LA DONNA ALBANESE NELLA TRANSIZIONE
DA UNO STUDIO CHE DOCUMENTA IN MODO ACCURATO E SCIENTIFICO L'IMPATTO DI UNA SITUAZIONE DI TRANSIZIONE EMBLEMATICA DELL'ERA DELLA GLOBALIZZAZIONE SULLA VITA DELLE DONNE. ALTRI STRALCI APPARIRANNO NEI SUCCESSIVI NUMERI DI IEMANJA'.


gennaio 2001, di Stefania Maggioni

 

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4.1 Introduzione

Dal 1990-91 con la caduta del regime comunista e la fine dell'isolamento, l'Albania sta attraversando una difficile fase transitoria; il passaggio repentino da una dittatura di stampo stalinista a un sistema democratico su modello occidentale, con un sistema economico di libero mercato, non è stato privo di gravi conseguenze in ambito politico, economico e sociale. In primo luogo il paese manca di una propria cultura democratica. L'unica esperienza di governo democratico è stata quella di Fan Noli nel 1924 e durata solo sei mesi, mentre durante la breve vita politica indipendente l'Albania ha conosciuto il governo monarchico di Re Zog prima e il regime totalitario di Enver Hoxha poi.
Il crollo del regime comunista poi non solo ha travolto il sistema politico, istituzionale e produttivo del paese, ma ha anche creato un enorme vuoto che ha riguardato soprattutto il sistema dei valori.
Passata l'iniziale euforia per aver raggiunto la tanto desiderata libertà di pensiero, di azione e di movimento, il paese è andato incontro a una situazione via, via sempre più rovinosa e la gente si è venuta a trovare in una condizione di totale smarrimento.
La crisi economica degli anni '80-90 e il capovolgimento politico-istituzionale del '90-91 hanno portato la disoccupazione a livelli estremamente alti. Nelle campagne sono state sciolte le cooperative agricole e si è provveduto alla redistribuzione delle terre; interi nuclei familiari contadini si sono trovati a dover essere "imprenditori di se stessi", assolutamente privi di capitali di investimento, infrastrutture, reti di distribuzione e supporto psicologico.
L'inflazione e il debito con l'estero hanno iniziato a crescere in maniera vertiginosa. La criminalità prima inesistente per via del rigido controllo del governo, ha iniziato a diffondersi in tutto il paese, alimentando così lo stato di insicurezza delle persone. I beni di prima necessità inoltre sono aumentati in media del 300% e la sopravvivenza,
per un certo periodo, è stata garantita in gran parte dagli aiuti alimentari della comunità internazionale. Senza considerare che il paese, da un punto di vista architettonico e viabilistico si è trovato totalmente allo sbando: edifici e vie di comunicazione sono stati lasciati in un totale stato di abbandono; case private, chioschi e bar sono sorti ovunque senza rispettare alcun piano urbanistico regolatore.
Quale impatto ha avuto, e ancora sta avendo, tutto questo sulla donna?
Le emergenze da affrontare come si è visto sono tante e in questa fase le questioni squisitamente sociali, tra cui la questione femminile, diventano "qualcosa di non prioritario" . Il rischio è quello di una "involuzione del processo di emancipazione" portato avanti, pur con tutte le sue contraddizioni, da Enver Hoxha.
Secondo il rapporto UNICEF "Donne nella transizione" del 1999, realizzato dal centro di ricerca UNICEF-ICDC di Firenze, che valuta la situazione delle donne nei paesi dell'est europeo dopo il crollo del comunismo, le donne si trovano a dover affrontare un aumento delle diseguaglianze. Anche se negli anni della dittatura enverista non è stata realmente promossa una cultura dell'uguaglianza, si sono però ottenute importanti conquiste per le donne: alto grado di istruzione, buoni livelli di assistenza sanitaria e all'infanzia, ingresso nel mercato del lavoro retribuito. La transizione invece sta minando queste conquiste e ricreando una situazione di forte disparità tra uomo e donna.
L'Albania ha ratificato la "Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna" e ha partecipato alla Quarta Conferenza Mondiale sulle donne di Pechino. Il principio di eguaglianza tra uomini e donne è sancito all'articolo 18 della nuova costituzione approvata il 28 Novembre 1998. Nonostante questo in Albania oggi sembra non esserci una corrispondenza tra una "uguaglianza de jure e una uguaglianza de facto" .

