|
Proponiamo
alcuni elementi di riflessione come invito al confronto con tutte quelle
realtà antagoniste e di base interessate . Questo documento nasce come
sintesi e riepilogo del dibattito politico interno al collettivo del Centro
Sociale Vittoria. In un momento successivo è emersa l'esigenza di provare
a utilizzarlo per uno "scambio" di esperienze tra tutte quelle realtà
che si muovono sul territorio anche con specificità diverse. Come elaborato
interno può probabilmente risultare didascalico soprattutto nella prima
parte e magari carente da molti punti di vista, ma lo riteniamo egualmente
interessante per tentare di aprire un confronto con altre realtà nazionali
una volta tanto non finalizzato a una scadenza.
|
|
|
ELEMENTI DI RIFLESSIONE E CONTRIBUTO AL DIBATTITO SU
GLOBALIZZAZIONE / PRECARIZZAZIONE
DIRITTI E RICOMPOSIZIONE SOCIALE.
|
|
|
|
Il
progressivo ridimensionamento della grande concentrazione produttiva,
il generalizzato processo di snellimento aziendale a tutti i livelli (down
sizing), lo sgretolamento stesso del concetto di identità collettiva della
classe, ci pone oggi di fronte a problemi di adeguamento dell'elaborazione
politica parallelamente alla necessità dell'individuazione di pratiche
di lotta, anche sul terreno della sperimentazione , che ci permettano
di tracciare indirizzi di massima e obbiettivi da perseguire. - Cerchiamo
ora di mettere qualche punto fermo in relazione a quello che diamo come
scontato sia nostro bagaglio collettivo di analisi generale.
|
Siamo
in un quadro economico di modificazione del modello produttivo "fordista"
e cioè in sintesi di uno stravolgimento di quel meccanismo dell' "economia
di scala" che creava il suo mercato grazie alla moltiplicazione dei volumi
produttivi (secondo l'equazione : maggior numero di pezzi prodotti = minor
costo del pezzo = maggior accessibilità = maggior numero dei pezzi venduti)
lavorando in una situazione di mercato pressochè illimitato (boom economico
post bellico) o comunque in forte espansione . L'inserimento nei processi
produttivi di sempre più evolute tecnologie informatiche e il sempre più
evoluto sviluppo delle conoscenze nel campo della microelettronica fanno
si che la quantita di lavoro vivo per produrre la stessa quantità di merce
decresca sempre più : la ovvia conseguenza è che a fronte di un aumento
della domanda non corrisponde piu un incremento della occupazione. Le
nuove frontiere raggiunte nel campo della tecnologia della comunicazione
permettono e accellerano la progressiva globalizzazione dell'economia
; l'aggregazione in grandi cordate finanziarie , le nuove fusioni nel
settore bancario e nel campo delle telecomunicazioni , il riassetto proprietario
nella produzione auto ecc. danno il segnale chiaro dell'indirizzo sovrannazionale
e monopolista che l'organizzazione produttiva continua a percorrere.
Nel contempo però l'incapacità strutturale di pianificazione del modo
di produzione capitalistico , in una fase di parziale saturazione dei
mercati , tende a determinare picchi di produzione e di commercializzazione
che , senza inoltre più sviluppare forza lavoro stabile, sono destinati
ad estinguersi sul breve periodo , con livelli di concorrenza nazionale
, intereuropea e internazionale, sostenibili solo a prezzo di una drastica
trasformazione dell'organizzazione del lavoro e delle relazioni sociali
nella società nel suo complesso. La rigenerazione economica del processo
di accumulazione di capitale e la sua stessa sopravvivenza sono pertanto
oggi legate all'affermazione di una organizzazione del lavoro precaria,
flessibile e individualizzata .La corsa verso questa cosidetta "deregulation"
sarà sempre più forte quanto più stabili (es. Euro) saranno i mercati
e i cambi , all'interno dei quali,senza più fluttuazioni monetarie provocate
da politiche svalutative per favorire le esportazioni , si vengono a determinare
livelli di concorrenza intereuropea e internazionale che sui fronti interni,
per ricaduta, andranno ad intaccare le parti più "variabili" che concorrono
a determinare il prezzo delle merci, e cioè i livelli salariali, e nel
suo complesso, ogni forma di garanzia sociale che le lotte operaie e proletarie
erano riuscite a conquistare. L'obiettivo è in pratica definire un assetto
di relazioni sociali all'interno delle quali, distruggendo ogni forma
di "rigidità" e resistenza operaia, le classi dominanti abbiano la possibilità
di disarticolare e ricomporre , flessibilizzare e plasmare macchine tempi
orari e la stessa vita di donne e uomini in base all'esigenze "della razionalità
e oggettività" della produzione, definendo una nuova organizzazione del
lavoro che , con un funzionamento a fisarmonica , possa espandersi e restringersi
in relazione alle richieste del mercato. Il processo di superamento del
"fordismo" e della grande concentrazione industriale , improponibile nel
mercato globale "usa e getta", anziché generare tout court "la fine del
lavoro" e distruggere la "fabbrica" e la classe , l'ha scomposta, atomizzata
e dispiegata nel territorio, riproducendo, parallelamente alle nuove fabbriche
con processi produttivi integrati, nuove e virulente forme di schiavitù
, accentuate in maniera esponenziale dai grandi flussi migratori , aziende
tecnologicamente avanzatissime insieme a un indotto con rapporti terroristici
di lavoro all'insegna della precarietà dell'esistenza stessa .La tendenza
alla globalizzazione dei processi produttivi finalizzata all'abbattimento
dei costi e al mantenimento di un alto livello di accumulazione dei profitti,
incorpora modella e relaziona tra loro in un rapporto causa effetto tutta
una serie di fattori che proviamo a elencare sommariamente per punti .
torna
sù
|
Proprio
perché l'interesse del capitale è la massima riduzione dei costi che deve
essere libera e incontrastabile , c'è stata un'operazione giuridico -
istituzionale a sostegno della precarizzazione del mercato del lavoro
così efficace e capillare da attribuire ai processi produttivi
caratteristiche pesantemente involutive : lavoro con ritenuta d'acconto,
contratti a tempo determinato , costrizione al part-time , aree di crisi
e gabbie salariali , salari d'ingresso e in ultimo il lavoro in affitto
con l'introduzione delle agenzie private di lavoro interinale (ulteriore
forma di sfruttamento nello sfruttamento) sempre più diffuse nel territorio
milanese. - Nella realtà milanese a fronte di un tasso di disoccupazione
sensibilmente inferiore rispetto alla media nazionale , il lavoro precario
è una delle condizioni più diffuse ,con una percentuale (tra le nuove
assunzioni) di più del 70 % di contratti di lavoro "flessibili" .Il pacchetto
Treu è stato un grosso segnale di legalizzazione della maggior flessibilità
possibile, come richiesto continuamente dal piccolo imprenditore edile
fino ad arrivare al FMI., nel disprezzo di ogni garanzia sociale sia per
le assunzioni che per il licenziamento. In questo senso vanno considerati
i referendum radicali e la proposta di legge del deputato ulivista De
Benedetti che prevede l'abolizione della" giusta causa " (ART.18) rendendo
così possibile una decisione unilaterale e arbitraria da parte dell'azienda.
