La “Storia dell'Arte” è una disciplina abbastanza recente. Tramite approcci basati principalmente su analisi formale, iconologia, semiotica, psicanalisi e iconografia, e con l'ausilio della “consultabilità” delle opere d'arte e delle loro riproduzioni, lo storico dell'arte, fondamentalmente, cerca di comprendere la genesi delle opere d'arte, chi/cosa ne abbia reso possibile la realizzazione, le ispirazioni/scuole dietro l'estetica e il significato dell'opera, il suo pubblico, le influenze che l'opera ha creato sugli artisti contemporanei/successivi e, in generale, l'impatto che essa ha avuto nell'evolversi del corso degli eventi artistici, politici e sociali.
Lo studio, da un lato, del contesto in cui l'opera d'arte è stata creata e, dall'altro, della forma dell'opera stessa, consentono allo Storico dell'Arte di rispondere ad alcuni di questi quesiti. Come in ogni storia che si rispetti, però, il “narratore” gioca un ruolo fondamentale. Il realizzare la complessità del ruolo di “narratore” assunto dallo Storico dell'Arte è una delle prime scintille che hanno aperto le strade verso l'avvio e progressiva realizzazione di questo progetto.
Abbandoniamo, però, lo storico dell'arte, e concentriamoci sulla storia.
La prima cosa che è possibile rilevare è l'enorme differenza che intercorre nel concetto (e nella possibilità stessa!) di “storia dell'arte” nelle varie parti del mondo.
Studiando le culture dell'estremo est, ad esempio, sarà molto semplice identificare in età anche antiche una enorme capacità di formalizzare e conservare in maniera critica ed affidabile la storia artistica. Tutta la tradizione della pittura, della calligrafia, della sartoria di Cina & C. sono impregnate da questo genere di procedimenti, in cui il concetto di “scuola” diventa enormemente più significativo di quello di “autore”, tanto che i grandi maestri, ad esempio, della calligrafia risultano essere totalmente deumanizzati e, in sostanza, identificati con le scuole che hanno creato.
Tornando nella “comoda” Europa, occorre arrivare fino al 1500 per trovare Vasari e le sue “vite di pittori eccellenti”, per poi saltare direttamente al 1700 con il rigido Wincklemann che avviava Neoclassicismo e storia dell'arte.
E' notevole il rilevare come Wincklemann fosse archeologo e come la sua “Geschichte der Kunst des Alterthums” fosse una storia dell'arte dell'antica Grecia in cui l'arte non veniva analizzata come mera sequenza di “persone+oggetti+date”, ma come la descrizione di una cosa viva, con un definito ciclo di ascesa, maturità e declino, integrata in quelle contingenze politiche, sociali e ambientali che ne determinavano temi, soggetti, oggetti e modalità.
Il Neoclassicismo tedesco e l'innamoramento con la Grecia antica furono un grande stimolo per la storia dell'arte internazionale, tanto che per un lungo periodo la maggiore produzione in questo campo fu di lingua tedesca.
L'arte diventava, tramite l'analisi storica, uno dei luoghi di maggiore dibattito filosofico, come testimoniato dalle opere in tal senso prodotte da Kant e Hegel.
L'approccio scientifico alla Soria dell'Arte, promosso inizialmente da figure come quella di Heinrich Wölfflin che vi introdussero le pratiche della psicologia e degli studi comparati, e l'entusiasmo dei viennesi Riegl, Wickhoff e Thausing per i “dimenticati” dei vari periodi storici, aprirono le strade verso le frizioni che avrebbero caratterizzato l'inizio del '900.
Scontri tra estetica ed iconografia (Sedlmayr vs. Panofsky), tra formalismo e tradizione, tra cultura e razzismo, furono alcuni dei temi che caratterizzarono questo periodo. Mentre Warburg e Panofsky creavano istituti all'avanguardia e incredibili biblioteche, le correnti più formaliste della storia dell'arte abbracciavano il nazismo e ne diventavano strumento culturale.
La psicologia, lo studio delle influenze delle culture “esotiche”, delle dimensioni spirituali, delle influenze alchimistiche, astrologiche, e quelle provenienti dalla letteratura, furono le influenze più caratteristiche della storia dell'arte del secondo dopoguerra. Prima con Freud e, poi, con Jung, le dimensioni degli studi psicologici e analitici invasero l'arte e la sua storia che, col progredire delle possibilità di comunicazione, diventava sempre più una “storia della contemporaneità”. E' emblematico in questo senso il caso di jackson Pollock e della sua creazione dei disegni utilizzati nella terapia psicoanalitica.
Dala psicologia alla semiotica, la mutazione della storia dell'arte ne descrive un sempre maggiore ricongiungimento con il presente contemporaneo. L'opera d'arte viene esaminata nei suoi processi di comunicazione, applicando le tecniche della filosofia del linguaggio in maniera integrata alle considerazioni di carattere politico, entnologico, e storico.