4.2 Lo status economico e sociale

La transizione politica ed economica degli ultimi 10 anni ha avuto sulla donna albanese importanti conseguenze. Nel 1991 l'Albania è stata vicino alla catastrofe economica e in questo contesto la donna è risultata essere il soggetto più vulnerabile. "Nel periodo 1991-93 tra quanti hanno perso il lavoro erano donne il 57.3% a Tirana, il 61.5% a Valona (Vlorë), il 60% a Durazzo (Durrës). Come spesso accade nelle fasi di recessione economica riemerge la convinzione che è l'uomo che deve farsi carico del sostentamento della famiglia e quindi i pochi posti di lavoro disponibili vengono a lui riservati". Le donne sono così tornate a essere madri e a svolgere le faccende domestiche per le quali le viene ora richiesto un carico di tempo e fatica maggiori a causa dei tagli alle strutture sanitarie e assistenziali . La vita quotidiana presenta difficoltà enormi da affrontare: nel 1991-92 nelle case è mancata l'elettricità, l'acqua corrente e l'inverno è trascorso senza riscaldamento anche nelle scuole.
D'altra parte non c'è la volontà di riqualificare le donne, renderle professionalmente competenti e idonee alle esigenze del nuovo mercato del lavoro e ciò le ha portate a essere economicamente sempre più dipendenti dal marito. Da quando lo stato non garantisce più la "piena occupazione" non solo le opportunità lavorative per una donna sono minori, ma anche poco remunerate, questo anche quando il soggetto presenta livelli di scolarizzazione molto alti. Il salario medio di una donna, a parità di lavoro e di responsabilità è circa l'80-85% di quello di un uomo. Dal 1989 in avanti la percentuale di donne disoccupate è sempre stata superiore a quella degli uomini. E' interessante notare che le donne si sono "ritirate" dalla forza lavoro. Nel 1989 l'84.7% delle donne in età lavorativa era inclusa nella forza lavoro, nel 1995 questa percentuale è scesa al 60%. Nel 1995 solo la metà (51.1%) delle donne in età da lavoro era occupata contro il 75.5% degli uomini (tab. 1).

 

 1989

 1990

 1992

 1995
 Numero  %  Numero  %  Numero  %  Numero  %
 1. Popolazione in età da lavoro  Maschi  994  53,4  1001 53 912 49,3 916 50,3
 Femmine 867  46,6 886 47 937 50,7 904 49,7
 2. Forza lavoro Maschi   820 82,5 857  85,6 782 85,7 783 85,5
 Femmine  734 84,7 722 81,5 707 75,5 542 60
 3. Totale occupati  Maschi 768  77,3 785 78,4 588 64,5 692 75,5
 Femmine  672 77,5 644 72,2 507 54,1 462 51,1
4. Disoccupati registrati*  Maschi  52 6,3 72 8,4 194 24,8 91 11,6
 Femmine  62 8,4 79 10,9 200  28,3 80 14,8

Tabella 1: Popolazione in età lavorativa, occupati, disoccupati (in migliaia).
Fonte: Human Development Report 1996 (Tratto da: Women's Center (1998), Business Women in Albania, Tirana, p.10).Totale occupati: %=% Popolazione in età da lavoro
Disoccupati registrati: %=% della forza lavoro

*C'è ragione di credere che il livello di disoccupazione registrato sia sottostimato in quanto molti lavoratori ufficialmente impiegati nelle campagne in realtà non percepiscono lo stipendio o lo percepiscono solo in parte; i contadini che hanno ricevuto la terra con le privatizzazioni non possono iscriversi nel registro dei disoccupati; inoltre la bassa qualità del servizio di collocamento (ci si deve iscrivere ogni mese e gli uffici sono solo nelle grandi città) scoraggia molti disoccupati ad iscriversi (cfr. Albanian National Women Report 1999, p.16).