Queste "aree" di lavoro precario e flessibile disgregano ulteriormente
i lavoratori , accentuandone le differenze superficiali e nascondendo
invece le identiche condizioni di sfruttamento cui sono tutti sottoposti,
abbattendone ogni forma di potere rivendicativo/contrattuale e di capacità
potenziale di conflitto , seppellendo le concezioni di egualitarismo delle
grandi battaglie sociali fine anni '60 primi' 70 , con la ricattabilità
e l'insicurezza del posto di lavoro insieme all'accettazione di un ruolo
di subalternità al modo di produzione capitalistico e a una tragica cooptazione
ideologica e identificazione in esso da parte dei lavoratori . Il Patto
del lavoro di Milano più in specifico rappresenta , con la copertura e
il pretesto - tanto caro ai governi di centro-destra e centro-sinistra
- di far emergere lavoro nero o di riavvicinare al lavoro settori sociali
portatori di disagio (lavoratori over 40,fasce di emarginazione sociale
, immigrati) , la volontà di applicare in una delle regioni più ricche
d'Europa una sorta di gabbia salariale con l'intento di provocare una
diminuzione complessiva dei livelli salariali erodendo lavoro "garantito
" ad esempio nelle municipalizzate e appaltandolo a cooperative con assunzioni
secondo le nuove regole del Patto .
torna
sù
|
La
flessibilità del capitale e della sua organizzazione produttiva si va
imponendo anche attraverso questo processo : la liberazione dai vincoli
dei confini nazionali , il progressivo superamento del concetto di Stato-Nazione
, l'attribuzione ai governi nazionali del ruolo di direzione di piano
del più grande supermercato dell'econonomia mondiale globalizzata finalizzata
allo stravolgimento di ogni possibile ostacolo contrattuale o burocratico,
in sintesi la tendenza a muovere liberamente i capitali per investire
là dove si è imposto un contenimento dei costi , dove il lavoro è più
sfruttabile , costa poco ed è meno regolamentato . Ad esempio : le imprese
spostano la sede legale nei cosiddetti paradisi fiscali , la produzione
nelle aree asiatiche o nei paesi dell'estEuropeo e lasciano le infrastrutture
e la gestione commerciale dove è più vicina la ricerca tecnologica (di
qui anche il progetto di asservimento delle università e della ricerca
alle esigenze del capitale ) e dove più alti sono gli standard delle comunicazioni
.Questo processo determina la formazione di grandi aree mondiali di produzione
dove tutto - infrastrutture , servizi, comunicazioni , tempi vitali e
costo del lavoro sono ottimizzati per il massimo livello di accumulazione
di profitto per le multinazionali.
|
E'
un aspetto di quel processo di snellimento, di cui parlavamo all'inizio,
con un'accelerazione della volontà delle grandi aziende di affidare la
produzione o parte di essa a piccole imprese (spesso cooperative con mano
d'opera in affitto o in nero) ad alta densità di sfruttamento, agganciate
al ciclo della sottofornitura e del subappalto che si integrano in maniera
organica (sono anche spesso mono-mandatarie) all'organizzazione del lavoro
dell'impresa committente. Il senso dell'operazione è di facile comprensione:
diminuire la quota di lavoro "fisso" (costi fissi per l'azienda) , aumentare
di conseguenza la flessibilità della propria organizzazione produttiva
senza alcun costo aggiuntivo , e , con la fortissima concorrenza presente
in questo settore , determinare un'abbassamento del costo del prodotto
lavorato a scapito del livello salariale complessivo dei lavoratori assunti
in questo indotto. - Gli esempi sono innumerevoli , dal campo edilizio
a quello dei gadgets promozionali , da quello delle cartotecniche tutto
fare a quello dei trasporti e del facchinaggio , uno per tutti le aziende
o cooperative nel meridione che producono capi firmati a bassissimo costo
con salari da schiavitù per il settore della moda , ma immessi sul mercato
a prezzi elevatissimi . - E', in sintesi , uno degli effetti più diffusi
del processo di trasformazione dell'organizzazione del lavoro post-fordista.
torna
sù
|
Il
"just in time" è il modello di produzione che si attiva contemporaneamente
all'arrivo della commessa per il prodotto specifico richiesto dal mercato.
Oltre agli esempi delle cosiddette "fabbriche integrate" tipo lo stabilimento
FIAT di Melfi , dove arrivo della materia prima, stoccaggio , assemblaggio
, lavorazione , finitura e consegna alla distribuzione hanno tempi immediatamente
consequenziali distribuiti lungo cicli di 24 ore per il pieno sfruttamento
degli impianti , il cosiddetto just in time è un modello produttivo verso
il quale è ormai orientata complessivamente l'organizzazione produttiva
capitalista , ma più in specifico è adottato dalle imprese esternalizzate
a personale flessibilizzato. Nell'era dell'economia globalizzata e del
mercato" usa e getta" , l'impresa produce solo ciò che ha già venduto
con la stipulazione di un contratto o che è già certa di vendere a breve
, riducendo i costi di un lungo e improduttivo immagazzinaggio (costo
degli spazi + costo del denaro + insicurezza della vendita). E' di immediata
comprensione come questo modello organizzativo diventi filosofia produttiva
nel momento in cui va a ridefinire un mercato del lavoro in relazione
all'assoluta esigenza di flessibilità per ciò che riguarda il numero delle
braccia e il tempo di lavoro necessario per soddisfare la specifica commessa
. La riprogrammazione degli orari è oggi un ottimo strumento per piegare
i diritti dei lavoratori ad una sempre maggiore flessibilità ; infatti
le statistiche europee presentano una generale diminuzione degli occupati
a fronte di un'estensione del tempo di lavoro reale . L'orario straordinario,
da sempre utilizzato dalle imprese per fronteggiare picchi di produzione
improvvisi o emergenziali, ha oggi assunto un carattere fisiologico ,
e l'accettazione della variabilità del tempo di lavoro diventa discriminante
in sede di assunzione. Il part-time non è più una scelta di alcune fasce
di lavoratori che vedevano in questo la possibilità di mediare fra reddito
e gestione del proprio tempo ma un'imposizione delle aziende che vi ricorrono
come percentuale sempre maggiore e ipersfruttata di forza-lavoro stabilmente
occupata o addirittura in sostituzione ad essa.