La dimensione mitologica dell'arte viene sostituita da una visione priva di mediazione: l'immagine viene letta come un testo. Non è più interesante il significato dell'opera, ma il processo che porta alla creazione del significato stesso. Prodotto dell'evoluzione degli studi sulla fenomenologia e sulla percezione, oltre che della semiotica stessa, questa modalità è sintomatica delle profonde trasformazioni che incorrono nella realtà tecnologica, ecologica e, in definitiva, comunicativa. Da Saussure e Pierce a Derrida, passando per Barthes, Greimas, Landowski e Floch, lo studio dell'arte viene spostato progressivamente verso il fruitore, che diventa sempre di più l'attore principale. L'artista è soppiantato dall'osservatore nella creazione del significato, fino al rilevare come valida ogni interpretazione che emerga dall'atto di osservare/interagire, anche se non “prevista” e “intesa” dall'autore stesso. Personaggi come Rosalind Krauss e Mieke Bal sono eclatanti in questo senso, denunciando il monopolio del sigificato da parte dell'autore, e arrivando alla descrizione di un “significato” inesistente fino al giungere dello sguardo del fruitore.
Da questa iper-sintetica storia è evidente come la storia dell'arte sia stata sempre un terreno di scontro: spazio di appropriazione, luogo concettuale dove coltivare teorie e ipotesi, opportunità di affermazione politica e, non ultimo, luogo di opportunismo.
Giochi di potere, intere culture dimenticate, interi spazi concettuali e dialettici esclusi per non-comprensione o anche, semplicemente, per non-conoscenza, visioni parziali, mode teoriche, congetture politiche, estetiche e comunicative. Tutti elementi che hanno caratterizzato l'evolversi della storia dell'arte. Il che, a pensarci, è anche un procedimento naturale e ovvio. Molteplici contesti contemporanei suggeriscono, però, la possibilità (e la necessità!) di affrontare la storia dell'arte in modo differente.
I ruoli delle varie tipologie degli operatori dell'arte sono mutati: a partire dall'artista, fino ad arrivare al critico, al curatore ed al pubblico. Anche quello dello storico dell'arte. L'opera d'arte si riconfigura sempre maggiormente, da un lato, come sistema aperto, comunicazionale e relazionale, in cui il processo surclassa l'“oggetto”. Dall'altro lato, lo spostamento verso le dimensioni performative del consumismo e verso le condizioni di disponibilità illimitata di contenuti e di canali e spazi di comunicazione, rendono l'“oggetto d'arte” un ossimoro oramai definito e utilizzabile: aura e riproducibilità, fine della massa in favore del multividuo, feticci visuali. Dimensioni immateriali, sistemi aperti, “pubblico performativo”.
Questa dimensione, unita alla disponibilità e all'accessibilità delle tecnologie digitali, rende possibile approcci relazionali ed emozionali alla comunicazione.
L'individuo, ridefinito nel concetto stesso di identità, diventa multividuo e multisessuato. Lo scontro è sulla definizione degli spazi pubblici e privati, sul concetto di pelle, che diventa sempre più poroso e mutevole, e dipedente dalla prospettiva, dal punto di vista in cui avviene l'atto del definire.
La tecnologia rende disponibili nuovi spazi sensoriali basati su componenti immateriali della realtà, unendo corpo e architettura, corpo e tecnologia, facendoli afferire agli stessi presupposti, rendendoli interagibili e interoperabili.
La tecnologia scompare, rimpiazzata da una percezione del corpo che è tecnologica ed architettonica, organica/inorganica, analogica/digitale, in cui l'architettura diventa parte della dotazione sensoriale. Tramite qusta nuova percezione del corpo avvengono la comunicazione, la relazione, l'apprendimento, l'emozione.
I concetti di spazio pubblico e di spazio privato, quindi, mutano. Sia per forma che per significato.
La tecnologia, in questo senso apre le porte agli estremi, o a delle moderazioni estremamente frustranti.
Agli estremi sono, come sempre, l'autorità e l'autonomia. Al centro c'è un anestetizzato ristagnare del presente.
Questo progetto mira a realizzare uno strumento estremo ed esplicito. Uno strumento per proporre un cambiamento al significato stesso del concetto di Storia dell'Arte, per trasformarlo nella direzione delle pratiche di creazione e di diffusione dei saperi, delle pratiche di condivisione di esperienze e conoscenza, delle possibilità di determinare la propria identità e la propria autonomia grazie a processi di scambio basati sul confronto, sulla differenza e sull'interrelazione, e del desiderio di mettere in atto un esperimento di eliminazione delle forme di pensiero dualista in cui, per dirlo con Bateson, “la nozione di Io è effettivamente una falsa reificazione di una parte di un ampio spettro di processi interrelati e interdipendenti, impropriamente delimitata”.
Il progetto è quello di creare una Storia dell'Arte Collaborativa basata su un sistema ecosistemico integrato su dimensioni culturali, tecnologiche, antropologiche, politiche.