Nelle campagne poi la situazione è per certi versi ancora più difficile. Con la chiusura delle cooperative agricole che impiegavano molte donne, e nonostante la redistribuzione delle terre, molte famiglie si sono trovate a vivere in condizioni di estrema povertà, per via della mancanza di macchinari efficienti. Secondo uno studio della Banca Mondiale fatto nel '95-'96, oltre 600.000 persone delle aree rurali vivono al di sotto della soglia di povertà e una quota consistente sono donne . E' in questo ambiente di estrema povertà che gli antichi valori patriarcali riemergono e la donna precipita nuovamente in uno stato di precarietà e di inferiorità.
Le terre inoltre sono state assegnate al maschio della famiglia in quanto sostegno della casa, anche se nella realtà con l'alto numero di uomini emigrati all'estero sono le donne che si fanno carico del duro lavoro nei campi. Con le riforme degli ultimi anni si è riconosciuto alla donna il diritto di ereditare la terra, ma in pratica è sempre il figlio maschio che rimane a vivere con la famiglia che eredita la proprietà.
Un altro fenomeno emerso durante la difficile transizione e che ha avuto significative ripercussioni sulla donna è quello migratorio. All'inizio degli anni '90 consistenti flussi migratori dalle zone rurali e di montagna si sono diretti verso le principali città portando così ad una crescita incontrollata delle periferie, soprattutto a Tirana e Durazzo (Durrës) . La città di Tirana è cresciuta dal 1990 del 30% mentre le infrastrutture sono rimaste le stesse creando così gravi problemi sociali. Secondo fonti ufficiali albanesi nel 1997 la popolazione registrata era di 570.000 persone . "E' stato stimato che migliaia di donne e bambini vivono alla periferia di Tirana in vere e proprie baraccopoli in condizioni igienico-sanitarie pessime" . La crescita della popolazione nelle aree urbane assume ancora più significato se si pensa che l'Albania fino al 1990 è stata una società prevalentemente rurale.
A partire dal 1991 però si sono verificate anche significative migrazioni internazionali, permanenti o temporanee, legali o illegali . "L'emigrazione all'estero se da un lato apporta notevoli vantaggi economici alle famiglie, dall'altro comporta squilibri sociali e psicologici. Molte donne infatti si ritrovano sole ad allevare i figli, farsi carico dei parenti anziani e ad aspettare il ritorno del marito che, vissuto in un paese straniero, ha acquisito un nuovo stile di vita, una nuova percezione della realtà che va a scontrarsi con quella più tradizionale della moglie".
Il fenomeno migratorio di questi anni inoltre ha indebolito le relazioni all'interno delle famiglie allargate, ad esempio con i cugini di gradi più lontani e quindi ha contribuito a rendere sempre più debole la struttura clanica della società albanese. L'instabilità economica e politica però e l'assenza delle istituzioni hanno in parte mitigato questa tendenza; la famiglia infatti rimane l'istituzione più stabile della società albanese e diventa l'unica forma di protezione per l'individuo, un ammortizzatore sociale su cui lo stato fa affidamento. E' solo con le rimesse degli emigrati che le persone rimaste in Albania riescono a sopravvivere soprattutto da quando, per tenere sotto controllo l'inflazione, si è attuata una politica di riduzione dei salari reali attorno al 50%. Queste reti parentali comunque diventano importanti soprattutto nelle zone rurali e infatti ancora oggi la condizione della donna in Albania non può non basarsi sulla distinzione tra aree urbane e rurali.
Il fenomeno migratorio però ha coinvolto tutta la popolazione. Sono molte le donne che lasciano l'Albania con i figli per ricongiungersi con il marito e negli ultimi anni è cresciuto anche il numero di quelle che emigrano da sole . Le donne emigrate sono generalmente più vulnerabili degli uomini. "Gran parte di loro sono inserite nel mercato del lavoro informale, prive di un contratto di lavoro e senza alcuna forma di protezione. Svolgono per lo più mansioni di basso profilo nonostante la loro elevata qualifica o competenza professionale: servizi domestici e alla persona, cameriere, baby-sitter"
Con il collasso del sistema economico anche una serie di benefici sociali che lo stato comunista garantiva sono venuti a mancare. Il sistema sanitario è peggiorato in tutto il paese, ma soprattutto nelle zone rurali dove molti medici hanno lasciato le strutture fatiscenti in cerca di prospettive lavorative e di vita migliori nelle città. Il saccheggio e la distruzione delle strutture sanitarie nel '92 unito alla riduzione della spesa pubblica, hanno comportato una drastica riduzione dei servizi con il risultato che la mortalità infantile e le morti per parto sono aumentate.
Nel 1991 con un decreto del governo è stato liberalizzato l'aborto; la legge però è entrata in vigore solo nel Dicembre 1995. Questa legge ha contribuito a ridurre la mortalità materna anche se pratiche illegali continuano a esistere e l'uso di contraccettivi, nonostante i programmi moderni di pianificazione familiare, è ancora basso. Nel 1994 solo l'8% delle donne di età compresa tra i 15 e i 44 anni ha usato contraccettivi; nel 1997 il dato è salito al 12% . La mancanza di una corretta e capillare informazione e di mezzi finanziari per acquistarli rendono, ancora oggi, l'aborto il metodo più comune di controllo delle nascite.