torna
sù
|
E'
la tendenza da parte delle imprese a stabilire contratti e rapporti individualizzati
con il lavoratore , sul modello statunitense , sganciati dalla logica
solidaristica della contrattazione collettiva per subordinarne completamente
il ruolo, con un meccanismo di incentivazione/ricatto, all'esigenze di
produttività dell'azienda. (incentivazione economica - gratificazione
e riconoscimento del proprio ruolo collaborativo nei confronti dell'azienda
parallelamente al ricatto sulla sicurezza del mantenimento del proprio
posto di lavoro). L'obiettivo da raggiungere è che ogni lavoratore/lavoratrice
venga immesso/a sul mercato del lavoro come in un'asta al ribasso, dove
ciò che vengono più valorizzate sono le capacità di autosfruttamento e
d'assunzione di responsabilità "creativa" all'interno del ciclo produttivo.
Lo svilupparsi e il generalizzarsi di forme di lavoro non direttamente
"subordinato" e virtualmente autonomo, caratteristiche dell'organizzazione
del lavoro (per esemplificare detta) post-fordista, accentuano il problema
dell'autoresponsabilizzazione e dell'adesione ideologica al proprio sfruttamento
da parte del lavoratore; come ingranaggio umano ben oliato che deve finalizzare
ogni sua risorsa cerebrale e fisica al buon funzionamento della macchina
capitalista.
|
Gli
enormi profitti che le imprese hanno prodotto nell'ultimo decennio non
sono stati che in minima parte reinvestiti in investimenti produttivi
mirati ad allargare la base occupazionale. - Si è via via dissolto quel
"patto sociale" post bellico basato sul fatto che la maggior ricchezza
per l'impresa avrebbe (una volta ancorata l'appropriazione del plus valore
alla produzione di merci) generato nuovi posti di lavoro e per ricaduta
una maggiore diffusione di benessere con un conseguente aumento dei consumi
ed un ulteriore ritorno in termini occupazionali. - Quei meccanismi di
modificazione dell'organizzazione del modo di produzione capitalistico
hanno nel tempo "liberato" immensi profitti dalle mura della fabbrica,
permettendogli di spostarsi , dove come e quando, le possibilità di profitto
erano maggiori, in tempo reale e a spese delle economie nazionali . -
Quanto più si determinano situazioni di sfruttamento e di saccheggio delle
risorse umane e naturali di un paese che si è piegato ai dettami del F.M.I.
, tanto più gli indici della borsa salgono e aumentano gli investimenti
stranieri. - Questo perverso indice di proporzionalità spesso prende la
mano agli stessi speculatori con il risultato di gonfiare a dismisura
le borse, fino all'esplodere delle grandi bolle speculative, con il conseguente
crack bancario e la crisi produttiva che essa comporta , pagata con la
fame e la disperazione da milioni di esseri umani . (Ricordiamo a proposito
la crisi economica e finanziaria del 1999 di alcuni paesi del Sud-Est
asiatico).
torna
sù
|
A
questo punto del tentativo di indicare, in maniera sommaria, gli elementi
sui quali sta viaggiando la ristrutturazione neoliberista del modo di
produzione capitalistico, anche se non direttamente organico a questo
processo, quantomeno nell'idealità di come viene vissuto, il terzo settore
- no profit rappresenta un'elemento sempre più importante nella società
italiana e da questo punto di vista cerchiamo di riportare alcuni spunti
di riflessione. - In un quadro economico dove il problema all'ordine del
giorno è la flessibilità dei mercati - e cioè la definizione di un mercato
con strutturali e marcate fasi fluttuanti di stagnazione e accelerazione
della produzione, con le ovvie pesanti ricadute sui livelli occupazionali
- poter disporre di un "luogo" dove parcheggiare, in maniera non conflittuale,
centinaia di migliaia , se non milioni di persone, è oggettivamente molto
funzionale agli interesse di sopravvivenza del capitalismo. - Ancor meglio
se il lavoro in questione si svolge in sostituzione e come ovvia delegittimazione
di uno "stato sociale", inteso come insieme di garanzie sociali e assistenza,
di fronte a un processo continuo di privatizzazione; ad esempio un'attività
come quella di cura degli anziani o dei portatori di handicap, affidata
alle cosiddette cooperative sociali, nei fatti svuota di responsabilità
il "pubblico", e finanzia un privato che di sociale ha ben poco. (basta
guardare gli stipendi e la tipologia d'assunzione degli operatori del
settore). - Di fatto è un settore nel quale o c'è autosfruttamento (volontariato
laico o cattolico), o livelli di salario sensibilmente più bassi e meno
garantiti degli standard contrattuali; tutto ciò va posto oggettivamente
in relazione a uno svilimento e a una demolizione di uno stato sociale
basato su diritti collettivi, sostituendo, molte volte con costi maggiori,
posti "garantiti" da contratti nazionali, con posti di lavoro flessibilizzati
e precari. - In sintesi queste riflessioni servono per capire come nel
loro complesso, ma senza generalizzazioni tout court, le imprese sociali
(?) il terzo settore ecc. siano funzionali agli interessi della continua
ristrutturazione capitalista, e questo spiega l'interesse della fondazione
Agnelli in questo campo, al di là del ruolo contingente di indubbia utilità
sociale e al di là delle motivazioni comprensibilmente positive e solidaristiche
che spingono in molti casi verso il volontariato sociale.
|
Pur
se in maniera sicuramente schematica e non esaustiva e tralasciando di
entrare nel merito specifico delle contraddizioni sovrastrutturali che
ognuno di quegli elementi porta con sè, questa è in sintesi la nostra
riflessione di carattere generale elemento di discussione degli ultimi
anni. Questo è ad oggi il frutto, una volta tanto nero su bianco, della
nostra elaborazione politica del quadro generale; ed è da questi elementi
di comprensione della realtà che dobbiamo partire per poter arrivare al
secondo aspetto della questione da affrontare espressa nel titolo e cioè
quella di tentare di comprendere dal punto di vista teorico quali possano
essere gli elementi per la ricomposizione sociale da tradurre nella pratica
quotidiana dei nostri percorsi e per il rilancio dei conflitti all'interno
dei compiti che come soggetto politico all'interno di una pratica sociale
possiamo e potremo sviluppare.
