LA SOTTILE ARTE DEL NAVIGARE
Cinque modi alternativi di abitare la rete
A cura
di The Thing
Forse la prima regola che devo pormi è questa:
attenermi a ciò che vedo.
Italo Calvino, Palomar
Quando visitiamo un sito web, difficilmente
ci chiediamo se vi sia un modo diverso di
visualizzarne i contenuti. Se a volte ci
ricordiamo che la sua veste può
cambiare a seconda dei software che
impieghiamo per "scoprirla", è perché
inciampiamo in uno di quei banner maliziosi,
che recitano Best viewed with Internet
Explorer o Netscape.
Introducendo ad ogni versione nuove
funzionalità, AOL e Microsoft continuano
a darsi battaglia per convincere web masters
e web designers che è vantaggioso progettare
un sito in funzione dei rispettivi browser.
Sebbene Explorer 5 abbia vinto la sfida
dei plug-in, molte delle innovazioni
rimangono spesso sottoutilizzate,
e cioè nelle menti di chi le ha ideate.
Tuttavia, al riparo dai frastuoni
prodotti da questo scontro tra Titani,
alcuni gruppi di artisti e programmatori
hanno suggerito, negli ultimi anni,
modi di vedere o di ascoltare il World
Wide Web alternativi alle rappresentazioni
standard. Spesso privi di risorse
finanziarie, questi gruppi hanno creato
e distribuito browsers che non competono
certo con quelli più noti, soprattutto se si
tratta di reperire informazioni presentate
in forma complessa. Il loro interesse non
risiede tanto nella loro "funzionalità"
quanto nella capacità che hanno di
mostrare aspetti e meccanismi della Rete
che rimangono spesso celati al navigatore
medio.
Innanzitutto bisogna ricordare che a
livello visuale, estetico e legale, il Web
viene ancora trattato come una pagina
contenente testi e immagini. A conferma
della nota teoria di Mc Luhan, secondo cui
ogni nuovo media richiede un certo
periodo di tempo prima di sviluppare
a pieno le sue potenzialità originali,
si pensi come lo stesso verbo
inglese to browse non significhi
altro che sfogliare le pagine
di un qualsiasi supporto cartaceo.
Ciò che le interfacce di
navigazione alternative come Web Stalker,
earshot, Netomat, Shredder, Riot
minano alla radice è proprio
questa metafora della pagina.
Interfacce che ci mostrano una Rete
dinamica, fatta di flussi di bit e
interazioni a distanza, più che di
ipertesti e pagine linkate.
Si prenda Web Stalker. Creato nel 1997
dal collettivo londinese I/O/D (Matthew
Fuller, Simon Pope e Colin Green) il
Web Stalker fornisce una diversa
mappatura e spazializzazione del Web.
Non appena l'utente digita una determinata
URL, la funzione del Crawler inizia a
cercare tutte le pagine ad essa collegate.
Si delinea così un diagramma in cui i
singoli documenti HTML vengono
rappresentati graficamente come
cerchietti e i link che li collegano,
come linee. A seconda della complessità
del sito, la mappa si fa più o meno
aggrovigliata e le pagine più linkate
vengono rappresentate da cerchi più
luminosi. Mentre il Crawler continua a
esplorare tutte le connessioni, si
possono attivare altre funzioni, come
HTML Stream, che mostra la rapida
successione dei codici sorgenti,
Dismantle, che illustra i nomi dei
files contenuti in una singola pagina
o Extract, che ne estrapola le
informazioni testuali.
Sebbene Web Stalker sia un browser
di solo testo (come l'ormai storico Lynx),
e non supporti funzioni complesse come
frame, Java, VRML, ha un grande pregio:
quello di rappresentare i siti nella loro
struttura complessiva e non come una
successione di pagine più o meno inter-relate.
Tracciando le connessioni tra un documento
e l'altro, è come se Web Stalker ci facesse
entrare nel cervello di chi ha progettato e
disegnato il sito, mostrandone sinapsi e
connessioni neuronali. Da un insieme di
oggetti affastellati l'uno sull'altro, il Web
appare ora come un processo dinamico:
da nome (l'URL) si fa verbo (i
collegamenti, i rapporti tra le varie
URLs). Come nota uno dei suoi
ideatori, Matthew Fuller, "una
volta che non si crede più alla
descrizione della pagina, l'HTML
diviene un mark up semantico piuttosto
che un linguaggio fisico. Visto che
la sua rappresentazione sullo schermo
dipende dal tipo di strumento che usi
per riceverlo rispetto al suo stato
'originale', i comandi in HTML
diventano il luogo per una negoziazione
di altri comportamenti o processi
potenziali". In tal modo, continua
Fuller "diverse possibilità appaiono.
Lo stream di dati diviene una fase
spaziale, un regno di possibilità al di
fuori del browser".
Liberati dai loro carcerieri
(Netscape e IE) l'HTML e gli altri
linguaggi per il World Wide Web,
tornano ad essere impiegati per le
loro potenzialità intrinseche e non
come semplici portatori di contenuti
organizzati in funzione di una
cornice formale già definita.
Anche gli altri browser che abbiamo
citato mantengono questa attitudine
sovversiva nei confronti delle
interfacce standard.
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Solo dopo aver conosciuto la superficie
delle cose ci si può spingere a cercare quel
che c'è sotto. Ma la superficie delle cose
è inesauribile.
Italo Calvino, Palomar
Progettati tra il 1998 e il 1999 dall'artista
newyorkese Mark Napier, lo Shredder e
il più recente Riot, non sono veri e propri
browser. Per utilizzarli non vanno nè
scaricati nè installati. Basta collegarsi
al sito di Potatoland, perché essi si
interpongano come un cuneo o un virus
"all'interno" del nostro browser.
