ruolo passivo di cavia consenziente, o altrimenti
viene abbandonato al suo destino; per quanto riguarda i cosiddetti malati
mentali quest'ultima possibilità é interdetta: o accetti
le cure o te le impongono con la forza .
Per quanto riguarda la causa che ha condotto al Trattamento Sanitario Obbligatorio
troviamo nell'85% dei casi uno di questi tre pretesti: 1) anomalie comportamentali;
2) agitazione psicomotoria; 3) stato delirante. Seguiti alle volte da una
diagnosi psichiatrica vera e propria ad esempio "delirio allucinatorio
in paranoico" oppure "grave agitazione psicomotoria in tossicodipendente",
e così via. Che ci sia una diagnosi psichiatrica non ha una grande
importanza perché la diagnosi é indicata quando si tratta
di ricovero subito da persone già conosciute dai medici o quando
questa é implicita nella storia di vita del soggetto come per i
tossicodipendenti. In tutti i casi, comunque, la molla che fa scattare
il T.S.O. é "l'anomalia comportamentale" o "l'agitazione
psicomotoria" non la presunta malattia. E' proprio questo
il dato più importante e più preoccupante! queste formule
sono del tutto vaghe, generiche e approssimative . In altre parole
un comportamento diverso dalla norma é oggetto di un intervento
violento, atto a farlo cessare, da parte dei medici solo se la persona
che lo compie rientra in qualche modo nella loro giurisdizione. Non si
tratta quindi di imporre delle cure finalizzate alla guarigione ma di eseguire
cure che hanno il solo scopo di far cessare comportamenti anomali.
Si può con grande facilità sostenere che un gruppo numericamente
consistente di persone, ogni giorno, attua comportamenti che rientrano
a pieno titolo tra le "anomalie comportamentali", le "agitazioni
psicomotorie" e gli "stati deliranti"; solo una piccola
parte di esse però viene sottoposta alla violenta reazione dei medici.
Questo per due ragioni:
- 1- la psichiatria é una forma di controllo sociale (più
o meno occulto) quindi é deputata a controllare alcune forme di
marginalità e di devianza non altre affidate ad altri apparati di
controllo come ad esempio le forze dell'ordine.
-2- i comportamenti fastidiosi, quelli che disturbano o preoccupano gli
altri sono quelli che più facilmente scatenano la reazione violenta
della cura coatta.
Discorso a parte va fatto per i T.S.O. imposti per "comportamento
autolesivo", a prima vista potrebbero essere questi i soli trattamenti
obbligatori ad avere una giustificazione, non é così! perché
vengono fatti a posteriori. Possiamo affermare che mai T.S.O. sia riuscito
a salvare la vita ad un aspirante suicida: solo quando il tentativo di
procurarsi la morte é fallito intervengono gli psichiatri. Gli psichiatri
decidono se un tentato suicidio sia stato un comportamento attuato da una
persona normale in un momento particolare, oppure se questo comportamento
sia da attribuirsi ad una qualche patologia mentale. In quest'ultimo caso
se il malcapitato accetta le cure (assumendo su di se l'etichetta stigmatizzante
ed appicicatticcia di malato) questo comportamento viene letto come un
primo passo verso la guarigione e quindi come una spia che indica che le
probabilità di un ulteriore tentativo autolesionista vanno diminuendo;
se viceversa il malcapitato le cure non le vuole, ciò é interpretato
dai dottori come probablità che ci riprovi; il T.S.O. é assicurato!
Questo attegiamento serve solo ai medici per evitare, un domani, di essere
accusati di non aver prestato le cure ad un infermo di mente ma non aiuta
di certo il malcapitato né diminuisce realmente le probabilità
che egli attui altri tentativi autolesionistici. E' in sostanza una sorta
di punizione medicalizzata a seguito di un comportamento vietato.
Quello che non é emerso dalla raccolta di dati é venuto fuori
dai contatti che T.V. ha quotidianamente con persone che sono venute a
contatto con la psichiatria. Il T.S.O. rappresenta ed é in effetti
utilizzato come una potente arma ricattatoria nei confronti dei malcapitati.
