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Umanità Nova, n 17 del 14 maggio 2006, anno 86

Bolivia: Mujeres Creando
Eva non sarà generata dalla costola di Evo



Vi proponiamo uno scritto delle femministe radicali boliviane del gruppo "Mujeres Creando". Stilato poco dopo la vittoria di Evo Morales alle presidenziali boliviane, salutate con giubilo da tanta sinistra terzomondista ed indigenista, ci offre un punto di vista "altro", un punto di vista che nessuno può o vuole mettere in luce: un punto di vista femminista e libertario.
Nel riquadro una sorta di autopresentazione di Mujeres Creando.


Il trionfo di Evo Morales è così profondamente seducente, accattivante e magnetico da far venir voglia di poter tornare indietro per unirsi alle decine di donne cocaleras che, nel giorno delle elezioni, prepararono la merenda per le centinaia di giornalisti stranieri che fecero colazione con zuppa di pesce assieme allo stesso Evo ad Ibrigarzama, il paese del Chapare dove egli stesso votò.

Ah, se ci fossimo svegliate presto il mattino, assieme a quelle donne, per avere il tempo di pulire tra le gambe, nel fiume, centinaia di pesci freschi; se ci fossimo tagliate assieme a loro le dita per condire con il sangue il contorno di torri di patate e di banane e di yucas e di riso; se ci fossimo immerse, con i capezzoli eretti per l'emozione, nella frenesia creatasi per servire i piatti rapidamente affinché i giornalisti potessero fare le loro domande ed Evo e la sua comitiva di uomini e più uomini potessero rispondere, oltre che fare una buona colazione in una giornata per loro storica. 

In Bolivia dicono senza vergogna che ha vinto "il poncho e la cravatta", metafora che dicono sintetizza l'unità della patria ed il cambiamento storico che si è prodotto. Il poncho rappresenta l'indio, mentre la cravatta il caballero. E la patria non è la madre bensì il padre e non rappresenta la società bensì il potere.

Salta agli occhi con evidenza non l'esclusione della donna, quanto piuttosto l'utilizzo servile di centinaia di noi nei compiti storici che le sinistre, per sempre, ci hanno riconosciuto, e che oggi gli indigenismi perpetuano: lavare, cucinare, servire ed organizzare tutto in silenzio, mute, con emozione da sottomesse, con pazienza da schiave e, ovviamente, con devozione da amanti che danno con piacere il loro contributo per le notti del caudillo e delle sue comitive di turno.

È chiaro che si tratta di questioni minori, alle quali ovviamente nessun giornale da spazio e che nessun analista mette in rilievo, perché nessuno le nota. E soprattutto perché in nessun luogo del mondo, nel Nord come nel Sud, si concepisce uno spazio altro per la donna nel cambiamento sociale e, innanzitutto, non si concepisce un cambiamento sociale altro.

Evo è bello, la sua pelle è caffè come il cacao, il suo percorso politico è fatto di marce e ancora  marce e il suo anti-imperialismo è oggi la condizione più importante. 

Il fatto che sia un padre irresponsabile che non concede i sussidi familiari e che sia arrivato a non riconoscere la paternità di sua figlia non ha avuto, non ha e non avrà importanza, proprio nessuna importanza. Egli è qualcosa di più, forse ciò lo rende più "autentico", soprattutto perché Evo non è Eva e non deve render conto del suo corpo, dei sui affetti e dei suoi difetti. La dignità che Evo reclama al mondo non è la dignità delle donne, ma la dignità dei popoli indigeni, e le due cose non si equivalgono. Benché l'una e l'altra dovrebbero teoricamente essere dignità parallele, dignità analoghe, dignità sorelle, nella pratica politica si dimostra oggi, per l'ennesima volta, che in senso patriarcale è possibile reclamarne una e negare l'altra. In senso patriarcale è possibile la fratellanza tra caballeros e indios costruita sull'innominabile servitù delle donne.

Evo fa anche riferimento alla "retorica di genere" dei partiti neoliberali. Introduce una quota minima di donne nelle sue liste, quota irrisoria per lo più (su 15 deputati uninominali, una sola donna). Ma oltre a questo, per porre le basi dell'alterità e della parità delle donne nell'Assemblea Costituente si allea con le ONG che hanno rappresentato la tecnocrazia di genere. L'alterità e la parità si tradurranno in una quota biologica che nega la rappresentanza politica diretta delle donne. E soprattutto, tale quota tenderà a neutralizzare la rappresentanza autonoma e non-partitica delle donne nella costituente.

