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Proponiamo alcuni elementi di riflessione come invito al confronto con tutte quelle realtà antagoniste e di base interessate . Questo documento nasce come sintesi e riepilogo del dibattito politico interno al collettivo del Centro Sociale Vittoria. In un momento successivo è emersa l'esigenza di provare a utilizzarlo per uno "scambio" di esperienze tra tutte quelle realtà che si muovono sul territorio anche con specificità diverse. Come elaborato interno può probabilmente risultare didascalico soprattutto nella prima parte e magari carente da molti punti di vista, ma lo riteniamo egualmente interessante per tentare di aprire un confronto con altre realtà nazionali una volta tanto non finalizzato a una scadenza.

 

 

 
ELEMENTI DI RIFLESSIONE E CONTRIBUTO AL DIBATTITO SU
GLOBALIZZAZIONE / PRECARIZZAZIONE
DIRITTI E RICOMPOSIZIONE SOCIALE.
 
 


 

Il progressivo ridimensionamento della grande concentrazione produttiva, il generalizzato processo di snellimento aziendale a tutti i livelli (down sizing), lo sgretolamento stesso del concetto di identità collettiva della classe, ci pone oggi di fronte a problemi di adeguamento dell'elaborazione politica parallelamente alla necessità dell'individuazione di pratiche di lotta, anche sul terreno della sperimentazione , che ci permettano di tracciare indirizzi di massima e obbiettivi da perseguire. - Cerchiamo ora di mettere qualche punto fermo in relazione a quello che diamo come scontato sia nostro bagaglio collettivo di analisi generale.

 

 


 INTRODUZIONE

 

 

 

Siamo in un quadro economico di modificazione del modello produttivo "fordista" e cioè in sintesi di uno stravolgimento di quel meccanismo dell' "economia di scala" che creava il suo mercato grazie alla moltiplicazione dei volumi produttivi (secondo l'equazione : maggior numero di pezzi prodotti = minor costo del pezzo = maggior accessibilità = maggior numero dei pezzi venduti) lavorando in una situazione di mercato pressochè illimitato (boom economico post bellico) o comunque in forte espansione . L'inserimento nei processi produttivi di sempre più evolute tecnologie informatiche e il sempre più evoluto sviluppo delle conoscenze nel campo della microelettronica fanno si che la quantita di lavoro vivo per produrre la stessa quantità di merce decresca sempre più : la ovvia conseguenza è che a fronte di un aumento della domanda non corrisponde piu un incremento della occupazione. Le nuove frontiere raggiunte nel campo della tecnologia della comunicazione permettono e accellerano la progressiva globalizzazione dell'economia ; l'aggregazione in grandi cordate finanziarie , le nuove fusioni nel settore bancario e nel campo delle telecomunicazioni , il riassetto proprietario nella produzione auto ecc. danno il segnale chiaro dell'indirizzo sovrannazionale e monopolista che l'organizzazione produttiva continua a percorrere.
Nel contempo però l'incapacità strutturale di pianificazione del modo di produzione capitalistico , in una fase di parziale saturazione dei mercati , tende a determinare picchi di produzione e di commercializzazione che , senza inoltre più sviluppare forza lavoro stabile, sono destinati ad estinguersi sul breve periodo , con livelli di concorrenza nazionale , intereuropea e internazionale, sostenibili solo a prezzo di una drastica trasformazione dell'organizzazione del lavoro e delle relazioni sociali nella società nel suo complesso. La rigenerazione economica del processo di accumulazione di capitale e la sua stessa sopravvivenza sono pertanto oggi legate all'affermazione di una organizzazione del lavoro precaria, flessibile e individualizzata .La corsa verso questa cosidetta "deregulation" sarà sempre più forte quanto più stabili (es. Euro) saranno i mercati e i cambi , all'interno dei quali,senza più fluttuazioni monetarie provocate da politiche svalutative per favorire le esportazioni , si vengono a determinare livelli di concorrenza intereuropea e internazionale che sui fronti interni, per ricaduta, andranno ad intaccare le parti più "variabili" che concorrono a determinare il prezzo delle merci, e cioè i livelli salariali, e nel suo complesso, ogni forma di garanzia sociale che le lotte operaie e proletarie erano riuscite a conquistare. L'obiettivo è in pratica definire un assetto di relazioni sociali all'interno delle quali, distruggendo ogni forma di "rigidità" e resistenza operaia, le classi dominanti abbiano la possibilità di disarticolare e ricomporre , flessibilizzare e plasmare macchine tempi orari e la stessa vita di donne e uomini in base all'esigenze "della razionalità e oggettività" della produzione, definendo una nuova organizzazione del lavoro che , con un funzionamento a fisarmonica , possa espandersi e restringersi in relazione alle richieste del mercato. Il processo di superamento del "fordismo" e della grande concentrazione industriale , improponibile nel mercato globale "usa e getta", anziché generare tout court "la fine del lavoro" e distruggere la "fabbrica" e la classe , l'ha scomposta, atomizzata e dispiegata nel territorio, riproducendo, parallelamente alle nuove fabbriche con processi produttivi integrati, nuove e virulente forme di schiavitù , accentuate in maniera esponenziale dai grandi flussi migratori , aziende tecnologicamente avanzatissime insieme a un indotto con rapporti terroristici di lavoro all'insegna della precarietà dell'esistenza stessa .La tendenza alla globalizzazione dei processi produttivi finalizzata all'abbattimento dei costi e al mantenimento di un alto livello di accumulazione dei profitti, incorpora modella e relaziona tra loro in un rapporto causa effetto tutta una serie di fattori che proviamo a elencare sommariamente per punti .