|
Il
problema è davanti agli occhi di tutti : una serie di modificazioni epocali
hanno determinato una scomposizione dei rapporti economici e delle relazioni
sociali che ha frammentato le classi subalterne e dato il segno profondo
di un approccio di carattere assolutamente individualistico nei confronti
della realtà . - Realtà come insieme di contraddizioni vissute all'interno
dei meccanismi di dipendenza economica, alienazione e annientamento culturale
nel tempo di lavoro e come relazioni interpersonali e sociali nel suo
complesso. - La soluzione (?!) è ragionare sulle chiavi interpretative
che ci permettano non di galleggiare sulla scomposizione, diventando noi
elemento dissonante ma organico al sistema integrale capitalista adottando
una sorta di "riformismo sociale", ma al contrario di allargare , trasformare,
ricostruire e rinnovare le nostre capacità e i nostri strumenti di lotta
per affrontare le sfide della globalizzazione e i suoi effetti anche dal
punto di vista della materialità dei bisogni in senso generale. - Ciò
che immediatamente possiamo dedurre dalle analisi fatte, è che non esistono
né scorciatoie nè parole d'ordine totalizzanti rispetto ad un panorama
cosi vasto e contraddittorio; anzi quanto più ampio è il campo delle contraddizioni
tanto più dovremmo riuscire ad allargare le nostre capacità di rottura
mettendo insieme fronti di lotta diversi. - Se l'aspetto sostanziale delle
questioni sociali rimane sempre la contraddizione tra il capitale nelle
sue diverse forme da una parte e il lavoro salariato dall'altra, è altrettanto
vero che va analizzato come questo si sia modificato nel tempo (e soprattutto
quali e quante siano le sue implicazioni nel sociale) e che le società
a capitalismo avanzato, come quella italiana, determinino uno spostamento
dalla produzione verso forme di lavoro intellettuale e di servizi qualificati
di una quota di lavoratori subordinati o "autonomi" proporzionalmente
sempre più consistente , e come queste figure sociali così preponderanti
(proletariato post-industriale ?) nonostante siano da considerarsi classi
sociali subalterne per il loro ruolo nella produzione, siano oggi sicuramente
più integrabili per la loro propensione ad interiorizzare valori e comportamenti
delle classi dominanti. (da Marcuse in poi c'è fin troppo da leggere).
- Tra questo settore sociale e la quota ormai considerata" fisiologica
" di disoccupazione da utilizzare come massa di ricatto ed esercito "industriale"
di riserva , si allarga l'area del lavoro più direttamente addetta alla
produzione, commercializzazione e circolazione delle merci (senza distinzione
tra dipendenti o autonomi) che comprende e spazia dagli addetti alla gestione
quotidiana dei sercizi al terziario, fino ad arrivare alla tipologia più
bassa di mansioni e retribuzioni soggetta ad un livello di ricattabilità
lavorativa inversamente proporzionale alla qualifica professionale e all'interno
della quale è quantitativamente più elevato il numero delle donne che
per prime sono costrette a pagare il prezzo dei processi di ristrutturazione.
- La flessibilità rappresenta l'elemento trasversale a tutti i settori
sociali travalicando nel tempo l'aspetto di semplice condizione lavorativa
per diventare filosofia produttiva e sociale. - Un ulteriore accenno di
analisi riguarda gli studenti che, all'interno di un quadro di privatizzazione
di tutti i servizi sociali, saranno "accompagnati" dalla scuola lungo
un percorso di subordinazione culturale alle esigenze della razionalità
produttiva e posti davanti al loro futuro come davanti ad un imbuto da
cui dovranno uscire plasmati modellati e collaborativi per andare ad incasellarsi
ciascuno al posto per cui si è stati preparati. (autonomia scolastica
- stage - preside manager ) - Un'ultima e sintetica riflessione va fatta
sulla questione "immigrazione". Al di là della ovvia, assoluta e genetica
contrapposizione militante al razzismo in ogni sua forma, al di là della
sicura correttezza delle grandi battaglie di principio contro l'ipocrita
politica della regolamentazione dei flussi migratori, contro la disumanità
dei lager di stato (centri di permanenza temporanea), per la libera circolazione
delle persone, [battaglie ideali su cui purtroppo molte volte a Milano
abbiamo visto imbastire vergognose operazioni di marketing politico parallelamente
a prove generali di avvicinamenti elettoralistici], poco, effettivamente,
è stato costruito nei termini di una reale capacità di interlocuzione
e di lotta comune con i migranti. La stesse lotte per la rivendicazione
del permesso di soggiorno dei migranti di Brescia, che hanno toccato Milano
in maniera purtroppo abbastanza superficiale, non hanno saputo, per quanto
riguarda la situazione milanese, superare l'aspetto solidaristico (pur
senza volerne sminuire l'importanza), senza riuscire a imporre una spinta
dal punto di vista della generalizzazione delle tematiche del conflitto.
