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Da parte dei membri dell'Internazionale Situazionista e degli Studenti di Strasburgo. DELLA MISERIA DELL'AMBIENTE STUDENTESCO CONSIDERATA NEI SUOI ASPETTI ECOMOMICO, POLITICO, PSICOLOGICO, SESSUALE E SPECIALMENTE INTELLETTUALE E DI ALCUNI MEZZI PER PORVI RIMEDIO.

 

Rendere la vergogna ancora più vergognosa
denunciandola pubblicamente

Si può affermare senza paura di sbagliare che in Francia lo studente è, dopo i poliziotti e i preti, l’essere più universalmente disprezzato. Le ragioni per cui é disprezzato sono spesso false ragioni, frutto dell’ideologia dominante, ma le ragioni per cui é effettivamente disprezzabile e disprezzato dal punto di vista della critica rivoluzionaria sono represse e inconfessate. I paladini della falsa contestazione sanno però riconoscerle e riconoscervisi. Essi capovolgono questo disprezzo reale in un’ammirazione compiacente: così degli impotenti intellettuali di sinistra (da “Temps Modernes”a l’“Express”) vanno in deliquio davanti alla pretesa “avanzata del movimento studentesco” e le organizzazioni burocratiche in disfacimento (dal partito cosiddetto co-munista all’UNEF) si contendono gelosamente l’appoggio “morale e materiale” degli studenti. Noi indicheremo le ragioni di questo interesse per gli studenti e mostreremo come esse partecipino in modo positivo, alimentandola, alla realtà dominante del capitalismo sovrasviluppato e le denunceremo una a una: il processo di disalienazione passa necessariamente per la strada dell’alienazione.
Tutte le analisi finora fatte sulla condizione studentesca hanno tralasciato l’essenziale. Non superano mai il punto di vista delle specializzazioni universitarie (psicologia, sociologia, economia) e restano quindi fondamentalmente errate, perché commettono quella che Fourier chiamava una leggerezza metodologica “considerando solo le questioni elementari” senza considerare la prospettiva globale della società moderna.
Il feticismo dei fatti maschera la categoria essenziale e i particolari fanno dimenticare la totalità. Tutto si dice di questa società, salvo quello che effettivamente essa é: società della merce e dello spettacolo. I sociologi Bourderon e Passadieu nella loro inchiesta
Gli eredi: gli studenti e la cultura restano disarmati di fronte alle poche verità parziali che sono riusciti a dimostrare. Nonostante la buona volontà ricadono nella morale dei professori, nell’inevitabile etica kantiana di una democratizzazione reale per mezzo di una razionalizzazione reale del sistema di insegnamento, vale a dire di insegnamento del sistema. Mentre i loro discepoli, come Kravetz, si illudono di essere in molti a risvegliarsi e compensano la loro amarezza piccolo-burocratica con il guazzabuglio di una fraseologia rivoluzionaria sorpassata.
Lo spettacolo della reificazione che presiede al capitalismo moderno impone a tutti una parte della passività generalizzata. Lo studente non sfugge a questa legge. Il suo é un ruolo provvisorio che lo prepara al ruolo definitivo di elemento positivo e conservatore nel funzionamento del sistema consumistico. Quella dello studente é soltanto un’iniziazione che riproduce, magicamente, tutte le caratteristiche dell’iniziazione mitica: é totalmente staccata dalla realtà storica, individuale e sociale. Lo studente é un essere diviso tra una condizione presente e una condizione futura nettamente distinte, il cui limite sarà superato meccanicamente. La sua coscienza schizofrenica gli permette di isolarsi in una “società di iniziazione”, mistifica il suo avvenire e si incanta davanti all’unità mistica che gli offre un presente al riparo dalla storia. Il meccanismo di rove-sciamento della verità ufficiale, cioè economica, é estremamente semplice da smascherare: é duro guardare in faccia la realtà studentesca. In una “società del benessere” la con-dizione normale dello studente oggi é un’estrema povertà. Provenienti per di più dell’80% da strati sociali il cui reddito é superiore a quello di un operaio, il 90% di essi dispone di un reddito inferiore a quello dell’ultimo salariato. La miseria dello studente resta al di qua della misera della società dello spettacolo, della nuova miseria del nuovo proletariato. In un tempo in cui un numero sempre crescente di giovani si emancipa via via dai pregiudizi morali e dall’autorità familiare per entrare al più presto nei rapporti di sfruttamento palese, lo studente si mantiene a tutti i livelli in uno stato di “minorità pro-lungata”, irresponsabile e docile. Se la crisi giovanile tardiva lo mette in parte in contrasto con la sua famiglia, accetta però volentieri di essere trattato come un bambino all’interno delle istituzioni che regolano la sua vita quotidiana.
La colonizzazione dei diversi settori sociali trova nel mondo studentesco l’espressione più stridente. Il transfert sugli studenti di tutta la cattiva coscienza sociale maschera la miseria e l’asservimento di tutti.
Ma le ragioni su cui si fonda il nostro disprezzo per lo studente sono di genere completamente diverso. Non riguardano soltanto la miseria reale, ma anche la sua com-piacenza verso tutte le miserie, la tendenza morbosa a consumare beatamente l’alienazione nella speranza di interessare al proprio vuoto particolare in mezzo al vuoto generale. Le esigenze del capitalismo moderno impongono alla maggior parte degli studenti la condizione di quadri subordinati (vale a dire l’equivalente dell’operaio qualificato del secolo scorso). Di fronte al carattere miserabile di questo avvenire più o meno prossimo che lo “risarcirà” della vergognosa miseria del presente, lo studente preferisce volgersi alla sua situazione attuale e abbellirla di prestigi illusori. Ma anche questa com-pensazione é troppo miseranda perché possa aggrapparvisi: il futuro non si salverà dalla mediocrità inevitabile. Allora lo studente si rifugia in un presente irrealmente vissuto.
Simile allo schiavo stoico, lo studente si crede tanto più libero quanto più stret-tamente lo legano le catene all’autorità. Come la sua nuova famiglia, l’Università, si considera l’essere sociale più “autonomo” mentre dipende direttamente e congiuntamente
dai due sistemi più potenti dell’autorità sociale: la famiglia e lo stato. E’ il loro bambino educato e riconoscente. Seguendo la stessa logica del bambino sottomesso, partecipa a tutti i valori e tutte le mistificazioni del sistema e le concentra in sé. Le illusioni di un tempo, imposte alla categoria dei piccoli funzionari, diventano ideologia inte-riorizzata e trasmessa attraverso la massa dei futuri quadri subordinati.
Se la miseria sociale del passato ha prodotto i sistemi di compensazione più grandiosi (le religioni), la miseria marginale degli studenti si é trovata come unica con-solazione le immagini più scalcagnate della società dominante, la ripetizione burlesca dei suoi prodotti alienati.
Lo studente francese, in quanto individuo ideologico arriva troppo tardi a tutto. I valori e le illusioni che fanno l’orgoglio del suo mondo chiuso sono già condannate come illusioni insostenibili, da lungo tempo ridicolizzate dalla storia.