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PRECARIZZAZIONE E FLESSIBILIZZAZIONE

 

 

 

Proprio perché l'interesse del capitale è la massima riduzione dei costi che deve essere libera e incontrastabile , c'è stata un'operazione giuridico - istituzionale a sostegno della precarizzazione del mercato del lavoro così efficace e capillare da attribuire ai processi produttivi caratteristiche pesantemente involutive : lavoro con ritenuta d'acconto, contratti a tempo determinato , costrizione al part-time , aree di crisi e gabbie salariali , salari d'ingresso e in ultimo il lavoro in affitto con l'introduzione delle agenzie private di lavoro interinale (ulteriore forma di sfruttamento nello sfruttamento) sempre più diffuse nel territorio milanese. - Nella realtà milanese a fronte di un tasso di disoccupazione sensibilmente inferiore rispetto alla media nazionale , il lavoro precario è una delle condizioni più diffuse ,con una percentuale (tra le nuove assunzioni) di più del 70 % di contratti di lavoro "flessibili" .Il pacchetto Treu è stato un grosso segnale di legalizzazione della maggior flessibilità possibile, come richiesto continuamente dal piccolo imprenditore edile fino ad arrivare al FMI., nel disprezzo di ogni garanzia sociale sia per le assunzioni che per il licenziamento. In questo senso vanno considerati i referendum radicali e la proposta di legge del deputato ulivista De Benedetti che prevede l'abolizione della" giusta causa " (ART.18) rendendo così possibile una decisione unilaterale e arbitraria da parte dell'azienda. Queste "aree" di lavoro precario e flessibile disgregano ulteriormente i lavoratori , accentuandone le differenze superficiali e nascondendo invece le identiche condizioni di sfruttamento cui sono tutti sottoposti, abbattendone ogni forma di potere rivendicativo/contrattuale e di capacità potenziale di conflitto , seppellendo le concezioni di egualitarismo delle grandi battaglie sociali fine anni '60 primi' 70 , con la ricattabilità e l'insicurezza del posto di lavoro insieme all'accettazione di un ruolo di subalternità al modo di produzione capitalistico e a una tragica cooptazione ideologica e identificazione in esso da parte dei lavoratori . Il Patto del lavoro di Milano più in specifico rappresenta , con la copertura e il pretesto - tanto caro ai governi di centro-destra e centro-sinistra - di far emergere lavoro nero o di riavvicinare al lavoro settori sociali portatori di disagio (lavoratori over 40,fasce di emarginazione sociale , immigrati) , la volontà di applicare in una delle regioni più ricche d'Europa una sorta di gabbia salariale con l'intento di provocare una diminuzione complessiva dei livelli salariali erodendo lavoro "garantito " ad esempio nelle municipalizzate e appaltandolo a cooperative con assunzioni secondo le nuove regole del Patto .

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DELOCALIZZAZIONE

 

 

 

La flessibilità del capitale e della sua organizzazione produttiva si va imponendo anche attraverso questo processo : la liberazione dai vincoli dei confini nazionali , il progressivo superamento del concetto di Stato-Nazione , l'attribuzione ai governi nazionali del ruolo di direzione di piano del più grande supermercato dell'econonomia mondiale globalizzata finalizzata allo stravolgimento di ogni possibile ostacolo contrattuale o burocratico, in sintesi la tendenza a muovere liberamente i capitali per investire là dove si è imposto un contenimento dei costi , dove il lavoro è più sfruttabile , costa poco ed è meno regolamentato . Ad esempio : le imprese spostano la sede legale nei cosiddetti paradisi fiscali , la produzione nelle aree asiatiche o nei paesi dell'estEuropeo e lasciano le infrastrutture e la gestione commerciale dove è più vicina la ricerca tecnologica (di qui anche il progetto di asservimento delle università e della ricerca alle esigenze del capitale ) e dove più alti sono gli standard delle comunicazioni .Questo processo determina la formazione di grandi aree mondiali di produzione dove tutto - infrastrutture , servizi, comunicazioni , tempi vitali e costo del lavoro sono ottimizzati per il massimo livello di accumulazione di profitto per le multinazionali.

 


ESTERNALIZZAZIONE

 

 

 

E' un aspetto di quel processo di snellimento, di cui parlavamo all'inizio, con un'accelerazione della volontà delle grandi aziende di affidare la produzione o parte di essa a piccole imprese (spesso cooperative con mano d'opera in affitto o in nero) ad alta densità di sfruttamento, agganciate al ciclo della sottofornitura e del subappalto che si integrano in maniera organica (sono anche spesso mono-mandatarie) all'organizzazione del lavoro dell'impresa committente. Il senso dell'operazione è di facile comprensione: diminuire la quota di lavoro "fisso" (costi fissi per l'azienda) , aumentare di conseguenza la flessibilità della propria organizzazione produttiva senza alcun costo aggiuntivo , e , con la fortissima concorrenza presente in questo settore , determinare un'abbassamento del costo del prodotto lavorato a scapito del livello salariale complessivo dei lavoratori assunti in questo indotto. - Gli esempi sono innumerevoli , dal campo edilizio a quello dei gadgets promozionali , da quello delle cartotecniche tutto fare a quello dei trasporti e del facchinaggio , uno per tutti le aziende o cooperative nel meridione che producono capi firmati a bassissimo costo con salari da schiavitù per il settore della moda , ma immessi sul mercato a prezzi elevatissimi . - E', in sintesi , uno degli effetti più diffusi del processo di trasformazione dell'organizzazione del lavoro post-fordista.

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TEMPI DI LAVORO E PRODUZIONE JUST IN TIME

 

 

 

Il "just in time" è il modello di produzione che si attiva contemporaneamente all'arrivo della commessa per il prodotto specifico richiesto dal mercato. Oltre agli esempi delle cosiddette "fabbriche integrate" tipo lo stabilimento FIAT di Melfi , dove arrivo della materia prima, stoccaggio , assemblaggio , lavorazione , finitura e consegna alla distribuzione hanno tempi immediatamente consequenziali distribuiti lungo cicli di 24 ore per il pieno sfruttamento degli impianti , il cosiddetto just in time è un modello produttivo verso il quale è ormai orientata complessivamente l'organizzazione produttiva capitalista , ma più in specifico è adottato dalle imprese esternalizzate a personale flessibilizzato. Nell'era dell'economia globalizzata e del mercato" usa e getta" , l'impresa produce solo ciò che ha già venduto con la stipulazione di un contratto o che è già certa di vendere a breve , riducendo i costi di un lungo e improduttivo immagazzinaggio (costo degli spazi + costo del denaro + insicurezza della vendita). E' di immediata comprensione come questo modello organizzativo diventi filosofia produttiva nel momento in cui va a ridefinire un mercato del lavoro in relazione all'assoluta esigenza di flessibilità per ciò che riguarda il numero delle braccia e il tempo di lavoro necessario per soddisfare la specifica commessa . La riprogrammazione degli orari è oggi un ottimo strumento per piegare i diritti dei lavoratori ad una sempre maggiore flessibilità ; infatti le statistiche europee presentano una generale diminuzione degli occupati a fronte di un'estensione del tempo di lavoro reale . L'orario straordinario, da sempre utilizzato dalle imprese per fronteggiare picchi di produzione improvvisi o emergenziali, ha oggi assunto un carattere fisiologico , e l'accettazione della variabilità del tempo di lavoro diventa discriminante in sede di assunzione. Il part-time non è più una scelta di alcune fasce di lavoratori che vedevano in questo la possibilità di mediare fra reddito e gestione del proprio tempo ma un'imposizione delle aziende che vi ricorrono come percentuale sempre maggiore e ipersfruttata di forza-lavoro stabilmente occupata o addirittura in sostituzione ad essa.