Questo crediamo, sia il terreno più difficile ma prioritario da dover
praticare: riuscire a integrare questo nuovo proletariato industriale
e/o metropolitano, esaltandone l'enorme spinta conflittuale, in un circuito
di lotte unificanti per italiani e migranti sul terreno dei bisogni reali
e dei diritti fondamentali: casa, lavoro, salario, salute, cultura, socialità,
ecc. - Di fronte a questo quadro c'è sicuramente un ritardo storico della
sinistra antagonista nella comprensione degli strumenti utilizzati dalla
società del "controllo" per incanalare e integrare, oltre che reprimere,
spinte, ribellismo e aspetti comportamentali di rifiuto all'allineamento
sociale; e da qui ne conseguono altri elementi di riflessione: - la società
del pensiero unico non può essere (o quantomeno non solo ) rappresentata
da un insieme di livelli militarizzati e repressivi in termini giudiziari
e polizieschi, ma è una società costruita sul consenso e sull'autoallineamento,
con campagne istituzionali mass-mediatiche per l'esaltazione della libertà
d'impresa e dei suoi valori come cardine ideologico su cui è imperniata
la società e su continue trasformazioni anche costituzionali in senso
autoritario - maggioritario , presidenzialismo ecc. - in un continuo martellante
percorso di autogiustificazione ideologica se non addirittura etica. -
Ricordiamoci una per tutte, la vittoria di Berlusconi nel '94 , costruita
con un decennio di campagna elettorale subliminale televisiva che ha costruito
una fortissima area di consenso sui modelli comportamentali di arrogante
fatuità e di colpevolizzazione della povertà propri del consumismo, utilizzati
poi , al momento giusto, come sostegno elettorale , e funzionali al dilagare
del liberismo negli anni a venire. - Esiste inoltre una semplicistica
e riduttiva ma purtroppo radicata concezione di un proletariato idealizzato
che come il IV stato di Peliza da Volpedo avanza liberandosi dal giogo
delle catene chiedendo pane per i propri figli. - Molte volte chi così
pensa, dimentica che quella concezione di proletariato risale alla precisa
(ma datata in senso storico) analisi marxista sull'affermazione della
rivoluzione industriale borghese nelle cui fabbriche manifatturiere il
salario serviva unicamente alla riproduzione della mano d'opera e che
circa 2 secoli dopo ad esempio Ford affermava che ogni suo operaio avrebbe
dovuto poter acquistare l'auto che produceva; questo certamente non per
bontà d'animo ma perchè l'aumento della domanda si sarebbe trasformato
in profitto svuotando i magazzini e perchè quel patto sociale, garantito
anche da sostegni dello stato ai consumi (Keynes), avrebbe loro assicurato
il dominio sulla produzione e sull'intera società. - Detto questo, comprendere
che il conflitto capitale-lavoro oggi non si rappresenti come scontro
tra affamati contro banchieri, ci permette un approccio più dialetticamente
corretto nei confronti delle contraddizioni materiali oggi vissute nelle
società a capitalismo avanzato, e ci consente di uscire o quantomeno di
provare a farlo, da quel ghetto e quella sfera di marginalità sociale
che a noi sta sicuramente stretto, ma che permea le pratiche e l'immaginario
ideale di buona parte delle aree antagoniste (area dei Centri Sociali
ovviamente inclusa) ; proprio perchè permette un approccio puramente solidaristico
e superficiale senza implicazioni di principio e riflessione complessiva.
NE' CENTRO-DESTRA NE' CENTRO-SINISTRA. - Siamo oggi di fronte a una destra
iperliberista che da come ricetta una completa liberalizzazione dei mercati,
una completa deregulation del mercato del lavoro, l'azzeramento dei sistemi
di protezione sociale e la privatizzazione di servizi e strutture dello
stato (scuola, trasporti, sanità, pensioni ecc.) per abbattere la tassazione
e "liberare"capitali. Finanziare le imprese per creare ricchezza. (per
chi?). - L'altro fronte del centro-sinistra, una volta accettato il modo
di produzione capitalistico e legittimata l'appropriazione di un uomo
del plusvalore prodotto da una altro uomo, parla di una sorta di capitalismo
sociale e solidale (??!) dove l'accumulo di profitti possa in qualche
modo sostenere gli strati più deboli e le nuove povertà create dalla globalizzazione.
- In pratica vengono solo tolti gli aggettivi che sottolineano la drasticità
dall'enunciazioni di principio del centro destra, con una sorta di gradualizzazione
di questo processo, andando ben oltre la cultura storica del riformismo,
nell'accettazione di questa come unica società possibile e affidando ogni
riforma sociale al vaglio della "concertazione" per controllare e abbattere
meglio preventivamente ogni possibilità di conflitto. - La guerra e le
scelte di ingerenza territoriale sono solo la logica conseguenza dell'integrazione
del centro-sinistra all'interno della politica imperialista nel controllo
dei processi di globalizzazione. - Viene comunque in entrambi i casi accettato
consapevolmente il fatto che i nostri livelli di benessere e i nostri
altissimi livelli di consumo sono permessi da un saccheggio sistematico
delle aree più povere del mondo, nella ovvia e scontata comprensione del
diverso approccio culturale.
torna
sù
|
Nel
processo di superamento dello stato nazione, e del suo ruolo protezionistico
di regolazione dei conflitti e di mediazione locale anche conflittuale
nei processi economici mondiali, le istituzioni diventano progressivamente
agenzie e strumento organico di decentramento del potere globalizzato,
assumendo in sè una caratteristica di controllo sociale sempre più generalizzato
e trasversale, (giornali, televisioni, comunicazione globale ecc.) molto
più consona alla società del pensiero unico. - Ormai lo scontro politico
istituzionale verte su chi possa meglio rappresentare gli interessi delle
classi dominanti interpretando a seconda delle culture politiche differenti
i dettami del F.M.I.. - Nella società dell' "interclassismo del profitto",
dai DS a FI ad AN , tralasciando le ovvie sfumature e sensibilità elettoralistiche,
diventa veramente difficile comprendere e attribuire a questi partiti
ruoli di rappresentanza diversi in relazione a basi sociali diverse e
specifici interessi di classe. - Spieghiamoci meglio: a parte probabilmente
qualche settore confindustriale particolarmente aggressivo e "innovatore"
(deregulation senza concertazione ecc.), a parte qualche settore del commercio
che si vede minacciato da ogni forma di sindacalizzazione e vede lo "stato"
solo come una unica e oppressiva tassa sul proprio guadagno, diventa impossibile
dire chi difenda e sia espressione diretta di interessi di classe o di
settori di essa particolari, che sia il ceto medio, l'artigianato, la
piccola impresa o la grande industria. - Quello che è chiaro, è che nessuna
forza politica isituzionale si pone, se non in minima parte, come espressione
coerente e dichiarata degli interessi inconciliabili delle classi sfruttate.
La stessa Rifondazione Comunista che cerca di dare di sè l'immagine di
baluardo contro il neoliberismo , sceglie strategicamente, al di là delle
presunte aperture ai movimenti dei quali poi fa' un utilizzo strumentale,
di rimanere invischiata nelle sabbie mobili di una sopravvivenza politica
finalizzata alla rappresentanza istituzionale e alla logica entrista di
subordinazione ai sindacati confederati con una politica alternante dai
1000 volti e dai 1000 piedi in 1000 scarpe. - Da questo lungo preambolo
possiamo dedurre che esiste un enorme vuoto di rappresentanza politica
e sociale. - Commetteremmo un grossolano errore se pensassimo che i C.S.