-- Questo ricatto serve in primo luogo a nascondere la potenza e il reale
uso che gli psichiatri fanno di questa potente arma. Molti ricoveri
sono imposti sotto la minaccia di T.S.O. ma non diventano veri e propri
T.S.O. . Spesso un malcapitato si sente fare dallo psichiatra un
ragionamento che si articola più o meno così: se lei accetta
di "sua volontà" il ricovero noi la ricoveriamo, viceversa,
se lei rifiuta il ricovero lo facciamo lo stesso con un bel T.S.O., quindi
le conviene essere ricoverato come volontario". Spesso, non avendo
alcuna alternativa, trattandosi in definitiva di essere comunque ricoverato
il "cosiddetto paziente psichiatrico" accetta "volontariamente"
il ricovero. Allo stesso modo per farsi consegnare del denaro da una persona
minacciandola con una pistola spesso non serve spararle basta fargli capire
che volendo lo si può fare.
-- La durata dei T.S.O. é sottodimensionata per una
ragione analoga. Di norma il T.S.O. dura sette giorni allo scadere dei
quali, se lo ritengono opportuno, gli psichiatri offrono al ricoverato
la scelta tra queste due alternative: 1) prolungare la degenza "volontariamente";
2) prolungare la degenza con un rinnovo di T.S.O.. Abbiamo notato che in
questi casi il ricatto é ancora più pesante perché
spesso il secondo ricovero coatto é assai più lungo del primo,
a volte 15 giorni altre addirittura 30. Così il malcapitato, sperando
di uscire prima, accetta il ricovero "volontariamente". Con questo
sistema il Sig. B. é rimasto 8 mesi rinchiuso in un reparto psichiatrico
ospedaliero, contro la sua volontà, subendo sulla carta solo due
T.S.O. di 14 giorni.
-- L'arma del T.S.O. é utilizzata anche quando una persona
cerca, contro la volontà degli psichiatri, di affrancarsi dalla
dipendenza dai farmaci . L'esperienza del Sig. A. é illuminante:
A. da tempo cerca di non assumere farmaci per i pesanti effetti collaterali
che gli provocano. Con le pastiglie, che deve assumere a casa, la soluzione
é stata semplice ed efficace; va a ritirarle al Centro di Igiene
Mentale (C.I.M.) e poi, a casa, le butta nel cesso. Non riesce però
a liberarsi dal punturone di Haldol a deposito (farmaco a lenta cessione
che dopo una somministrazione libera il principio attivo in modo costante
per 20 giorni consecutivi) perché deve andare a farsi fare l'iniezione
al C.I.M.. Se non si presenta per la puntura gli operatori lo vanno a prendere
a casa ed il T.S.O. é assicurato. Il Sig. A. preferisce, perciò,
assumere il farmaco piuttosto che essere ricoverato in psichiatria, per
una settimana o forse più, e costretto ad assumere dosi di farmaci
ancora maggiori.
Se un soggetto va dal medico e questi gli diagnostica dei calcoli alla
cistifelia potrà ricevere il suggerimento, più o meno perentorio,
di sottoporsi ad intervento chirurgico per asportarli. Sarà poi
lui a scegliere se farsi operare oppure no. La scelta non é del
tutto libera neppure in questo caso. Il paziente mantiene, però,
una certa capacità decisionale anche se non può incidere
sull'assimetria dei ruoli e della comunicazione e non può mettere
in discussione la validità tecnica della scelta. Non gli viene certo
detto "Caro signore Lei ha i calcoli alla cistifelia e siccome questo
non é normale noi glieli toglieremo sia che lo voglia, sia che non
lo voglia". Questo é proprio quello che accade al cosiddetto
paziente psichiatrico quando viene sottoposto a T.S.O.! Più é
aleatoria e sfumata la diagnosi più é potente e coercitiva
la cura.
FAI VALERE I TUOI DIRITTI!
CONTRO LA PRATICA, PALESE O SUBDOLA, DEL TRATTAMENTO
SANITARIO OBBLIGATORIO RIVOLGITI AL "TELEFONO VIOLA"
LETTERA AI PRIMARI DEI MANICOMI
Egregi signori,
le leggi e la consuetudine vi concedono il diritto di misurare lo spirito.
Con il vostro intelletto esercitate questa giurisdizione sovrana, temibile.
Lasciateci ridere. La credulità dei popoli civili, degli scienziati,
dei governanti gratifica la psichiatra di non si sa quali lumi sovrannaturali.
La causa della vostra professione é giudicata prima del tempo. Non
intendiamo qui discutere il valore della vostra scienza e se esistano o
no le malattie mentali. Ma per cento patogenesi pretenziose in cui si registra
la più scatenata confusione tra materia e spirito, per cento classificazioni
di cui le sole utilizzabili sono ancora le più vaghe, quanti nobili
tentativi per avvicinarsi al mondo cerebrale in cui vivono tanti vostri
prigionieri? Per quanti di voi, per esempio, il sogno del demente precoce,
le immagini di cui é preda, non sono altro che un'insalata di parole?
