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Da "Umanità Nova" n.16 del 9 maggio 1999
Le radici della guerra per il Kosovo
Le vie del petrolio
Nel precedente articolo ("Il controllo dei corridoi", UN del 2 maggio) abbiamo
visto l'importanza delle vie di trasporto autostradale, ferroviario ed
energetico (oleodotti e gasdotti) che solcano i Balcani. Si è visto
anche che particolare attenzione meritano i "corridoi" che collegano il Mar
Nero con l'Europa, poiché attraverso questi corridoi transiteranno le
merci asiatiche, ma soprattutto il petrolio proveniente dal Mar Caspio.
Il petrolio, infatti, continua ad essere la materia prima strategica per
eccellenza, anche se le sue quote sul totale dei consumi sono diminuite
rispetto ai primi anni '70 e se il suo prezzo rimane relativamente basso (nel
gennaio 1999 un barile di petrolio costava 18 dollari contro i 40 del 1981).
L'era del petrolio durerà almeno fino alla fine del XXI secolo e solo
"il XXII secolo sarà probabilmente segnato da un consumo più
ridotto di petrolio e gas... e da prezzi dell'energia più elevati" come
ha detto il presidente della compagnia petrolifera francese ELF-Aquitaine,
Philippe Jaffre, al 15deg. Congresso mondiale del petrolio svoltosi a Pechino
nel novembre 1997.
In un quadro di questo genere il Mar Caspio assume un'importanza notevole. Per
circa 50 anni le riserve di questa regione sono rimaste intatte poiché
il regime sovietico aveva privilegiato la ricerca e l'estrazione del petrolio
siberiano. Con la caduta dell'impero sovietico si è rotto il monopolio
russo e le tre nuove Repubbliche (Azerbaijan, Kazakhstan e Turkmenistan) hanno
cominciato a rivalutare quello che il regime di Mosca aveva ignorato. Nel 1993
il Kazakhstan conclude il primo contratto con una compagnia americana (la
Chevron) per la ricerca e lo sfruttamento di quello che si rivelerà uno
dei due enormi giacimenti di petrolio presenti nella zona. Nel settembre 1994
è la volta dell'Azerbaijan a firmare con nove compagnie (consorzio AIOC)
quello che fu definito "l'affare del secolo" per lo sfruttamento dell'altro
enorme giacimento petrolifero.
Le compagnie petrolifere americane avevano "scoperto" il Caspio fra il 1991 e
il 1993 approfittando della crisi che attanagliava la neonata Federazione
russa. Il governo americano si servì di questa penetrazione economica
delle proprie multinazionali per cercare di controllare, anche attraverso Stati
alleati come la Turchia e l'Arabia Saudita, l'estrazione e la distribuzione
dell'oro nero caspico sottraendola all'influenza russa. Verso la metà
degli anni '90, il governo di Washington cercò di bloccare il ritorno
nella regione delle grandi compagnie russe (la Lukojl, petrolio, e la Gazprom,
gas), ma senza grande successo. Con l'avvento di Geidar Aliev, membro del
potente Ufficio politico del Partito comunista sovietico ai tempi di Breznhev e
autore di un riuscito colpo di Stato in Azerbaijan, la Lukojl entra nel grande
consorzio AIOC e insieme ad altre compagnie (c'è anche l'AGIP) inizia
ricerche sul fondo marino azzero e kazakho. I russi possiedono anche l'unico
oleodotto attualmente in funzione in grado di avviare il petrolio estratto nel
Mar Caspio verso l'Europa, quello che partendo da Baku, capitale
dell'Azerbaijan, arriva al porto russo di Novorossiisk, sul Mar Nero da dove
viene imbarcato su petroliere dirette nel Mediterraneo.
E' qui che si trova il collegamento con l'area balcanica: da Novorossiisk le
petroliere dovrebbero giungere nei porti rumeni o bulgari per essere avviate,
via oleodotto, verso l'Europa centrale e settentrionale (Germania) o verso
l'Europa meridionale (Grecia o Italia).
Il fatto è che da almeno tre anni la situazione nella regione caspica
attraversa una fase di stallo: gli americani stanno disperatamente cercando di
togliere ai russi il monopolio del controllo del trasporto del greggio caspico
ma non ci riescono. Provo a riassumere brevemente una questione che, come si
capirà, è parecchio complessa. Esistono quattro vie per
distribuire il petrolio estratto nell'area capisca:
1. La via Nord. E' l'unica attualmente in funzione. Parte da Baku e
arriva a Novorossiisk. Attraversa regioni fortemente instabili, come la
Cecenia, che ha solo momentaneamente rinunciato ai propositi di indipendenza, e
il Daghestan, altro Stato della Federazione russa "a rischio".