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INDIVIDUALIZZAZIONE

 

 

 

E' la tendenza da parte delle imprese a stabilire contratti e rapporti individualizzati con il lavoratore , sul modello statunitense , sganciati dalla logica solidaristica della contrattazione collettiva per subordinarne completamente il ruolo, con un meccanismo di incentivazione/ricatto, all'esigenze di produttività dell'azienda. (incentivazione economica - gratificazione e riconoscimento del proprio ruolo collaborativo nei confronti dell'azienda parallelamente al ricatto sulla sicurezza del mantenimento del proprio posto di lavoro). L'obiettivo da raggiungere è che ogni lavoratore/lavoratrice venga immesso/a sul mercato del lavoro come in un'asta al ribasso, dove ciò che vengono più valorizzate sono le capacità di autosfruttamento e d'assunzione di responsabilità "creativa" all'interno del ciclo produttivo. Lo svilupparsi e il generalizzarsi di forme di lavoro non direttamente "subordinato" e virtualmente autonomo, caratteristiche dell'organizzazione del lavoro (per esemplificare detta) post-fordista, accentuano il problema dell'autoresponsabilizzazione e dell'adesione ideologica al proprio sfruttamento da parte del lavoratore; come ingranaggio umano ben oliato che deve finalizzare ogni sua risorsa cerebrale e fisica al buon funzionamento della macchina capitalista.

 


FINANZIARIZZAZIONE

 

 

 

Gli enormi profitti che le imprese hanno prodotto nell'ultimo decennio non sono stati che in minima parte reinvestiti in investimenti produttivi mirati ad allargare la base occupazionale. - Si è via via dissolto quel "patto sociale" post bellico basato sul fatto che la maggior ricchezza per l'impresa avrebbe (una volta ancorata l'appropriazione del plus valore alla produzione di merci) generato nuovi posti di lavoro e per ricaduta una maggiore diffusione di benessere con un conseguente aumento dei consumi ed un ulteriore ritorno in termini occupazionali. - Quei meccanismi di modificazione dell'organizzazione del modo di produzione capitalistico hanno nel tempo "liberato" immensi profitti dalle mura della fabbrica, permettendogli di spostarsi , dove come e quando, le possibilità di profitto erano maggiori, in tempo reale e a spese delle economie nazionali . - Quanto più si determinano situazioni di sfruttamento e di saccheggio delle risorse umane e naturali di un paese che si è piegato ai dettami del F.M.I. , tanto più gli indici della borsa salgono e aumentano gli investimenti stranieri. - Questo perverso indice di proporzionalità spesso prende la mano agli stessi speculatori con il risultato di gonfiare a dismisura le borse, fino all'esplodere delle grandi bolle speculative, con il conseguente crack bancario e la crisi produttiva che essa comporta , pagata con la fame e la disperazione da milioni di esseri umani . (Ricordiamo a proposito la crisi economica e finanziaria del 1999 di alcuni paesi del Sud-Est asiatico).

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TERZO SETTORE - NO PROFIT

 

 

 

A questo punto del tentativo di indicare, in maniera sommaria, gli elementi sui quali sta viaggiando la ristrutturazione neoliberista del modo di produzione capitalistico, anche se non direttamente organico a questo processo, quantomeno nell'idealità di come viene vissuto, il terzo settore - no profit rappresenta un'elemento sempre più importante nella società italiana e da questo punto di vista cerchiamo di riportare alcuni spunti di riflessione. - In un quadro economico dove il problema all'ordine del giorno è la flessibilità dei mercati - e cioè la definizione di un mercato con strutturali e marcate fasi fluttuanti di stagnazione e accelerazione della produzione, con le ovvie pesanti ricadute sui livelli occupazionali - poter disporre di un "luogo" dove parcheggiare, in maniera non conflittuale, centinaia di migliaia , se non milioni di persone, è oggettivamente molto funzionale agli interesse di sopravvivenza del capitalismo. - Ancor meglio se il lavoro in questione si svolge in sostituzione e come ovvia delegittimazione di uno "stato sociale", inteso come insieme di garanzie sociali e assistenza, di fronte a un processo continuo di privatizzazione; ad esempio un'attività come quella di cura degli anziani o dei portatori di handicap, affidata alle cosiddette cooperative sociali, nei fatti svuota di responsabilità il "pubblico", e finanzia un privato che di sociale ha ben poco. (basta guardare gli stipendi e la tipologia d'assunzione degli operatori del settore). - Di fatto è un settore nel quale o c'è autosfruttamento (volontariato laico o cattolico), o livelli di salario sensibilmente più bassi e meno garantiti degli standard contrattuali; tutto ciò va posto oggettivamente in relazione a uno svilimento e a una demolizione di uno stato sociale basato su diritti collettivi, sostituendo, molte volte con costi maggiori, posti "garantiti" da contratti nazionali, con posti di lavoro flessibilizzati e precari. - In sintesi queste riflessioni servono per capire come nel loro complesso, ma senza generalizzazioni tout court, le imprese sociali (?) il terzo settore ecc. siano funzionali agli interessi della continua ristrutturazione capitalista, e questo spiega l'interesse della fondazione Agnelli in questo campo, al di là del ruolo contingente di indubbia utilità sociale e al di là delle motivazioni comprensibilmente positive e solidaristiche che spingono in molti casi verso il volontariato sociale.

 

 

Pur se in maniera sicuramente schematica e non esaustiva e tralasciando di entrare nel merito specifico delle contraddizioni sovrastrutturali che ognuno di quegli elementi porta con sè, questa è in sintesi la nostra riflessione di carattere generale elemento di discussione degli ultimi anni. Questo è ad oggi il frutto, una volta tanto nero su bianco, della nostra elaborazione politica del quadro generale; ed è da questi elementi di comprensione della realtà che dobbiamo partire per poter arrivare al secondo aspetto della questione da affrontare espressa nel titolo e cioè quella di tentare di comprendere dal punto di vista teorico quali possano essere gli elementi per la ricomposizione sociale da tradurre nella pratica quotidiana dei nostri percorsi e per il rilancio dei conflitti all'interno dei compiti che come soggetto politico all'interno di una pratica sociale possiamo e potremo sviluppare.