Poiché raccoglie qualche briciola del prestigio dell’università lo studente é ancora contento di farne parte. Troppo tardi. L’insegnamento meccanico e specializzato che riceve é così profondamente degradato (rispetto al vecchio livello della cultura generale borghese) quanto il suo livello intellettuale al momento in cui vi accede, perché le forze dominanti, cioè il sistema economico, esigono una fabbricazione massiccia di studenti incolti e incapaci di pensare. Che l’università sia diventata un’organizzazione - istituzionale - dell'ignoranza, che la cosiddetta “alta cultura” si vada decomponendo al ritmo della produzione in serie dei professori, che tutti questi professori siano degli imbecilli, la maggior parte dei quali susciterebbe le risa di scherno di qualsiasi pubblico di liceo, lo studente lo ignora e continua ad ascoltare rispettosamente i suoi maestri, con la volontà cosciente di perdere ogni spirito critico per meglio piombare nell’illusione mistica di essere diventato uno “studente”, uno che si dedica con serietà a farsi un’istruzione con la speranza che gli saranno rivelate le verità supreme. E’ la menopausa dell’intelligenza.
Tutto quello che oggi succede nelle aule delle facoltà universitarie sarà condannato nella futura società rivoluzionaria come cicaleccio inutile, socialmente dannoso. Ma già fin d’ora lo studente fa ridere. Non si rende neanche conto che la storia trasforma il suo ridicolo mondo chiuso.
La famosa “crisi dell’università”, aspetto di una crisi più generale del capitalismo moderno, rimane oggetto di un dialogo tra sordi di differenti specializzazioni. Essa traduce soltanto le difficoltà di un adeguamento tardivo di questo settore particolare della produ-zione a una trasformazione generale dell’apparato produttivo. I residui delle vecchie ideologie dell’università liberale borghese si banalizzano nel momento in cui scompare la sua base sociale. E’ stato possibile per l’università considerarsi autonoma nell’epoca del capitalismo liberoscambista e del suo stato liberale che le lasciava una certa libertà marginale.
Ma di fatto dipendeva strettamente dai bisogni di quel tipo di società: dare a una minoranza privilegiata, quella che studiava, la cultura generale appropriata prima che tornasse a far parte della classe dirigente da cui proveniva. Sono perciò ridicoli i professori nostalgici, amareggiati per aver perduto l’antica funzione di cani da guardia dei futuri padroni, in cambio di quella molto meno nobile di cani da pastore che guidano, secondo i bisogni pianificatori del sistema, le sfornate di “colletti bianchi” verso le rispettive fabbriche e uffici. Essi oppongono i loro arcaismi alla tecnocratizzazione dell’università e continuano imperturbabili a spacciare le briciole di una cultura pseudogenerale a futuri specialisti che non sapranno che farsene.
Più seri e perciò più pericolosi sono i progressisti della sinistra e quelli dell’UNEF diretti dagli “ultras” della FGEL i quali rivendicano una “riforma di struttura” dell’università, “un reinserimento dell’università nella vita sociale e economica”, cioè il
suo adeguamento ai bisogni del capitalismo moderno. Le università, adorne ancora di prestigi anacronistici, si sono trasformate da dispensatrici della “cultura generale” al servizio della classe dirigente, in industrie di allevamento accelerato di quadri subordinati e di quadri medi. Lungi dal contestare questo processo storico che subordina direttamente uno degli ultimi settori ancora relativamente autonomi della vita sociale alle esigenze del sistema capitalistico, i nostri progressisti protestano contro i ritardi e i punti deboli della sua realizzazione. Sono i paladini della futura università cibernetizzata che già si annuncia in qualche luogo. Il sistema consumistico e i suoi moderni servitori, ecco i nemici da combattere.
Ma questi problemi passano sopra la testa dello studente, nel cielo dei suoi maestri, e a lui sfuggono completamente: la totalità della sua vita e a maggior ragione della vita gli sfugge.
Data la sua situazione economica di estrema povertà, lo studente é condannato a una condizione di sopravvivenza che non ha nulla di invidiabile. Ma, sempre soddisfatto di sé, eleva la sua miseria banale a “stile di vita” originale: il miserabilismo e la “bohème”. Ora la “bohème”, lungi dall’essere una soluzione originale, non é mai autenti-camente vissuta che dopo una rottura completa e irreversibile con l’ambiente universitario. I suoi sostenitori tra gli studenti (e tutti si piccano di esserlo un po’) non fanno altro che attaccarsi a una versione artificiale e degradata di quella che é nel migliore dei casi una mediocre soluzione individuale che merita perfino il disprezzo delle vecchie signore di campagna. Questi “originali” continuano, trent’anni dopo l’opera di W. Reich, ad avere i comportamenti erotico-amorosi più tradizionali, riproducendo i rapporti generali della società classista nei loro rapporti intersessuali. La predisposizione a diventare un militante purchessia dice molte cose sull’impotenza dello studente. Nel margine di libertà individuale permesso dallo Spettacolo totalitario e malgrado l’uso meschino che egli fa del proprio tempo, lo studente ignora ancora l’avventura e le preferisce uno spazio-tempo quotidiano ristretto, pianificato a suo uso e consumo dai guardiani dello spettacolo
stesso.
Senza esservi costretto lo studente separa lavoro e divertimenti, proclamando un ipocrita disprezzo per gli sgobboni e per quelli che vogliono far carriera. Sottoscrive tutte le scissioni della società e va poi a versare lacrime sull’incomunicabilità nei vari circoli religiosi, sportivi, politici o sindacali. E’ così stupido e così disgraziato che si affida in massa e spontaneamente al controllo parapoliziesco degli psichiatri e psicologi,
predisposto a suo beneficio dall’avanguardia dell’oppressione moderna e esaltato dai suoi “rappresentanti”, che vedono naturalmente nei Centri di Aiuto Psicologico Universitario (BAPU) una conquista indispensabile e meritata.
Ma la miseria reale della vita quotidiana dello studente trova una immediata compensazione fantastica nella sua principale droga: la merce culturale. Nello spettacolo culturale lo studente ritrova naturalmente il suo ruolo di discepolo rispettoso; prossimo al luogo della produzione senza potervi penetrare - l’accesso al santuario gli resta vietato - lo studente scopre la “cultura moderna” con atteggiamento di ammirazione passiva.
In un’epoca in cui l’arte é morta rimane il principale frequentatore dei teatri e dei cineforum e il più ghiotto consumatore del suo cadavere congelato e messo in circolazione sotto cellophane nei supermercati per le massaie dell’abbondanza. Lo studente parte-cipa a questa giostra senza riserve, senza secondi finii e senza distacco. E’ il suo elemento naturale. Se le “case della cultura” non esistessero, lo studente le avrebbe inventate. Egli verifica perfettamente le analisi più banali della sociologia americana del mar-keting: consumo ostentato, affermazione di una differenziazione pubblicitaria tra prodotti identici nella loro nullità (Pérec o Robbe-Grillet; Godard o Lelouch).
E quando gli “dei” che producono o organizzano il suo spettacolo culturale si incarnano sulla scena é il loro principale pubblico e il frequentatore ideale. Assiste in massa alle loro esibizioni più oscene; chi altro riempirebbe le sale quando per esempio i curati delle varie parrocchie vengono a propinare pubblicamente i loro dialoghi-fiume (settimana del pensiero cosiddetto marxista, riunioni di intellettuali cattolici) o quando i relitti della letteratura vengono a constatare la loro impotenza (5000 studenti a “Que peut la littérature”?”)?
