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Da "Umanità Nova" n.17 del 13 maggio 2001

Dibattito/globalizzazione
Contraddizioni, lotte, movimenti

Nell'articolo "Alcune tesi sulla globalizzazione" (Umanità Nova n.16 del 6/5/2001) abbiamo affrontato quelle che sono le dinamiche principali dei processi di globalizzazione a livello economico, produttivo, sociale e geopolitico. Affrontiamo ora, sinteticamente, l'ambito delle questioni che concernono le contraddizioni che questi processi stanno aggravando, i movimenti di opposizione che si stanno sviluppando e le prospettive di costruzione e di crescita di una strategia internazionalista.

Contraddizioni vecchie e nuove

Parliamo di contraddizioni vecchie e nuove non per marcare una cesura netta tra vecchie e nuove potenziali crepe che si aprono nel tessuto del dominio capitalistico, ma proprio per mostrare la profonda dipendenza delle seconde dalle prime.

La prima è quella tra la natura transnazionale dei capitali e il permanere di tre grandi poli imperialistici: Gli USA, l'Europa e il Giappone. Da questo punto di vista il crollo del blocco dell'est (subalterno all'imperialismo dell'URSS) non ha fatto altro che rendere esplicita una situazione di fatto in cui l'anello debole della catena - anche ben prima del crollo dell'assetto di Yalta - non era in grado di reggere il confronto, se non sul piano della spartizione militare del mondo. Più nello specifico, e come abbiamo già rilevato, il nuovo assetto geopolitico mondiale non ha fatto che favorire, da un lato, la circolazione dei capitali senza i tradizionali vincoli, dall'altro, il rinnovato protagonismo dei poli imperialistici dominanti impegnati a disputarsi le nuove aree d'influenza resesi disponibili. Questo attivismo si caratterizza poi in modo peculiare in Europa, dove al ruolo egemone della Germania si contrappongono le ambizioni delle altre borghesie nazionali, non ultima quella italiana. L'intreccio dunque tra transnazionalità e interessi di grandi gruppi baricentrati continentalmente o nazionalmente è dunque ben lungi dall'essersi dissolto nei processi di globalizzazione.

La seconda contraddizione è invece quella tra questa situazione di tripartizione mondiale e il ruolo predominante degli USA che continua a crescere di portata. Parliamo evidentemente di un ruolo non semplicemente militare (gli USA "gendarmi" del mondo) ma della capacità complessiva di orientare - con enormi mezzi economici e finanziari - lo sviluppo e l'espansione capitalistica mondiale.

La terza contraddizione rilevante - ancora a livello globale - è la crescente divaricazione tra paesi ricchi e paesi poveri. La storica contraddizione fra il nord e il sud del mondo, ricco e industrializzato il primo, povero e fondato su economia di sussistenza il secondo, si trasforma in quella tra un centro del mondo, cuore dell'economia, della finanza e delle decisioni strategiche, ed una periferia su cui viene decentrata una parte della produzione mondiale senza che ciò si traduca, se non in minima parte, in un miglioramento delle condizioni di vita di quelle popolazioni.

La quarta contraddizione è la marginalizzazione crescente di vasti strati della popolazione all'interno dei singoli paesi. Questo ovviamente vale sia per i paesi avanzati dove la precarietà del lavoro e del reddito aggredisce fasce crescenti di working class, sia per i paesi della periferia dell'impero dove la proletarizzazione di crescenti masse di popolazione genera una classe operaia che - debole in quanto ancora priva di coscienza e di tradizioni di lotta - non fa da contrappeso alla rapacità aggressiva delle nuove borghesie locali, né all'immiserimento crescente degli esclusi, le cui tradizionali economie di sopravvivenza sono minacciate dal dispiegarsi del modo di produzione capitalistico.

Infine, la quinta ed ultima contraddizione riguarda proprio la necessità dei capitalismi dei paesi più avanzati di favorire lo spostamento di masse crescenti di lavoratori dalla periferia del mondo per rifornirsi di forza-lavoro a basso costo e la contestuale necessità di controllare flussi migratori indiscriminati.

I movimenti di opposizione

Negli ultimi anni si sono sviluppati in vari paesi movimenti di opposizione che si richiamano specificamente alla "lotta contro la globalizzazione". Da Seattle in poi ogni summit, riunione o vertice di organismi sovranazionali è stato scadenzato da grandi contestazioni da parte di manifestanti provenienti da diversi paesi.