 

 


RICOMPOSIZIONE SOCIALE E CONFLITTO

 

 

 

Il problema è davanti agli occhi di tutti : una serie di modificazioni epocali hanno determinato una scomposizione dei rapporti economici e delle relazioni sociali che ha frammentato le classi subalterne e dato il segno profondo di un approccio di carattere assolutamente individualistico nei confronti della realtà . - Realtà come insieme di contraddizioni vissute all'interno dei meccanismi di dipendenza economica, alienazione e annientamento culturale nel tempo di lavoro e come relazioni interpersonali e sociali nel suo complesso. - La soluzione (?!) è ragionare sulle chiavi interpretative che ci permettano non di galleggiare sulla scomposizione, diventando noi elemento dissonante ma organico al sistema integrale capitalista adottando una sorta di "riformismo sociale", ma al contrario di allargare , trasformare, ricostruire e rinnovare le nostre capacità e i nostri strumenti di lotta per affrontare le sfide della globalizzazione e i suoi effetti anche dal punto di vista della materialità dei bisogni in senso generale. - Ciò che immediatamente possiamo dedurre dalle analisi fatte, è che non esistono né scorciatoie nè parole d'ordine totalizzanti rispetto ad un panorama cosi vasto e contraddittorio; anzi quanto più ampio è il campo delle contraddizioni tanto più dovremmo riuscire ad allargare le nostre capacità di rottura mettendo insieme fronti di lotta diversi. - Se l'aspetto sostanziale delle questioni sociali rimane sempre la contraddizione tra il capitale nelle sue diverse forme da una parte e il lavoro salariato dall'altra, è altrettanto vero che va analizzato come questo si sia modificato nel tempo (e soprattutto quali e quante siano le sue implicazioni nel sociale) e che le società a capitalismo avanzato, come quella italiana, determinino uno spostamento dalla produzione verso forme di lavoro intellettuale e di servizi qualificati di una quota di lavoratori subordinati o "autonomi" proporzionalmente sempre più consistente , e come queste figure sociali così preponderanti (proletariato post-industriale ?) nonostante siano da considerarsi classi sociali subalterne per il loro ruolo nella produzione, siano oggi sicuramente più integrabili per la loro propensione ad interiorizzare valori e comportamenti delle classi dominanti. (da Marcuse in poi c'è fin troppo da leggere). - Tra questo settore sociale e la quota ormai considerata" fisiologica " di disoccupazione da utilizzare come massa di ricatto ed esercito "industriale" di riserva , si allarga l'area del lavoro più direttamente addetta alla produzione, commercializzazione e circolazione delle merci (senza distinzione tra dipendenti o autonomi) che comprende e spazia dagli addetti alla gestione quotidiana dei sercizi al terziario, fino ad arrivare alla tipologia più bassa di mansioni e retribuzioni soggetta ad un livello di ricattabilità lavorativa inversamente proporzionale alla qualifica professionale e all'interno della quale è quantitativamente più elevato il numero delle donne che per prime sono costrette a pagare il prezzo dei processi di ristrutturazione. - La flessibilità rappresenta l'elemento trasversale a tutti i settori sociali travalicando nel tempo l'aspetto di semplice condizione lavorativa per diventare filosofia produttiva e sociale. - Un ulteriore accenno di analisi riguarda gli studenti che, all'interno di un quadro di privatizzazione di tutti i servizi sociali, saranno "accompagnati" dalla scuola lungo un percorso di subordinazione culturale alle esigenze della razionalità produttiva e posti davanti al loro futuro come davanti ad un imbuto da cui dovranno uscire plasmati modellati e collaborativi per andare ad incasellarsi ciascuno al posto per cui si è stati preparati. (autonomia scolastica - stage - preside manager ) - Un'ultima e sintetica riflessione va fatta sulla questione "immigrazione". Al di là della ovvia, assoluta e genetica contrapposizione militante al razzismo in ogni sua forma, al di là della sicura correttezza delle grandi battaglie di principio contro l'ipocrita politica della regolamentazione dei flussi migratori, contro la disumanità dei lager di stato (centri di permanenza temporanea), per la libera circolazione delle persone, [battaglie ideali su cui purtroppo molte volte a Milano abbiamo visto imbastire vergognose operazioni di marketing politico parallelamente a prove generali di avvicinamenti elettoralistici], poco, effettivamente, è stato costruito nei termini di una reale capacità di interlocuzione e di lotta comune con i migranti. La stesse lotte per la rivendicazione del permesso di soggiorno dei migranti di Brescia, che hanno toccato Milano in maniera purtroppo abbastanza superficiale, non hanno saputo, per quanto riguarda la situazione milanese, superare l'aspetto solidaristico (pur senza volerne sminuire l'importanza), senza riuscire a imporre una spinta dal punto di vista della generalizzazione delle tematiche del conflitto. Questo crediamo, sia il terreno più difficile ma prioritario da dover praticare: riuscire a integrare questo nuovo proletariato industriale e/o metropolitano, esaltandone l'enorme spinta conflittuale, in un circuito di lotte unificanti per italiani e migranti sul terreno dei bisogni reali e dei diritti fondamentali: casa, lavoro, salario, salute, cultura, socialità, ecc. - Di fronte a questo quadro c'è sicuramente un ritardo storico della sinistra antagonista nella comprensione degli strumenti utilizzati dalla società del "controllo" per incanalare e integrare, oltre che reprimere, spinte, ribellismo e aspetti comportamentali di rifiuto all'allineamento sociale; e da qui ne conseguono altri elementi di riflessione: - la società del pensiero unico non può essere (o quantomeno non solo ) rappresentata da un insieme di livelli militarizzati e repressivi in termini giudiziari e polizieschi, ma è una società costruita sul consenso e sull'autoallineamento, con campagne istituzionali mass-mediatiche per l'esaltazione della libertà d'impresa e dei suoi valori come cardine ideologico su cui è imperniata la società e su continue trasformazioni anche costituzionali in senso autoritario - maggioritario , presidenzialismo ecc. - in un continuo martellante percorso di autogiustificazione ideologica se non addirittura etica. - Ricordiamoci una per tutte, la vittoria di Berlusconi nel '94 , costruita con un decennio di campagna elettorale subliminale televisiva che ha costruito una fortissima area di consenso sui modelli comportamentali di arrogante fatuità e di colpevolizzazione della povertà propri del consumismo, utilizzati poi , al momento giusto, come sostegno elettorale , e funzionali al dilagare del liberismo negli anni a venire. - Esiste inoltre una semplicistica e riduttiva ma purtroppo radicata concezione di un proletariato idealizzato che come il IV stato di Peliza da Volpedo avanza liberandosi dal giogo delle catene chiedendo pane per i propri figli. - Molte volte chi così pensa, dimentica che quella concezione di proletariato risale alla precisa (ma datata in senso storico) analisi marxista sull'affermazione della rivoluzione industriale borghese nelle cui fabbriche manifatturiere il salario serviva unicamente alla riproduzione della mano d'opera e che circa 2 secoli dopo ad esempio Ford affermava che ogni suo operaio avrebbe dovuto poter acquistare l'auto che produceva; questo certamente non per bontà d'animo ma perchè l'aumento della domanda si sarebbe trasformato in profitto svuotando i magazzini e perchè quel patto sociale, garantito anche da sostegni dello stato ai consumi (Keynes), avrebbe loro assicurato il dominio sulla produzione e sull'intera società. - Detto questo, comprendere che il conflitto capitale-lavoro oggi non si rappresenti come scontro tra affamati contro banchieri, ci permette un approccio più dialetticamente corretto nei confronti delle contraddizioni materiali oggi vissute nelle società a capitalismo avanzato, e ci consente di uscire o quantomeno di provare a farlo, da quel ghetto e quella sfera di marginalità sociale che a noi sta sicuramente stretto, ma che permea le pratiche e l'immaginario ideale di buona parte delle aree antagoniste (area dei Centri Sociali ovviamente inclusa) ; proprio perchè permette un approccio puramente solidaristico e superficiale senza implicazioni di principio e riflessione complessiva. NE' CENTRO-DESTRA NE' CENTRO-SINISTRA. - Siamo oggi di fronte a una destra iperliberista che da come ricetta una completa liberalizzazione dei mercati, una completa deregulation del mercato del lavoro, l'azzeramento dei sistemi di protezione sociale e la privatizzazione di servizi e strutture dello stato (scuola, trasporti, sanità, pensioni ecc.) per abbattere la tassazione e "liberare"capitali. Finanziare le imprese per creare ricchezza. (per chi?). - L'altro fronte del centro-sinistra, una volta accettato il modo di produzione capitalistico e legittimata l'appropriazione di un uomo del plusvalore prodotto da una altro uomo, parla di una sorta di capitalismo sociale e solidale (??!) dove l'accumulo di profitti possa in qualche modo sostenere gli strati più deboli e le nuove povertà create dalla globalizzazione. - In pratica vengono solo tolti gli aggettivi che sottolineano la drasticità dall'enunciazioni di principio del centro destra, con una sorta di gradualizzazione di questo processo, andando ben oltre la cultura storica del riformismo, nell'accettazione di questa come unica società possibile e affidando ogni riforma sociale al vaglio della "concertazione" per controllare e abbattere meglio preventivamente ogni possibilità di conflitto. - La guerra e le scelte di ingerenza territoriale sono solo la logica conseguenza dell'integrazione del centro-sinistra all'interno della politica imperialista nel controllo dei processi di globalizzazione. - Viene comunque in entrambi i casi accettato consapevolmente il fatto che i nostri livelli di benessere e i nostri altissimi livelli di consumo sono permessi da un saccheggio sistematico delle aree più povere del mondo, nella ovvia e scontata comprensione del diverso approccio culturale.