Non ci stupiamo di trovare inferiori a un compito per il quale ci sono
solo pochi predestinati. Ma noi insorgiamo contro il diritto attribuito
a certi uomini, limitati o no, di sancire le loro investigazioni nel regno
dello spirito con l'incarcerazione a vita.
E qual incarcerazione! si sa - non, si sa abbastanza - che le case di cura,
lungi dall'essere delle case , sono carceri spaventose, in cui i
detenuti forniscono una manodopera gratuita e comoda, in cui le sevizie
sono di prammatica, e voi lo permettete. Il manicomio, nonostante il pretesto
della scienza e della giustizia, é paragonabile alla caserma, alla
prigione, al bagno penale.
Non solleveremo qui il problema degli internamenti arbitrari per evitarvi
la fatica di facili dinieghi. Noi affermiamo che un gran numero dei vostri
ospiti, perfettamente pazzi stando alla definizione ufficiale, sono stati,
anch'essi, arbitrariamente internati. Non ammettiamo che si ostacoli il
libero svilupparsi di un delirio che é legittimo, logico tanto quanto
qualsiasi altra serie di idee o di atti umani. La repressione delle reazioni
antisociali é, per principio, altrettanto chimerica quanto inaccettabile.
I pazzi sono le vittime individuali per eccellenza della dittatura sociale;
in nome di tale individualità, che é la caratteristica di
ogni uomo, noi reclamiamo che questi forzati della sensibilità vengano
liberati, dal momento che é egualmente al di fuori delle leggi rinchiudere
tutti gli uomini che pensano e agiscono.
Senza insistere troppo sulla natura assolutamente geniale insita nelle
manifestazioni di certi pazzi, nella misura in cui siamo adatti ad apprezzarle,
affermiamo l'assoluta legittimità della loro concezione della realtà
e di tutte le azioni che da essa derivano.
Possiate ricordarvene domani mattina all'ora della visita, quando, privi
di lessico, tenterete di conversare con uomini sui quali, dovete ammetterlo,
non avete altro vantaggio che non sia quello della forza.
UNA RIFLESSIONE
Nella pratica, spesso TV, si scontra con le strutture e le attività psichiatriche organizzate in modo più marcatamente repressivo. I reparti ospedalieri e le cliniche universitarie, riempiti con l'uso del trattamento sanitario obbligatorio, sono i luoghi dove più spesso ci si attiva per tirare fuori qualche malcapitato detenuto contro la sua volontà. Anche presso i servizi territoriali, dove è frequente un uso massiccio e indiscriminato di psicofarmaci, le occasioni di contrapposizione non mancano. Tuttavia, recentemente, ci è capitato di dover intervenire a difesa di persone che si lamentavano per le eccessive cure imposte da personale appartenente a strutture psichiatriche come i centri diurni o le case protette. Ad esempio in provincia di Savona siamo venuti a conoscenza del caso di un malcapitato etichettato come schizofrenico che, ricoverato presso una casa protetta, oltre a subire una cura di psicofarmaci non voluta era obbligato a partecipare all'attività di svago, in pratica M. non poteva rifiutarsi di giocare al pallone: in questa struttura il gioco del calcio era assimilato ad una cura e pertanto imposto coattamente. Al di la del singolo caso (risoltosi per ora positivamente con l'uscita di M. dalla struttura e con l'inizio di una terapia a scalare per liberarsi dai farmaci) queste esperienze meritano una riflessione. Infatti gli evidenti fallimenti della psichiatria ed il suo operare così violento e irrispettoso della libertà umana sono spesso giustificati da una serie di carenze strutturali cioè dalla mancanza delle strutture cosiddette intermedie come i day hospital, i centri diurni, le case protette. Alla detenzione dei malcapitati nei lager manicomiali si é cercato di sostituire la detenzione farmacologica con relativa psichiatrizzazione del territorio: se i pazzi, non più rinchiusi dentro le mura dei manicomi, si trovano sparpagliati sul territorio altrettanto devono fare i loro controllori in camice bianco.