Questa opposizione che si sta contrapponendo ai processi di globalizzazione è sicuramente eterogenea e composita, oltre che dal punto di vista della nazionalità, anche da quello sociale e politico.

Dal punto di vista sociale, il cosiddetto "popolo di Seattle" è la manifestazione più lampante dell'aggregazione provvisoria di interessi molto diversi: metalmeccanici americani e agricoltori francesi, ambientalisti ed esponenti di movimenti sindacali europei e sudamericani, studenti e minoranze rivoluzionarie, ecc. ecc.

Tutti costoro - proiettati sulle loro basi di consenso sociale - esprimono la convergenza di movimenti di resistenza alle sfide devastanti della ristrutturazione capitalistica su scala transnazionale che manda in rovina interi settori produttivi, segmenti di classi sociali relativi e attacca le condizioni di vita di vasti strati di popolazione.

Si tratta però, spesso, di una convergenza di momenti di lotta contro un nemico comune, che prescinde abbondantemente perfino dalla possibilità di costruire strategie o programmi comuni. Valga infatti come esempio la difficoltà di conciliare le pulsioni protezioniste di strati di lavoratori americani o di agricoltori francesi con le tematiche parziali dell'ambientalismo o, addirittura, con il richiamo ad un nuovo internazionalismo da parte di militanti politici.

Dal punto di vista politico c'è invece da rimarcare il carattere più o meno esplicitamente riformista di diverse posizioni antiglobalizzatrici. Si tratta spesso di punti di vista che considerano emendabile il sistema capitalistico dai suoi aspetti più distruttivi e si propongono di democratizzarlo, controllarne gli eccessi e renderlo più "umano". In Italia questo avviene, ad esempio, o con la richiesta di recuperare le vecchie forme di Welfare (R.C.) o con la creazione di nuove (sostenitori del reddito di cittadinanza).

Infine c'è da considerare - proprio a testimoniare la debolezza complessiva del movimento antiglobalizzazione - che l'estrema destra populista (nelle sue varie articolazioni leghiste, autonomiste, neofasciste o addirittura neonaziste) sostiene sul piano astratto dei principi, alcune critiche - anche radicali - ai processi di globalizzazione, dalle quali molte forze di sinistra fanno fatica a differenziarsi.

Per una strategia internazionalista

Le coordinate di una possibile strategia libertaria e internazionalista - in questa fase di latitanza di movimenti generalizzati di lotta - non possono che essere indicate prevalentemente in linea generale e sulla base di una critica radicale all'esistente.

In primo luogo va considerato il carattere limitativo di una strategia antiglobalizzatrice "tout-court" che non coglie né l'ineluttabilità di alcune trasformazioni, né alcuni loro caratteri potenzialmente unificanti nei confronti delle classi lavoratrici, come l'estensione a livello planetario delle forme occidentali della contraddizione capitale-lavoro.

In secondo luogo è necessario contrastare, in linea di principio e nella prassi, ogni illusione di poter controllare o riformare in senso democratico processi (e/o organismi che ne sono espressione o se ne fanno tramite) che hanno come unico scopo l'intensificazione dello sfruttamento e dell'accumulazione capitalistica, ovvero, in altre parole, il dispiegamento totale del dominio capitalistico su tutto il mondo.

In terzo luogo è fondamentale indicare come nemico principale gli statalismi vecchi e nuovi, siano essi nazionali, sovranazionali o regionali (anche se mascherati da federalismi). L'istituzione di governo sotto qualunque forma si presenti è sempre l'apparato di dominio della classe dominante: restringerla a territori omogenei o estenderla a livello planetario (e si tratta comunque di livelli integrabili) non ne cambia la natura.

Infine, come indicazione del tutto generale, non possiamo che ribadire la necessità di lotte radicali e senza illusorie mediazioni al sistema capitalistico, in tutte le sue forme, manifestazioni e trasformazioni. La transnazionalizzazione del capitale e dello sfruttamento crea - come sempre - anche le condizioni per una sua caduta: la nascita di un proletariato sovranazionale che parla lo stesso linguaggio di oppressione, di sfruttamento e di voglia di riscatto, l'humus per un nuovo internazionalismo rivoluzionario.

Guido Barroero

Nota: Come per il precedente articolo sopracitato, tengo a precisare che quanto ho scritto è frutto di discussioni avvenute negli ultimi mesi all'interno del Coordinamento Anarchico Genovese e che, materialmente, mi sono preso l'incarico di stendere.



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