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RAPPRESENTANZA E BASI SOCIALI

 

 

 

Nel processo di superamento dello stato nazione, e del suo ruolo protezionistico di regolazione dei conflitti e di mediazione locale anche conflittuale nei processi economici mondiali, le istituzioni diventano progressivamente agenzie e strumento organico di decentramento del potere globalizzato, assumendo in sè una caratteristica di controllo sociale sempre più generalizzato e trasversale, (giornali, televisioni, comunicazione globale ecc.) molto più consona alla società del pensiero unico. - Ormai lo scontro politico istituzionale verte su chi possa meglio rappresentare gli interessi delle classi dominanti interpretando a seconda delle culture politiche differenti i dettami del F.M.I.. - Nella società dell' "interclassismo del profitto", dai DS a FI ad AN , tralasciando le ovvie sfumature e sensibilità elettoralistiche, diventa veramente difficile comprendere e attribuire a questi partiti ruoli di rappresentanza diversi in relazione a basi sociali diverse e specifici interessi di classe. - Spieghiamoci meglio: a parte probabilmente qualche settore confindustriale particolarmente aggressivo e "innovatore" (deregulation senza concertazione ecc.), a parte qualche settore del commercio che si vede minacciato da ogni forma di sindacalizzazione e vede lo "stato" solo come una unica e oppressiva tassa sul proprio guadagno, diventa impossibile dire chi difenda e sia espressione diretta di interessi di classe o di settori di essa particolari, che sia il ceto medio, l'artigianato, la piccola impresa o la grande industria. - Quello che è chiaro, è che nessuna forza politica isituzionale si pone, se non in minima parte, come espressione coerente e dichiarata degli interessi inconciliabili delle classi sfruttate. La stessa Rifondazione Comunista che cerca di dare di sè l'immagine di baluardo contro il neoliberismo , sceglie strategicamente, al di là delle presunte aperture ai movimenti dei quali poi fa' un utilizzo strumentale, di rimanere invischiata nelle sabbie mobili di una sopravvivenza politica finalizzata alla rappresentanza istituzionale e alla logica entrista di subordinazione ai sindacati confederati con una politica alternante dai 1000 volti e dai 1000 piedi in 1000 scarpe. - Da questo lungo preambolo possiamo dedurre che esiste un enorme vuoto di rappresentanza politica e sociale. - Commetteremmo un grossolano errore se pensassimo che i C.S. possano colmare il vuoto di soggettività complessiva organizzata creato dallo svuotarsi del paradigma : classe operaia fordista/sindacato di classe/partito rivoluzionario della classe. - Sarebbe altrettanto velleitario ritenere che questo vuoto possa essere colmato da uno sforzo soggettivistico di fusione tra microorganizzazioni , nè d'altra parte da strappi verso l'istituzionalizzazione di settori di movimento sicuramente sempre più integrabili in una logica di "sindacato sociale" interclassista di Pannelliana memoria (diritti dell'uomo, aggregazione sociale, antiproibizionismo - radicali anni '70 -) al di là della corretta rivendicabilità tattica di ciascuno di questi obiettivi. - Noi invece siamo convinti che l'esigenza e la necessità stessa di forme di rappresentanza di interessi complessivi (reti autorganizzate di movimenti e/o partito) sia proporzionalmente legata all'estendersi dei conflitti sociali, al superamento dei corporativismi e della settorialità delle lotte, e al profondo interrogarsi da parte dei settori sociali protagonisti, sulle ragioni storiche dell'incompatibilità di quei conflitti, spinti, questo sì, in questa direzione, dalle soggettività politiche collettive che sui bisogni e dalle lotte si sono formate. - Questo , per noi , può innanzitutto voler dire percorrere la strada dell'approfondimento nei rapporti con quelle aree politiche e situazioni di movimento con le quali abbiamo sperimentato la possibilità di interlocuzione privilegiata , come punto di forza nei confronti dell'esterno. - Questo vuol dire , ad esempio, anche una rinnovata capacità di confronto anche magari conflittuale con quella sinistra che , più o meno coerentemente dal punto di vista strategico , "non ci sta" nell'abbellire il volto del capitalismo . - Ben consapevoli però del fatto che non esistono scorciatoie elettoralistiche in un processo di costruzione di una rete con relazioni organiche tra movimenti e realtà autorganizzate; che la ricerca del candidato vincente e l'impegno elettorale non possono sopperire a una incapacità collettiva di confronto e di azione politica unitaria sul terreno concreto delle lotte, per superare quel senso di sbandamento e disorientamento determinato dalle grandi trasformazioni epocali, con la certezza che i finti unitarismi , i tatticismi elettoralistici, i collage e le alleanze di pura i infima convenienza non sono certamente lo strumento per avviare reali momenti di confronto unitario , anche se animate da uno spirito di resistenza contro le "destre". Ne farebbero le spese solo la coerenza dei contenuti per inseguire la " real politik " elettorale, con l'aggravante di indicare un percorso di istituzionalizzazione per realtà e movimenti assolutamente errato strategicamente se crediamo che il nostro compito sia anche quello di trasformare i conflitti sociali in lotta di classe, e il consiglio comunale o il parlamento non sono certamente il luogo prioritario deputato a farla ; a meno che non si ragioni da lobby di pressione con un aberrante concetto di delega tale che la visibilità mass-mediatica o istituzionale possa appunto sopperire alla carenza di idealità , di progetti e di pratica di massa conseguente con una collocazione collaborativa e organica al centro-sinistra che a parole si dice di combattere.