Alterando il codice HTML prima che
Netscape o Explorer siano in grado di
leggerlo, lo Shredder (Il Frammentatore
o Lo Spappolatore) ricombina in modo
random l'aspetto "supeficiale" delle pagine
e quello solitamente nascosto
(i files, i sorgenti HTML).
Se lo si "punta" su una qualsiasi pagina
Web che contiene immagini e testo,
l'effetto è quello di un collage impazzito,
in cui segni grafici e testuali proliferano
gli uni sugli altri, insieme alle tag,
alle linee di comando che li
dovrebbero organizzare e disporre
nella forma classica. Da nascosto, il file
HTML diviene palese si fa segno grafico
e metatestuale, elemento di costruzione
autonomo, non più semplice veicolo o
scatola di contenuti altri. Al contrario,
il contenuto di testi, immagini, animazioni
perde le sue finalità informative per
astrarsi su un piano puramente formale
ed estetico.
Rispetto allo Shredder, Riot
ne rappresenta sicuramente
un'evoluzione, perché è in grado di
ricombinare la grafica di più pagine web
simultaneamente. E' cioè possibile
visualizzare all'interno di un'unica
schermata più siti sovrapposti,
selezionando semplicemente diverse
URL. Poiché il software realizza
automaticamente il lavoro di
sovrapposizione, l'utente si ritrova
nella posizione di un'artista concettuale.
Se Duchamp, con i suoi readymades
metteva i baffi alla Gioconda e
rovesciava i pisciatoi in fontanelle,
l'utente di Riot può intercalare siti
pornografici con quelli d'arte o di politica.
Riot rappresenta infatti la rete come
un campo di battaglia, o come un
megablob, in cui le barriere che
separano convenzionalmente
i vari siti cadono, collassando
simultaneamente all'interno di
uno stesso spazio visuale.
Ma la vera novità del browser non è di tipo "estetico".
Riot è infatti il primo browser multi-utente: se al sito sono collegati simultaneamente più navigatori, essi vedranno all'interno del loro browser, anche le URLs selezionate dagli altri utenti. In questo modo il browser cessa di essere uno spazio privato e la navigazione del Web un atto solipsistico. In questo modo Napier sfata il mito del WWW, come protocollo solitario e non interattivo, rispetto ad altri tools come l'e-mail o le mailing lists. Per approfondire l'argomento The Thing Italia ha realizzato un' intervista in video, con lo stesso Napier, in un appartamento di New York.
Anche earshot, progettato dal duo
londinese Andy Freeman-Jason Skeet,
si pone con un'attitudine sovversiva
rispetto al concetto classico di browser.
Spostando l'attenzione dalla vista all'udito,
scandaglia la Rete alla ricerca di
suoni, consentendo all'utente di ascoltarli
e remixarli in tempo reale con quelli
presenti sul proprio hard disk. Rende
insomma molto più immediato quel
processo di negoziazione e scambio
che il singolo realizza con il tu collettivo
ogni volta che scarica o carica files in rete.
Il browser, essendo molto recente,
presenta comunque diverse limitazioni.
Essendo basato su Quicktime 4, può leggere
solo estensioni compatibili (.mov, .wav, ecc)
con questo software, ma non i files
Realaudio ad esempio. Richiede inoltre
una procedura di installazione piuttosto
complessa (è necessario installare sia
Quicktime 4 per Java, che l'ultima
versione della Java Virtual Machine) e,
girando in dos, non consente di usare
contemporaneamente altre applicazioni.
Tuttavia, per renderne più semplice
l'implementazione i due programmatori,
hanno progettato un kit per lo svilluppo
del browser, disponibile sul sito stesso.
L'ultimo browser che intendiamo
segnalare è Netomat, che rimane,
a nostro giudizio, il meno interessante
di tutti. Lanciando Netomat, i
contenuti delle pagine selezionate
perdono la loro impostazione grafica
convenzionale e fluttuano sullo
schermo liberamente, come oggetti
portati dalla corrente. Più che individuare delle URLs, Netomat
effettua una ricerca per parole chiave, a partire dai motori di ricerca. Quando l'utente digita uno o più termini nell'apposito campo, Netomat li va a cercare sui motori, generando quindi dei files "netomatici", composti di testi o immagini. Se muoviamo il
cursore verso destra, i testi e le
immagini slittano verso sinistra e
viceversa. Tuttavia, al di là di questo
non si va. Le possibilità di intervento
dell'utente rimangono piuttosto
limitate. Mentre nel caso di Shredder
e Riot, all'alto grado di interazione
dell'utente si aggiunge
un'interessante operazione di
patchwork che ingloba anche
linguaggi complessi (frames,
animazioni, ecc), Netomat è
un browser prevalentemente
testuale, che non ha però
quelle peculiarità "strutturali"
proprie del Web Stalker. Per
essere lanciato, richiede inoltre
l'installazione Java Virtual Machine.
Per concludere ritornerei al nostro
osservatore, il signor Palomar di Italo
Calvino. Il quale si chiedeva, nel corso
di una delle sue esplorazioni visive, se
non fosse proprio questa diffidenza verso
i nostri sensi che ci impedisce di sentirci
a nostro agio nell'universo. Nutrendo uno
scetticismo non lontano da quello del
signor Palomar, i net.artist sfidano oggi
le percezioni più diffuse della Rete. Se
non esiste un modo naturale di percepire
il mondo, sembrano dirci, tanto meno vi
sarà un modo naturale di vedere e di
ascoltare il World Wide Web, paesaggio
ultra-artificiale e ancor più convenzionale
del cosiddetto mondo reale.
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