MALALAI JOYA: UN MANDATO PERICOLOSO
QUANDO LA STAMPA FA BRUTTI SCHERZI. PERCHE' E' NECESSARIO RADDOPPIARE LE PRESSIONI A DIFESA DELLA PARLAMENTARE AFGHANA


Marzo 2006. Di G.G.


Uno scoop televisivo davvero inaspettato, quello che pone di nuovo alla ribalta Malalai Joya. Una posizione scomoda, terribilmente rischiosa, ma in linea con l'impegno assunto di fronte agli elettori.
Malalai è diventata un mito per centinaia di migliaia di donne e uomini afghani, quando ha affrontato apertamente i signori della guerra che sedevano con lei alla Loya Jirga nel dicembre 2003, durante i lavori per scrivere la nuova Costituzione. Ha contestato che i peggiori criminali fossero a capo di ognuna delle commissioni dell'assemblea costituente, ha chiesto che fossero processati per i loro crimini di fronte a un tribunale internazionale. Anche quel giorno c'era una diretta TV, che ha diffuso, inattesa, la sua denuncia incontenibile nelle strade e nelle case. Le reazioni della gente, per diversi giorni, hanno fatto tremare i signori al potere: cortei spontanei di donne, file alle radio private per testimoniare e confermare le sue denunce, per le strade e nei mercati non si parlava d'altro. Malalai si è dovuta nascondere per mesi, sotto la protezione dell'ONU, e quando ha ripreso le sue attività sociali e politiche nella sua provincia, a Farah, ha subito diversi attentati.
Poi è venuta l'elezione al Parlamento, inevitabile. I signori della guerra sono riusciti a sbaragliare quasi tutti i democratici, con le armi, i soldi, il terrore, brogli e frodi. Del principale partito di opposizione non fondamentalista, Hambastagi, non è stato eletto neanche un candidato alla Camera Alta. Ma i sostenitori di Malalai erano davvero troppi, ed ha vinto le elezioni, unica donna eletta nella Camera Alta. Le altre 6 donne che siedono nella Camera Alta, infatti, non sono state elette ma sono state nominate dal Presidente Karzai, perché la legge prevede delle quote riservate alle donne e bisognava coprire quei seggi. Inutile dire che non svolgono un ruolo critico nei confronti del governo.
Nella Camera Bassa, le parlamentari sono circa 68, ma anche loro non sembrano giocare alcun ruolo significativo. Il problema principale risiede nel fatto che il Parlamento è composto in larga maggioranza da leaders integralisti dell'Alleanza del Nord, da un 20% altrettanto integralista di talebani che hanno negoziato il loro appoggio al governo Karzai, da esponenti dei vecchi partiti fantocci al servizio dell'occupoazione sovietica, e da una minoranza di eletti dalle vedute un po' più liberali, che non sono certo nemici giurati della popolazione come i precedenti, ma che stanno bene attenti a non esporsi ed evitano i conflitti.
Perché allora accettare di far parte di un simile Parlamento, che non è stato affatto eletto democraticamente, ma in una situazione di guerra, violenza e corruzione? Che ruolo può giocare una parlamentare democratica in un simile contesto? Le possibilità di negoziare una legislazione laica e rispettosa dei fondamentali diritti umani, sono praticamente nulle. Malalai può solo tenere fede al mandato che le è stato dato dagli elettori, dai movimenti sociali che pure esistono e lottano giorno per giorno fuori dalle istituzioni in cui non c'è spazio per le loro istanze: denunciare ciò di cui è testimone.
E' quello che Malalai, ancora una volta, ha fatto di fronte al Parlamento canadese, che l'ha invitata. Malalai durante la campagna elettorale è scampata, tra l'altro, a due pesanti aggressioni armate, una a Farah, l'altra nella sua casa di Herat. Entrambe le volte, gli aggressori non l'hanno trovata - è costretta a spostarsi continuamente in burqa, a cambiare residenza ogni notte, a vivere con le guardie del corpo. Si sono quindi limitati a devastare la sua casa e il suo ufficio. Nelle ultime settimane, le minacce di morte si sono fatte più pressanti. A fine febbraio Malalai ha quindi accettato uno degli inviti arrivati dall'estero, ed è partita per un ciclo di conferenze in Canada e negli Stati Uniti, dove si trova tuttora.
Il regolamento del Parlamento afghano avrebbe richiesto che lei chiedesse al Presidente del Parlamento stesso, il permesso di assentarsi dalle sedute ed andare all'estero. Ma ovvie ragioni di sicurezza hanno sconsigliato questa procedura suicida. Malalai ha fatto quindi pervenire, quando oramai era al sicuro in Canada, una lettera al Presidente del Parlamento in cui giustificava l'assenza per motivi di salute.
C'è stato solo un piccolo imprevisto: una nuova emittente privata, l'Ariana TV, per cercare di guadagnare popolarità, ha trasmesso il discorso che Malalai ha pronunciato di fronte al Parlamento canadese. Effettivamnte il pubblico ha apprezzato moltissimo, e la notizia è rimbalzata ovunque, almeno fin dove arriva l'elettricità. La gente era di nuovo molto felice che qualcuno dicesse apertamente la verità, e a Kabul pare non si parli d'altro in questi giorni.
Il presidente del Parlamento il giorno dopo ha convocato una conferenza stampa, e ha dichiarato che Malalai non era in alcun modo autorizzata a parlare in Canada, che in seguito a questo atto gravissimo il Parlamento stabilirà ulteriori restrizioni per i parlamentari, specie per i viaggi all'estero. La maggioranza del Parlamento desidera espellerla.
A fine mese Malalai tornerà in Afghanistan, i problemi di sicurezza per lei non potrebbero essere maggiori. Chi si assumerà la responsabilità di garantire la sua incolumità?
Quello che è certo, se le venisse impedito del tutto di parlare - "Il tempo è scaduto" dicono rossi di rabbia ogni volta che lei chiede la parola in Parlamento - non avrebbe senso che lei restasse all'interno di un'istituzione che purtroppo si dimostra una farsa a beneficio dei media occidentali. I suoi elettori non l'hanno eletta perché si integri in un Parlamento corrotto, ma perché lo denunci.
Il rapporto con i movimenti internazionali è indispensabile per fare pressione sui rispettivi governi affinchè la smettano di sostenere i fondamentalisti. In questo momento, anche per esigere dalle autorità afghane e straniere che occupano il paese, garanzie a tutela della sua vita.
Chiediamo a chi legge di inviare nuovamente lettere, mail e fax, agli indirizzi già segnalati