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PIATTAFORMA SOCIALE DI PROGRAMMA E DI LOTTA ?

 

 

 

Nonostante gli "umori politici" (il termine dibattito sarebbe esagerato) nella società italiana siano così spostati a destra, da far risultare quasi "estremistiche" una qualsiasi delle nostre affermazioni sull'esistenza di diritti sociali, le analisi fatte in merito alle modificazioni economiche e di politica istituzionale, pur ragionando su strategie di trasformazione radicale di lunghissimo periodo, ci devono portare alla definizione di nuovi o meglio definiti compiti e all'assunzione e alla messa a punto di nuovi elementi di tattica politica sul breve e medio periodo. - Proviamo ad elencare i modi d'approccio, i progetti, i pezzi di percorso fatto o accennato da rivalutare arricchire e rilanciare: (in sequenza non per ordine di importanza) - Evitare gli arroccamenti e ragionare sulla possibilità di costruire il massimo consenso possibile su obbiettivi specifici (immigrazione, patto x il lavoro,diritti ecc.) con il tentativo anche di aprire contraddizioni all'interno della base della cosiddetta sinistra istituzionale, nella piena ma intelligente autonomia della nostra linea e pratica politica. - Su queste tematiche lavorare per la costruzione di coordinamenti dal basso nel coinvolgimento di più soggetti possibile. - Rapportarsi con il numero più ampio di collettivi studenteschi per portarli con la discussione ed il coinvolgimento, ad uscire da una condizione oggettiva di corporativismo studentesco e legarli alle battaglie più generali sui diritti e sull'internazionalismo e superare le logiche che vedono la scuola e il sociale come luoghi di mero scontro generazionale o come massa di manovra per il partito . - Collegarsi e rapportarsi organicamente a più situazioni lavorative (iniziative di carattere aggregativo, sociale e culturale) per collegare i lavoratori , tra le altre problematiche, a un immaginario di ribellione sociale, con l'enorme presunzione che un Centro Sociale come il nostro possa rilanciarlo, che dia un respiro maggiore alla necessaria concretezza delle lotte vertenziali all'interno del posto di lavoro. - Rilanciare lo sportello lavoro con una piena e collettiva assunzione di responsabilità politica di tutti i compagni/e (lo sportello vive in proporzione alla propaganda che si fa), in quanto elemento d'integrazione nel quartiere, e possibile strumento per intercettare il lavoro precario e meno garantito per, a partire dal terreno della difesa legale, arrivare a impostare battaglie più generali sui diritti. - Ragionare sulle forme di interlocuzione possibili, con i nostri limiti e le nostre priorità, con i comitati d'occupazione delle case e chi gestisce le iniziative in difesa dagli sfratti sempre in un quadro di ricomposizione delle lotte. - Lavorare per la ricostruzione di un immaginario di solidarietà internazionalista, con la propaganda e iniziative ad hoc, a fianco dei popoli in lotta per l'emancipazione sociale e/o l'indipendenza e con il riconoscimento delle organizzazioni di guerriglia, espressione più alta della coscienza politica e della volontà di trasformazione radicale del presente. - L'ultimo periodo di confronto politico anche con l'esperienza del Comitato contro il patto per il lavoro, e il contatto con momenti di lotta all'interno delle municipalizzate milanesi, ci ha permesso di dare sostanza ad una serie di riflessioni più in specifico inerenti alle tematiche del lavoro; sulla parcellizzazione e atomizzazione , sull'orario e l'uso dello straordinario, sulle esternalizzazioni e sull'uso del sub-appalto fino alle cooperative e alle agenzie interinali come nuovo caporalato del 2000. - Ciò che ne emerge, è che va innanzitutto affinata la capacità di guardare i meccanismi globali di accumulazione del profitto; in pratica dobbiamo imparare a uscire da una visione localistica nazionale della contrapposizione tra interessi, per dare cosi chiavi di lettura complessive e globalizzate delle tematiche su cui provare a far crescere i conflitti e far deflaglare le contraddizioni. - In secondo luogo va costruita un'intelligenza politica che sappia in maniera analitica e determinata comporre un fronte di rivendicazioni sociali che complessivamente nel loro insieme possano esprimere una valenza di ricomposizione e nello stesso di rottura antagonista. - Per capirci meglio e per entrare più nello specifico, ogni obiettivo, portatore in sè di miglioramento sociale, può essere puramente riformista, ogni rivendicazione parziale pur positiva dal punto di vista contingente diventa assolutamente integrabile se non si pone all'interno di un quadro generale di rottura anticapitalista. Ad esempio, la diminuzione dell'orario di lavoro(obiettivo dirompente nella fabbrica fordista) anche se legittimo e auspicabile recupero dell'aumento della produttività del lavoratore e di tempo liberato dallo sfruttamento, è già praticata in molte aziende in cambio di flessibilità di tempi e orari e modalità d'assunzioni; la lotta contro lo straordinario se non è legata ad un aumento del salario base, mai sarebbe proponibile a lavoratori che nello straordinario vedono una possibilità di entrate maggiori, l'aggregazione sociale in sè, come offerta autorganizzata di servizi, musica-proposte culturali-teatro-bar a prezzi popolari ecc. , può diventare persino elemento di pacificazione sociale (ed è un rischio che corriamo tutti) se integrata nel flusso di quella "trasgressione" conformista che fa parte ormai dei "trend" compatibili.