2. La via Est. E' la via più breve e meno costosa. Porterebbe
il petrolio in Iran e quindi nel Golfo, ma gli Stati Uniti sono
irrimediabilmente contrari alla costruzione di questo oleodotto perché
avversari del regime iraniano e contrari a far rifluire nel Golfo una massa
enorme di petrolio che in futuro, con l'esaurimento dei giacimenti del Mare del
Nord, dovrebbe proprio bilanciare il predominio dei paesi arabi.
3. La via Ovest. Porterebbe il petrolio da Baku al porto georgiano di
Supsa, nel Mar Nero. I lavori per il suo completamento, originariamente
previsto per il 1998 e poi rinviato alla primavera di quest'anno, sono andati
alle lunghe anche per il lievitare dei costi, raddoppiati rispetto alle
previsioni iniziali. Questo oleodotto attraversa regioni fortemente instabili,
come il Naborno Karabach, dove fra il 1988 e il 1994 si è svolta una
sanguinosa guerra fra azeri e armeni che è costata la vita a 20.000
persone e ha provocato 1,5 milioni di profughi, e la Georgia, dove il conflitto
con i secessionisti abkhazi ha provocato nel 1992-93 10.000 morti e 300.000
profughi. I problemi sono tutt'altro che risolti e la pace attuale si fonda su
instabili compromessi.
4. La via Sud. Parte da Baku, passa per Tiblisi, capitale della
Georgia, e arriva al terminale turco di Ceyhan, nel Mediterraneo. Questo
oleodotto, costosissimo (si parla di 4,5 miliardi di dollari), è quello
che piace agli americani perché esclude Russia e Iran, ma esclude anche
l'area balcanica. Se realizzato, questo oleodotto trasformerebbe gli americani
nei padroni quasi assoluti non solo dell'estrazione ma anche della
distribuzione del greggio
Il fatto è che sono almeno cinque anni che si parla di costruire un
oleodotto alternativo a quello usato attualmente (Baku-Novorossiisk) ma sinora
è progredita, e molto faticosamente, solo la via Ovest (Baku-Supsa),
mentre l'oleodotto sponsorizzato dagli americani, quello per Ceyhan, è
ancora fermo.
In questi anni il governo di Washington le ha provate di tutte per convincere
le riottose compagnie impegnate nel Mar Caspio ad investire nella via Sud ma
non c'è stato niente da fare. Fra l'altro negli ultimi mesi sono
sembrate svanire anche le ottimistiche previsioni sulla consistenza dei
giacimenti caspici: si era parlato di riserve pari a 200 miliardi di barili, ma
alla fine del 1998 le previsioni parlavano di un ben più modesto 20/25
miliardi di barili. Una cifra ancora consistente, pari ad un nuovo Mare del
Nord, ma ben lontana dalle potenzialità del Golfo Persico (660 miliardi
di barili).
Insomma, con buona pace degli americani, il Mar Caspio rimane una delle regioni
chiave dei prossimi decenni ma le compagnie petrolifere non intenderanno
sicuramente investire 4,5 miliardi di dollari per realizzare un oleodotto come
quello Baku-Ceyan: lungo 1730 km attraverso regioni ben poco sicure come il
curdistan turco.
Nonostante che siano rimasti l'unica potenza mondiale gli Stati Uniti
incontrano enormi difficoltà ad imporre la loro strategia, tesa a
limitare al massimo il peso della Russia nell'area caspica. Eppure la
Transcaucasia (formata da Georgia, Armenia e Azerbaijan) rimane il ponte
fondamentale fra l'Asia e l'Europa, ponte sul quale far passare la "nuova via
della seta" cioè quella serie di oleodotti, autostrade e ferrovie
necessari a mettere più facilmente le mani sui tesori della regione: il
petrolio del Mar Caspio, ma anche il gas del Turkmenistan, il cotone
dell'Uzbekistan, l'oro del Kirghirstan...
Questa fase di stallo sembra destinata a durare a lungo. Se l'oleodotto per
Cejhan non si farà, come sembra probabile, il Mar Nero manterrà
la sua importanza strategica, ma, soprattutto, la manterranno i Balcani,
necessaria via di transito terrestre verso l'Europa dell'oro nero del Caspio.
Come si vede ci troviamo di fronte all'enorme scacchiera del "grande gioco" del
petrolio, un gioco nel quale le popolazioni sono oggetti nelle mani degli
imperialismi e delle multinazionali: nel Kosovo come nel Nagorno Karabach, in
Abkhazija come in Cecenia o nel Daghestan.
M. Baldassarri.
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