Incapace di passioni reali, lo studente si delizia di polemiche prive di passione tra le vedettes dell’Inintelligenza, su falsi problemi la cui funzione é mascherare quelli veri: Althusser - Garaudy - Sartre - Barthes - Picard - Lefebvre - Levi Strauss - Halliday -Chatelet - Antoine. Umanesimo - Esistenzialismo - Strutturalismo - Scientismo - Neocri-ticismo - Dialetto-naturalismo - Cibernetismo - Pianetismo - Metafilosofismo.
Nel suo zelo si crede all’avanguardia perché ha visto l’ultimo Godard, comprato l'ultimo libro “argumentiste”, partecipato all’ultimo happening di quel coglione di Lapassade.
Ignorante com’è prende per novità “rivoluzionarie” garantite da un’etichetta i più insipidi surrogati di antiche ricerche, effettivamente importanti al loro tempo, edulcorate ai fini del mercato. Il problema é di preservare sempre la sua reputazione culturale.
Lo studente é fiero di comprare, come tutti, le riedizioni economiche di una serie di testi importanti e difficili che la “cultura di massa” diffonde a ritmi accelerati. Ma non sapendo leggere si accontenta di consumarli con lo sguardo.
La sua lettura preferita resta la stampa specializzata che orchestra il consumo delirante dei gadgets culturali; ne accetta docilmente gli ordini pubblicitari e ne fa il termine di riferimento standard dei suoi gusti. Si estasia ancora sull’“Express”e l’“Observateur”oppure crede che “Le Monde”, il cui stile é già troppo difficile per lui, sia veramente un giornale “obiettivo” che riflette l’attualità. Per approfondire le sue conoscenze generali inghiotte con avidità “Planète”, la rivista magica che cancella le rughe e i punti neri delle vecchie idee. E così che crede di partecipare al mondo moderno e di iniziarsi alla politica. Infatti lo studente più di ogni altro é contento di essere politicizzato. Ma ignora che partecipa alla politica attraverso lo stesso spettacolo generale che presiede alla società.
Si appropria ancora di tutti i ridicoli brandelli di una sinistra annientata più di 40 anni fa dal riformismo “socialista” e dalla controrivoluzione stalinista. Lo studente lo ignora ancora, mentre il Potere lo sa benissimo e gli operai in modo confuso. Partecipa con fierezza risibile alle manifestazioni più ridicole che attirano soltanto lui. La falsa coscienza politica si trova in lui allo stato puro e lo studente costituisce la base ideale per le manipolazioni dei burocrati delle organizzazioni in via di disfacimento (dal Partito cosid-detto Comunista all’UNEF). Queste programmano totalitariamente le sue opzioni politi-che: ogni impennata o velleità di “indipendenza” rientra docilmente dopo una parodia di resistenza in un ordine che non é stato mai messo in questione. Quando lo studente crede di andare più in là, come quegli individui che si definiscono, per una vera malattia dell’inversione pubblicitaria, JCR (Jeunes Communistes Révolutionnaires), mentre non sono né giovani né comunisti né rivoluzionari, é per allinearsi allegramente alla parola
d’ordine pontificia: Pace nel Vietnam.
Lo studente é fiero di opporsi agli “arcaismi” di De Gaulle, ma non si rende conto di seguire così i vecchi errori del passato, i crimini stantii (come lo stalinismo all’epoca di Togliatti - Garaudy - Kruscev - Mao) e che così la sua gioventù é ancora
più arcaica del potere che effettivamente dispone di tutto quello che occorre per amministrare una società moderna.
Ma questo non é l’unico arcaismo dello studente. Egli si crede di avere idee generali su tutto, concezioni coerenti del mondo che diano un senso al suo bisogno di agitazione e di promiscuità asessuata. Perciò, vittima delle ultime farneticazioni delle chiese, si precipita sul rudere cadente della religione per adorare la carogna puzzolente di Dio e si attacca ai rimasugli decomposti delle religioni preistoriche che crede degni di sé e del suo tempo. Si ha quasi vergogna a dirlo ma l’ambiente studentesco é, insieme con quello delle vecchie di provincia, il settore in cui resiste la maggior percentuale di prati-canti e, mentre in qualsiasi posto i preti sono già stati mangiati o cacciati via, resta la migliore “terra di missione” dove preti-studenti continuano a sodomizzare senza vergogna migliaia di studenti nei loro cessi spirituali.
Certo tra gli studenti non mancano persone di livello intellettuale normale. Questi superano senza fatica le miserabili prove di capacità previste per i mediocri proprio perché hanno capito il sistema, lo disprezzano e si riconoscono suoi nemici. Essi prendono dal sistema di studi quanto ha di meglio: le borse. Approfittando delle falle del controllo, obbligato dalla sua logica a conservare un piccolo settore puramente intellet-tuale, la “ricerca”, portano tranquillamente lo scompiglio a livello più alto: l’aperto disprezzo per il sistema si accompagna alla lucidità che permette loro appunto di essere più forti dei servi del sistema, principalmente dal punto di vista intellettuale. Le persone di cui parliamo figurano infatti già tra i teorici del movimento rivoluzionario che sta nascendo e sono orgogliosi di essere conosciuti solo ora che si sta cominciando a parlare del movimento stesso. Essi non nascondono a nessuno che ciò che prendono così facilmente dal “sistema di studi” é utilizzato per la sua distruzione. Infatti lo studente non può rivoltarsi contro nulla senza rivoltarsi contro i suoi studi e la necessità di questa rivolta si fa sentire con minore spontaneità che nell’operaio il quale si rivolta naturalmente contro la sua condizione Ma lo studente è un prodotto della società moderna come Godard e la Coca-Cola.
La sua estrema alienazione non può essere contestata che attraverso la contestazione di tutta la società. Non é possibile limitare questa critica al campo studentesco: lo studente come tale si attribuisce uno pseudo-valore che gli impedisce di prendere co-scienza della sua spoliazione reale e perciò vive il grado più alto di falsa coscienza. Ma dovunque la società moderna comincia ad essere contestata c’è una rivolta dei giovani che corrisponde a una critica totale del comportamento studentesco.