Lavorare con l'autorganizzazione sindacale di base, l'associazionismo nel sociale, ogni forma associativa autorganizzata che nei fatti pratichi battaglie anche parziali "antistemiche", tutta quella serie di soggetti che sui diritti e sulla negazione di questi hanno qualcosa da dire, lavorare con queste realtà alla costruzione di una piattaforma di rivendicazioni sociali complessive, potrebbe essere una soluzione che con carattere nazionale potrebbe dare una valenza antagonista alle parziali lotte rivendicative locali. - Senza inventare nulla e solo guardando ai nostri bisogni e a quelli dei soggetti sociali con i quali siamo entrati in contatto, diventa immediata e facile la composizione di una piattaforma di programma e di lotta: - diminuzione dell'orario di lavoro - blocco degli straordinari - salario sociale - nuovo statuto dei lavori - diritto alla sanità /scuola/servizi pubblici e spazi di aggregazione sociale - una maggiore qualità della vita e servizi sociali a sostegno di questa, difesa dell'ambiente contro il miope sfruttamento delle risorse della natura. (per citare i principali) - In pratica un quadro unificante e trasversale, composto da obiettivi parziali come risposta a contraddizioni specifiche di settori sociali diversi. - Ecco che l'assunzione unitaria (al di là delle differenze che diventano così specificità) della responsabilità di una battaglia su tutti questi fronti, può dare una valenza antagonista e il segno dell'inconciliabilità complessiva di interessi ad ogni piccola parziale e rivendicativa lotta sociale. - Ecco che probabilmente questo diventa l'unico modo per praticare forme di ricomposizione sociale e politica sul terreno concreto degli interessi di classe, al di là delle estemporanee enunciazioni di principio per uscire dalle logiche resistenziali e di autoreferenzialità

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CAMERA DEL LAVORO SOCIALE ?

 

 

 

Alla luce di queste considerazioni, l'idea di una camera sociale del lavoro/non lavoro, diventa un possibile strumento parziale di ricomposizione di lotte, soggetti sociali e soggetti politici diversi. - Un'idea di luogo della ricomposizione che, senza essere una coperta da tirare da una parte o dall'altra, possa rappresentare un possibile terreno di confronto unitario per il superamento della stessa frammentazione all'interno dell'autorganizzazione sindacale di base, sul terreno della concretezza, in rapporto alle situazioni di lotta sul problema della casa, di lavoro sull'immigrazione e a chi lotta contro lo sfruttamento e l'alienazione usando gli strumenti della ricerca contro-culturale o artistica, per la costruzione di un soggetto con una forte visibilità e caratteristica unitaria e come possibile punto di riferimento anche per tutti quei soggetti del precariato sociale senza tutela e rappresentanza. Una Camera sociale del lavoro subordinato, autonomo, precario e flessibilizzato, che possa anche centralizzare la pratica degli sportelli lavoro e che possa essere riferimento e dare possibili risposte di lotta sul diritto alla casa es. difesa degli sfratti o costruendo liste d'occupanti, per una consulenza sui diritti degli immigrati, di sostegno esterno a lotte interne ai posti di lavoro, praticando oggettivamente una trasversalità di obiettivi e lotte. - Questo progetto può essere forse prematuro ma può essere discusso a fondo e praticato se ad esempio l'autorganizzazione sindacale su lavoro e casa, i centri sociali e l'associazionismo nel territorio e tra gli immigrati , ne comprendono l'importanza e le possibili nuove prospettive a cui possono portare questa logica e luogo unitario superando ogni forma di arroccamento settario.

 


CENTRI SOCIALI

 

 

 