possano colmare il vuoto di soggettività complessiva organizzata creato
dallo svuotarsi del paradigma : classe operaia fordista/sindacato di classe/partito
rivoluzionario della classe. - Sarebbe altrettanto velleitario ritenere
che questo vuoto possa essere colmato da uno sforzo soggettivistico di
fusione tra microorganizzazioni , nè d'altra parte da strappi verso l'istituzionalizzazione
di settori di movimento sicuramente sempre più integrabili in una logica
di "sindacato sociale" interclassista di Pannelliana memoria (diritti
dell'uomo, aggregazione sociale, antiproibizionismo - radicali anni '70
-) al di là della corretta rivendicabilità tattica di ciascuno di questi
obiettivi. - Noi invece siamo convinti che l'esigenza e la necessità stessa
di forme di rappresentanza di interessi complessivi (reti autorganizzate
di movimenti e/o partito) sia proporzionalmente legata all'estendersi
dei conflitti sociali, al superamento dei corporativismi e della settorialità
delle lotte, e al profondo interrogarsi da parte dei settori sociali protagonisti,
sulle ragioni storiche dell'incompatibilità di quei conflitti, spinti,
questo sì, in questa direzione, dalle soggettività politiche collettive
che sui bisogni e dalle lotte si sono formate. - Questo , per noi , può
innanzitutto voler dire percorrere la strada dell'approfondimento nei
rapporti con quelle aree politiche e situazioni di movimento con le quali
abbiamo sperimentato la possibilità di interlocuzione privilegiata , come
punto di forza nei confronti dell'esterno. - Questo vuol dire , ad esempio,
anche una rinnovata capacità di confronto anche magari conflittuale con
quella sinistra che , più o meno coerentemente dal punto di vista strategico
, "non ci sta" nell'abbellire il volto del capitalismo . - Ben consapevoli
però del fatto che non esistono scorciatoie elettoralistiche in un processo
di costruzione di una rete con relazioni organiche tra movimenti e realtà
autorganizzate; che la ricerca del candidato vincente e l'impegno elettorale
non possono sopperire a una incapacità collettiva di confronto e di azione
politica unitaria sul terreno concreto delle lotte, per superare quel
senso di sbandamento e disorientamento determinato dalle grandi trasformazioni
epocali, con la certezza che i finti unitarismi , i tatticismi elettoralistici,
i collage e le alleanze di pura i infima convenienza non sono certamente
lo strumento per avviare reali momenti di confronto unitario , anche se
animate da uno spirito di resistenza contro le "destre". Ne farebbero
le spese solo la coerenza dei contenuti per inseguire la " real politik
" elettorale, con l'aggravante di indicare un percorso di istituzionalizzazione
per realtà e movimenti assolutamente errato strategicamente se crediamo
che il nostro compito sia anche quello di trasformare i conflitti sociali
in lotta di classe, e il consiglio comunale o il parlamento non sono certamente
il luogo prioritario deputato a farla ; a meno che non si ragioni da lobby
di pressione con un aberrante concetto di delega tale che la visibilità
mass-mediatica o istituzionale possa appunto sopperire alla carenza di
idealità , di progetti e di pratica di massa conseguente con una collocazione
collaborativa e organica al centro-sinistra che a parole si dice di combattere.
torna
sù
|
Nonostante
gli "umori politici" (il termine dibattito sarebbe esagerato) nella società
italiana siano così spostati a destra, da far risultare quasi "estremistiche"
una qualsiasi delle nostre affermazioni sull'esistenza di diritti sociali,
le analisi fatte in merito alle modificazioni economiche e di politica
istituzionale, pur ragionando su strategie di trasformazione radicale
di lunghissimo periodo, ci devono portare alla definizione di nuovi o
meglio definiti compiti e all'assunzione e alla messa a punto di nuovi
elementi di tattica politica sul breve e medio periodo. - Proviamo ad
elencare i modi d'approccio, i progetti, i pezzi di percorso fatto o accennato
da rivalutare arricchire e rilanciare: (in sequenza non per ordine di
importanza) - Evitare gli arroccamenti e ragionare sulla possibilità di
costruire il massimo consenso possibile su obbiettivi specifici (immigrazione,
patto x il lavoro,diritti ecc.) con il tentativo anche di aprire contraddizioni
all'interno della base della cosiddetta sinistra istituzionale, nella
piena ma intelligente autonomia della nostra linea e pratica politica.
- Su queste tematiche lavorare per la costruzione di coordinamenti dal
basso nel coinvolgimento di più soggetti possibile. - Rapportarsi con
il numero più ampio di collettivi studenteschi per portarli con la discussione
ed il coinvolgimento, ad uscire da una condizione oggettiva di corporativismo
studentesco e legarli alle battaglie più generali sui diritti e sull'internazionalismo
e superare le logiche che vedono la scuola e il sociale come luoghi di
mero scontro generazionale o come massa di manovra per il partito . -
Collegarsi e rapportarsi organicamente a più situazioni lavorative (iniziative
di carattere aggregativo, sociale e culturale) per collegare i lavoratori
, tra le altre problematiche, a un immaginario di ribellione sociale,
con l'enorme presunzione che un Centro Sociale come il nostro possa rilanciarlo,
che dia un respiro maggiore alla necessaria concretezza delle lotte vertenziali
all'interno del posto di lavoro. - Rilanciare lo sportello lavoro con
una piena e collettiva assunzione di responsabilità politica di tutti
i compagni/e (lo sportello vive in proporzione alla propaganda che si
fa), in quanto elemento d'integrazione nel quartiere, e possibile strumento
per intercettare il lavoro precario e meno garantito per, a partire dal
terreno della difesa legale, arrivare a impostare battaglie più generali
sui diritti. - Ragionare sulle forme di interlocuzione possibili, con
i nostri limiti e le nostre priorità, con i comitati d'occupazione delle
case e chi gestisce le iniziative in difesa dagli sfratti sempre in un
quadro di ricomposizione delle lotte. - Lavorare per la ricostruzione
di un immaginario di solidarietà internazionalista, con la propaganda
e iniziative ad hoc, a fianco dei popoli in lotta per l'emancipazione
sociale e/o l'indipendenza e con il riconoscimento delle organizzazioni
di guerriglia, espressione più alta della coscienza politica e della volontà
di trasformazione radicale del presente. - L'ultimo periodo di confronto
politico anche con l'esperienza del Comitato contro il patto per il lavoro,
e il contatto con momenti di lotta all'interno delle municipalizzate milanesi,
ci ha permesso di dare sostanza ad una serie di riflessioni più in specifico
inerenti alle tematiche del lavoro; sulla parcellizzazione e atomizzazione
, sull'orario e l'uso dello straordinario, sulle esternalizzazioni e sull'uso
del sub-appalto fino alle cooperative e alle agenzie interinali come nuovo
caporalato del 2000. - Ciò che ne emerge, è che va innanzitutto affinata
la capacità di guardare i meccanismi globali di accumulazione del profitto;
in pratica dobbiamo imparare a uscire da una visione localistica nazionale
della contrapposizione tra interessi, per dare cosi chiavi di lettura
complessive e globalizzate delle tematiche su cui provare a far crescere
i conflitti e far deflaglare le contraddizioni. - In secondo luogo va
costruita un'intelligenza politica che sappia in maniera analitica e determinata
comporre un fronte di rivendicazioni sociali che complessivamente nel
loro insieme possano esprimere una valenza di ricomposizione e nello stesso
di rottura antagonista. - Per capirci meglio e per entrare più nello specifico,
ogni obiettivo, portatore in sè di miglioramento sociale, può essere puramente
riformista, ogni rivendicazione parziale pur positiva dal punto di vista
contingente diventa assolutamente integrabile se non si pone all'interno
di un quadro generale di rottura anticapitalista. Ad esempio, la diminuzione
dell'orario di lavoro(obiettivo dirompente nella fabbrica fordista) anche
se legittimo e auspicabile recupero dell'aumento della produttività del
lavoratore e di tempo liberato dallo sfruttamento, è già praticata in
molte aziende in cambio di flessibilità di tempi e orari e modalità d'assunzioni;
la lotta contro lo straordinario se non è legata ad un aumento del salario
base, mai sarebbe proponibile a lavoratori che nello straordinario vedono
una possibilità di entrate maggiori, l'aggregazione sociale in sè, come
offerta autorganizzata di servizi, musica-proposte culturali-teatro-bar
a prezzi popolari ecc. , può diventare persino elemento di pacificazione
sociale (ed è un rischio che corriamo tutti) se integrata nel flusso di
quella "trasgressione" conformista che fa parte ormai dei "trend" compatibili.