Non è sufficiente che il pensiero ricerchi la sua realizzazione, bisogna che la realtà ricerchi il pensiero
Dopo un lungo periodo di sonno letargico e di controrivoluzione permanente comincia a manifestarsi da qualche anno un nuovo periodo di contestazione di cui sembrano essere portatori i giovani. Ma la società dello spettacolo, nella rappresentazione che fa di se stessa e dei suoi nemici, impone la sue categorie ideologiche per la comprensione del mondo e della storia. Essa riconduce ogni processo storico all’ordine naturale delle cose e chiude le vere verità che annunciano il suo superamento nella cornice ristretta
di una novità illusoria. La rivolta della gioventù contro il modo di vivere che le é imposto è il segno precorritore di una sovversione più vasta che ingloberà l’insieme di coloro che sentono sempre maggiormente l’impossibilità di vivere in queste condizioni, il preludio della prossima epoca rivoluzionaria. L’ideologia dominante e i suoi organi quotidiani secondo i ben noti meccanismi di rovesciamento della realtà, riducono questo movimento storico reale a una pseudo-categoria socio-naturale la cui caratteristica fonda-mentale
sarebbe la rivolta: l’Idea della Gioventù. Così si riconduce la nuova gioventù della rivolta all’eterna rivolta della gioventù che rinasce a ogni generazione per spegnersi quando il “giovane é preso dalla serietà della produzione e di un’attività volta a fini concreti e reali”. La “rivolta dei giovani” è stata ed è ancora oggetto di una vera inflazione giornalistica che ne fa lo spettacolo di una “rivolta” possibile offerta in contemplazione per impedire che la si viva, sfera aberrante - già integrata - necessaria al funzionamento del sistema sociale; questa rivolta contro la società rassicura la società perché si presume che resti parziale nell’apartheid dei “problemi della gioventù” - come vi sarebbero un problema della donna, un problema negro - e non duri per tutta la vita. E’ vero invece che se c’è un problema dei giovani nella società moderna, questo é dovuto al fatto che la crisi profonda di questa società è da loro sentita con maggiore acutezza. Tipici prodotti di questa società moderna, i giovani sono essi stessi moderni, e possono o integrarvisi in-condizionatamente o rifiutarla radicalmente. Quel che deve sorprendere non é che i giovani siano ribelli, ma che gli “adulti” siano tanto rassegnati. la spiegazione di questo fatto non é mitologica, ma storica: la generazione precedente ha conosciuto tutte le sconfitte e consumato tutte le menzogne del periodo della vergognosa disgregazione del movimento rivoluzionario.
Considerati in sé i “giovani” sono un mito pubblicitario già profondamente legato al modo di produzione capitalistico, come espressione del suo dinamismo. Questo illusorio primato della gioventù é stato reso possibile dal rilancio dell’economia dopo la I guerra mondiale, in seguito all’ingresso massiccio sul mercato di tutta una categoria di consumatori più malleabili, ruolo questo che garantisce un certificato di integrazione nella società dello spettacolo. Ma l’interpretazione del mondo fornita dall’ideologia do-minante si trova in contraddizione con la realtà socio-economica (perché in ritardo su essa) e sono proprio i giovani che per primi affermano un irresistibile furore di vivere e insorgono spontaneamente contro la noia quotidiana e il tempo morto che il vecchio mondo continua a secernere attraverso le sue varie modernizzazioni. La frazione ribelle della gioventù esprime il rifiuto puro senza la coscienza di una prospettiva di superamento, il rifiuto nichilistico. Questa prospettiva cerca se stessa e si costituisce dappertutto nel mondo. Ha bisogno di raggiungere la coerenza della critica teorica e l’organizzazione
pratica di questa coerenza.
A livello superficiale i “blousons noirs” in tutti i paesi esprimono con il massimo della violenza apparente il rifiuto di integrarsi. Ma il carattere astratto del loro rifiuto non lascia loro nessuna possibilità di sfuggire alle contraddizioni di un sistema di cui sono il prodotto negativo spontaneo. I “blousons noirs” sono il prodotto di tutti gli aspetti dell’ordine attuale: la configurazione urbanistica dei grandi agglomerati cittadini, la decomposizione dei valori, l’aumento del tempo libero da consumare sempre più noiosa-mente, il controllo umanistico-poliziesco esteso in misura sempre maggiore a tutta la vita quotidiana, la sopravvivenza della cellula familiare priva di ogni significato. Essi disprezzano il lavoro, ma accettano la merce. Vorrebbero avere tutto quello che la pubblicità esibisce loro, subito e anche se non possono pagarlo. Questa contraddizione fonda-mentale domina tutta la loro esistenza ed é il cerchio che imprigiona il loro tentativo di affermazione nella ricerca di una vera libertà nell’impiego del tempo, l’affermazione individuale e la costituzione di una specie di comunità (però le loro microcomunità ricom-pongono ai margini della società sviluppata un primitivismo in cui la miseria ricrea ineluttabilmente una gerarchia all’interno della banda. Questa gerarchia che si può affermare solo nella lotta con altre bande isola ogni banda e in ogni banda l’individuo). Per usci-re da questa contraddizione il blouson noir dovrà alla fine lavorare per comprare le merci e a questo punto tutto un settore della produzione é espressamente creato per il suo recupero come consumatore (moto, chitarre elettriche, vestiti, dischi, ecc.) oppure deve scon-trarsi con le leggi della merce o in modo elementare rubandola, o in maniera cosciente elevandosi alla critica rivoluzionaria del mondo della merce. Il consumo smussa la carica rivoluzionaria di questi giovani ribelli e la loro rivolta ricade nel peggiore conformismo.
L’unica via di uscita dei blousons noirs è o la presa di coscienza rivoluzionaria o l’obbedienza cieca nelle fabbriche.
I Provos costituiscono la prima forma di superamento dell’esperienza dei blousons noirs, l’organizzazione della sua prima espressione politica. Sono nati dall’incontro tra i rifiuti dell’arte decomposta in cerca di successo e una massa di giovani ribelli in cerca di affermazione. La loro organizzazione ha permesso agli uni e agli altri di avanzare e di accedere a un nuovo tipo di contestazione. Gli “artisti” hanno portato alcune tendenze al gioco ancora molto mistificate, accoppiate a un guazzabuglio ideologico; i giovani ribelli dal canto loro non avevano che la violenza della rivolta. Fin dall’inizio della loro organizzazione le due tendenze sono rimaste distinte; la massa senza storia si é trovata di colpo sotto la tutela di una piccola classe dirigente sospetta di mantenere il “potere” con la secrezione di una ideologia “provotaria”. Non si é verificato il passaggio della violenza dei blousons noirs sul piano delle idee, nel tentativo di superare l’arte, anzi é stato il riformismo neoartistico che si é imposto. I provos sono l’espressione dell’ultimo riformismo prodotto dal capitalismo moderno: quello della vita quotidiana. Mentre é assolutamente necessaria una rivoluzione ininterrotta per cambiare la vita, la gerarchia provo crede - come Bernstein credeva di trasformare il capitalismo in socialismo con le riforme - che sia sufficiente apportare qualche miglioramento per cam-biare la vita quotidiana. I provos scegliendo il frammentario finiscono per accettare la totalità. Per darsi una base i loro dirigenti hanno inventato la ridicola ideologia del “Provotariato” (pasticcio artistico-politico ingenuamente preparato con i resti ammuffiti di una festa che non hanno conosciuto), destinata secondo loro a opporsi alla pretesa passività e all’imborghesimento del proletariato, ritornello di tutti gli imbecilli del secolo.
Disperando di trasformare la totalità, disperano delle sole forze che sono portatrici della speranza di un superamento di cui esiste effettivamente la possibilità. Il proletariato é il motore della società capitalistica e perciò il suo nemico mortale; tutto é fatto per reprimerlo (i partiti, i sindacati burocratici, la polizia più spesso diretta contro il pro-letariato che contro i provos, la colonizzazione di tutta la sua vita) perché il proletariato é l’unica forza veramente pericolosa per il sistema. Ma i provos non l’hanno capito affatto e restano incapaci di fare la critica del sistema di produzione rimanendo perciò prigionieri di tutto il sistema.