Il convegno nazionale di Torino ci ha dato chiaramente la dimostrazione dell'eterogeneità dell'area dei centri sociali, e nel contempo ci ha fornito un quadro completo delle scelte compiute da decine di c.s. in tutta Italia.
Una fase si è conclusa, ed è chiaramente emersa la necessità della messa a fuoco di un ruolo aggiornato, per affrontare meglio le trasformazioni e la fase attuale. Controcultura, antagonismo politico, scelte di protagonismo nelle lotte, radicalità dei comportamenti, individuazione dei soggetti sociali attivi, pura sopravvivenza. Su questo spettro di pratiche possibili, ogni centro sociale ha fatto la sua scelta, non tutti nella comprensione di sensibilità diverse dalla propria che confluiscono in un progetto comune, ma anche purtroppo, nell'arroccamento sulle proprie caratteristiche e sulle proprie specificità. Il nostro sforzo, come compagni/e del Vittoria, è stato quello di lavorare scegliendo la forma del collettivo politico che agisce nel territorio e nel sociale, con lo scopo di formare quadri militanti e sviluppare coscienza , movimento e conflitto. Ma proprio perchè abbiamo cercato di darci un quadro d'analisi di fondo, che dobbiamo ragionare e comprendere a fondo su come oggi la comunicazione e l'aggregazione sociale, siano terreno di scontro fondamentale che nei fatti rilancia in positivo il ruolo del C.S. autogestito; come strumento e non come fine, nel rifiuto di ogni percorso di istituzionalizzazione e di impresa sociale e nel rifiuto delle logiche del mercato, parallelamente a quello sforzo unitario di ricomposizione nei confronti dei soggetti sociali e dei movimenti di lotta sul quale nelle pagine precedenti abbiamo cercato di ragionare. A fianco a questa capacità di interlocuzione con i soggetti sociali subordinati nella loro interezza, va centrata e sviluppata una capacità nuova di promozione di ogni forma di "resistenza" culturale e artistica alla barbarie del capitalismo. Va sviluppata una sensibilità che ci permetta di dare spazio e promuovere forme di associazionismo e individualità che vogliano dare il loro contributo e affrontare con strumenti diversi dai nostri ma parallaleli, lo scontro globale contro la società dell'alienazione e del consumismo. Dobbiamo riuscire, senza superficialità, a fare delle riflessioni su quali, dove, come e quando, forme di "resistenza passiva" alla società dell'alienazione possano diventare rottura culturale o al contrario integrazione e allineamento sociale, imparando a distinguere e lavorare sulle prime anzichè sulle seconde, non dimenticando che molte volte l'immaginario diventa più importante della pratica in sé. I giovani e gli studenti non sono una classe sociale, ma sono una forza d'urto oggi depauperata della stessa carica data dallo scontro e dal superamento generazionale, pacificata con il consumismo e molte volte incanalata verso l'autodistruzione da questa società dove l'esaltazione del "valore di scambio" degli oggetti tende alla mercificazione di ogni cosa , rapporti interpersonali inclusi. Questa massa d'urto giovanile studentesca, va recuperata con una forte iniziativa aggregativa e culturale che la trasformi in platea d'ascolto sensibile, partendo dalle proprie contraddizioni, a un immaginario di giustizia sociale e di trasformazione radicale del presente. Bisogna riuscire a entrare nel merito delle contraddizioni culturali e esistenziali individuali, indicando come risposta percorsi di liberazione collettiva, facendo attenzione che il rigore non diventi settarismo o autoreferenzialità, o al contrario l'opportunismo dilagante non ci porti a essere accondiscendenti verso mode e atteggiamenti profondamente qualunquistici o autodistruttivi; in pratica un'attenzione e un approccio dialettico alle contraddizioni senza criminalizzazione dei soggetti ma una costante riflessione sulle cause. Dobbiamo essere noi a rompere questa falsa dicotomia tra il politico e il creativo/culturale che , con molta ipocrisia, ha contribuito a tenere basso il tiro e la crescita politica dei C.S. milanesi, alimentata dalla mancanza di una riflessione collettiva sulle forme attuali della pacificazione; ancor di più nel momento in cui, certi atteggiamenti "dialoganti e collaborativi", non solo non hanno ottenuto nulla, ma hanno al contrario contribuito ad aumentare il livello della confusione su ruoli, comportamenti, percorsi e modalità dello scontro. La società borghese ha sempre espresso la capacità di assimilare integrare e trasformare in profitto ogni spinta sociale e culturale in grado di lacerarla. La "contestazione globale" e l'anticonformismo del '68, lo strappo dirompente del '77 con il suo riflusso, sono stati digeriti rimasticati e riconfezionati, e su quelle esperienze di liberazione e di indipendenza personale si sono costituite norme di comportamento che nei fatti hanno allargato e spostato più in là i paletti del senso generale delle relazioni sociali e delle abitudini in Italia e il mondo. Oggi probabilmente un velo nero di grettezza oscurantista si sta stendendo e si sta ripercorrendo a ritroso la stessa strada, ma da questo punto di vista i centri sociali degli anni 90, hanno espresso, quantomeno per la quantità delle esperienze di autogestione, una capacità di rottura culturale che nei fatti ha prodotto dei cambiamenti. La "società del controllo sociale" ha messo in moto dei meccanismi quasi automatici di autodifesa, che nel tempo hanno dato vita a un processo di inglobamento di queste esperienze - intese come esperienze "alternative di controcultura e aggregazione sociale" non in tendendo i c.s. nel suo complesso - tramutandole in moda e profitto, esautorandole così della carica di ribellione antiautoritaria; ad esempio sono centinaia in tutta Italia i locali che hanno una programmazione musicale del tutto simile alla nostra, con più soldi e indirizzo manageriale e maggiori possibilità nella gestione degli eventi musicali ecc.... Queste considerazioni ci hanno portato ad affermare che l'aggregazione sociale in se' come luogo fisico o anche come offerta musicale e culturale, sono un terreno dal quale usciamo sconfitti per la capacità complessiva che la società esprime nel riproporla come elemento d'integrazione. Al contrario lavorare per far vivere insieme tentativi d'amplificazione dei conflitti sociali con esperienze culturali, comportamenti radicali di lotta anticapitalista con la ricerca di forme di comunicazione contro le logiche del profitto, questo è concretamente uno sforzo di ricomposizione ideale di cui, una volta tracciate le linee generali, bisogna costruire le articolazioni nel quotidiano della nostra pratica ed è su questi aspetto del problema che va fatto un grosso sforzo d'approfondimento. Le lotte per una migliore qualità della vita, e contro l'alienazione prodotta dal modo di produzione capitalistico, devono essere assunte come terreni di scontro da esplorare sempre più a fondo, ed affrontate in maniera sempre più consapevole della loro importanza come strumento di presa di coscienza e come ulteriore elemento di riconoscimento identitario per una nuova sinistra radicale e antagonista.
Questi aspetti di nuova comunicazione, controcultura e relazioni sociali, prefigurando una società altra di liberi e di uguali, devono essere il collante e elemento interno a una piattaforma di lotte sociali, che aggregando un sempre più ampio movimento, dia il chiaro segno dell'incompatibilità degli interessi tra le classi subordinate e il capitalismo, nell'impossibilità di trovare mediazioni riformiste nel percorso strategico di trasformazione radicale del presente.

 

 

Milano, ottobre 2000


CENTRO SOCIALE AUTOGESTITO
V I T T O R I A