Evo reclama la dignità dei quechua e degli aymará, fa riferimento alla dignità degli uomini che appartengono a queste culture. Si rifà alla cultura dei popoli originari e reclama il "diritto" di accesso al potere da parte degli uomini che appartengono a tali culture. La rivendicazione, dunque, si riassume e si consuma nell'accesso al controllo dello Stato. 

Il peso simbolico del colore della pelle di Evo e il peso simbolico della capanna senza luce né acqua in cui nacque scombinano i razzismi della società boliviana, perciò Evo diviene un'iniezione di speranza che ci mancava da vent'anni. Evo è un balsamo con cui la società ha deciso di alleviare le proprie pene e le proprie stanchezze.

Lo Stato che regola tutte le relazioni sociali

Il balsamico Evo vuole passare l'esame, controllare lo Stato, andare d'accordo con l'esercito del quale si sente, come egli stesso dice, "un soldato in più"; vuole essere balsamico e andare d'accordo con i banchieri e gli imprenditori dando loro opportunità affinché non pensino che un "indio" è distruttivo.
Vuole essere balsamico con i movimenti sociali e renderli parte di ciò che è governabile.

Vuole essere balsamico con le regioni e saggiare tutte le forze possibili del suo governo.

Fin qui, dopo anni di agitazione sociale, di corruzione smisurata e di intasamento in tutti i sensi, quelle che ci porta Evo sono buone notizie e nel paese, pur con qualche differenza, tutte le forze sociali hanno fatto i migliori auguri al suo governo. Così, assieme ad Evo, lo Stato minaccia di trasformarsi in qualcosa che regola e divora tutte le relazioni sociali e tutti gli scenari pubblici.

Donne indigene, puttane e lesbiche unite, in rivolta e affratellate

Conoscendo il modo in cui il neoliberismo ha utilizzato e utilizza la forza lavoro femminile come materasso poco costoso per la propria sopravvivenza, porremo ad Evo la questione delle debitrici, delle insolventi, delle migranti che vengono escluse dal neoliberismo.

Conoscendo il modo in cui la Chiesa cattolica e le sette cristiane predicano la sottomissione delle donne, condannano il divorzio e nelle loro scuole sottopongono ad umiliazioni i bambini e le bambine di madri single, porremo ad Evo la questione dello Stato laico e della sovranità delle donne sul loro proprio corpo attraverso l'educazione sessuale.

Conoscendo il modo in cui lo Stato ricatta le donne costrette a prostituirsi attraverso la mutilazione dei loro corpi allo scopo di trasformarli in vagine, porremo ad Evo la questione dell'assicurazione integrale per tutte loro, unica condizione che restituisce l'integrità dei loro corpi.

In qualità di disobbedienti culturali, che non vedono alcuna purezza né modelli di perfezione nelle culture originarie, smonteremo i miti culturali della complementarietà uomo-donna che appartengono alle culture originarie stesse.

Noi accettiamo la sfida attuale che consiste nel considerare lo Stato come lo scenario di riferimento per molte cose importanti e in tale contesto avanzeremo le proposte che coltiviamo da anni, ma allo stesso tempo sappiamo che la strada è scenario non-statale e che la speranza sta sempre nell'autogestione dei movimenti, nella capacità di organizzarsi e di costruire un soggetto politico con voce propria. Ancor più per le donne la speranza sta nella costruzione di un ruolo sociale altro, che non consista nell'essere poco esigenti consumatrici di quote biologiche.

Molte cose belle verranno in questo momento storico.

In Bolivia si potranno ora avanzare molte proposte, ma senza dubbio Eva non sarà generata dalla costola di Evo.

María Galindo (attivista di Mujeres Creando)
da Tierra y Libertad n. 211, febrero de 2006; www.nodo50.org/tierraylibertad

per un'analisi sulla situazione boliviana vedi "Sul filo del rasoio. Bolivia: la vittoria di Morales e la partita mortale con gli USA" in Umanità Nova n. 2 del 22 gennaio 2006, http://www.ecn.org/uenne/archivio/archivio2006/un02/art4037.html

a cura di (e traduzioni di) Silvestro


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