Quando in una sommossa operaia che ha scavalcato i sindacati la base é passata alla violenza diretta, i dirigenti sono stati completamente superati dal movimento e nel loro disorientamento non hanno trovato di meglio che denunciare gli “eccessi” e lanciare appelli pacifisti, rinunciando miseramente al loro programma (che era provocare le autorità per mostrarne il carattere repressivo) e gridando per di più che erano provocati dalla polizia. Sono giunti al colmo di fare appello attraverso la radio dei giovani sovversivi perché si lasciassero educare dai provos, cioè dai dirigenti che hanno ampiamente dimostrato che la loro vaga “anarchia” é soltanto un’ennesima menzogna. La base ribelle dei provos può accedere alla critica rivoluzionaria soltanto se si rivolta contro i suoi capi, unendosi alle forze rivoluzionarie oggettive del proletariato e sbarazzandosi della gente come Constant (artista ufficiale dell’Olanda reale) e De Vries, parlamentare fallito am-ministratore della polizia inglese. Allora soltanto i provos potranno raggiungere la contestazione moderna autentica di cui hanno già una base reale. Se vogliono veramente trasformare il mondo non sanno che farsene di quelli che vogliono accontentarsi di dipingerlo in bianco.
Ribellandosi contro i propri studi gli studenti americani hanno con quest’atto stesso messo in questione la società che di tali studi ha bisogno. La loro rivolta contro la gerarchia universitaria (a Berkeley e altrove) si é affermata come rivolta contro tutto il sistema sociale basato sulla gerarchia e sulla dittatura economica dello stato.
Rifiutandosi di farsi integrare nei settori di produzione a cui li destinavano i loro studi specializzati contestano a fondo un sistema di produzione in cui tutte le attività e tutti i prodotti sfuggono completamente ai produttori. Anche se ancora confusamente e per tentativi la gioventù americana in rivolta è alla ricerca di una alternativa rivoluzionaria coerente con nella “società del benessere”. Questi giovani ribelli restano legati in larga misura ai due aspetti relativamente accidentali della crisi americana: il problema negro e il Vietnam; e le piccole organizzazioni che costituiscono la “Nuova Sinistra” ne risentono pesantemente. Esse hanno un’autentica esigenza di democrazia, ma la debolezza del loro contenuto sovversivo le fa ricadere in pericolose contraddizioni. E’ facile rendere innocua la loro ostilità alla politica tradizionale delle vecchie organizzazioni, perché sono politicamente ignoranti e si nutrono di false opinioni su quanto accade realmente nel mondo. L’ostilità astratta alla loro società li porta ad ammirare e a sostenere i suoi nemici più apparenti: le burocrazie dette socialiste, la Cina o Cuba. E’ così possibile trovare in un gruppo come “Resurgence Youth Movement” sia la condanna a morte dello stato sia l’esaltazione della Rivoluzione Culturale condotta dalla più gigantesca bu-rocrazia dei tempi moderni: la Cina di Mao. D’altronde un’organizzazione semilibertaria e non gerarchica come la loro rischia di cadere nell’ideologia della “dinamica dei gruppi” o nel mondo chiuso della setta, per l’evidente mancanza di contenuto. Il consumo di massa di droga esprime una miseria reale e la protesta contro questa miseria: è la ricerca illusoria di libertà in un mondo senza libertà, critica religiosa di un mondo che ha superato la religione. E’ significativo che la droga sia specialmente diffusa tra i beatniks (la destra dei giovani ribelli) focolai di rifiuto ideologico e di assurde superstizioni come lo Zen, lo spiritismo, il misticismo della “New Church” e altro marciume del genere: gandhismo e umanesimo... Nella ricerca di un programma rivoluzionario gli studenti americani commettono lo stesso errore dei provos e si proclamano “la classe più sfruttata della società”; è necessario che si rendano conto di non avere interessi separati da tutti coloro che sono soggetti all’oppressione e alla schiavitù della merce.
Anche nell’Europa orientale il totalitarismo burocratico comincia a produrre le sue forze negative. La rivolta dei giovani é particolarmente violenta anche se noi la co-nosciamo soltanto attraverso le denuncie degli organi dell’apparato statale e le misure poliziesche adottate per contenerla. Siamo informati che una parte dei giovani non “rispetta” più l’ordine morale e familiare (che esiste nella sua forma borghese più dete-stabile), si dà a una vita “dissoluta”, disprezza il lavoro e non obbedisce più alla polizia del partito. In URSS è stato nominato un ministro espressamente per combattere l’hooliganismo. Parallelamente a questa rivolta generica tenta di farsi strada una contestazione più cosciente: gruppi di politici e piccole rivolte clandestine appaiono e scompaiono secondo le fluttuazioni della repressione poliziesca. L’episodio più importante di questa lotta é stata la pubblicazione della Lettera aperta al Partito Operaio polacco dei giovani Kuron e Modzelewski. In essa si affermava chiaramente la necessità dell’abolizione dei rapporti di produzione esistenti e la “ineluttabilità di una rivoluzione che la realizzasse”.
Gli intellettuali dei paesi dell’Est cercano ora di rendere coscienti e formulare chiaramente le ragioni di questa critica che gli operai hanno già messo in pratica a Berlino-Est, a Varsavia, a Budapest: la critica proletaria al potere della classe burocratica.
Questa rivolta ha lo svantaggio di porsi contemporaneamente i problemi reali e la loro soluzione.
Mentre negli altri paesi il movimento è possibile, ma il fine rimane mistificato, nelle burocrazie cosiddette socialiste la contestazione non si fa illusioni e conosce i suoi fini: deve inventare le forme della sua realizzazione e trovare la strada che vi conduce La rivolta dei giovani inglesi ha trovato la sua prima espressione organizzata nel movimento antiatomico. Questa lotta parziale, raccolta intorno al programma generico del Comitato dei Cento - che arrivò a mobilitare fino a 300.000 manifestanti - ha compiuto la sua più bella azione nella primavera del 1963 con lo scandaloso RSG 625. Ma la sorte del movimento antiatomico era segnata: per mancanza di prospettive reali doveva necessariamente sgonfiarsi, assorbito dai rimasugli della politica tradizionale e dalle belle anime pacifiste. L’arcaismo del controllo nella vita quotidiana, tipico dell’Inghilterra, non ha resistito all’assalto del mondo moderno, e la decomposizione accelerata dei valori tradizionali genera alcune tendenze profondamente rivoluzionarie nella critica di tutti gli aspetti dell’esistenza quotidiana. E’ necessario che le esigenze dei giovani si allineino con le forze di resistenza di una classe operaia che è tra le più combattive del mondo, la classe degli shop-stewards e degli scioperi selvaggi; la vittoria verrà loro soltanto da una prospettiva comune. Il disfacimento della socialdemocrazia al potere fornisce un ulteriore probabilità di realizzare un’azione comune. Le esplosioni che una simile alleanza potrebbero provocare sarebbero di gran lunga più imponenti e grandiose di tutto quello che si è visto ad Amsterdam. La sommossa provotaria sarà al confronto un gioco di bambini.
Soltanto così potrà nascere un vero movimento rivoluzionario in cui avranno trovato posto le esigenze pratiche.
Tra i paesi industrialmente avanzati il Giappone è l’unico in cui sia già realizzata la fusione del movimento studentesco con gli operai di avanguardia.