Lavorare
con l'autorganizzazione sindacale di base, l'associazionismo nel sociale,
ogni forma associativa autorganizzata che nei fatti pratichi battaglie
anche parziali "antistemiche", tutta quella serie di soggetti che sui
diritti e sulla negazione di questi hanno qualcosa da dire, lavorare con
queste realtà alla costruzione di una piattaforma di rivendicazioni sociali
complessive, potrebbe essere una soluzione che con carattere nazionale
potrebbe dare una valenza antagonista alle parziali lotte rivendicative
locali. - Senza inventare nulla e solo guardando ai nostri bisogni e a
quelli dei soggetti sociali con i quali siamo entrati in contatto, diventa
immediata e facile la composizione di una piattaforma di programma e di
lotta: - diminuzione dell'orario di lavoro - blocco degli straordinari
- salario sociale - nuovo statuto dei lavori - diritto alla sanità /scuola/servizi
pubblici e spazi di aggregazione sociale - una maggiore qualità della
vita e servizi sociali a sostegno di questa, difesa dell'ambiente contro
il miope sfruttamento delle risorse della natura. (per citare i principali)
- In pratica un quadro unificante e trasversale, composto da obiettivi
parziali come risposta a contraddizioni specifiche di settori sociali
diversi. - Ecco che l'assunzione unitaria (al di là delle differenze che
diventano così specificità) della responsabilità di una battaglia su tutti
questi fronti, può dare una valenza antagonista e il segno dell'inconciliabilità
complessiva di interessi ad ogni piccola parziale e rivendicativa lotta
sociale. - Ecco che probabilmente questo diventa l'unico modo per praticare
forme di ricomposizione sociale e politica sul terreno concreto degli
interessi di classe, al di là delle estemporanee enunciazioni di principio
per uscire dalle logiche resistenziali e di autoreferenzialità
torna
sù
|
Alla
luce di queste considerazioni, l'idea di una camera sociale del lavoro/non
lavoro, diventa un possibile strumento parziale di ricomposizione di lotte,
soggetti sociali e soggetti politici diversi. - Un'idea di luogo della
ricomposizione che, senza essere una coperta da tirare da una parte o
dall'altra, possa rappresentare un possibile terreno di confronto unitario
per il superamento della stessa frammentazione all'interno dell'autorganizzazione
sindacale di base, sul terreno della concretezza, in rapporto alle situazioni
di lotta sul problema della casa, di lavoro sull'immigrazione e a chi
lotta contro lo sfruttamento e l'alienazione usando gli strumenti della
ricerca contro-culturale o artistica, per la costruzione di un soggetto
con una forte visibilità e caratteristica unitaria e come possibile punto
di riferimento anche per tutti quei soggetti del precariato sociale senza
tutela e rappresentanza. Una Camera sociale del lavoro subordinato, autonomo,
precario e flessibilizzato, che possa anche centralizzare la pratica degli
sportelli lavoro e che possa essere riferimento e dare possibili risposte
di lotta sul diritto alla casa es. difesa degli sfratti o costruendo liste
d'occupanti, per una consulenza sui diritti degli immigrati, di sostegno
esterno a lotte interne ai posti di lavoro, praticando oggettivamente
una trasversalità di obiettivi e lotte. - Questo progetto può essere forse
prematuro ma può essere discusso a fondo e praticato se ad esempio l'autorganizzazione
sindacale su lavoro e casa, i centri sociali e l'associazionismo nel territorio
e tra gli immigrati , ne comprendono l'importanza e le possibili nuove
prospettive a cui possono portare questa logica e luogo unitario superando
ogni forma di arroccamento settario.
Il
convegno nazionale di Torino ci ha dato chiaramente la dimostrazione dell'eterogeneità
dell'area dei centri sociali, e nel contempo ci ha fornito un quadro completo
delle scelte compiute da decine di c.s. in tutta Italia.