E' opportuno, però, iniziare una riflessione su questa ristrutturazione perché essa é presentata come il risultato di una modificazione della psichiatria nel suo complesso; cambiamento in direzione di una prassi più attenta ai diritti della persona e di una scienza consapevole dei suoi limiti e della necessità di aprirsi al sociale. Tant'é vero che gli psichiatri e gli operatori più "illuminati" sono concentrati nei servizi territoriali. Per tentare di capirci qualcosa é opportuno fare un salto indietro negli anni e ricordarci come, soprattutto a partire dagli anni '60, la psichiatria così detta tradizionale (1) sia stata oggetto di numerose e feroci critiche avanzate sia dalla psichiatria sociale (2) sia dal movimento, ampio e variegato dell'antipsichiatria (3). Queste critiche erano, in Italia, caratterizzate da un forte contenuto politico. La vittoria delle posizioni moderate fu sancita con la Legge 180 o Legge Basaglia che stabiliva la nascita della psichiatrizzazione del territorio. A distanza di 20 anni possiamo tracciare un bilancio dei risultati ottenuti: --- le strutture psichiatriche territoriali, pur con grandi difficoltà e ritardi, sono ormai presenti in tutto il Paese; --- i manicomi sono in via di estinzione mentre proliferano, un po' dappertutto, in loro sostituzione, cliniche private specializzate per i cronici gravi; --- i metodi violenti e palesemente coercitivi vengono sostituiti con asettiche preparazioni chimiche altrettanto disumane ma assolutamente invisibili. In altre parole, nella sostanza non é cambiato niente: solo l'apparenza é stata modificata; la psichiatria più aggiornata ha sostituito la camicia di forza con i farmaci ma ha mantenuto invariata la sostanza: a decidere cosa é bene e cosa é male per i malcapitati sono sempre e solo i gendarmi in camice bianco. Un grande successo però la psichiatria lo ha ottenuto: operando questa sorta di ristrutturazione é riuscita a fornirsi di una nuova facciata di rispettabilità, efficacia, umanità. Il pensiero unico ha trionfato proprio grazie alla mancanza di critiche alla psichiatria da posizioni rivoluzionarie. Le critiche radicali si sono spente o sono state emarginate, quelle riformiste, riassorbite, hanno consentito alla psichiatria di darsi nuovo lustro. E' necessario recuperare una forte spinta utopica, una volontà di modifica radicale di tutto il sistema, una capacità di smascherare i tentativi di mimetizzazione dei controllori di stato. Gli psichiatri sono gendarmi in camice bianco che possono adoperarsi in un manicomio o in una casa protetta così come i poliziotti possono lavorare nella digos o nel gruppo sommozzatori, ma essi lavorano tutti per mantenerci nella condizione in cui ci troviamo: una condizione oppressa. Con una importante differenza: gli psichiatri come tutti i medici e gli scienziati in generale, producono le idee che servono a legittimare il loro comportamento, ad avvallare la repressione dei malcapitati. "Bisogna smettere di descrivere sempre gli effetti del potere in termini negativi: "esclude", "reprime", "respinge", "astrae", "maschera", "nasconde", "censura". In effetti il potere produce; produce il reale" (4) rendendo così possibile la sua ri-produzione.
NOTE
(1)una psichiatria medica tradizionale retriva e reazionaria che mantiene una grossa fetta di potere, arroccandosi negli istituti psichiatrici custodialistici e repressivi e difendendo la propria casta con rituali di varia natura che vanno dalle terapie fisiche (psicochirurgia), chimiche (somministrazione di psicofarmaci), psicologiche (psicoterapia) alle diverse interazioni con il potere politico e con tutta la rete di organismi e servizi sociali, assistenziali e inerenti l'ordine pubblico. A. Argenton, Interrogations rivista internazionale di ricerche anarchiche, n° 12, ottobre 1977.
(2) una psichiatria più aggiornata, che potremmo chiamare sociale, in cui é accettata la concezione storico- sociale del disturbo mentalee, di conseguenza, la possibilità di curarlo attraverso tecniche terapeutiche avanzate e utilizzate dal potere statale anche a livello di normalità e di massa. A. Argenton, Interrogations rivista internazionale di ricerche anarchiche, n° 12, ottobre 1977.
(3) il movimento, ampio e variegato, dell'antipsichiatria, fortemente caratterizzato, specie in Italia, politicamente e socialmente, ma di difficile lettura dato il ricco miscuglio di enunciazioni teoriche e di esperienze concrete, che non rendono chiaramente distinguibile l'aspetto realmente rivoluzionario da quello tecnicistico, riformistico, efficientistico, assistenziale. A. Argenton, Interrogations rivista internazionale di ricerche anarchiche, n° 12, ottobre 1977.
(4) M. Focault, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino, 1976, p. 212.
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