Zengakuren, la famosa organizzazione degli studenti rivoluzionari e la Lega dei giovani lavoratori marxisti sono le due importanti organizzazioni ispirate all’orientamento comune della Lega Comunista Rivoluzionaria. Questa associazione è già arrivata a porsi il problema dell’organizzazione rivoluzionaria. Essa combatte simultaneamente e senza illusioni il capitalismo occidentale e la burocrazia dei paesi falsamente detti socialisti. Raggruppa già alcune migliaia di studenti e di operai organizzati su basi democratiche e antigerarchiche e sulla partecipazione di tutti i membri a tutte le attività dell’organizzazione. I rivoluzionari giapponesi sono per questa ragione i primi al mondo a condurre grandi lotte organizzate, con un programma avanzato e larga parteci-pazione delle masse. Migliaia di operai e di studenti scendono instancabilmente in piazza e affrontano con violenza la polizia giapponese. Tuttavia, anche se combatte fermamente i due grandi sistemi che si dividono il mondo, la Lega Comunista Rivoluzionaria non li ha ancora completamente e concretamente spiegati. Sta ancora cercando di definire con esattezza lo sfruttamento burocratico, e non è ancora riuscita a formulare esplicitamente i caratteri fondamentali del capitalismo moderno, la critica della vita quotidiana e la critica dello spettacolo. La Lega Comunista Rivoluzionaria resta fondamentalmente un’Organizzazione politica d’avanguardia, erede della migliore organizzazione proletaria classica. E’ attualmente il più importante movimento rivoluzionario del mondo e deve costituire uno dei centri di discussione e di raccolta della nuova critica rivoluzionaria proletaria del mondo Creare finalmente la situazione che renda impossibile qualsiasi ritorno al passato
Essere all’avanguardia significa camminare al passo con la realtà. La critica radicale del mondo moderno deve avere come oggetto e come obiettivo la totalità. Deve anche esercitarsi sul suo passato reale, su quello che effettivamente esso è e sulle pro-spettive della sua trasformazione. Infatti per poter dire tutta la verità sul mondo attuale e a maggior ragione per formulare il progetto del suo sovvertimento totale, bisogna essere capaci di rivelare tutta la sua storia nascosta e guardare in maniera totalmente critica la storia del movimento rivoluzionario internazionale, inaugurato più di un secolo fa dal proletariato dei paesi occidentali, le sue sconfitte e le sue vittorie. Questo movimento volto contro l’organizzazione del vecchio mondo è da lungo tempo finito, ed é fallito.
La sua ultima manifestazione storica è stata la sconfitta della rivoluzione proletaria in Spagna (a Barcellona nel maggio 1937). Tuttavia le sue “sconfitte” ufficiali, come le sue “vittorie” ufficiali devono essere giudicate alla luce delle loro conseguenze storiche e la loro verità riscoperta. Possiamo affermare che “ci sono sconfitte che sono vittorie e vittorie più vergognose delle sconfitte” (Karl Liebknecht poco prima di essere assassinato).
La prima grande disfatta del potere proletario, la Comune di Parigi, è in realtà la sua prima grande vittoria, perché per la prima volta il proletariato vi ha affermato la sua capacità di dirigere autonomamente e liberamente tutti gli aspetti della vita sociale. La sua prima grande vittoria, la rivoluzione bolscevica, non è in definitiva che la sua sconfitta più carica di conseguenze. Il trionfo dell’ordine bolscevico concise con il movimento controrivoluzionario internazionale che ebbe inizio con l’annientamento degli Spartachisti da parte della “socialdemocrazia” tedesca. Il loro comune trionfo fu più profondo del loro apparente antagonismo e questo ordine bolscevico è stato in definita soltanto un nuovo travestimento e una figura particolare del vecchio ordine di cose. I risultati della controrivoluzione russa sono stati: all’interno la costituzione e lo sviluppo di un nuovo modo di sfruttamento, il capitalismo burocratico di stato, e all’esterno la moltiplicazione delle sezioni dell’Internazionale detta comunista, succursali destinate a difendere e a diffondere il suo modello. Il capitalismo nelle sue diverse varianti, burocratiche e borghesi, rifioriva nuovamente sui cadaveri dei marinai di Kronstadt e dei contadini di Ucraina, degli operai di Berlino, Kiel, Torino, Shangai e più tardi di Barcellona.
La III Internazionale, apparentemente creata dai bolscevichi per lottare contro i residui della socialdemocrazia riformista della II Internazionale e raggruppare l’avanguardia proletaria nei “partiti comunisti rivoluzionari”, era troppo strettamente legata ai suoi creatori e ai loro interessi per poter realizzare in un paese qualsiasi la vera rivoluzione socialista. In effetti la II Internazionale era la verità della III. Ben presto il modello russo si è imposto alle organizzazioni operaie dell’Occidente e le loro evoluzioni sono diventate una sola e medesima cosa. Alla dittatura totalitaria della burocrazia (nuova classe dirigente) sul proletariato russo corrisponde in seno a queste organizzazioni il dominio di un ceto di burocrati politici e sindacali sulla grande massa dei lavoratori, i cui interessi sono diventati completamente contraddittori con i loro. Il mostro stalinista ha ossessionato la coscienza operaia mentre il capitalismo, in via di burocratizzazione e di sovrasviluppo, ha risolto le sue crisi interne e ha affermato trionfalmente la sua nuova vittoria che pretende permanente. Una stessa configurazione sociale, solo apparente-mente diversa, si é impadronita del pianeta e i principi del vecchio mondo continuano a governare il nostro mondo moderno. I morti ossessionano ancora il cervello dei vivi.
All’interno di questo mondo alcune organizzazioni che si pretendono rivoluzionarie combattono solo apparentemente, sul suo terreno, il vecchio ordine attraverso le più grandi mistificazioni. Tutte si richiamano a ideologie più o meno pietrificate e non fanno in definitiva che partecipare al consolidamento dell’ordine dominante. I sindacati e i partiti politici creati dalla classe operaia per la propria emancipazione sono diventati semplici regolatori del sistema, proprietà privata dei dirigenti che lavorano alla propria emancipazione e trovano un loro posto all’interno della classe dirigente di una società che si guardano bene dal mettere in discussione. Il programma reale di questi sindacati e partiti ripete banalmente la fraseologia “rivoluzionaria” e applica in realtà le parole d’ordine del riformismo più edulcorato, poiché il capitalismo stesso si è fatto ufficialmente riformista.
Dove hanno potuto impadronirsi del potere - in paesi più arretrati della Russia -hanno soltanto riprodotto il modello stalinista del totalitarismo controrivoluzionario.
Negli altri paesi sono il complemento statico e necessario dell’autoregolazione del capitalismo burocratizzato, la contraddizione indispensabile per il mantenimento del suo umanesimo poliziesco. D’altra parte restano - nei confronti delle masse operaie - i garanti incorruttibili e i difensori senza riserve della controrivoluzione burocratica, i docili strumenti della sua politica estera. In un modo fondamentalmente mistificatore sono i portatori della mistificazione più totale e lavorano alla perpetrazione della dittatura uni-versale dell’Economia e dello Stato. Come affermano i situazionisti “un modello sociale universalmente dominante che tende all’autoregolazione totalitaria è solo apparentemente combattuto da false contestazioni portate sul suo stesso terreno, illusioni che al contrario lo rafforzano. Lo pseudosocialismo burocratico è il più grandioso tra questi mascheramenti del vecchio mondo gerarchico del lavoro alienato”. Il sindacalismo studentesco è soltanto la caricatura di una caricatura, la ripetizione burlesca e inutile di un sindacalismo degenerato.