4.3 La partecipazione politica

Ma è anche sulla scena politica che la donna è andata incontro a grandi cambiamenti.
L'uguaglianza raggiunta negli anni precedenti, anche se solo di superficie, è stata completamente cancellata. Secondo lo studioso albanese Fatos Tarifa che ha fatto una ricerca sulla vita politica delle donne nell'Albania post-enverista, "in questi 10 anni di transizione le donne sono state le grandi sconfitte e oggi stanno sparendo dalla scena politica" . Nonostante i nuovi partiti politici abbiano promosso, almeno a parole, lo sviluppo di un nuovo ruolo della donna nella vita politica albanese, il divario tra uomini e donne si sta via, via sempre più allargando.
Se si considera la presenza femminile in Parlamento o in altri organi decisionali dello stato l'ineguaglianza di genere è evidente. "Con il multipartitismo infatti è andata definitivamente persa la regola che assegnava una quota di seggi parlamentari alle donne" ; oggi sono i partiti politici che autonomamente decidono quante donne candidare.
Dopo le elezioni del 1991 e del 1992 il numero di seggi parlamentari occupati da donne è stato il più basso dal '45: rispettivamente del 3.6% e del 2.8%. "Alle elezioni del 1992 è stato adottato un sistema elettorale misto: 100 deputati sono stati eletti con il sistema maggioritario e 40 con il proporzionale. Nelle 100 circoscrizioni elettorali solo 8 dei 521 candidati nominati dai partiti erano donne e di queste solo 3 sono state elette. Con il proporzionale poi su 87 candidati 10 erano donne e una soltanto è stata eletta. In definitiva 4 donne su 140 parlamentari eletti (tab. 2).

 

Tabella2: Numero di uomini e di donne candidati alle elezioni del Marzo 1992.

 Partito  sistema maggioritario sistema proporzionale
 

 Uomini

Donne

Uomini

Donne
 Partito Democratico  94 3  31 6
 Partito Socialista  99 1 27 2
 Partito Socialdemocratico  97 - 2 1
 Partito Repubblicano  94 - 7 1
 Partito Agrario  46 - 10 -
 Partito Comunista  28  3  - -
 Unione per i Diritti Umani  28 1 - -
 Partito Democratico Cristiano  11 - - -
 Partito Ecologista  7  - - -
 Lega del popolo albanese  3 - - -
 Partito Universale  1 - - -
 Indipendente  5 - - -
 TOTALE 513 8 77 10
     1,50%    11,49%

Fonte: Rapporto non pubblicato della Commissione Elettorale Nazionale, Aprile 1992 (cfr. Tarifa F. 1998, "Disappearing from Politics. Social Change and Women in Albania" in Marlyn Rueschemeyer [a cura di], Women in the Politics of Postcommunist Eastern Europe, M.E. Sharpe, New York, p. 283).

La situazione è rimasta pressochè invariata con le elezioni parlamentari del '97: su 155 deputati le donne erano solo 7."
E' da sottolineare però che nel '92 la percentuale di donne elette (2.86%) è stata quasi identica alla percentuale di donne candidate (2.96%); la responsabilità è quindi delle dirigenze dei partiti politici che scelgono di candidare pochissime donne. Il mondo politico deve continuare a essere un dominio maschile.
Nonostante la presenza esigua nel 1992 sono state presentate e approvate, su iniziativa femminile, 3 leggi a tutela della donna, due attinenti al sistema pensionistico ("diritto al pensionamento con 5 anni di anticipo per le donne con più di sei figli e pensionamento anticipato per le operaie che hanno maturato 23 anni di servizio") e una al congedo di maternità ("possibilità di usufruire di 6 mesi di astensione dal lavoro al 50% dello stipendio dopo i 6 mesi di congedo durante i quali viene corrisposto l'80% della retribuzione").
Nel 1995 poi si è costituito un gruppo parlamentare per i diritti delle donne che ha preso parte alla Conferenza Mondiale sulla Donna svoltasi a Pechino.
Le turbolenze politiche ed economiche iniziate nel '91, ma soprattutto la violenta crisi del '97 scaturita dal crollo delle piramidi finanziarie, hanno allontanato ancora di più le donne dalla scena politica. L'aggressività con cui si confrontano (scontrano) i partiti politici e i violenti attacchi personali scoraggiano l'ingresso in politica delle donne. In Albania oggi nessun capo di partito è una donna così come è difficile trovarle ai vertici del potere politico. Con il multipartitismo poi anche il sindacato si è scisso in due gruppi, ma le donne risultano assenti in entrambi.
Le tensioni politiche e sociali, la rapida crescita del crimine e la mancanza di sicurezza rischiano di azzerare importanti conquiste raggiunte negli anni precedenti. Se prima le donne e le ragazze si muovevano liberamente per il paese e raggiungevano i posti di lavoro e le scuole, a volte lontani da casa, a cui lo stato le aveva assegnate, senza alcun rischio, oggi i timori sono aumentati. Il rischio è che le donne tornino a percepirsi come il soggetto più debole della società, diventino insicure e finiscano con il rimanere relegate in casa.

vedi anche La donna albanese nella transizione: educazione, associazionismo, imprenditorialità femminile.