Una fase si è conclusa, ed è chiaramente emersa la necessità della messa
a fuoco di un ruolo aggiornato, per affrontare meglio le trasformazioni
e la fase attuale. Controcultura, antagonismo politico, scelte di protagonismo
nelle lotte, radicalità dei comportamenti, individuazione dei soggetti
sociali attivi, pura sopravvivenza. Su questo spettro di pratiche possibili,
ogni centro sociale ha fatto la sua scelta, non tutti nella comprensione
di sensibilità diverse dalla propria che confluiscono in un progetto comune,
ma anche purtroppo, nell'arroccamento sulle proprie caratteristiche e
sulle proprie specificità. Il nostro sforzo, come compagni/e del Vittoria,
è stato quello di lavorare scegliendo la forma del collettivo politico
che agisce nel territorio e nel sociale, con lo scopo di formare quadri
militanti e sviluppare coscienza , movimento e conflitto. Ma proprio perchè
abbiamo cercato di darci un quadro d'analisi di fondo, che dobbiamo ragionare
e comprendere a fondo su come oggi la comunicazione e l'aggregazione sociale,
siano terreno di scontro fondamentale che nei fatti rilancia in positivo
il ruolo del C.S. autogestito; come strumento e non come fine, nel rifiuto
di ogni percorso di istituzionalizzazione e di impresa sociale e nel rifiuto
delle logiche del mercato, parallelamente a quello sforzo unitario di
ricomposizione nei confronti dei soggetti sociali e dei movimenti di lotta
sul quale nelle pagine precedenti abbiamo cercato di ragionare. A fianco
a questa capacità di interlocuzione con i soggetti sociali subordinati
nella loro interezza, va centrata e sviluppata una capacità nuova di promozione
di ogni forma di "resistenza" culturale e artistica alla barbarie del
capitalismo. Va sviluppata una sensibilità che ci permetta di dare spazio
e promuovere forme di associazionismo e individualità che vogliano dare
il loro contributo e affrontare con strumenti diversi dai nostri ma parallaleli,
lo scontro globale contro la società dell'alienazione e del consumismo.
Dobbiamo riuscire, senza superficialità, a fare delle riflessioni su quali,
dove, come e quando, forme di "resistenza passiva" alla società dell'alienazione
possano diventare rottura culturale o al contrario integrazione e allineamento
sociale, imparando a distinguere e lavorare sulle prime anzichè sulle
seconde, non dimenticando che molte volte l'immaginario diventa più importante
della pratica in sé. I giovani e gli studenti non sono una classe sociale,
ma sono una forza d'urto oggi depauperata della stessa carica data dallo
scontro e dal superamento generazionale, pacificata con il consumismo
e molte volte incanalata verso l'autodistruzione da questa società dove
l'esaltazione del "valore di scambio" degli oggetti tende alla mercificazione
di ogni cosa , rapporti interpersonali inclusi. Questa massa d'urto giovanile
studentesca, va recuperata con una forte iniziativa aggregativa e culturale
che la trasformi in platea d'ascolto sensibile, partendo dalle proprie
contraddizioni, a un immaginario di giustizia sociale e di trasformazione
radicale del presente. Bisogna riuscire a entrare nel merito delle contraddizioni
culturali e esistenziali individuali, indicando come risposta percorsi
di liberazione collettiva, facendo attenzione che il rigore non diventi
settarismo o autoreferenzialità, o al contrario l'opportunismo dilagante
non ci porti a essere accondiscendenti verso mode e atteggiamenti profondamente
qualunquistici o autodistruttivi; in pratica un'attenzione e un approccio
dialettico alle contraddizioni senza criminalizzazione dei soggetti ma
una costante riflessione sulle cause. Dobbiamo essere noi a rompere questa
falsa dicotomia tra il politico e il creativo/culturale che , con molta
ipocrisia, ha contribuito a tenere basso il tiro e la crescita politica
dei C.S. milanesi, alimentata dalla mancanza di una riflessione collettiva
sulle forme attuali della pacificazione; ancor di più nel momento in cui,
certi atteggiamenti "dialoganti e collaborativi", non solo non hanno ottenuto
nulla, ma hanno al contrario contribuito ad aumentare il livello della
confusione su ruoli, comportamenti, percorsi e modalità dello scontro.
La società borghese ha sempre espresso la capacità di assimilare integrare
e trasformare in profitto ogni spinta sociale e culturale in grado di
lacerarla. La "contestazione globale" e l'anticonformismo del '68, lo
strappo dirompente del '77 con il suo riflusso, sono stati digeriti rimasticati
e riconfezionati, e su quelle esperienze di liberazione e di indipendenza
personale si sono costituite norme di comportamento che nei fatti hanno
allargato e spostato più in là i paletti del senso generale delle relazioni
sociali e delle abitudini in Italia e il mondo. Oggi probabilmente un
velo nero di grettezza oscurantista si sta stendendo e si sta ripercorrendo
a ritroso la stessa strada, ma da questo punto di vista i centri sociali
degli anni 90, hanno espresso, quantomeno per la quantità delle esperienze
di autogestione, una capacità di rottura culturale che nei fatti ha prodotto
dei cambiamenti. La "società del controllo sociale" ha messo in moto dei
meccanismi quasi automatici di autodifesa, che nel tempo hanno dato vita
a un processo di inglobamento di queste esperienze - intese come esperienze
"alternative di controcultura e aggregazione sociale" non in tendendo
i c.s. nel suo complesso - tramutandole in moda e profitto, esautorandole
così della carica di ribellione antiautoritaria; ad esempio sono centinaia
in tutta Italia i locali che hanno una programmazione musicale del tutto
simile alla nostra, con più soldi e indirizzo manageriale e maggiori possibilità
nella gestione degli eventi musicali ecc.... Queste considerazioni ci
hanno portato ad affermare che l'aggregazione sociale in se' come luogo
fisico o anche come offerta musicale e culturale, sono un terreno dal
quale usciamo sconfitti per la capacità complessiva che la società esprime
nel riproporla come elemento d'integrazione. Al contrario lavorare per
far vivere insieme tentativi d'amplificazione dei conflitti sociali con
esperienze culturali, comportamenti radicali di lotta anticapitalista
con la ricerca di forme di comunicazione contro le logiche del profitto,
questo è concretamente uno sforzo di ricomposizione ideale di cui, una
volta tracciate le linee generali, bisogna costruire le articolazioni
nel quotidiano della nostra pratica ed è su questi aspetto del problema
che va fatto un grosso sforzo d'approfondimento. Le lotte per una migliore
qualità della vita, e contro l'alienazione prodotta dal modo di produzione
capitalistico, devono essere assunte come terreni di scontro da esplorare
sempre più a fondo, ed affrontate in maniera sempre più consapevole della
loro importanza come strumento di presa di coscienza e come ulteriore
elemento di riconoscimento identitario per una nuova sinistra radicale
e antagonista.
Questi aspetti di nuova comunicazione, controcultura e relazioni sociali,
prefigurando una società altra di liberi e di uguali, devono essere il
collante e elemento interno a una piattaforma di lotte sociali, che aggregando
un sempre più ampio movimento, dia il chiaro segno dell'incompatibilità
degli interessi tra le classi subordinate e il capitalismo, nell'impossibilità
di trovare mediazioni riformiste nel percorso strategico di trasformazione
radicale del presente.
|
Milano,
ottobre 2000
|
|
|
|
|