La rivoluzione deve a sua volta rompere definitivamente con la preistoria e trovare la sua poesia soltanto nell’avvenire. I “bolscevichi risuscitati” che giocano la commedia dell’attivismo nei gruppi minoritari sinistroidi non sono che il tanfo del passato e non annunciano l’avvenire. Relitti del grande naufragio della “rivoluzione tradita” si presentano come i paladini dell’ortodossia bolscevica; la difesa dell’URSS é insieme l’espressione di una fedeltà illimitata e di una scandalosa rinuncia.
Le correnti di sinistra possono mantenere ancora in vita qualche illusione solamente nei tanto decantati paesi sottosviluppati dove ratificano il sottosviluppo teorico. In tutta la sinistra da “Partisans” (organo dello stalinismo e del trotzkismo riconciliati) a tutte le tendenze e semitendenze che si disputano “Trotzkj” all’interno e all’esterno della “IV Internazionale”, dominano un’identica ideologia rivoluzionista e un’identica incapacità pratica e teorica di capire i problemi del mondo moderno. Quarant’anni di storia controrivoluzionaria le separano dalla Rivoluzione. Si sbagliano perché non siamo più nel 1920, e nel 1920 si sbagliavano già. La dissoluzione del gruppo “di estrema sinistra” Socialisme ou Barbarie dopo la sua scissione in due frazioni “modernista cardanista” e “marxista classica” di Pouvoir Ouvrier sta a dimostrare, se ce ne fosse bisogno, che non ci può essere rivoluzione fuori dalla realtà contemporanea, né pensiero contemporaneo scisso dalla critica rivoluzionaria che è da reinventare. Tale dissoluzione è significativa del fatto che ogni separazione tra questi due aspetti ricade inevitabilmente o nel museo della Preistoria rivoluzionaria ormai esaurita o nella forma contemporanea del potere, vale a dire nella controrivoluzione dominante: “Voix ouvrière” o “Arguments”.
Quanto ai diversi gruppetti “anarchici” prigionieri tutti quanti di questo appellativo, non hanno nient’altro all’infuori di una ideologia ridotta a una semplice etichetta. L’assurdo “Monde Libertaire” evidentemente redatto da studenti raggiunge il grado più pazzesco di idiozia e di confusione. Questi individui tollerano effettivamente tutto, dal momento che riescono a tollerarsi reciprocamente.
La società dominante che si compiace della sua permanente modernizzazione deve a questo punto trovare un interlocutore, cioè la negazione modernizzata da essa stessa prodotta: “Lasciamo che i morti seppelliscano i morti e li piangano”. Le demistificazioni pratiche del movimento storico sgombrano la coscienza rivoluzionaria dai fantasmi che la ossessionavano; la rivoluzione della vita quotidiana si trova di fronte ai compiti immensi che deve assolvere. La rivoluzione come la vita che essa promette deve essere reinventata. Se il progetto rivoluzionario resta fondamentalmente lo stesso: abolizione della società classista, questo significa che in nessun luogo le condizioni della rivoluzione
sono state radicalmente trasformate. E’ compito dei rivoluzionari di oggi riprendere il progetto rivoluzionario con un radicalismo e una coerenza accresciuti dall’esperienza del fallimento delle vecchie rivoluzioni, per evitare che una realizzazione parziale generi una
nuova divisione della società.
La lotta tra il potere e il nuovo proletariato si può condurre soltanto sulla totalità, e il futuro movimento rivoluzionario deve perciò abolire nel proprio ambito tutto quello che può riprodurre i prodotti alienati del sistema consumistico; deve esserne nello stesso tempo la critica vivente e la negazione che porta in sé tutti gli elementi del superamento possibile. Come esattamente ha visto Lukacs (applicandolo però ad un oggetto che non ne era degno: il partito bolscevico), l’organizzazione rivoluzionaria é la mediazione necessaria tra la teoria dei lavoratori e il proletariato costituito in classe. Le
tendenze e le divergenze “teoriche” devono trasformarsi in problemi di organizzazione se vogliono trovare la strada della realizzazione pratica. La questione dell’organizzazione sarà la prova del fuoco del nuovo movimento rivoluzionario, il tribunale davanti al quale sarà giudicata la coerenza del suo progetto essenziale: la realizzazione internazionale del potere assoluto dei Consigli Operai, quale si é venuto configurando attraverso le esperienze delle rivoluzioni proletarie di questo secolo. Questa organizzazione deve per prima cosa proporre la critica radicale di tutti i fondamenti della società che essa combatte, cioè: la produzione della merce, l’ideologia in tutti i suoi travestimenti, lo Stato e le scissioni che impone. La scissione tra teoria e prassi è stato lo scoglio contro il quale si è infranto il vecchio movimento rivoluzionario. Soltanto i momenti più alti delle lotte proletarie hanno superato questa scissione e ritrovato così la loro verità. Nessuna organizzazione ha ancora risolto questo dilemma. L’ideologia per rivoluzionaria che sia é sempre al servizio dei padroni, campanello d'allarme che denuncia il nemico nascosto.
Per questa ragione la critica dell’ideologia deve essere in ultima analisi il problema centrale dell’organizzazione rivoluzionaria. Soltanto la realtà alienata produce la menzogna e questa non può riapparire all’interno di un’organizzazione che pretende di portare la verità sociale senza trasformarla in un’ennesima menzogna di un mondo fondamentalmente mistificatore.
L’organizzazione rivoluzionaria che si propone di realizzare il potere assoluto dei Consigli Operai deve essere il luogo in cui si delineano tutti gli aspetti positivi di questo potere. Perciò deve condurre una lotta a fondo contro la teoria leninista del partito.
La rivoluzione del 1905 e l’organizzazione spontanea dei lavoratori russi nei Soviet era già una critica pratica di questa nefasta teoria. Ma il movimento bolscevico persisteva nel credere che la spontaneità operaia non avrebbe potuto superare lo stadio sindacalista e che era incapace di comprendere la “totalità”. Il che significava decapitare il proletariato per permettere al partito di prendere il comando della rivoluzione. Non si può contestare, come Lenin ha fatto tanto spietatamente, la capacità storica del proletariato di emanciparsi con le sue forze, senza contestare la sua capacità di gestire totalmente la società futura.
In una prospettiva di questo genere la parola d’ordine “tutto il potere ai Soviet” equivaleva alla conquista dei Soviet da parte del partito, l’instaurazione dello Stato del partito invece dello “Stato” destinato a scomparire del proletariato in armi.
Questa è comunque la parola d’ordine da riprendere in modo radicale, liberandola dai secondi fini bolscevichi. O il proletariato si assume il gioco della rivoluzione per guadagnare tutto un mondo o esso non è niente. L’unica forma del suo potere, l’autogestione a tutti i livelli, non può essere divisa con nessun’altra forza. Poiché esso è la dissoluzione reale di tutti i poteri non può tollerare nessuna limitazione (geografica o di altra natura); gli accomodamenti che accetta si trasformano immediatamente in com-promessi e in cedimenti. “L’autogestione non deve essere solo il fine, ma il mezzo stesso della nostra lotta, la posta e la regola del gioco, il soggetto e l’oggetto dell’azione e non ha bisogno di nessun altro presupposto”.
