Da "Umanità Nova" n.22 del 6/7/97
Così Enrico Rovelli è diventato confidente del commissario Luigi Calabresi. E di Federico Umberto D’Amato. Il capo dell’ufficio affari riservati del Viminale
Nome in codice: Anna Bolena. Dietro questo schermo si nasconde una delle storie più intricate dell’intricata vicenda legata alla strage di piazza Fontana. Ecco i fatti.
Sono scoppiate da pochi mesi del bombe del 25 aprile 1969 a Milano (ufficio cambi della stazione Centrale e padiglione Fiat alla Fiera campionaria), quando vengono arrestati a Riccione due anarchici milanesi: Tito Pulsinelli ed Enrico Rovelli. È il 22 agosto. Per Pulsinelli inizia un lungo periodo di detenzione che si concluderà il 28 maggio 1971. È accusato di aver partecipato a quei due attentati assieme con Paolo Braschi, Paolo Faccioli e Angelo Piero Della Savia. Un’accusa che si rivelerà completamente inconsistente al processo e che li vedrà tutti assolti proprio nel 1971.
Diversa è la sorte di Rovelli. Esce subito dal carcere. Il commissario Luigi Calabresi con minacce e promesse di favori lo convince a diventare un suo informatore. Rovelli inizia la sua nuova carriera al servizio del commissario dell’ufficio politico della questura milanese.
Pur non facendo parte di alcun gruppo milanese, Rovelli è un frequentatore del Circolo Ponte della Ghisolfa. Un frequentatore saltuario: va al Ponte della Ghisolfa soprattutto quando ci sono conferenze o incontri pubblici. È in quelle occasioni che cerca di procurarsi informazioni e confidenze dai compagni milanesi. Tutte queste notizie vengono poi trasmesse a Calabresi o all’uomo di fiducia di Calabresi, il brigadiere Vito Panessa.
Dalle prime indiscrezioni raccolte, risulta che l’interesse di Calabresi è concentrato su Giuseppe Pinelli, il membro più anziano del gruppo Bandiera nera. Ma la curiosità su Pinelli non è un’esclusiva di Calabresi. C’è un personaggio più in alto del commissario che vuole sapere che cosa fa, con chi si vede l’anarchico milanese. Chi è? Silvano Russomanno, responsabile nel capoluogo lombardo dell’ufficio affari riservati del ministero dell’interno. Cioè l’ufficio che è di fatto guidato da Federico Umberto D’Amato (nel 1069 il direttore formalmente è ancora Elvio Catenacci). Calabresi, interfaccia dell’ufficio affari riservati nella questura milanese, non tiene solo per sé il confidente Rovelli, ma lo cede in “condominio” a Russomanno. Questo ruolo di Calabresi serve anche a spiegare il prestigio di cui godeva il commissario in questura e che in pratica lo faceva contare di più del suo diretto superiore: Antonino Allegra, capo dell’ufficio politico.
Elemento nuovo. L’ufficio affari riservati, vale a dire la centrale della strategia della tensione e dei depistaggi, manifesta un particolare interesse per Pinelli. Una così insistente curiosità solleva anche un importante interrogativo. L’anarchico milanese è stato prescelto come capro espiatorio per i prossimi attentati che, sotto la regia del Viminale e del Sid, devono compiere i nazisti del gruppo di Franco Freda, Giovanni Ventura e quello di Delfo Zorzi? A questa domanda non è ancora possibile dare una risposta certa. Però l’ipotesi che Pinelli dovesse rivestire un ruolo di primo piano nella montatura contro gli anarchici per la strage di piazza Fontana non appare infondata.
Così accanto a quello che sarà l’accusato principale per quella strage, Pietro Valpreda, emerge anche una possibile manovra nei confronti di Pinelli. Una manovra che si chiude con un evento drammatico: il volo di Pinelli dalla finestra del quarto piano della questura nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969. Un volo che avviene dopo che il fermo di polizia è scaduto da circa 24 ore. Cioè è illegale.
Ed è proprio nei giorni che vanno dall’esplosione alla Banca nazionale dell’agricoltura fino alla morte di Pinelli che emerge con maggiore evidenza il ruolo di Rovelli. In quel breve lasso di tempo entra ed esce più volte dalla questura milanese. Dopo ogni convocazione si presenta al Ponte della Ghisolfa con aria apparentemente sempre più preoccupata. “Non capisco che cosa vogliano da me i poliziotti”, dice Rovelli con insistenza agli anarchici del Ponte. Che però cominciano a insospettirsi. Quasi tutti sono stati fermati, però salvo alcuni trattenuti al carcere di san Vittore, gli altri sono stati rilasciati e mai più fermati. Perché Rovelli, che risulta elemento marginale nell’anarchismo milanese, ha un trattamento così particolare? Questa è la domanda che sorge spontanea in quei giorni non certo tranquilli. Sospetti che si rafforzano quando Rovelli ottiene con facilità la licenza per un locale da ballo, la Carta vetrata a Bollate (nell’hinterland milanese). Sospetti che verranno definitivamente confermati quando si potranno leggere i verbali di interrogatorio di Rovelli con il giudice Antonio Lombardi che indaga sull’attentato alla questura milanese del 17 marzo 1973. Lo stesso Rovelli ammette, infatti, di essere un informatore del commissario Calabresi. Così per far conoscere al maggior numero possibile di persone il ruolo di Rovelli (gli anarchici dei gruppi milanesi sono già da tempo informati) nell’estate del 1975 questo settimanale pubblica un comunicato su Rovelli con la sua foto: Attenti a costui , è l’esplicito titolo della nota su “Umanità Nova”.
La carriera del confidente Rovelli, a quel punto, è finita anche presso i meno informati. Ma non termina certo la sua carriera di impresario. Dopo la Carta vetrata, Rovelli diventa gestore di un locale molto più famoso: il Rolling Stones nel centro di Milano. Attività a cui affianca, oggi in modo esclusivo, quella di organizzatore di concerti rock: da Claudio Baglioni a Vasco Rossi, passando per tutti i nomi più famosi della musica leggera italiana.
Rovelli è infatti uno dei pochi manager musicali che riesce a ottenere i luoghi più ambiti per tenere concerti. Se un cantante vuole una piazza importante o uno stadio deve rivolgersi a Rovelli. Lui può avere i permessi dalle questure delle varie città italiane. Permessi che quasi sempre vengono negati ad altri impresari.
È la ricompensa per i servizi che Enrico Rovelli ha reso a D’Amato, poliziotto di vasta cultura, che per lui aveva scelto il nome di una moglie di Enrico VII. Anna Bolena, appunto.
Luciano Lanza
(Della vicenda, tornata alla ribalta alcune settimane fa, Umanità Nova si è occupata nel numero 17/1997 con l’articolo di prima pagina "Attenti a costui" di M. V.
Luciano Lanza è autore del recente libro “Bombe e segreti - Piazza Fontana 1969”, Eleuthera ed., recensito da Salvo Vaccaro sul n.20/1997 di UN. - NdR)
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