SULLE
AUTOSTRADE DEL POTERE ELETTRONICO
Intervista al Critical
Art Ensamble [1/3/00]
a cura
di Snafu
Quando,
poche settimane fa, i templi dell'e-commerce si sono inceppati sotto i
colpi di un nuovo tipo di Denial-of-Service Attack (DoS) i mass-media
di mezzo mondo hanno puntato l'indice contro gli "hackers" sovvertitori
della "new economy". Eppure chi ha una minima conoscenza del mondo della
rete ha accolto la notizia con scetticismo.
E ciò per almeno due ragioni: la prima è che il cosiddetto
"smurfing", il tipo di DoS attuato contro Yahoo, e-Bay, buy.com e CNN Online,
può essere realizzato da poche persone che dispongano di una connessione
molto elevata e costosa, come una T3 o una T1. Il che contraddice alcuni
fondamenti dell'hacking, come l'approccio low-tech alle macchine e la cooperazione
in sistemi aperti. Il secondo è che i mass-media, vuoi per ignoranza
vuoi per amore delle narrazioni semplici, tendono a identificare automaticamente
l'hacker con un'ideologia politica di matrice anarchica e sovversiva.
In realtà chiunque conosca il mondo dell'hacking sa bene quanto
esso sia variegato e come coloro che coniugano la passione per la politica
con quella per la tecnologia siano in realtà i soggetti meno pericolosi.
Il rapporto che si istituisce tra hackers e attivismo politico (una pratica
che va sotto il nome comune di hacktivism) è in realtà
uno dei più complessi.
Non sempre infatti attivisti politici e hackers sono in grado di parlarsi
e di comprendersi.
Il Critical Art Ensemble
(Cae) è uno dei primi gruppi ad avver avviato, già
dalla metà degli anni '90, una riflessione teorica sull'argomento.
Nato nel 1987 a Talahasse, in Florida, come gruppo di performer, il CAE
inizia ad essere conosciuto oggi anche in Europa, grazie a un tipo di elaborazione
che intreccia con disinvoltura l'estetico e il politico, nel solco
aperto dalle avanguardie del Novecento.
Attualmente composto da Hope e Steve Kurtz, Steve Barnes, Dorian Burr e
Beverly Schlee, il Cae è noto soprattutto per due opuscoli,
The Electronic Disturbanceed Electronic
Civil Disobedience -- editi in Usa da Autonomedia e tradotti in Italia
da Castelvecchi.
I due libelli affrontano la questione di una "nuova avanguardia"
che sappia coniugare la politicizzazione storica dei gruppi di base - ecologisti,
pacifisti, sindacali - con nuove competenze tecniche. Un'avanguardia in
cui hacker e attivisti sappiano lavorare fianco a fianco.
Nella sua elaborazione il CAE miscela abilmente diversi segmenti teorici
tratti dal decostruzionismo e dal post-strutturalismo francese, cercando
di rileggerli alla luce delle trasformazioni prodotte da Internet e dalle
reti globali.
Il punto di partenza è analogo a quello del filosofo anarchico Hakim
Bey: il potere ha assunto ormai una forma nomadica, è cioè
un flusso elettronico di denaro che si autogenera e si sposta là
dove incontra minori ostacoli e resistenze. Sebbene si manifesti ancora
nello spazio fisico esso non può essere più localizzato,
come in passato, "nei castelli, palazzi, uffici governativi, o nelle sedi
delle grandi corporations".
Secondo il CAE il potere si astrae oggi sempre più dallo spazio
urbano: per riubicarlo occorre seguire la spirale del denaro. Una spirale
che conduce dritti al cyberspazio.
Proponendo un modello fluido, basato su piccole cellule in grado
di connettersi rapidamente, il CAE opera una revisione critica della politica
del "prendere le strade", che ha sempre ispirato l'attivismo tradizionale.
Se le strade sono divenute ormai dei simulacri vuoti, argomenta il CAE,
bisogna sviluppare delle pratiche che siano in grado anzitutto di
boicottare, bloccare o interrompere i flussi di dati gestiti dall'apparato
finanziario, indutriale e militare. Di qui prende corpo l'idea della disobbedienza
civile elettronica.

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