La critica unitaria del mondo è la garanzia della coerenza e della verità dell’autorganizzazione rivoluzionaria. Tollerare in una parte qualsiasi del mondo l’esistenza di sistemi oppressivi (perché portano la maschera rivoluzionaria, per esempio) significa riconoscere la legittimità dell’oppressione. Ugualmente, se si tollera l’alienazione di uno degli aspetti della vita sociale, si riconosce la fatalità di tutte le reificazioni.
Non basta essere per il potere astratto dei Consigli Operai, bisogna dimostrarne il significato concreto: l’eliminazione del proletariato e della produzione della merce.
La logica della merce è la razionalità prima ed ultima della società attuale, é la base della autoregolazione totalitaria di queste società simili a quei giochi di pazienza i cui pezzi, in apparenza completamente diversi l’uno dall’altro, sono in realtà equivalenti. La reificazione imposta dalla società della merce é l’ostacolo fondamentale per una emancipazione totale, per la costruzione libera della vita. Nel mondo della produzione della merce la prassi non si attua in funzione di un fine determinato in modo autonomo, ma é soggetta alla pressione di poteri esterni. Se le leggi dell’economia sembrano diventare leggi naturali di un tipo particolare è solo perché il loro potere si fonda unicamente sull’“assenza di coscienza di coloro che vi sono implicati”.
Il principio della produzione della merce è la perdita di se stessi nella creazione caotica e inconsapevole di un mondo che sfugge totalmente ai suoi creatori. Al contrario il nucleo radicalmente rivoluzionario dell’autogestione a tutti i livelli è la direzione cosciente dell’insieme della vita da parte di tutti. L’autogestione dell’alienazione della merce ridurrebbe gli uomini a essere soltanto i programmatori della loro sopravvivenza:
è il problema della quadratura del cerchio. Compito dei Consigli Operai non sarà dunque l’autogestione del mondo esistente, ma la sua trasformazione qualitativa ininterrotta: il superamento concreto della merce (in quanto il processo di produzione della merce non è
che il travisamento gigantesco della produzione di sé da parte dell’uomo).
Questo superamento implica ovviamente la soppressione del lavoro e la sua sostituzione con un nuovo tipo di attività libera, abolizione quindi di una delle fratture fondamentali della società moderna, quella tra lavoro sempre più reificato e “tempo libero” passivamente consumato. I gruppi minoritari in disfacimento, come ad esempio Socialisme ou Barbarie o Pouvoir Ouvrier, anche se allineati alla parola d’ordine moderna del Potere Operaio, continuano a seguire su questo punto centrale il vecchio movimento operaio sulla strada del riformismo del lavoro e della sua “umanizzazione”. E’ il lavoro stesso che oggi va messo in questione. La sua abolizione lungi dall’essere un’utopia é la condizione preliminare del superamento effettivo della società dei consumi e dell’abolizione - nella vita quotidiana di tutti - della separazione tra “tempo libero” e “tempo di lavoro”, settori complementari di una vita alienata in cui si proietta all’infinito la contraddizione interna della merce tra valore d’uso e valore di scambio. Soltanto superando questa opposizione gli uomini potranno fare dell’attività vitale un prodotto della loro volontà e coscienza, e potranno completarsi in un mondo da essi stessi creato. La democrazia dei Consigli Operai è la soluzione dell’enigma di tutte le scissioni attuali.
Essa rende “impossibile tutto quello che esiste fuori degli individui”. Il dominio consapevole della storia da parte degli uomini che ne sono i protagonisti, questo è il progetto rivoluzionario. La storia moderna, come pure tutta la storia passata, è il prodotto della prassi sociale, il risultato - inconscio - di tutte le attività umane.
All’epoca del suo dominio totalitario, il capitalismo ha prodotto al sua nuova religione: lo spettacolo. Lo spettacolo è la realizzazione profana dell’ideologia. Il mondo non ha mai camminato così bene sulla testa. “E come la “critica della religione”, la critica dello spettacolo è oggi la condizione primaria di ogni critica”.
Il problema della rivoluzione è storicamente posto all’umanità.
L’accumulazione sempre più imponente dei mezzi materiali e tecnici trova riscontro solo nell’insoddisfazione sempre più profonda di tutti. La borghesia, e la sua sorella orientale, la burocrazia, non possono realizzare l’impiego razionale dello sviluppo tecnologico che sarà la base della poesia del futuro, perché entrambe lavorano al mantenimento del vecchio ordine di cose. Tutt’al più detengono il segreto del suo impiego poliziesco. Continuano ad accumulare il Capitale e perciò ad accrescere il proletariato; proletario è chi non ha nessun potere sulla vita e lo sa. La probabilità di successo che la storia offre al nuovo proletariato è quella che deriva dall’essere l’unico erede dell’inutile ricchezza del mondo borghese da trasformare e da superare nel senso dell’uomo totale e dell’approvazione totale della natura e della sua propria natura. Questa realizzazione della natura dell’uomo ha senso solo se si compie attraverso la soddisfazione illimitata e la moltiplicazione all’infinito dei desideri reali che lo spettacolo respinge nelle zone profonde dell’inconscio rivoluzionario, desideri che esso non é in grado di soddisfare se non su un piano fantastico nel delirio onirico della pubblicità. La realizzazione effettiva dei desideri reali, vale a dire l’abolizione di tutti i bisogni e i desideri fittizi che il sistema crea quotidianamente per perpetuare il suo potere non può verificarsi senza l’eliminazione dello spettacolo della società della merce e il suo superamento positivo.
La liberazione della storia moderna e la libera utilizzazione delle sue molteplici conquiste può venire solo dalle forze che essa reprime: i lavoratori che non hanno nessun potere sulle condizioni, il significato e i prodotti della loro attività. Già nell’ottocento il proletariato era l’erede della filosofia, oggi é diventato anche l’erede dell’arte moderna e della prima critica cosciente della vita quotidiana. Il proletariato non può negarsi senza realizzare nel contempo l’arte e la filosofia. Trasformare il mondo e cambiare la vita sono per il proletariato la stessa cosa, sono le parole d’ordine inseparabili che accompagneranno la sua sparizione in quanto classe, la dissoluzione della società attuale in quanto regno della necessità, e l’accesso finalmente possibile al regno della libertà. La critica radicale e la libera ricostruzione di tutti i comportamenti e i valori imposti dalla società alienata sono il suo programma massimo e la creatività liberata nella costruzione di tutti i momenti e gli avvenimenti della vita é la sola poesia che potrà riconoscere, la poesia fatta da tutti, l’inizio della festa rivoluzionaria. Le rivoluzioni proletarie saranno delle feste o non saranno affatto, perché la vita che esse annunciano sarà essa stessa creata all’insegna della festa. Il gioco é la ratio profonda di questa festa. Le sue uniche regole saranno: vivere senza tempo morto e godere senza ostacoli.


 

 

 

 

 
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